La serva amorosa/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Strada
Florindo, poi Corallina.
Florindo. Misero me! Perfida donna! Fargli far testamento? Perdermi, rovinarmi per sempre?
Corallina. Allegri, signor Florindo.
Florindo. Non ho mai avuto maggior motivo di piangere.
Corallina. Ho delle buone nuove.
Florindo. Ed io ne ho delle pessime.
Corallina. Ma voi siete il padre degli spasimi. Che cosa è stato? Che c’è di nuovo?
Florindo. La signora Beatrice ha indotto mio padre a far il suo testamento. Figuratevi come sarò io trattato.
Corallina. Lo sapete di certo?
Florindo. Arlecchino è venuto in casa nostra due ore sono, e mi ha narrato l’ordine avuto di ricercare il notaio.
Corallina. Questa cosa mi dispiace assaissimo. Come mai si è indotto a far testamento? Egli non ne voleva sentir parlare.
Florindo. A forza di lusinghe e di studiate finzioni, lo ha tirato a un tal passo. Questa è l’ultima mia rovina.
Corallina. Finalmente non potrà privarvi di tutto.
Florindo. Se non di tutto, potrà privarmi di molto. I nostri beni sono tutti liberi, la maggior parte da mio padre acquistati. Sa il cielo che cosa gli faranno fare. Fra la moglie e il figliastro mi spogliano, mi rovinano.
Corallina. Conviene ritrovarci qualche rimedio. Arlecchino l’ha ritrovato il notaio?
Florindo. Lo ricercava, ed ha lasciato l’ordine al di lui studio.
Corallina. Chi è egli? Come chiamasi?
Florindo. Un certo Agapito, detto per soprannome degli etcetera.
Corallina. So benissimo. È il notaio di casa. Lasciate fare a me. Procurerò di vederlo. Lo conosco da molti anni; può essere che mi riesca di guadagnarlo.
Florindo. Eh Corallina mia, senza danaro non si fa niente.
Corallina. Belle promesse, e uno zecchino a conto, può fare sperar qualche cosa.
Florindo. Circa alle promesse si può abbondare, anche con animo di mantenerle: ma la difficoltà maggiore consiste nello zecchino.
Corallina. Voi non l’avete?
Florindo. Oh Dio! Non ho un soldo.
Corallina. Io nemmeno.
Florindo. Dunque lo sperarlo è vano.
Corallina. Presto; in virtù della mia polvere, comparisca uno zecchino. Eccolo. (fa vedere a Florindo lo zecchino)
Florindo. Dove l’avete avuto? (con allegria)
Corallina. Non sapete ch’io faccio venir li zecchini di sotterra?
Florindo. Ditelo, cara Corallina, dove l’avete avuto? L’ha mandato forse mio padre?
Corallina. Sì, vostro padre! Le mie povere mani. Le mie calze vendute.
Florindo. Ah Corallina mia, il cielo vi benedica.
Corallina. Con questo zecchino a conto, può essere che facciamo qualche cosa di buono.
Florindo. E non vi comprerete un pane?
Corallina. Presto, in virtù della mia polvere... (mette la mano in tasca)
Florindo. Un altro zecchino?
Corallina. No, quattro paoli. Con questi oggi si mangerà.
Florindo. Ma che provvidenza è mai questa?
Corallina. Andate subito a ritrovar ser Agapito. Procurate condurlo a casa nostra, senza ch’egli sappia il perchè; indi lasciate operare a me.
Florindo. Vado subito... Ma qual felice nuova dovevate voi darmi?
Corallina. Ne parleremo. Or non c’è tempo.
Florindo. Datemene un picciol cenno.
Corallina. Vi voglio ammogliare.
Florindo. Oh Dio? Con chi?
Corallina. Con una che vi piacerà.
Florindo. Così miserabile?
Corallina. Non importa: lasciate fare a me.
Florindo. Corallina...
Corallina. Andate, prima che il notaio si porti da vostro padre.
Florindo. Ah, se avessi da maritarmi... Se fossi in istato...
Corallina. Chi prendereste?
Florindo. Non voglio dirvelo.
Corallina. Via, non perdiamo tempo.
Florindo. (Se non fossi sì misero, vorrei sposar Corallina). (da sè)
Corallina. Presto, camminate.
Florindo. (La sua bontà lo merita: la mia gratitudine lo vorrebbe). (da sè, parte)
SCENA II.
Corallina sola.
Io credo benissimo ch’egli sia innamorato un poco della signora Rosaura; lo vedo spesso alla finestra, ma il povero giovine si avvilisce, e non ha coraggio nemmeno di parlare. L’amore è una gran passione; ma la fame la supera.
SCENA III.
Pantalone e detta.
Pantalone. Oh! quella zovene, giusto vu ve cercava.
Corallina. Mi comandi, signor Pantalone.
Pantalone. No seu vu, che ha vendù un per de calze a mia fia?
Corallina. Sì, signore. Le ha forse pagate troppo?
Pantalone. No digo che la le abbia pagae ne troppo, ne poco. No son omo che varda a ste minuzie, e lasso che in ste cosse mia fia se sodisfa. Ve digo ben, che in casa mia me fare servizio a no ghe vegnir.
