Le Mille ed una Notti/Il Medico Persiano ed il Giovane Bettoliere di Bagdad

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Il Medico Persiano ed il Giovane Bettoliere di Bagdad
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IL MEDICO PERSIANO

ed

IL GIOVANE BETTOLIERE DI BAGDAD


— Sire, si narra che un medico persiano, viaggiando di paese in paese, giunse nella città di Bagdad, e preso alloggio in uno dei khan che vi si trovano in gran numero, vi passò la notte.

«All’indomani si mise a percorrere la capitale, e visitare le piazze, i mercati; ammirando la grandezza e magnificenza degli edificii, e diceva sovente di non aver mai veduta una sì bella città.

«Egli osservò in ispecial modo il Tigri, unito all’Eufrate mediante un canale, e che, attraversando il centro della città, la divide in due parti, una ad oriente, l’altra ad occidente. Queste due parti, o piuttosto città, sono riunite da sette ponti formati da battelli attaccati l’un all’altro, tanto a cagione della larghezza ordinaria del fiume, quanto per le [p. 190 modifica] repentine piene cui va soggetto. Essi sono sempre coperti di persone che vanno e vengono pei loro affari: in molti luoghi si passa sotto viali di palme e di piante d’ogni specie, e là intorno si ode una moltitudine d’uccelli che, coi loro gorgheggi, sembrano rendere omaggio al Creatore, e cantare le lodi dell’Eterno.

«Passeggiando così, il medico persiano passò davanti alla bottega d’un bettoliere, nella quale si scorgevano vivande e ragù d’ogni qualità; il padrone di quella bottega era un giovane di circa quindici anni, il viso del quale sembrava bello come la luna in tutta la sua pienezza: il suo abbigliamento era semplice, ma elegante; portava preziosi orecchini, ed i suoi abiti erano sì puliti e ben portati, che sembravano uscire dalle mani del sarto. Il medico, considerandolo con maggior attenzione, stupì vedendogli il colorito giallo, gli occhi languidi, un viso pallido e sformato, che portava i segni dell’afflizione e della tristezza; si fermò e salutollo. Il giovane gli restituì il saluto con modi civili, e lo invitò a pranzo.

«Entrato il medico persiano nella bottega, il giovane prese due o tre piatti più lucidi e brillanti dell’argento, mise in ciascuno cibi diversi, e li imbandì all’ospite. — Sedete un momento vicino a me,» gli disse questi; «mi sembra che siate incomodato, vedendovi assai pallido. Qual è la vostra malattia? sentite dolori in qualche parte del corpo, ed è molto tempo che vi trovate in questo stato? —

«Il giovane, a tali parole, mandò un profondo sospiro, e disse piangendo: — Non domandatemi, o signore, qual sia il mio male.

«— Perchè?» riprese l’ospite. «Io sono medico, buono a qualche cosa, grazie al cielo; e son certo che vi guarirò, se volete confidarvi in me, e farmi conoscere l’origine ed i sintomi della vostra malattia.» Il giovane, dopo aver nuovamente sospirato, rispose: [p. 191 modifica]«— A dir vero, o signore, io non sento alcun dolore, nè provo alcun incomodo; ma sono innamorato. — Voi siete innamorato! — Sì, signore, ed anche innamorato senza speranza di possedere l’oggetto che amo. — E di chi siete mai invaghito? Confidatelo a me. — Io ve n’ho detto per ora abbastanza; lasciatemi attendere a’ miei affari, e servire gli avventori. Se volete tornare dopo mezzodì, vi parlerò più a lungo del mio stato, e vi narrerò le mie avventure. — Va bene. Andate alle vostre occupazioni, per paura che si stanchino d’aspettarvi: tornerò stasera. —

«Dopo questo colloquio, il medico persiano si mise a mangiare. Andò poscia al passeggio, si divertì a vedere le bellezze della città, e verso sera tornò dal giovane. Questi fu assai lieto di rivederlo, e concepì la speranza che lo potrebbe almeno sollevare dalla sua pena e dalla noia. Chiusa la bottega, lo condusse alla sua dimora, bella e ben mobigliata, avendo ereditato dai genitori una fortuna ragguardevole. Quando furono entrati, venne imbandita una delicata cena. Dopo il pasto, il medico pregò il giovane di narrargli le sue avventure, e questi lo fece in tali termini:

