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426 una morte sul campo.


— Quanto somiglia a quel povero giovane! — esclamò il capitano. —

— È vero!

Dopo altri cinque minuti di conversazione a bassa voce, il capitano aprì l’involto e parlò coi tre fratelli di una sorpresa da farsi al padre, finchè il secondogenito s’alzò, e passò nella stanza attigua per isvegliare il malato.

Il fratello maggiore e l’uffiziale si strinsero la mano dicendosi l’un l’altro: — Coraggio, via! —

Il giovinetto s’avvicinò in punta di piedi al letto di suo padre. Il buon vecchio dormiva leggermente con un braccio steso fuor della coperta e la faccia volta dalla parte del figlio. Questi ristette un istante a contemplare quella fronte aperta e venerabile, che pur nella quiete del sonno serbava l’impronta d’un profondo dolore, e pensò: — Ora ti desto, povero padre;... ti desto per richiamarti al dolore; ti tolgo anche questi pochi momenti di pace.... Ma è necessario. — Babbo!

Aprì lentamente gli occhi e colla mano che aveva fuori strinse quella del figliuolo. Questi, posandogli la destra sulla fronte, si chinò e gli chiese come stava.

— Molto meglio.

— Oh bene!... E.... senti, babbo; c’è di là una persona che vorrebbe vederti.

— Falla entrare.

Il figlio non si mosse.

— Chi è?...

— Chi è?... È un uffiziale.

Il vecchio fissò il giovinetto senza parlare.

— È un capitano.

— Un capitano? e spalancò gli occhi. — Seguì qualche momento di silenzio. Il figliuolo, facendosi un gran coraggio, soggiunse in fretta: