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NOTTE CDXLVI


— Faraone, sorpreso della concisione di quel discorso, e dell’aria semplice, ma franca, dell’inviato, gli domandò qual ne fosse il nome ed il grado. — Il mio nome,» rispos’egli, «è Abicam. Quanto al mio grado, io sono una semplice formica fra le formiche del re d’Assiria. — Come!» ripigliò Faraone; «il tuo signore non poteva mandarmi qualcuno di grado più elevato, in vece d’inviarmi una semplice formica per discorrer meco? — Spesso,» riprese il falso Abicam, «un uomo del volgo si fa ammirare dai grandi, e Dio fa trionfare il debole sul forte. Io spero, col di lui aiuto, accontentare il re d’Egitto, e sciogliere le sue questioni. —

«Faraone congedò l’inviato d’Assiria, e dettogli che manderebbe a cercarlo fra tre giorni, ordinò ad uno dei primari ufficiali di condurlo nel palazzo statogli preparato, e dargli il bisognevole per lui ed il suo seguito.

«Il terzo giorno, Faraone si vestì d’un abito di porpora d’un rosso abbagliante, e sedè sul trono, circondato dai grandi del regno, che dimostravangli il maggior rispetto. Mandò a cercare il messo, e dissegli quando fu alla di lui presenza: — Rispondi subito, Abicam, alla quistione che sono per farti. A chi somiglia io, ed a chi somigliano i grandi della mia corte che mi circondano? — Principe,» rispose immantinente Abicam, «voi somigliate al dio Belo;