«— Il califfo Motaded-Billah (1) ha una figlia, la cui avvenenza può passare per un prodigio: dessa riunisce ad un aspetto incantevole, ad occhi teneri e vivaci insieme, un portamento nobile, una statura snella e delicata; insomma, è una riunione di tutte le perfezioni, e non solo non si vide mai nulla di simile, ma eziandio non si è mai sentito parlare di beltà sì straordinaria. Molti principi e sovrani la chiesero in isposa al padre, ma l’ha rifiutata a tutti, [p. 192 modifica] e sembra che non troverà mai una persona degna di sì bella parentela.

«Tutti i venerdì, quando il popolo si raccoglie nelle moschee, e che tutti i mercatanti ed artigiani abbandonano le botteghe, spesse volte senza chiuderlo, quella vezzosa giovane esce dal palazzo, e si diverte a girare per la città; poscia torna al bagno, e rientra nel serraglio.

«Un giorno, ebbi voglia di non andare cogli altri alle moschee, ma cercai di vedere la principessa. Giunta l’ora della preghiera, ed essendo tutti nella moschea, io mi nascosi in bottega, e vidi in breve comparir la donzella; era circondata da quaranta schiave, tutte più belle le une delle altre, ed essa vi brillava in mezzo come il sole in pien meriggio. Le schiave, coll’affollarsi intorno alla loro sovrana, sostenendone i lembi degli abiti con lunghe bacchette d’oro e d’argento, fermavano i miei sguardi curiosi, a cui impedivano di contemplarla a bell’agio. Insomma, la vidi un sol momento, e tosto sentii accendersi nel mio cuore la passione più violenta, ed i miei occhi bagnarsi di lagrime. Dopo d’allora, io provo un languore che mi consuma, ed il mio male si aumenta di giorno in giorno. —

«Terminando tali parole, il giovane mandò un sospiro sì lungo, che il medico credè vederlo spirare. — Che cosa mi dareste,» gli disse, «se riuscissi a farvi possedere quella che amate?» Il giovane avendolo assicurato che la sua fortuna e la stessa vita sarebbero a di lui disposizione, il medico parlò di tal guisa:

«— Alzatevi, portatemi una piccola bottiglia, sette aghi, un pezzo di legno d’aloè, un altro di bitume giudaico, un po’ di terra creta, due palette (2) di montone, un pezzo di stoffa di lana e sete di vari colori. [p. - modifica] Avventure del finto pazzo.               Disp. XIX. [p. - modifica]

Aroa nel deserto.               Disp. XX. [p. 193 modifica]«Il giovane essendo andato a cercare tutte quelle cose, il medico prese le due palette di montone, vi descrisse sopra segni e formole magiche, le avvalse nel pezzo di stoffa di lana, e legolle colle sete di sette colori; prese poscia l’ampolla, infilzò i sette aghi nel pezzo di legno d’aloè, lo mise nell’ampolla col bitume giudaico, la turò colla terra creta, e disse queste magiche parole:

«— Io bussai alla porta delle ultime regioni terrestri: i geni chiamarono i geni ed il principe dei demoni. Tosto vidi comparire il figlio d’Amran (3) con un serpente in mano ed un drago attortigliato intorno al collo a guisa di collana.

«— Chi è,» gridò egli, «il temerario che batte la terra, e ci evoca stasera?

«Io gli risposi:

«— Sono innamorato d’una giovane; ricorro a’ vostri incanti, spiriti possenti e terribili: aiutatemi voi, e fatemi riuscire nella mia intrapresa. Voi vedete come la tale figlia del tale, respinge e sdegna i miei voti: rendetela sensibile al mio amore!

«Gli spiriti mi risposero:

«— Fa quello che ti fu insegnato: mettili su d’un fuoco ardente, e pronuncia su di essi queste parole: Quand’anche la tale, figlia del tale, fosse in Caschan, in Ispahan o nel paese dei sortilegi e degl’incantesimi, nulla possa trattenerla, qui si rechi, e dica, abbandonandosi ella stessa nelle mie mani:

«Voi siete il padrone ed io sono la vostra schiava.