Corallina. Perchè, signor Pantalone? Ho commesso qualche mala creanza?
Pantalone. No ve n’abbiè per mal. In casa mia no gh’ho gusto che ghe vegnì.
Corallina. Benissimo: sarà servito. Ella è padrone di casa sua. Può ricever chi vuole; può cacciar via chi comanda: è un signore tutto prudenza, non è capace di operar senza fondamento, non è capace di lasciarsi acciecare dalla passione; avrà i suoi giusti motivi, le sue giuste ragioni. Non mi vuole in casa sua? Pazienza; non ne son degna, e non ci verrò mai più. Non lo disgusterei per tutto l’oro del mondo. Il signor Pantalone de Bisognosi, che con tanto amore, con tanta carità, s’è interessato a favore del mio padrone, disgustarlo? Il cielo me ne guardi! No, signor Pantalone, non dubiti, l’assicuro: in casa sua non ci verrò mai più.
Pantalone. Piuttosto, se ve bisogna qualcossa, comandeme, mandeme a chiamar, vegnì al negozio: vegnì dove che pratico, che ve servirò volentiera.
Corallina. Giacche ella ha tanta bontà per me, vorrei supplicarla di una grazia.
Pantalone. Disè pur. In quel che posso, ve servirò.
Corallina. Perdoni, se troppo ardisco...
Pantalone. Parie, cara fia; disè cossa che volè.
Corallina. Vorrei che per finezza, per grazia, mi dicesse il motivo, perchè non vuole ch’io venga nella sua casa.
Pantalone. Ve lo dirò liberamente. Ho avudo tanto poco gusto, tanta mala fortuna per aver parlà a favor de sior Florindo, che no voggio più intrigarmene nè poco, nè assae; e no vôi aver da far co nissun, che dependa da quella casa.
Corallina. Benissimo; son persuasa; lodo la sua condotta, e non ho motivo di lamentarmi. Dubitava quasi ch’ella avesse mal concetto di me.
Pantalone. Oh no, fia1.
Corallina. Ella saprà benissimo, ch’io sono una donna onorata.
Pantalone. No digo al contrario...
Corallina. Che in casa del signor Ottavio, dove sono nata, cresciuta, maritata e rimasta vedova, non ho mai dato motivo di mormorare de’ fatti miei.
Pantalone. Xe verissimo...
Corallina. E se sono venuta a stare col signor Florindo, l’ho fatto per amicizia, per compassione, per carità.
Pantalone. Qua mo, qua mo tutti no crede che la sia cussì.
Corallina. E che credono? Ch’io sia una sfacciata, una donna scorretta, una poco di buono? So che il signor Pantalone non lo crede, so che un uomo onesto, un galantuomo, non è capace di pensar male degli altri. Ma giuro al cielo, se vi fosse persona che ardisse macchiar in un picciol neo la mia reputazione, benchè sia donna, avrei coraggio di saltargli alla vita, graffiargli il viso, strappargli la lingua, cavargli il cuore2.
Pantalone. (Aseo!3) Fia mia, per mi digo che se una donna onorarissima, e non ho mai dito gnente dei fatti vostri.
Corallina. Ma in casa sua non mi vuole.
Pantalone. No v’oggio dito el perchè?
Corallina. Mi fa questo smacco di non volermi.
Pantalone. V’avè pur persuasa anca vu.
Corallina. Giuoco io, che questo non volermi in casa, deriva dal credermi una donna cattiva. Signor Pantalone... (irata)
Pantalone. Mo se ve digo de no. Mo se v’ho dito el perchè. (Custia xe una bestia, la fa la gatta morta, e po’ tutto in t’una volta la dà fogo al4 pezzo). (da sè)
Corallina. Come c’entro io, come ce’entra il signor Florindo, se dal signor Ottavio e dalla signora Beatrice ha ricevuti degli sgarbi e dei dispiaceri?
Pantalone. No vôi dar motivo a siora Beatrice de perderme un’altra volta el respetto, e obbligarme a far de quelle ressoluzion, che son capace de far.
Corallina. Anzi, mi perdoni, signor Pantalone, ella è un uomo di virtù, di prudenza; ma questa volta s’inganna. Una vendetta onesta è lodabile qualche volta. Per rifarsi delle impertinenze della signora Beatrice, dovrebbe anzi assistere e favorire il povero signor Florindo. In questa maniera farebbe un’opera di pietà; e quest’opera di pietà tornerebbe in profitto dell’innocente, in danno della matrigna, e in gloria del signor Pantalone, il quale sendo uomo di mente e di cuore, avrebbe ritrovata la maniera di vendicarsi da uomo grande, da uomo celebre, da par suo.
Pantalone. Vu disè ben, e me piase la massima, e gh’aveva pensà anca mi. Ma cossa possio far per sto putto? Mi no son so parente, mi no gh’ho titolo de agir per elo. Lu el gh’ha poco spirito, quella donna xe un diavolo; no ghe trovo remedio.
