Le Mille ed una Notti/Storia del re Azadbakht o dei Dieci Visiri

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Storia del re Azadbakht o dei Dieci Visiri
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STORIA

DEL RE AZADBAKHT, O DEI DIECI VISIRI.


— Uno degli antichi re dell’India, chiamato Azadbakht (1), aveva fatto grandi conquiste ed esteso assai lungi il proprio dominio. Egli invigilava con cura su tutte le parti del suo impero, manteneva numerosi eserciti, e rendeva esattamente la giustizia ai sudditi. Malgrado la sua attività ed i suoi talenti, l’estensione degli stati non permettendogli di vedere ed esaminare da sè ogni cosa, aveva scelti dieci visiri, i quali accudivano alla maggior parte degli affari; ma sempre bramoso di regnare lui stesso, decideva da solo nelle circostanze più importanti, dopo aver però consultati i ministri.

«Con una tale condotta, Azadbakht avrebbe potuto godere di durevole prosperità, se, sedotto e traviato dall’amore, non avesse abusato della propria autorità, e mancato di riguardo ad uno de’ suoi visiri.

«Un giorno che Azadbakht era alla caccia, accompagnato da numeroso seguito, vide uno schiavo negro a cavallo, che conduceva per la briglia una mula riccamente bordata. Questa mula portava una specie di lettiga coperta d’una stoffa di broccato d’oro, cosparsa di perle e diamanti. Una torma di cavalieri nell’equipaggio più leggiadro e brillante, accompagnavano la lettiga.

«Azadbakht si separò dalle persone del seguito, ed [p. 236 modifica] avanzatosi verso i cavalieri, domandò loro a chi appartenesse quella lettiga, e chi vi fosse rinchiuso. Lo schiavo negro rispose, senza sapere che parlava al re in persona, ch’essa apparteneva ad Isfehend, uno de’ dieci visiri, e che racchiudeva sua figlia, promessa in matrimonio al re Zadschah.

«La principessa, udendo quel discorso, fu curiosa di vedere chi fosse la persona che parlava allo schiavo, ed aperse la cortina della lettiga. Azadbakht la vide, fu rapito della sua bellezza e se ne invaghi. Fe’ voltare la mula, e disse allo schiavo negro: — Ritorna indietro. Io sono il re Azadbakht, e voglio diventare lo sposo di questa bella giovane. Isfehend, suo padre, è uno de’ miei visiri, e non può mancar di essere lusingato dell’onore che gli faccio, dando la mia mano a sua figlia.

«— Sire,» rispose lo schiavo sorpreso, «permettete ch’io informi il mio padrone del vostro disegno, affinchè si affretti a dare il proprio assenso ad una parentela tanto gloriosa. Sarebbe una cosa indegna di voi, ed ingiuriosa per lui, se isposaste sua figlia a di lui insaputa. — Io, non ho,» disse il re, «il tempo di attendere che tu vada da Isfehend, e ne ritorni. Non v’ha qui nulla d’ingiurioso pel mio visir, dacchè son io che sposo sua figlia.

«— Sire,» soggiunse lo schiavo, «permettete di far osservare a vostra maestà che le cose fatte con tanta precipitazione non sono di lunga durata, o non procurano un piacere puro e solido. Giacchè nulla può opporsi alle vostre brame, non esponetevi alle disgustose conseguenze che talvolta arreca la troppa fretta, e non affliggete il mio signore, colmandolo d’onore; io conosco la di lui tenerezza per sua figlia, e son certo che sarà vivamente afflitto di non avervela data egli stesso.

«— Isfehend,» interruppe il re, «è mio mamelucco, [p. 237 modifica] ed uno de’ miei schiavi: poco m’importa che sia contento o no.» Sì dicendo, afferrata la briglia della mula, fece condurre nel proprio palazzo la bella Behergiur (2) (era il nome della figlia d’Isfehend), e la sposò nel medesimo giorno.»


NOTTE CDXLVIII


— Lo schiavo negro ed i cavalieri, essendo tornati presso il visir, loro padrone, lo schiavo si gettò a’suoi piedi, e gli disse piangendo: — Signore, già da più anni voi servite il re Azadbakht con tutto lo zelo di cui siete capace, e nulla faceste di contrario ai suoi interessi ed a quelli dello stato; ma avete lavorato inutilmente: il re non ha per voi alcuna stima, nè riguardo alcuno pei vostri lunghi e fedeli servigi. — Che cosa significa ciò?» disse Isfehend; «e qual prova hai tu che il re non faccia alcun caso della mia persona e de’ miei servigi?» Lo schiavo raccontò allora al padrone quanto era avvenuto.

«Il visir, udendo la notizia, si sentì infiammato di sdegno, e risolse di vendicarsi dell’affronto ricevuto; radunò gran numero di guerrieri, e parlò loro così: — Il re Azadbakht non si contenta più delle donne componenti il suo serraglio; esso vi tratterà in breve come ha fatto con me, e s’impadronirà delle cose a noi più care. Non ci resta altro partito a prendere se non di abbandonare la corte, e ritirarci in luoghi in cui il nostro onore sia in sicuro. — [p. 238 modifica]«Isfehend, per impedire al re di sospettare del suo disegno, gli scrisse nello stesso tempo una lettera di questo tenore:

«Io sono uno dei vostri mamelucchi, uno dei vostri schiavi; anche mia figlia era vostra; potevate disporne a vostro talento. Che l’Altissimo conservi i vostri giorni, e vi accordi ogni sorta di piaceri e soddisfazioni! Io fui sempre pronto a servirvi, e difendere le province del vostro impero, respingendo i vostri nemici; raddoppierò ormai di zelo e d’ardore: i vostri interessi sembrano divenuti i miei, dacchè mia figlia è diventata vostra sposa.»

«Questa lettera era accompagnata da un ragguardevol regalo; Azadbakht fu assai contento della lettera e del presente, e da quel punto non pensò che ai piaceri ed alla voluttuosa vita.

«Il gran visir di Azadbakht, più attento a ciò che avveniva, venne un giorno ad informarlo che Isfehend era assai malcontento del modo ond’erasi fatto il matrimonio di sua figlia, e tendeva segretamente a ribellarsi. Il re, per unica risposta, gli fece leggere la lettera d’Isfehend. Il gran visir ebbe bel rappresentargli che non bisognava badare a quello scritto, e che le sommissioni in essa contenute erano false come la soddisfazione che vi voleva mostrare Isfehend. Azadbakht non ascoltò le sue parole, e continuò ad abbandonarsi ai piaceri ed ai divertimenti d’ogni sorta.

«Frattanto Isfehend scrisse, senza perder tempo, a tutti gli emiri, raccontò loro l’affronto ricevuto dal re, impossessandosi a viva forza di sua figlia, e fece temer loro ch’ei non si portasse anche contro di essi a maggiori violenze.

«Giunte le lettere del visir in tutte le province, gli emiri radunaronsi presso di lui, ed udito dalla sua bocca il racconto di quanto era accaduto a sua figlia, [p. 239 modifica] risolsero di vendicarlo, e stabilirono di disfarsi del re. Montarono tosto a cavallo, e fecero avanzare le loro truppe verso la capitale con tanta celerità e segreto, ch’erano già padroni di tutto il paese, quando il re ne seppe l’arrivo.

«Azadbakht, non potendo difendersi, domandò alla nuova sposa a qual partito volesse appigliarsi. — A quello che vi sembra più conveniente,» rispose la donna. Il re allora fece allestire i due migliori cavalli della scuderia, ne montò uno e la regina l’altro; e portando seco quant’oro fu lor possibile, fuggirono di notte dalla parte del Kerman, abbandonando la capitale ad Isfehend, il quale, entrato nella città, se ne impadronì.

«La regina, essendo incinta, non rimase a lungo senza sentire le doglie del parto. Era sera, e trovandosi allora vicini ad una montagna, alle cui falde scaturiva una fonte, scesero da cavallo. La regina mise alla luce un fanciullo bello come la luna, spogliossi d’uno de’ suoi vestiti, la cui stoffa era di seta ricamata in oro, vi avvolse il fanciullo, e gli presentò il seno. Essi passarono la notte in quel luogo.

«All’indomani mattina, il re disse alla sposa: — Questo bambino, che doveva portar il colmo alla mia felicità, aumenta oggimai l’orrore della critica nostra posizione: noi non possiamo nè restar qui, nè condurlo insieme; costretti ad abbandonarlo alla Provvidenza, preghiamo Iddio di mandar qualcheduno che ne prenda cura.» A tali parole, versarono ambedue un torrente di lagrime, e lasciato il fanciullo vicino alla fonte, dopo avergli posto accanto una borsa contenente mille pezze d’oro, rimontati a cavallo, continuarono la fuga.

