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438 | una morte sul campo. |
neva fra le mani e si stringeva sul petto in un solo amplesso la testa del bambino, i cordoni, le spalline, il berretto, dicendo: — Oh qui c’è mio figlio! c’è mio figlio! io lo sento!
Lasciò finalmente libero il ragazzo e ricadde spossato sul guanciale, sempre tenendo stretti sul seno colle braccia incrociate que’ suoi oggetti preziosi. E di tratto in tratto, cogli occhi socchiusi, ripeteva a fior di labbro: — Oh qui c’è mio figlio.... lo sento.... lo sento. — E stringeva le braccia più forte.
Tacquero tutti per un po’ di tempo, finchè il capitano disse sottovoce ai figliuoli ch’era ora ch’ei partisse. Eran le otto: non si poteva pregarlo di indugiare.
— Babbo! — disse forte uno dei giovani. Il vecchio aprì gli occhi.
— Il capitano deve partire.
— Partire?... Di già partire? Oh Dio buono, e perchè? Non potete restare ancora qualche ora con noi, signor capitano?
— Non posso, caro signore, e me ne rincresce; bisogna proprio ch’io parta subito....
— Capitano!
— Caro signore!... Stringetemi la mano. (Il padre glie la strinse vigorosamente.) Tornerò; verrò qualche volta a trovarvi; vi scriverò, non dubitate. — È impossibile che io mi scordi mai più di voi, nè di questo bel giorno. Io vi voleva bene prima di conoscervi, perchè il padre di un bravo soldato non si può non amarlo, anche senza averlo mai visto; ma adesso! Adesso che ho conosciuto da vicino il vostro cuore generoso e il vostro animo nobile, adesso vi ammiro, v’amo mille volte più di prima. Vi saluto, dunque; fatevi animo; ricordatevi qualche volta di me, e pensate che come ho sofferto del vostro dolore, così sarò sempre orgoglioso del vostro