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una morte sul campo. 439

orgoglio, e che colla stessa intima gioia con cui voi potete dire: Quell’eroe era un mio figlio, io dirò sempre: Quell’eroe era un mio soldato. Addio, caro signore.

— Addio.... Oh io non posso ancora dirvi addio, caro capitano. No.... è troppo presto.... non posso....

Il capitano aprì la bocca per parlare; ma il vecchio gli fece un cenno risoluto colla mano come per imporgli silenzio, abbassò la testa e stette immobile nell’atto di chi tende l’orecchio a un rumore lontano.

— Che c’è? — domandò uno dei fratelli.

— Silenzio! — ripetè il padre. — Tutti ammutolirono. Il capitano tese anch’egli l’orecchio, fece un atto di sorpresa e di rincrescimento, e disse tra sè: — Che se ne sia scordato? Che non m’abbia capito? — Si sentiva infatti un rumore lontano, sordo, indistinto, che cresceva a mano a mano.

— Babbo, che cosa senti? — domandò un’altra volta il figliuolo.

Il padre senza muovere il capo nè gli occhi, stese la mano verso il capitano, lo afferrò pel braccio, lo trasse a sè e gli domandò sottovoce: — Capitano, sentite?

— Io?... nulla.

In quel punto si sentì una voce lontana che parve un comando militare; il rumore si era fatto più distinto.

— Capitano! — gridò impetuosamente il vecchio balzando a sedere; — questi sono cannoni!

Il capitano tremò.

— Questa è la vostra batteria!

— Chè! Non può essere, v’ingannate, ve l’assicuro...

— È la vostra batteria, vi ripeto! Io la sento! Io la veggo! Ditemi la verità, signor capitano! — La sua voce e il suo volto avevano qualcosa di terribile.

— Ma no! — ripetè il capitano alzando la voce per