«Il medico ripetè tre volte queste parole; poi si volse al giovane, e gli disse: — Profumatevi, e vestitevi degli abiti più belli: fra poco troverete presso di voi la persona che amate.» Sì dicendo, pose sul fuoco l’ampolla. [p. 194 modifica]«Il giovane andò tosto ad abbigliarsi, senza prestare però molta fede alle parole del medico. Appena fu di ritorno, vide comparire un letto sul quale dormiva la principessa, più bella nel suo sonno che il sole al suo levarsi. — Che veggo mai? Qual prodigio!» gridò stupefatto. — Non v’ho io promosso,» disse il medico, «di farvi ottenere l’oggetto dei vostri voti? Ecco l’adempimento delle mie promesse. — In verità,» riprese il giovane, «voi siete un mortale straordinario, e mai il cielo ha dato ad alcuno il potere di operar tali prodigi. - Egli baciogli quindi le mani, e gli attestò la più viva riconoscenza per quel favore. — Mi ritiro, » gli disse il medico, interrompendolo; «colei che amate è nelle vostre mani; a voi tocca farle aggradire il vostro amore. —

«Quando il medico fu partito, il giovane amante si accostò alla principessa. Questa aprì gli occhi, e vedendosi, un uomo vicino, gli domandò chi fosse. — Lo schiavo de’ vostri begli occhi,» rispose; «l’infelice che muore per voi, e che non amerà mai altri fuor di voi.» Commossa da tali parole, la principessa guardò il giovane, fu colpita della sua avvenenza, e si sentì il cuore infiammato per lui.

«— Siete voi,» gli disse sospirando, «un uomo ovvero un genio? Chi m’ha portata in questo luogo? — Io sono,» rispose il giovane, «il più felice di tutti i mortali, e non cambierei la mia condizione con quella dei geni, la cui potenza vi ha qui trasportata per le mie preghiere. — Ebbene,» ripigliò ella, «giuratemi, amico, che voi ordinerete loro di portarmi qui tutte le notti. — Madama,» rispos’egli, «è porre il colmo ai miei voti, assicurandomi così la durata della mia felicità. —

«I due amanti s’intertennero a lungo intorno alle loro avventure, e passarono insieme momenti deliziosissimi. [p. 195 modifica]«Già sorgeva l’aurora, quando il medico entrò nella camera, e chiamato pian piano il giovane, gli chiese ridendo come avesse passata la notte. — In un paradiso di delizie,» rispose quegli. Il medico avendogli poscia proposto di condurlo al bagno, gli domandò cosa avverrebbe della principessa, ed in qual modo tornerebbe al suo palazzo. — Non inquietatevi,» rispose l’altro, «essa se ne tornerà com’è venuta, e niuno saprà l’accaduto.» Infatti la principessa si riaddormentò, e si trovò, svegliandosi, nel suo palazzo. Ella si astenne dal far parola dell’avventura, aspettò la notte con impazienza, e fu nuovamente trasportata in casa del giovane, come nella notte precedente, e questo prodigio si rinnovò anche nelle consecutive.

«Scorsi alcuni mesi, la donzella, trovandosi una mattina, colla sultana sua madre, sul terrazzo del palagio, rimase parecchi momenti col dorso volto al sole; il caldo avendola riscaldate le reni, si lasciò fuggire, contro sua voglia, varie ventosità. Sua madre, attonita, le domandò che cosa avesse. La giovanetta avendo risposto d’ignorarne la causa, sua madre la considerò con maggior attenzione, le pose la mano sul ventre, e s’accorse ch’era incinta. A tale scoperta, mise un grido, si battè il viso e le domandò in qual modo si trovasse in quello stato. Le donne del palazzo essendo accorse al grido della sultana, essa ordinò loro d’andar in cerca del califfo.

