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una morte sul campo. 429

grande! ripetè tra se stesso, e poi soggiunse con voce franca e vibrata:

— Dite pure, capitano. —

Il capitano sedette quanto più potè accosto al letto e, accarezzando le frange della dragona, cercò un modo di cominciare. Non lo trovò subito, nè il trovarlo gli sarebbe riuscito facile; ma il fratello maggiore venne in suo aiuto.

— Ebbe molto da fare, signor capitano, la sua batteria?

— Alla battaglia di Novara? non mica tanto. Cioè: quanto a fare, veramente, si è fatto poco; ma s’è faticato come se si fosse fatto moltissimo; s’è corso tre o quattro ore senza un minuto di respiro; avanti e indietro, avanti e indietro, quasi sempre per le medesime strade. — Capitano! mi si gridava, vada ad occupar quell’altura. — Ed io via di galoppo. Ma appena ero lassù, eccoti un contr’ordine, e giù subito al posto di prima. E così tre o quattro volte senza fermarsi un momento. Poveri cavalli, la parte loro l’han fatta quella mattina! Meritavano proprio una sorte migliore.

— Furono uccisi?

— Una buona parte.

— Peccato!... E dove ha poi finito di fermarsi?

— Proprio il punto preciso non lo saprei; cioè, non glie lo saprei nominare; ma ricordo esattamente la figura del luogo. Eravamo a metà della china di un colle; fra quel punto e la cima, il terreno s’incavava così profondamente da nascondere benissimo un par di battaglioni agli occhi di chi ci venisse incontro dalla parte del nemico. Quando arrivai là, si vedevano in lontananza giù nella pianura tre lunghe colonne di Austriaci che si avanzavano lentamente, ora accennando di piegare a destra, ora a sinistra, ma sempre mante-