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«Faraone fu sorpreso dell’arditezza di quelle parole, ma non credè doversene offendere; alzossi, si tenne in piedi dinanzi al messo, e soggiunse: — Dimmi ora a chi somigliano il re d’Assiria ed i grandi del suo regno? — Il mio signore,» riprese Abicam, «somiglia al Dio del cielo e della terra, ed i grandi che lo circondano, ai lampi ed ai tuoni. Egli comanda, e ratto il lampo brilla, rimbomba il tuono, ed i venti soffiano da tutte le parti; ei dice una parola, ed il sole è privato della sua luce, la luna e le stelle si oscurano. Manda la tempesta, fa cadere la pioggia, distrugge l’onore di Nisan, e ne sperde i fiori. —

«Faraone, ancor più sorpreso di tale risposta che delle precedenti, disse al falso Abicam con accento irato: — Tu devi farmi conoscere la verità; non sembri un uomo volgare. Chi sei tu?» Il visir non credette doversi celare più a lungo. — Io sono Hicar,» rispose, «ministro del re Sencharib, il confidente dei suoi pensieri, il depositario de’ suoi segreti, l’organo delle sue volontà.»

«— Ora ti credo,» riprese Faraone, «e riconosco in te quell’Hicar, sì celebre per la sua saggezza; ma mi avevano annunciata la sua morte.

«— È vero che il re Sencharib, ingannato dagli artifizi dei malvagi, aveva profferita la mia condanna, ma Dio salvò i miei giorni. —

«Faraone congedò Hicar, e lo avvertì che desiderava udire all’indomani qualche cosa ch’egli non avesse mai inteso, come neppure i grandi del regno, nè alcuno de’ sudditi suoi.

«Hicar, ritiratosi nel palazzo che abitava, scrisse la seguente lettera:

««Sencharib, re d’Assiria, a Faraone, re d’Egitto, salute. Voi sapete, fratel mio, che il germano, ha bisogno del germano; i re hanno, pure talvolta bisogno l’un dell’altro. Io spero che vorrete prestar-