«Appena questi ebbe conosciuto la causa del dolore della consorte, montò in furia, sguainò il pugnale, e disse alla figlia: — Sciagurata, io sono il Commendatore dei credenti: tutti i re della terra mi hanno chiesta la vostra mano; io sprezzai la loro parentela, ed è così che voi mi disonorate! Giuro per la tomba di mio padre e de’ miei antenati, che se mi palesate la verità, vi farò la grazia; ma se non mi dite subito quello che v’è accaduto, chi è l'autore del delitto, ed in [p. 196 modifica] qual modo potè commetterlo, v’immergerò questo pugnale nel seno. —

«La principessa, spaventata, narrò al padre che tutte le notti veniva levata col suo letto, e trasportata in una casa a lei ignota, vicino ad un giovane più bello del sole, e che poscia si trovava nella propria camera allo spuntare del giorno; ma che non sapeva come tuttociò si operasse.

«Il califfo fu sbalordito di tal confessione della figlia. Mandò a cercare il suo visir, uomo di spirito, abile ed intelligente, e nel quale riponeva molta fiducia, e gli partecipò quanto aveva udito, domandandogli cosa credeva a proposito di fare in quella circostanza.

«Il visir, riflettendo qualche tempo, disse al califfo: — Principe, sol coll’astuzla voi potrete scoprire il luogo nel quale vostra figlia viene così trasportata: ho immaginato un mezzo semplice, ma che deve riuscire; si pigli un sacchetto, e lo si riempia di miglio; lo si attacchi al letto di vostra figlia, vicino alla testa, e lo si disponga convenevolmente, lasciandolo semiaperto, affinchè, quando il letto sarà portato via, il miglio si spande tanto nell’andare che nel tornare, e c’insegni in tal modo la strada che dal vostro palazzo conduce alla casa che cercate. —

«Il califfo lodò la sagacia del visir, trovò ottimo l’espediente, e non dubitando del successo, ne affidò l’esecuzione ad una persona intelligente, la quale ebbe cura che la principessa non venisse a saperne cosa alcuna.

«Giunta la notte, il letto fu portato via come il solito. All’indomani, allo spuntar del giorno, il medico condusse il giovane al bagno, secondo l’uso, e gli disse essersi conosciuto che la principessa era incinta, aversi adoperata l’astuzia per iscoprire la sua casa, e che stavasi per fargli un brutto giuoco. [p. 197 modifica]«Il giovane, senza spaventarsi, attestò al medico il proprio contento d’aver ottenuta la felicità cui aspirava, e ch’era disposto a morire. Lo ringraziò di nuovo del bene fattogli, gli augurò ogni prosperità, gli disse d’allontanarsi, e non esporsi anch’esso al pericolo. — Lasciate che il califfo,» soggiunse, «disponga di me come più gli talenta. — Non abbiate timore per la vostra vita,» rispose il medico; «vi assicuro che non ci accadrà alcun male; io vi farò vedere nuove meraviglie e prodigi d’altro genere.» Quelle parole tranquillizzarono il giovane, cagionandogli grande contentezza. Uscirono assieme dal bagno, e tornarono a casa.

«Il califfo ed il visir, entrati di buon’ora nella camera della principessa, la trovarono di ritorno, e videro che il sacchetto di miglio era vuoto. — Senza dubbio,» disse il visir, «ora conosceremo il colpevole.» Montarono tosto a cavallo, accompagnati da numeroso seguito di soldati, eseguirono le tracce del miglio. Giunti vicini alla casa, il giovane, udendo il rumore degli uomini e dei cavalli, ne avvertì il medico, il quale gli disse: — Prendete un vaso, empitelo d’acqua, salite sul terrazzo, versate l’acqua intorno alla casa, e scendete.» Il giovane eseguì quanto il medico gli aveva imposto.»


NOTTE CDXLI


— Arrivati il califfo ed il visir coi soldati, trovarono la casa circondata da un largo fiume, i cui flutti agitati si cozzavano con orribile fracasso. — Che vuol dir ciò?» disse il califfo al visir; «e da quando si è [p. 198 modifica] formato questo fiume? — Io non ho mai veduto in questo luogo alcun fiume,» rispose il visir, «e non ne conosco altro in Bagdad che il Tigri, il quale scorre in mezzo alla città. Bisogna conchiudere che sia l’effetto di qualche incantesimo. —

«Pieni di tale idea, il califfo ed il suo visir assicurarono ai soldati che l’acqua che vedevano era un’illusione, una vana apparenza: e comandarono di passar oltre senza alcun timore. Una parte dello stuolo volle avanzarsi, ma fu in breve sommersa. Il visir, riconoscendo allora il proprio errore, disse al califfo che il miglior partito era d’invitare chi stava nella casa a palesare chi fosse, promettendo che non gli si farebbe alcun male.

