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sedevi i segreti tutti della natura, e potevi sciogliere le più difficili questioni? Sciagurato me, che lo condannai sull’asserzione d’un fanciullo. Perchè non esaminai con maggior attenzione quest’affare? Perchè non ho io differito a pronunciare la tua sentenza? Io ti piangerò per tutta la vita, e non potrò esser più felice un sol momento. Se potessi richiamarti al mondo, se alcuno potesse mostrarti a’ miei occhi, la metà delle mie ricchezze ed il regno, mi sembrerebbero una debole ricompensa di sì grande servigio! —

«Abu Shomaik, vedendo l’afflizione del re, si accostò, si gettò a’ suoi piedi, e gli disse: — Principe, quel suddito che disubbidisce al suo re, dev’essere punito di morte: io ho disubbidito, comandate che venga decapitato.» Sencharib, sorpreso, gli chiese in che cosa avesse disobbedito. — Voi mi ordinaste,» riprese questi, «di far morire il saggio Hicar; persuaso ch’era innocente, e che vi sareste in breve pentito di averlo perduto, io l’ho nascosto in un luogo segreto, facendo morire in sua vece uno de’ suoi schiavi. Hicar vive ancora, e se volete, ve lo conduco dinanzi. Ora, o re, ordinate la mia morte, o fate grazia al vostro schiavo! —

«Il re non potè dapprima prestar fede a tali parole; ma Abu Shomaik avendogli più volte giurato che Hicar viveva ancora, si alzò pieno di gioia, ordinò che lo si facesse tosto venire, e promise di colmare di beni e d’onori chi lo aveva salvato.

«Shomaik corse tosto al palazzo d’Hicar, e scese nel sotterraneo ov’era nascosto, lo trovò occupato alla preghiera e nella meditazione. Gli narrò l’accaduto, e lo condùsse dinanzi al re.

«Sencharib fu commosso dello stato nel quale vide il visir; aveva il viso pallido e sfigurato, il corpo scarno; i capelli e le unghie erano di straordinaria lunghezza. Il re, alle scorgerlo, non potè trattenere la