Corallina. Eh! ve lo troverei ben io il rimedio, s’io fossi ne’ piedi del signor Pantalone.
Pantalone. Via mo, come?
Corallina. È un dar acqua al mare, voler dar consigli ad un uomo della sua qualità.
Pantalone. Parlè, che me fè servizio.
Corallina. Per obbedirla, dirò: vuol ella acquistare un titolo sopra il signor Florindo, e potere a faccia scoperta operar per lui, e far che stieno a dovere il padre, la matrigna, il fratellastro, e tutti li suoi nemici?
Pantalone. Via mo, come?
Corallina. Lo prenda in casa, gli dia per moglie la signora Rosaura...
Pantalone. Mo adasio, adasio. No la xe miga una bagattella...
Corallina. Sa ella che il signor Florindo è figlio unico?5 Che ha suo padre quattro o cinque mila scudi d’entrata? Che se non casca il mondo, hanno ad essere tutti suoi?
Pantalone. Xe vero; ma...
Corallina. Non vede che il signor Ottavio è vecchio, indisposto, imperfetto; che poco può vivere, e che presto il figlio sarà padrone?
Pantalone. Ma intanto...
Corallina. E poi quel temperamento adorabile del signor Florindo non è una gioja, non è un tesoro? non è adorabile?
Pantalone. Tutto va ben. Ma mia fia anca ela xe unica, anca ela gh’ha el so bisogno, e no voggio maridarla co sti pastizzi.
Corallina. Favorisca. Già facciamo così per discorrere, per passare il tempo. Se il signor Florindo fosse in casa, fosse erede, fosse come dovrebbe essere, avrebbe difficoltà di dargli la sua figliuola?
Pantalone. Mi no. La casa xe bona, el putto me piase.
Corallina. Orsù; vede vossignoria questa donnetta? Quanto vale, che non passa domani che il signor Florindo è in casa, è padrone, e la signora Beatrice colle trombe nel sacco batte la ritirata?
Pantalone. Magari! Gh’averave gusto da galantomo.
Corallina. Allora gliela darebbe la signora Rosaura?
Pantalone. Ve digo de sì.
Corallina. Chi sa poi allora, se il signor Florindo fosse di tal opinione. Per questo voleva io che il signor Pantalone avesse merito nel suo accomodamento, acciò ad occhi chiusi il mio padrone prendesse per moglie la signora Rosaura.
Pantalone. Mo perchè gh’aveu sta premura? Che interesse gh’aveu per mi, e per Rosaura mia fia?
Corallina. Confesso il vero: mi levo la maschera. Tutto faccio per il mio padrone. Conosco la signora Rosaura, so ch’è una buona figlia, so che per lui sarebbe un partito d’oro. Ho paura, se entra in grandezza, che gli amici, che i parenti lo tirino a qualche matrimonio avvantaggioso in apparenza, e pregiudiciale in sostanza. Che gli tocchi qualche vanerella, qualche civettuola di quelle del tempo d’oggidì; essendovi troppo gran carestia di fanciulle savie, morigerate, come la vostra, che il cielo ve la benedica. E per questo la vorrei assicurare per il signor Florindo, e gliene ho parlato, e sarebbe contento; ed ella forse forse non direbbe di no, e sarebbe un matrimonio che farebbe crepar d’invidia mezza città, e mezza giubilerebbe dal contento. Ma V. S. ha i suoi riguardi, non vuole, non le pare. Non so che dire. Se il signor Florindo torna in casa, sarà attorniato, sarà sedotto, non mi ascolterà forse più. Me ne dispiace, ma non c’è rimedio.
Pantalone. Cara Corallina, no buttè le cosse in desperazion. Lassè che ghe pensa suso. Sti negozi no i se fa co sto precipizio. Me piase l’idea, la lodo, ghe trovo delle difficoltà, ma ghe trovo del bon. Deme tempo, e poi esser che me ressolva.
Corallina. E se succede qualche novità?
Pantalone. Avviseme.
Corallina. In casa sua non ci devo venire.
Pantalone. No, no: vegnì pur in casa mia, che ve dago licenza. Vedo che se una donna de garbo, e che de vu me posso fidar.
Corallina. Basta; non vorrei...
Pantalone. E pò, co cerchè de maridar sior Florindo, xe segno che con lu non gh’è gnente.
Corallina. E cerco di maritarmi ancor io.
Pantalone. No faressi mal: sè zovene.
Corallina. Non vi è altro, che non ho dote.
Pantalone. Vu se pur stada maridada un’altra volta. Cossa aveu fatto della vostra dota?
Corallina. La dote ch’io aveva allora, è andata.
Pantalone. Col vostro spirito no ve mancherà un bon partìo.
Corallina. Eh signor Pantalone, ci vuol altro che spirito!
Pantalone. Se una bona donna, el cielo ve provederà.