«Il califfo, approvato tal consiglio, fece gridare ad alta voce che se gli abitanti della casa si fossero fatti conoscere, non si farebbe loro alcun male. Il medico lasciò gridare a lungo, poi disse al giovane: — Salite sulla terrazza, e dite al califfo che se vuol tornare al suo palazzo, noi ci recheremo tosto da lui. —

«Il giovane andò sulla terrazza, ed annunciò ad alta voce ciò che il medico gli aveva detto. Il califfo, udita quella proposta, si vergognò di non poter vendicare subito il rapimento della figlia, e vedersi respinto dopo aver perduta parte della sua gente; voleva rimanere e cercar qualche modo di penetrare nella casa, ma il visir gli fece osservare esser quella abitata da maghi o da geni malefici; tornar inutile di voler misurarsi con tal sorta di enti, e che se venivano a darsi in persona nelle sue mani, avrebbe potuto farli punire come meritavano. Il califfo, malgrado tali riflessioni, si ritirò tristo e malcontento.

«Un’ora circa dopo il suo ritorno al palazzo, il medico ed il giovane vennero a presentarsi alla porta. Egli comandò che si lasciassero entrare; quando [p. 199 modifica] furono alla di lui presenza, mandò a cercare il boia, e gli ordinò di tagliare la testa al giovane. Il carnefice gli stracciò i lembi del vestito, e bendatigli gli occhi, girò tre volte intorno a lui, brandendo la spada sulla sua testa, e domandando se dovesse ferire.

«— Dovresti averlo già fatto,» rispose il califfo l’ultima volta.

«Tosto il carnefice alzò il braccio e scagliò il colpo fatale; ma il braccio essendosi voltato, suo malgrado, il colpo cadde sul compagno, che stavagli di dietro, e fe’ volarne la testa ai piedi del califfo. — Malaccorto!» gridò questi; «sei così cieco da colpire il tuo compagno, invece del colpevole, che ti è dinanzi? Guardalo bene, e bada a quel che fai.» Il carnefice alzò una seconda volta il braccio, e fece volare la testa di suo figlio, che si trovava al di lui fianco. Tutti gli astanti furono colti di spavento.

«Il califfo, non potendo riaversi dalla sorpresa, chiese al visir che cosa ciò significasse. — Gran principe,» rispose questi, «tutta la vostra potenza sarebbe inutile: quali mezzi opporre a prestigi e ad incantesimi? L’uomo che trasporta via vostra figlia col suo letto, che fa d’improvviso della sua casa un’isola circondata da abissi, non potrebbe togliervi l’impero e la vita? Io vi consiglio di andare dal medico, trattarlo onorevolmente e pregarlo di non farci alcun male. —

«Il califfo s’avvide non esservi nulla di meglio che seguire il consiglio del visir: ordinò che si facesse alzare il giovane e gli si levasse la benda; poscia scese dal trono, andò dal medico, e gli disse, baciandogli la mano: — Oh il più sapiente degli uomini! Io era ben lontano dall’immaginarmi il vostro merito, ed ignorava di possedere nella mia capitale un tal tesoro. Ma se le vostre virtù e la vostra generosità eguagliano, come ne son certo, la potenza [p. 200 modifica] vostra, perchè avete così disposto di mia figlia, e fatta perire parte della mia armata?

«— Possente principe, immagine di Dio sulla terra,» rispose il medico, «io sono straniero; feci conoscenza con questo giovane, arrivando in codesta città, e pranzammo insieme. Lo stato di languore nel quale lo trovai, il suo amore per vostra figlia, hanno eccitata la mia compassione e mi spronarono a soccorrerlo. Fui ben contento di farvi conoscere chi io sia, e la potenza accordatami dal cielo; ma non voglio servirmi de’ suoi doni che per far del bene. Io ricorro frattanto alla vostra bontà, e vi supplico di accordare vostra figlia a quel giovane: essa è nata per lui, ed egli è degno di possederla.

«— Ciò mi sembra giusto,» disse il califfo, «e noi dobbiamo obbedirvi.» Fe’ indossare al giovane un abito d’inestimabil valore, volle farlo sedere vicino a lui, e fece portare pel medico un trono d’ebano.

«Mentre discorrevano tra loro, il medico, volgenedosi, vide una cortina di seta, sulla quale erano rappresentati due leoni: fe’ loro segno colla mano, e subito le due fiere si gettarono l’una sull’altra, mandando ruggiti somiglianti al fragor del tuono. Poco dopo fece un nuovo segno, e non si videro se non due galli che giuocavano insieme.

«— Che ne pensi tu?» disse il califfo al visir. — Principe,» rispose questi, «io credo che Dio vi abbia inviato codesto sapiente per farvi vedere i suoi prodigi. — Ebbene!» riprese il califfo; «digli di farmene vedere altri ancora.» Il visir, avendo esposto tal desiderio al medico, questi fece portare un bacino pieno d’acqua, e propose al visir di spogliarsi, coprirsi con un gran velo ed entrare nel bacino, promettendo di mostrargli cose meravigliose, e che lo divertirebbero assai.

«Il visir acconsentì; ma appena fu seduto nel [p. 201 modifica] bacino, si trovò trasportato in un immenso mare orribilmente agitato; si mise tosto a nuotare, abbandonandosi all’impeto de’ flutti che lo sospingevano or da una parte, or dall’altra. Le forze cominciavano a mancargli, e si credeva perduto, allorchè un’onda sollevasi d’improvviso, lo trascina seco e lo trasporta sur una riva sconosciuta colla rapidità del lampo.

«Appena uscito dall’acqua, sentì svolazzarsi sul dorso una folta capigliatura, che gli scendeva fino alle calcagna. Sorpreso da tal fenomeno, si guarda tutta la persona, e s’accorge di essere totalmente trasformato in donna. — Maledetto il giuoco!» disse tra sè; «un visir cambiato in donna, è certo una cosa straordinaria, ma qual bisogno aveva io di veder operata in me tal meraviglia? Pure, a questo mondo nulla accade senza il permesso di Dio: noi gli dobbiamo la vita, ed un giorno torneremo a lui (4). —

«Mentre il visir rifletteva così alle sue avventure, un pescatore si avanzò, e ponendogli la mano sulla spalla: — Buona giornata!» disse; «io non mi aspettava simile preda! Che bella fanciulla! è una figlia del mare, ed il cielo me la manda espressamente acciò la dia in moglie a mio figlio: un pescatore non può trovar donna che gli convenga meglio. — Come!» disse il visir udendo quelle parole; «dopo essere stato visir, io diventerò la moglie d’un pescatore! Era questa la sorte che doveva attendermi? Chi consiglierà ora il califfo? Chi governerà il suo impero? Ma Dio è il padrone dei destini, e bisogna rassegnarsi a’ suoi voleri.» [p. 202 modifica]

NOTTE CDXLII


— Il pescatore era sì contento di quell’incontro, che non pensò a gettar le reti secondo il solito, e condusse la figlia del mare nella sua capanna, situata poco lontano dalla spiaggia. — Buona fortuna!» disse alla moglie entrando; «da tanto tempo che faccio il pescatore; non fui mai sì fortunato com’oggi: ho presa una figlia del mare. Dov’è nostro figliuolo? Questa donna è nata per lui, e voglio dargliela in isposa. — È andato al pascolo colla giovenca ed a farla lavorare,» rispose la moglie; «fra poco sarà qui.» Infatti, il giovane giunse poco dopo.

«— Maledetta sia l’avventura!» disse sottovoce il visir, vedendolo; «questa stessa notte dovrò diventare la sposa di codesto marrano, ed avrò bel dire a costoro: Che fate? Siete in errore: io sono il visir del califfo! Essi non mi crederanno, avendo il sembiante di donna. Ah! a che mi sono esposto? Qual bisogno aveva di questo divertimento?