«Dio permise che una banda di ladri, i quali avevano assalita una carovana vicino a quel monte, ed eransi impadroniti di tutto il bagaglio dei viaggiatori, venissero in quel luogo a dividere il bottino. Avendo [p. 240 modifica] scorta la stoffa di seta, avanzatisi, vi trovarono avvolto il bambino, e vicino a lui la borsa piena d’oro. — Gran Dio!» gridò uno di essi, meravigliato; «in qual modo si trova qui questo fanciullo? Qual delitto, qual barbarie lo fece così abbandonare?» Il capo dei ladri, dopo aver diviso l’oro tra la sua banda, prese il bambolo fra le braccia, e risolse di allevarlo come suo figlio; lo nutrì egli stesso con latte e datteri, finchè giunto al luogo di sua dimora, lo affidò ad una nutrice.

«Azadbakht e la regina intanto si allontanavano sempre, sollecitandosi finchè giunsero alla corte di Persia. Il re Chosroe li accolse cogli onori dovuti al loro grado, e li fece alloggiare in un magnifico palazzo. Quando ebbe udita la loro disgrazia, diede ad essi un numeroso esercito e grosse somme di denaro. Rimasti alcuni giorni alla corte di Persia, per dimostrare al monarca la loro riconoscenza, e riposare delle fatiche sostenute, Azadbakht e la sua consorte s’incamminarono verso i loro stati.

«Il re detronizzato marciava alla testa delle milizie. Isfehend gli venne incontro. Si combattè d’ambe le parti con molto valore, e la vittoria rimase a lungo indecisa; finalmente l’esercito del ribelle visir fu volto in fuga, ed egli stesso ucciso per mano del re. Azadbakht rientrò nella capitale, e sedette ancora sul trono degli avi.

«Quando si vide pacifico possessore del regno, sua prima cura fu di mandare alla montagna dov’era stato costretto ad abbandonare il figliuoletto, per vedere cosa ne fosse avvenuto. Invano i messi percorsero tutto il paese all’intorno, fecero inchieste presso gli abitanti; niuno potè darne notizia. Il re, afflittissimo, non cessò di piangere la perdita del figlio: più anni trascorsero di tal guisa.

«Frattanto il principe, cresciuto in età, [p. 241 modifica] accompagnava i ladri nelle loro ruberie, assalendo con essi i viaggiatori.

«Un giorno, progettarono di svaligiare una carovana che doveva passare pel Segestan (3). Fra quelli che la componevano, eranvi uomini valorosi ed agguerriti, che avevano seco molte preziose merci; avendo inteso che il paese era infestato dai briganti, stavano in guardia, marciando e sempre ben armati, e facendosi precedere da esploratori; per cui, avvertiti dell’avvicinarsi dei ladroni, si prepararono a respingerli.

«I ladri, essendo in piccol numero, furono sorpresi al trovare una resistenza cui non aspettavansi. Molti di essi furono uccisi, e gli altri costretti a prendere la fuga. Il giovane principe, dopo essersi lungamente battuto, fu costretto a cedere al numero. La sua gioventù, il suo coraggio, il bell’aspetto interessando in di lui favore, gli fu lasciata la vita e messo tra gli schiavi. La nobiltà del portamento, il suo spirito, eccitando sempre più la curiosità, gli si domandò chi fosse ed in qual modo si trovasse in mezzo ad assassini di strada. Il giovane non potè rispondere altro fuorchè d’esser figlio del capo dei ladri.

«La carovana, continuando il suo viaggio, giunse nella residenza di Azadhakht. Quando questi ne fu informato, ordinò che gli si presentassero gli oggetti più rari e curiosi, per iscegliere quelli che, maggiormente gli piacessero. Si fece portare in palazzo le stoffe più ricche, i gioielli preziosi, e gli si condussero dinanzi alcuni schiavi fra cui eravi il giovane prigioniero.