Corallina. Sentite: io vi parlo schietto. Faccio tanto per il signor Florindo: spero che anch’egli qualche cosa farà per me. Se va bene per lui, per me pure mi lusingo che non anderà male; e se sarà padrone del suo, son certa che un po’ di dote me la darà. Conosco il suo buon cuore, so ch’è un figliuolo grato ed onesto; ma quando ancora mi dovessi ingannare, e meco dovesse essere ingrato, non mi pentirò mai di quello che per lui ho fatto, essendo certa e sicura, che il bene è sempre bene; e che tutto il bene, che da noi si fa, viene ricompensato dal cielo; signor sì, dal cielo, che conosce il cuore delle persone, e premia e rimunera le buone opere e le buone intenzioni. Signor Pantalone, la riverisco divotamente. (parte)
SCENA IV.
Pantalone, poi Lelio.
Pantalone. Mo che donna de proposito! Ho ben gusto d’averla cognossua. Vardè quando che i dise delle mormorazion. Tutti crede che la staga co sior Florindo, perchè i sia innamorai. Oh, semo pur la gran zente cattiva a sto mondo! Sto fatto de sta donna me mette la testa a partìo, e me farà da qua avanti pensar ben, ma ben, avanti de formar giudizio6 delle persone. Sto negozio de sto matrimonio no me despiaserìa; se se podesse combinar... se fusse vero che el tornasse in casa...
Lelio. Signor Pantalone de’ Bisognosi, la riverisco profondamente.
Pantalone. Servitor umilissimo. (vuol partire)
Lelio. La supplico, ho da parlarle.
Pantalone. Cossa vorla, patron?
Lelio. La mia signora madre la riverisce.
Pantalone. Obbligatissimo a le so grazie. (vuol partire)
Lelio. Signore, le ho da parlare di una cosa che preme.
Pantalone. Gh’ho un pochetto da far. No posso trattegnirme.
Lelio. In due parole la sbrigo.
Pantalone. Via mo? la diga.
Lelio. La mia signora madre vuole ch’io mi mariti.
Pantalone. Me ne rallegro infinitamente.
Lelio. E per questo mi ha mandato da V. S.
Pantalone. Cossa songio mi, sanser da matrimoni?
Lelio. No signore, non mi manda dal sensale. Mi manda dal mercante a drittura.
Pantalone. Se la vuol qualcossa dal mio negozio, la vaga dai zoveni, che mi no me ne impazzo.
Lelio. Dunque mi dà libertà, ch’io vada a trattar colla giovine?
Pantalone. Co la zovene? Ho dito coi zoveni.
Lelio. Ha figliuoli maschi V. S.?
Pantalone. Patron no, no gh’ho altro che una fia femena.
Lelio. E dice che io me la intenda con lei?
Pantalone. Ma che mercanzia cerchela, patron?
Lelio. La mia signora madre vuole ch’io mi mariti.
Pantalone. E la lo manda da mi per comprar i abiti?
Lelio. No signore, non mi manda per gli abiti, mi manda per la sposa.
Pantalone. E chi èla la sposa?
Lelio. Non avete una figlia?
Pantalone. Patron sì.
«Intendami chi può, che m’intend’io.
Pantalone. (O che pezzo de matto!) (da sè) Ho capìo tutto, me comandela altro?
Lelio. Non altro.
Pantalone. Servitor umilissimo.
Lelio. Ci siamo intesi.
Pantalone. Senz’altro.
Lelio. È fatta?
Pantalone. E dita.
Lelio. Vuol venir dalla signora madre?
Pantalone. No posso in verità. Gh’ho un pochetto da far.
Lelio. Che cosa vuol ch’io le dica?
Pantalone. La ghe diga quel che la vol.
Lelio. Posso andare?
Pantalone. Per mi, la mando.
Lelio. Servitor umilissimo.
Pantalone. Patron mio riveritissimo. (Oh che allocco! Oh che allocco! O che babbuin!) (da sè, parte)
SCENA V.
Lelio, poi Arlecchino.
Lelio. Oh me felice! Con quanta facilità il signor Pantalone mi ha accordata la sua figliuola! Con meno parole non si poteva fare un trattato di matrimonio.
Arlecchino. Dove diavol ve sì ficcado? La patrona ve cerca.
Lelio. Arlecchino, ti ho da dare una buona nuova.
Arlecchino. Via mo.
Lelio. Io son fatto lo sposo.
Arlecchino. Disì da bon?
Lelio. Non vedo l’ora che lo sappia la signora madre.
Arlecchino. E chi èla la sposa?
Lelio. Indovinala. Se l’indovini, ti do due soldi.
Arlecchino. Èla fursi...
Lelio. Signor no.
Arlecchino. La sarà...
Lelio. Nè meno.
Arlecchino. Mo lasseme dir. Anca sì che l’è...
Lelio. Non la puoi indovinare.
Arlecchino. Ma donca disila vu.
Lelio. E la figlia del sior Pantalone.
Arlecchino. Mo se tra sior Pantalon e la siora Beatrice gh’è sta dei radeghi.
Lelio. La signora madre mi ha dato licenza.
Arlecchino. E cossà dis el sior Pantalon?
Lelio. E contentissimo. Qui adesso, in questo momento, gli ho domandata la figlia, ed egli mi ha risposto: è fatta e detta.
Arlecchino. Bon: evviva, me ne consolo. Vederemo una bella razza.
Lelio. Orsù, andiamo dalla signora madre.
Arlecchino. Ande pur da per vu, che mi bisogna che torna dal nodaro.
Lelio. Oh sì, dal notaio, che farà la scrittura del mio contratto.
Arlecchino. Avì parlà colla sposa?
Lelio. Non ancora.
Arlecchino. Tutto sta a quel primo incontro. Portarse ben la prima volta, e entrarghe in grazia a drittura.
Lelio. Che cosa pensi tu ch’io potessi dirle la prima volta, quando le parlo?
Arlecchino. Dir per esempio: È tanto tempo che sospirando per i crini della vostra bellezza...
Lelio. Oibò, oibò, se i suoi capelli non li ho veduti.
Arlecchino. Ben, podì dir: che sospirando per le pupille delle vostre luci...
Lelio. Non ho veduti nè meno i suoi occhi.
Arlecchino. Mo cossa avi visto? El so mustazzo?
Lelio. Sì, ma dal zendale coperto.
Arlecchino. Ho capido. Podì donca dir così: E tanto tempo, che innamorato del vostro zendale...
Lelio. Animalaccio! Il zendale non innamora.
Arlecchino. Bestiaccia! se non avì visto altro.
Lelio. Ho veduto e non ho veduto...
Arlecchino. Donca disì cussì: Essendo innamorato della vostra immaginaria bellezza...
Lelio. Non voglio metter la cosa in dubbio.
Arlecchino. Ma se no savì gnente de siguro.
Lelio. Come non so niente di sicuro? Il signor Pantalone mi ha assicurato ch’è fatta e detta.
Arlecchino. Donca scomenzè cussì. Bellissima fatta e detta...
Lelio. Sei un asino.
Arlecchino. Sì un ignorante.
Lelio. A me non mancano termini equivalenti al merito della bellezza; e le dirò all’improvviso, che Amore ed Imeneo sono quei due fratelli, che prendendo la di lei bellezza per loro sorella, hanno stimolato il mio cuore ad inquartarsi nel parentado. Vado a dirlo alla signora madre. (parte)
SCENA VI.
Arlecchino, poi Brighella.
Arlecchino. Oh che sacco de spropositi! Più che gh’insegno e manco l’impara.
Brighella. Paesan, te saludo.
Arlecchino. Brighella, me ne consolo.
Brighella. De cossa?
Arlecchino. Semo da nozze.
Brighella. Nozze! de chi?
Arlecchino. De la to patrona col fiol del me patron.
Brighella. Ho gusto da galantomo. Vale avanti? Se faral sto matrimonio?
Arlecchino. El zovene dis che el la vol; sior Pantalon gn’ha dà parola; no ghe manca alter che una cossa da niente.
Brighella. Che vol dir?
Arlecchino. Che se contenta la putta.
Brighella. E ti ghe disi una cossa da niente? Ma senti, paesan, el negozi se farà, perchè so che la putta ghe vol ben.
Arlecchino. Com’ala mai fatt a innamorarse de quel mamalucco?
Brighella. Mi cred che el sia un maneggio de Corallina.
Arlecchino. Cossa gh’intrela Corallina?
Brighella. Non ti sa, che Corallina l’è quella che fa tutt per el sior Florindo? L’è venuda in casa de la me padrona col pretesto de vender un par de calze, e credo che l’abbia parlà de sto negozi tra el sior Florindo e la siora Rosaura.
Arlecchino. Tra el sior Florindo e la siora Rosaura? Ponto e virgola.
Brighella. Come? Gh’è qualcos’altro?
Arlecchino. Mi digh che ste nozze le s’ha da far col sior Lelio, e no col sior Florindo.
Brighella. Mo ti non ha dito col fiol del to patron?
Arlecchino. Ben: sior Leli non èl so fiol?
Brighella. L’è fiastro, e no l’è fiol.
Arlecchino. El patron lo chiama per fiol. L’è fiol de so muier. El sarà l’erede, l’è lu el patron, tutti lo chiama el fiol del sior Ottavi, e anca mi ghe digh so fiol.
Brighella. E con questo se sposerà la mia padrona?
Arlecchino. Sigura. Sior Pantalon gh’ha dà la parola.
Brighella. (Me par impossibile!) (da sè) Mi credeva che ti parlassi de sior Florindo; adesso ho capido. Ho gusto de saver; ghe l’avviserò a Corallina e a sior Florindo.
Arlecchino. No, no, paesan. Me pareva... Ma no sarà vero.
Brighella. Eh furbo, te cognosso; ti vorressi voltarla, ma no gh’è più tempo.
Arlecchino. No, caro paesan, lassa che i se destriga tra de lori: no se n’impazzemo. Fame sto servizio.
Brighella. Mo sat che, se no ghel disesse, me vegniria tant de gosso.
Arlecchino. Perchè?