«— Giovane,» disse il pescatore a suo figlio, «bisogna che tu sia nato sotto una buona stella: il cielo ti manda ciò che non ha mai mandato a nessuno, e che non invierà probabilmente mai ad alcun altro: io ti conduco una figlia del mare: tu sei giovane, sei nubile: quest’oggi ella sarà tua moglie. —

«Il giovane fu contentissimo di quella proposizione, sposò la donna nella medesima sera, e la rese incinta. In capo a nove mesi, essa mise alla luce un bel bambino, che dovette allattare; si trovò ancora [p. 203 modifica] incinta poco tempo dopo, e mise al mondo successivamente sette figliuoli.

«Il visir, stanco di questo genere di vita, disse allora fra sè:

«— E fin quando durerà questa maledetta e penosa metamorfosi? Non potrò uscire da questo stato, nel quale sono caduto per un eccesso di compiacenza e curiosità? Voglio andare alla spiaggia ove approdai, e gettarmi nel mare: preferisco morire che sopportare questa miseria.» Presa tale risoluzione, andò alla spiaggia, e si slanciò nell’acque. Fu tosto sollevato da un’onda e trascinato dai flutti; alzando allora la testa, si trovò seduto nel bacino, e videsi dinanzi il califfo, il medico e tutta l’assemblea, che lo guardavano attentamente.

«Il califfo avendo domandato al visir che cosa avesse veduto, questi si mise a ridere, e gli disse: — Principe, il medico ha secreti sorprendenti: io vidi un paradiso delizioso, le huri, bei giovani, e meraviglie che nessuno ha veduto; se volete giudicarne voi stesso, converrete non esservi nulla di più incantevole e straordinario. —

«Quelle poche parole eccitarono la curiosità del monarca, il quale, svestitosi, cinse il corpo d’un pannolino, ed entrò nel bacino. Il medico gli disse di sedere, ed appena l’ebbe fatto, si trovò in mezzo ad un oceano d’immensa estensione; si mise a nuotare, e fu portato dall’onde sur una spiaggia incognita. Avendo preso terra e vedendosi nudo, con un sol pannolino intorno al corpo, disse fra sè: — Ora vedo lo scopo di questo artificio. Il mio visir ed il medico si sono intesi per ispogliarmi del mio impero; essi daranno mia figlia al giovane, ed il medico si farà proclamare califfo in mia vece. Maledetta curiosità! —

«Mentre faceva tali riflessioni, vide una schiera [p. 204 modifica] di donzelle che venivano ad attinger acqua ad una fontana vicina alla riva. Si volse ad una di esse, lo disse d’essere straniero, di aver naufragato, e le domandò in qual paese si trovasse. Gli fu risposto trovarsi poco lungi dalla città di Oman (5), che non aveva se non a valicare il monte vicino, e che vedrebbe la città posta alle falde della montagna.

«Il califfo s’incamminò da quella parte ed entrò nella città. Gli abitanti lo presero per un mercante che avesse fatto naufragio, ed alcuni gli diedero un abito per carità. Quando fu vestito, passeggiò per le vie. Passando pel mercato, la fame lo fece fermare dinanzi alla bottega d’un tavernaio. Questi lo credè uno straniero naufrago, e gli propose di entrare al suo servizio, promettendogli due dramme al giorno ed il nutrimento. Il califfo, non potendo far di meglio, accettò la proposta. Quando ebbe mangiato, e fu installato nel suo nuovo mestiere, pensò così:

«— Che strana situazione! qual cambiamento! Dopo essere stato califfo, rivestito d’un’autorità illimitata, aver vissuto nella magnificenza e tra i piaceri, oggi mi veggo ridotto a lavare i piatti! Io volli vedere cose straordinarie: certamente nulla v’ha di più stravagante della mia avventura da califfo diventando il servo d’un bettoliere. Ma è mia la colpa; che bisogno aveva di provar io stesso la potenza di quel mago? —

«Scorsi alcuni giorni, il califfo passò pel mercato dei gioiellieri; eranvi in gran numero, e facevano esteso commercio, giacchè si pescavano nel vicino mare molte perle, diamanti e coralli. Mentre stava colà, ebbe il pensiero di farsi sensale, piuttosto che continuare a servir il tavernaio. All’indomani, andò al mercato di buonissima ora, e si annunciò come sensale. [p. 205 modifica]«Un uomo gli venne incontro con in mano un diamante, il cui splendore eguagliava quello dei raggi del sole, ed il cui prezzo doveva superare le rendite dell’Egitto e della Siria.

