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una morte sul campo. | 423 |
neanche dopo una battaglia perduta, quando tutti gli altri sono prostrati dalla tristezza e dallo sconforto.
Così, seri, pensosi, ma non iscorati, non avviliti, entravano sul far della sera, in Chivasso, i cannonieri d’una batteria dell’esercito piemontese, quindici giorni dopo la battaglia di Novara. Alla batteria mancavano molti carri, molti cavalli, un cannone, due uffiziali e parecchi soldati. L’accompagnavano un capitano e un luogotenente. Il popolo assisteva tacito e mesto alla loro entrata come al passaggio di un convoglio funebre.
Si fermarono nella prima piazza. Il capitano ordinò al suo uffiziale di parcare la batteria, e, sceso da cavallo, si mise a guardare intorno come se cercasse qualcuno in mezzo alla gente che s’era affollata.
Di lì a un minuto, gli si avvicinarono due giovani (l’uno poteva essere sui venticinque anni, l’altro sui diciotto), si tolsero il cappello e gli domandarono timidamente: — È lei il signor capitano....?
Il capitano non li lasciò finire, strinse la mano a tutti e due chiamandoli amichevolmente per nome, e disse: — Mi son preso la libertà di scrivere addirittura a loro senz’aver l’onore di conoscerli, perchè in questa città non sapevo a chi altri rivolgermi; avrei scritto anche prima, se prima avessi potuto saper qualcosa della loro famiglia.... Ma neanco i suoi amici, — soggiunse con accento mesto, — non seppero dirmi nulla.... E sì che ne avea molti e carissimi, quel povero giovane.
E porse di nuovo la mano ai due compagni che gliela strinsero forte.
— Han detto nulla al loro padre della mia lettera?
Risposero che non gli avean detto altro se non che il capitano della batteria a cui apparteneva il loro povero fratello sarebbe venuto un giorno a fargli una visita; non gli avean potuto dire di più perchè era leg-