Brighella. Perchè a chi se trattien de parlar, ghe vien el gosso. (parte)
Arlecchino. Mo no vorav miga, che me vegniss el gosso anca a mi. Vago subito a dirlo al me patron, o alla me patrona, che se manizza st’alter negozi... Ma bisogna che vaga dal nodar... No, l’è mei prima che vaga a cà... Ma se no vag dal nodar, i me bastona. Coss’è mei, el goss o le bastonade? L’è mei el gosso; finalmente l’è una bellezza, e se tornerò al me paese col gosso, poderò vantarme de essere un bergamasco da Bergamo. (parte)
SCENA VII.
Camera in casa di Ottavio.
Ottavio e Beatrice.
Ottavio. Mandate a dire al notaio, che verrà un altro giorno; oggi non ho volontà di discorrere.
Beatrice. Caro signor Ottavio, da qualche giorno in qua siete un poco tristarello. Vi sentite male?
Ottavio. Eppure l’appetito mi serve.
Beatrice. Questo vostro appetito soverchio non mi piace. Dice il medico che quasi tutti li vecchi, quando s’avvicinano alla morte, mangiano più del solito.
Ottavio. Ma! voi mi vorreste veder morire. Siete annoiata di me, signora Beatrice? Pazienza.
Beatrice. Oh caro marito mio, che cosa dite? Desidero la vostra salute più della mia. Prego il cielo che viviate più di me.
Ottavio. Vi posso credere?
Beatrice. Mi fate torto, se ne dubitate.
Ottavio. Datemi la mano.
Beatrice. Eccola.
Ottavio. Cara!
Beatrice. Poverino!
Ottavio. Quando morirò, mi dispiacerà pur tanto di lasciarvi.
Beatrice. Via, non pensiamo a malinconie.
Ottavio. Se moro io, ne prenderete altri?
Beatrice. Oh, non c’è pericolo.
Ottavio. Oh, ne men io; se morite voi, non ne prendo altre.
Beatrice. Io ho da pregar il cielo che viviate, per molte ragioni.
Ottavio. E quali sono, giojetta mia?
Beatrice. La prima, perchè vi voglio bene.
Ottavio. In questo poi siete corrisposta. Son tutto vostro; non ci è pericolo che vi faccia torto.
Beatrice. Secondariamente, perchè mi trattate sì bene, che sarei un’ingrata, se non lo conoscessi.
Ottavio. Ah? vi tratto bene in tutto?
Beatrice. Sì, caro signor Ottavio, in tutto. E per ultimo, se voi moriste, che cosa sarebbe di me, poverina?
Ottavio. Ma! non ne trovereste un altro come me.
Beatrice. Ho un figlio grande, e senza impiego; siamo avvezzi a vivere con tante comodità. Morto voi, m’aspetto che Florindo ci cacci villanamente fuori di casa, ci prenda tutto, e in premio d’avervi servito, d’avervi amato, d’avervi fatto vivere tanti anni di più, vedermi strapazzata, vilipesa, scacciata, e in istato forse di dover mendicare il pane.
Ottavio. Non vi ho assegnato seimila scudi di dote?
Beatrice. Sì, mi avete fatto quella carta, ma non è autenticata.
Ottavio. Mi hanno detto che è valida; ma ciò non ostante, per compiacervi, la farò autenticare. Ricordatemelo domani. La tengo apposta nel mio scrittoio.
Beatrice. E poi a che servono seimila scudi? Se io restassi vedova con quel figliuolo, come viveremmo con un capitale di seimila scudi? Eh signor Ottavio, prevedo le mie disgrazie, prevedo di dover piangere per troppa mia dabbenaggine. (piange)
Ottavio. Via, cara, non piangete; ci penso, vi provvederò.
Beatrice. Eh sì: lo dite, ma non lo fate. Il tempo passa, ogni giorno passa un giorno, e se aspettate l’ultima malattia, avrete altro in capo che pensare alla povera moglie, al povero Lelio, che non ha altro padre che voi.
Ottavio. Non dubitate. Uno di questi giorni farò testamento. Ho pensato a tutto. Vi voglio bene.
Beatrice. Ma, caro signor Ottavio, il testamento non accederà già la morte. Farlo oggi, farlo domani, farlo da qui a un anno, da qui a due, per chi lo fa è lo stesso. Anzi, quando un uomo ha fatto testamento, si pone in calma, non ci pensa più, si è sgravato d’un peso, e gode tranquillamente i suoi giorni, e vive probabilmente di più.
Ottavio. Sapete che non dite male? In fatti tante volte mi sveglio la notte, e penso a questa cosa. Sovente a tavola ancora ci penso. Fatto ch’io l’abbia, non ci penserò più.
Beatrice. Voi mi benedirete, signor Ottavio, quando lo avrete fatto. Vi contentate che venga questa sera il notaio?
Ottavio. Fate quel che vi piace.
Beatrice. Domani vi parrà d’esser rinato.
Ottavio. Mi fa un poco di ribrezzo questo far testamento, ma procurerò superarlo.
Beatrice. Sarebbe bella, che chiamando il medico per far purga, fosse un motivo per ammalarsi! Così del testamento; si fa per precauzione, e non per necessità.
Ottavio. Voi parlate da quella donna che siete. Oh, se mi foste capitata vent’anni addietro! Cara la mia Beatrice, se m’aveste veduto da giovine!