«Il re, dopo aver guardato rapidamente tutto, fissò gli sguardi sul giovane; gli piacque il suo bell’aspetto e domandò chi fosse il capo della caravana gli raccontò che nel loro viaggio, erano stati assaliti dai briganti; ch’eransi difesi coraggiosamente, [p. 242 modifica] uccidendone una parte, ponendo in fuga l’altra, ed impadronendosi di quel giovane, il quale asseriva essere il figlio del capo dei malandrini. Questa circostanza non impedì che lo schiavo non piacesse al re, il quale volle comperarlo, e lo dimostrò al capo della carovana: questi lo pregò d’accettarlo a nome di tutti i viaggiatori, aggiungendo di essere tutti suoi schiavi, e che Dio aveva fatto cadere quel giovane nelle loro mani perchè lo destinava a sua maestà.

«Il re, soddisfatto, congedo la carovana e fece entrare il giovane nel suo palazzo. Era stato in prima colpito dalla bellezza della sua fisonomia; non tardò ad accorgersi del suo spirito, della sua sagacia e delle molte di lui cognizioni; ne notò la generosità, il disinteresse, ed ogni giorno scopriva in lui nuove qualità superiori all’età sua ed alla supposta sua origine.

«Azadbakht, incantato dei talenti del giovane, ebbe in animo di approfittarne, gli affidò l’amministrazione de’ suoi tesori, ed ordinò che nulla ne uscisse in avvenire senza il permesso del giovine intendente.

«Il nuovo ministro si disimpegnò del proprio incarico, in un modo assai vantaggioso e alle finanze del re. I visiri disponevano in addietro a loro talento dei tesori dello stato; la fermezza e vigilanza del giovane intendente ne fecero cessare le depredazioni. Il re s’accorse tosto dei felici effetti di questo nuovo ordine di cose, ed affezionossi talmente al giovane, che lo amava quasi avesse saputo ch’era suo figlio: lo consultava in ogni cosa, e non voleva che si allontanasse un sol istante da lui.

«I visiri, malcontenti della diminuzione della loro autorità, ed invidiosi dell’affetto del re pel nuovo favorito, concepirono per lui un odio violentissimo, cercando quindi ogni mezzo di fargli perdere le buone grazie del re. I loro sforzi furono inutili per molti anni: finalmente il momento fissato dal destino giunse. [p. 243 modifica]«Il giovine intendente, trovandosi un giorno con altri della sua età, bevve più del solito e si ubbriacò. Non avendo potuto in tale stato trovare il proprio appartamento, errò nel palazzo, e fu spinto dalla sua malvagia stella nelle stanze delle donne. Una magnifica sala si presentò a’ suoi occhi, era quella ove il re dormiva colla sposa.

«Il giovane, poco sorpreso della magnificenza dell’appartamento, e della quantità di lumi che lo rischiaravano, entrò, e trovando un letto apparecchiato, vi si lasciò cadere e cedette al sonno che opprimevalo. Alcune schiave, poco dopo, vennero ad apparecchiare la solita cena per il re e la regina, portando sorbetti, confetture, e disponendo profumi. Il giovine, addormentato profondamente, non intese nulla, e le donne, vedendolo da lungi, credettero fosse il re che riposasse.

«Azadbakht aveva invitati quel giorno ad un gran banchetto tutti i signori della corte. Dopo il pasto, si recò, dalla nuova sposa, e la condusse nell’appartamento preparato a riceverla. Il re, entrando, vide il giovane steso sul proprio letto, e riconobbe il suo intendente. Un geloso furore s’impadronisce allora de’ suoi sensi. — Che condotta è questa?» disse a Behergiur, guardandola con occhio sdegnato. «Senza dubbio, questo schiavo non potè introdursi fin qui senza il vostro consenso.

«— Sire,» rispose la regina con fermo accento, «vi giuro che non conosco questo schiavo, e non so per qual caso si trovi qui.» Il re si credeva troppo sicuro dell’infedeltà della regina per credere alla sincerità di quello che diceva.

«Il giovane, svegliatosi frattanto e veduto il re, balzò dal letto e se gli gettò ai piedi. — Traditore,» gli disse il re, trasportato di rabbia, «tu osi penetrare nell’appartamento delle mie mogli! La tua audacia e [p. 244 modifica] perfidia non resteranno impunite.» Ordinò quindi che si chiudesse il giovane e la regina in segrete prigioni.

«All’indomani, Azadbakht mandò a cercare il suo gran visir, gli raccontò l’avventura del dì prima, gli espose il suo timore la regina non avesse intelligenze col giovane, e ne chiese il parere. — Questo giovane,» rispose malignamente il visir, «è il figlio d’un ladro; ei risentesi della sua infame origine: chi alleva un serpe in seno, deve aspettarsi d’esserne morso. Quanto alla regina, la sua condotta passata, la sua onestà e le virtù vi sono garanti della di lei innocenza; ma se il re nutrisse ancora sospetti contro di lei, mi permetta almeno d’interrogarla; io spero di chiarire quest’affare, e dissipare l’inquietudine che può cagionare a vostra maestà.» Il gran visir avendo ottenuto il permesso che domandava, andò dalla regina, ed assicuratosi, per le domande che le volse e le risposte avute, ch’ella non aveva alcuna intelligenza col giovane, le tenne questo discorso:

«— Qualunque sia la vostra innocenza, madama, il re ha sospetti che, bisogna distruggere; ecco il mezzo di farlo, e giustificarvi intieramente a’ di lui occhi: quando comparirete dinanzi al re, vostro consorte, ditegli che quel giovane, avendovi per caso veduta un giorno, vi ha fatto poco dopo rimettere una lettera, nella quale vi proponeva di farvi il regalo d’un diamante d’inestimabil valore se volevate acconsentire ai suoi desiderii; che voi rigettaste l’offerta con indignazione, e che volevate far arrestare il suo messo, il quale prese tosto la fuga; che, non contento del primo tentativo, il giovine vi fece dire di nuovo, che, se non aveste ceduto alle sue brame, s’introdurrebbe un giorno nel vostro appartamento; che il re lo vedrebbe, e farebbelo punire; ma che così avrebbe oscurata la vostra buona riputazione, irritando il consorte contro di voi, e facendovi così [p. 245 modifica] perdere i suoi favori. Ecco, madama, che cosa dovete dire al re. Io corro da lui per rendergli conto della nostra conferenza, e fargli da parte vostra tale dichiarazione, aspettando che possiate farla voi stessa. —

«La regina si lasciò persuadere, e promise di ripetere allo sposo quanto gli avrebbe detto il visir. Questi si recò subito dal sultano, ed assicuratolo che la regina era innocente, e partecipatagli la pretesa dichiarazione, aggiunse: — Il delitto di questo giovane merita maggior castigo; le bontà di cui lo avete ricolmo lo rendono ancor più colpevole, e questo esempio prova che la natura non può cangiare, e che un seme amaro produce sempre amari frutti. —

«Il re, udito il discorso del gran visir, lacerossi gli abiti, e comandò gli si conducesse dinanzi il giovane, e si facesse venire anche il carnefice.»


NOTTE CDXLIX


— La nuova dell’avventura del giovine intendente erasi già diffusa nel popolo: una moltitudine immensa radunossi per vederlo, ed essere testimonio di quanto stava per accadere.

«— Ingrato!» gridò il re, quando fu alla propria presenza; «io ti aveva affidata la soprintendenza delle mie ricchezze, e tu avevi finora ben corrisposto alla mia fiducia; ti ho innalzato al di sopra di tutti i grandi che mi circondano: perchè volesti attentare al mio onore, entrando nell’appartamento della regina? Come mai la memoria dei benefizi onde ti colmai, non ti distolse dal commettere sì gran misfatto? — [p. 246 modifica]«Il giovine, senza sembrare spaventato dall’ira del re e dagli apparecchi del supplizio cui pareva non potesse evitare, rispose con calma: — Sire, io non ho commesso di mia volontà e deliberatamente l’azione che mi fa parer colpevole; io non aveva alcuna ragione d’introdurmi in quell’appartamento, ma ci fui spinto dal mio fatal destino. Finora ho cercato di guarentirmi da ogni errore, e preservarmi da ogni accidente; ma niuno può evitare il proprio destino, e inutili sono tutti gli sforzi contro l’avversa fortuna. L’esempio del mercante, il quale doveva essere un giorno infelice, e le cui pene e travagli non poterono mai mutarne il fato, prova a tutt’evidenza la mia asserzione.

«— E qual è questa storia?» disse Azadbakht; «ed in qual modo quel mercante divenne per sempre infelice?»



Note

  1. In persiano, fortuna singolare.
  2. O Behergianher, fulgido come il diamante.
  3. Provincia in Persia.