«Il sensale, sorpreso della bellezza di quel diamante, domandò se fosse da vendere. Gli fu risposto di sì; egli lo prese, e lo portò da vari mercatanti. Tutti furono sorpresi della sua beltà: se gliene offrirono dapprima cinquantamila zecchini; poscia si aumentò fino ai centomila. Il califfo andò dal padrone del diamante, e chiesegli se voleva venderlo per quel prezzo. Colui acconsentì, e disse al sensale di ricevere il denaro. Questi tornò dal mercatante che aveva offerto i centomila zecchini, e lo pregò di contargli la somma, avendolo il padrone del gioiello incaricato di riceverla per lui.

«Il mercante disse non essere cosa regolare, e voler pagare chi vendeva, e non il mediatore. Il califfo andò in cerca del proprietario; ma non avendolo trovato, tornò dal mercante, e gli disse d’esser egli stesso il possessore. L’altro stava per contargli il denaro, ma avendo guardato di nuovo il diamante, si accorse ch’era falso. — Come, briccone,» diss’egli, «sei tanto ardito da volermi ingannare in pien mercato! Non sai che i truffatori qui sono puniti di morte? —

«Gli altri mercatanti accorsero udendo quelle parole, si precipitarono sul califfo, e legatolo, lo condussero dal re d’Oman. Questo principe, udita l’accusa e la deposizione dei testimoni, condannò tosto il reo alla forca. Gli fu messa dapprima al collo una catena, gli si scoperse il capo, e lo si fece passeggiare per la città, accompagnato da un ufficiale che gridava: «Questo trattamento non è che il principio del castigo di chi inganna il popolo ed i mercatanti. [p. 206 modifica] nella pubblica via, e sotto gli occhi del re.» Il califfo, riflettendo al suo destino, diceva fra sè:

«— Io non volli rimanere al servizio del tavernaio, mi sono fatto mediatore, e per mio castigo ora mi appiccano. Ma non debbo prenderla con me; esso non è se non il compimento del mio destino. —

«Giunto al luogo del supplizio, gli si attaccò la corda al collo, e si cominciò a tirarla. Nel salire in aria, schiuse gli occhi, e si trovò nel bacino, alla presenza del medico, del giovane e del visir, che lo guardavano. Il visir tosto si avanzò ridendo, per dargli la mano.

«— Perchè ridi?» domandò il califfo. — Rido della mia avventura,» rispose il visir, «giacchè fui donna, mi sono maritata ed ebbi sette figli. — Ebbene,» soggiunse il re, «tu amavi i tuoi figli e n’eri riamato: hai provate pene e piaceri; ma io discendo in questo punto dalla forca.» Allora si narrarono le reciproche avventure. Tutti gli astanti risero assai e rimasero attoniti della potenza del medico. Il califfo lo invitò a rimanere presso di lui, colmandolo d’onori e di beni; poi mandò a cercare un cadì per istendere il contratto di matrimonio della figlia.

«Si celebrarono le nozze con feste e pubbliche allegrie. Il medico ed il giovane al quale aveva reso sì grandi servigi, vissero sempre strettamente uniti, e godettero della più perfetta felicità.»

Scheherazade, terminando la storia del medico persiano e del tavernaio di Bagdad, s’accorse che il giorno cominciava a comparire. — Sire,» diss’ella, «le cose singolari che vi ho raccontate, mi rammentano un prodigio d’un altro genere operato una volta, sotto gli occhi di tutto l’Egitto, dalla sagacia ed abilità d’un visir dell’impero d’Assiria. Io glie lo racconterò domani, se vostra maestà me lo permette.» [p. 207 modifica] Il sultano delle Indie disse che udrebbe volontieri quella storia, ed infatti Scheherazade la cominciò l’indomani di tal guisa:



Note

  1. Decimosesto califfo della dinastia degli Abassidi, che regnò dal 892 al 902 dell’era cristiana.
  2. Osso largo e sottile della spalla o scapola.
  3. Mosè.
  4. Formula cavata dal Corano, di cui i Maomettani si servono comunemente per esortarsi alla rassegnazione.
  5. Città d’Arabia, sul mar delle Indie, vicine al golfo Persico.