Beatrice. Non sareste stato tutto mio.
Ottavio. Oh, oh! Vent’anni sono, trent’anni sono... Basta, ora potete viver sicura; non vi è pericolo.
Beatrice. M’immagino che avrete preparata la vostra disposizione.
Ottavio. Sì; appresso a poco l’ho divisato il mio testamento.
Beatrice. Ricordatevi che avete un figlio legittimo e naturale, il quale, benchè per sua disgrazia sia scellerato, pure è vostro sangue, e non lo dovete privare dell’eredità.
Ottavio. Brava! siete una donna savia e prudente: ammiro la vostra bontà. Benchè colui v’abbia offesa, non gli volete male.
Beatrice. Anzi vi prego fargli del bene. Io vi consiglierei lasciargli almeno almeno trecento scudi l’anno.
Ottavio. Quanti ne abbiamo ora d’entrata? Una volta erano quattromila.
Beatrice. Oh, adesso le cose vanno malissimo. Dopo che avete tralasciato di negoziare, ogn’anno si sono intaccati i capitali. Levando ogn’anno trecento scudi netti, non vi restano ricchezze nel patrimonio.
Ottavio. Basta; lascierò a voi tutte le mie facoltà col titolo di erede universale, con l’obbligo di dare a Florindo trecento scudi l’anno, e il testamento sarà presto fatto.
Beatrice. Con facoltà ch’io possa col mio testamento beneficar chi voglio.
Ottavio. Ci s’intende.
Beatrice. Questa sera lo fate, e domani non ci pensate più.
Ottavio. Non vedo l’ora d’averlo fatto.
SCENA VIII.
Arlecchino e detti.
Arlecchino. Signori... (forte)
Beatrice. Zitto con quella voce, che fai stordire il signor Ottavio. (Hai trovato il notaio?) (piano)
Arlecchino. (El vegnirà stassera). (piano) Siori, gh’è una novità.
Beatrice. Che c’è?
Arlecchino. Se tratta matrimonio tra la fiola de sior Pantalon...
Beatrice. E Lelio mio figlio. Lo sappiamo.
Arlecchino. Siora no. Co sior Florindo.
Beatrice. Eh via, pazzo.
Arlecchino. Me l’ha dit Brighella, e chi trattà sto matrimonio, l’è Corallina.
Beatrice. Ah indegna!
Ottavio. Non andate in collera. (a Beatrice) Ma come può essere? (ad Arlecchino)
Arlecchino. L’è cussì de siguro. Brighella me l’ha confidà.
Beatrice. (Ah, questa è una cosa che sconcerta tutti i miei disegni. Se ciò succede, Pantalone farà valere le ragioni del genero). (da sè)
Ottavio. Quietatevi, per carità. Sia maledetto quanto sei qui venuto! (ad Arlecchino)
Arlecchino. Mi ho fatt per ben.
Ottavio. Va via di qua; non sarà vero.
Arlecchino. Se no l’è vero, prego el ciel che possi7 crepar.
Ottavio. Maledetto! (gli dà una bastonada)
Arlecchino. Tolì, l’era mei che me lassasse venir el gosso. (parte)
SCENA IX.
Ottavio e Beatrice.
Beatrice. Perfida Corallina! me la pagherai.
Ottavio. Cuor mio, non andate in collera.
Beatrice. Sentite la vostra cara Corallina? la vostra serva fedele?
Ottavio. Via, siate buonina.
Beatrice. Le farò fare uno sfregio.
Ottavio. Sì, cara, sì, quietatevi.
Beatrice. Lasciatemi stare, non mi seccate.
Ottavio. Via, che farò testamento.
Beatrice. Quando?
Ottavio. Questa sera.
Beatrice. Ah! tutti mi vogliono male.
Ottavio. Ma io vi voglio bene.
Beatrice. Lo vedremo.
Ottavio. Vi lascierò erede di tutto.
Beatrice. Me lo sarò guadagnato questo poco di bene.
Ottavio. Ma non intendo già di morire per ora.
Beatrice. Corallina indegna!
Ottavio. Siamo da capo.
Beatrice. Voglio farla pentire de’ suoi maneggi; e se non giovano le minacce, metterò in opra i fatti. (parte)
SCENA X.
Ottavio solo.
Beatrice cara, sentite. Uh povero me! sempre in collera, sempre grida. Dopo ch’io l’ho, non è stata un giorno senza gridare; ed io non parlo mai. Le voglio bene, mi piace, in questa età m’è d’un gran comodo, e non so disgustarla. Questa sera mi converrà far testamento. Non ne ho veramente gran volontà, ma per contentarla, lo farò. Oh, quando siamo vecchi, bisogna pur soffrir le gran cose! Se siam poveri: quando crepa? Se siam ricchi: quando fa testamento? Ah misera umanità! Sarebbe ora ch’io pensassi a morire! Eh, un altro poco. (parte)
SCENA XI.
Camera in casa di Florindo.
Corallina e poi Brighella.
Corallina. A buon conto il notaio è dalla mia. Conosce l’ingiustizia che si vuol fare a questo giovine, e mi darà campo di rimediarvi. Non ha nemmeno voluto lo zecchino. È galantuomo, è disinteressato. Ma se a negozio finito gliene darò dieci, li prenderà.
Brighella. O de casa. (di dentro)
Corallina. Oh! Messer Brighella! Venite avanti.
Brighella. El vostro padron gh’èlo?
Corallina. No, non c’è. Che volete da lui?
Brighella. Da lu gnente. Anzi ho gusto che nol ghe sia. La mia padrona la vorria far un contrabando.
Corallina. In che genere?
Brighella. La vorria vegnir qua da vu segretamente, per dirve una cossa che ghe preme.
Corallina. Se vuol venire, è padrona. Ma se comanda, verrò da lei.
Brighella. No, la gh’ha gusto de venir da vu per parlar con più libertà. Ma no la vorria che ghe fusse sior Florindo.
Corallina. Non c’è, e non verrà per adesso.
Brighella. Vago donca a dirglielo.
Corallina. Il signor Pantalone è in casa?
Brighella. El dorme, e per un per de ore nol se desmissia8.
Corallina. A quest’ora calda può venire senza che nessuno la veda.
Brighella. E pò, serrada in tel zendà9, nissun la cognosse. Avi savudo la nova?
Corallina. Di che?
Brighella. Sior Lelio ha domanda la putta al patron.
Corallina. Oh diavolo! Ed egli che cosa gli ha detto?
Brighella. I dise ch’el gh’abbia dito de sì.
Corallina. Possibile?
Brighella. Vado a darghe sta risposta a siora Rosaura, e pò parleremo.
Corallina. Io resto attonita!
Brighella. Gh’ho po un altro discorsetto da farve.
Corallina. In materia di che?
Brighella. Tra vu e mi, a quattr’occhi.
Corallina. In che proposito?
Brighella. Basta... So che tra vu e sior Florindo no ghe xe gnente de mal...
Corallina. Eh, sì sì, caro. Quando il sasso è tratto, non si ritira indietro.
Brighella. La giusteremo. Schiavo, schiavo, la giusteremo. (parte)
SCENA XII.
Corallina, poi Florindo.
Corallina. In fatti, se dovessi rimaritarmi, Brighella sarebbe per me un buon partito. È uomo di garbo, ha qualche cosa del suo... Ma chi sa come anderanno le cose del signor Florindo? Spero bene, ma possono anche andar male. Questa novità sconcerta, e bisogna sollecitare il rimedio.
Florindo. E bene, Corallina?
Corallina. Oh siete qui? Avete veduto Brighella?
Florindo. Io no. Vengo ora da dormire.
Corallina. Ed io credeva che foste fuori di casa. Presto, presto, prendete la spada ed il cappello, e andate a fare una passeggiata.
Florindo. Perchè?
Corallina. Vi dirò. La signora Rosaura vuol venire da me, e non ha piacere che ci siate voi.
Florindo. Che vorrà mai la signora Rosaura?
Corallina. Non v’ho detto ch’ella vi vuol bene? Che spero di concludere questo buon negozio per voi?
Florindo. Se non s’aggiustano le cose mie, è superfluo trattarne.
Corallina. Non dubitate, anderà tutto bene.
Florindo. E se s’aggiustano, Corallina mia, ho qualche altra idea per il capo.
Corallina. Come, signor Florindo, avete voi qualche altro amoretto?
Florindo. D’amoretti non mi diletto, ma sono un uomo onesto, un galantuomo; povero sì, ma grato.
Corallina. Tutte queste cose vi fanno meritevole di un buon partito, e quello della signora Rosaura non è fortuna da trascurarsi.
Florindo. Per ora sospendete il parlar di ciò.
Corallina. Ma capperi! Ella or ora verrà da me, e ripigliando il discorso della mattina, mi porrà forse in necessità di dirle qualche cosa di positivo.
Florindo. Al vostro spirito non mancheranno pretesti per disimpegnarvi.
Corallina. Ditemi, in grazia. Che cosa vi dispiace nella signora Rosaura? Non è bella?
Florindo. Sì, bellissima.
Corallina. Non è di buon parentado?
Florindo. È vero.
Corallina. Non è ricca?
Florindo. Non dico il contrario.
Corallina. Dunque che difficoltà ci avete?
Florindo. Corallina, per ora non mi obbligate a dirvi di più.
Corallina. Bravo! Bella gratitudine che dimostrate dell’amor che ho per voi! Mi negate, perfido, la confidenza del vostro cuore. Pazienza! Ho fatto tanto, e non ho fatto nulla. Già m’aspetto vedervi amante di una fraschetta, e andar in fumo que’ bei disegni, che ho con tanto studio in vostro pro divisati.
Florindo. Ah Corallina, non sono di ciò capace. Conosco il bene che voi mi fate, non sono ingrato... lo vederete... Non sono ingrato.
Corallina. Dunque, se grato siete, parlatemi con sincerità, e sia una ricompensa all’amor che ho per voi, la confessione dei vostri occulti pensieri.
Florindo. Voi mi obbligate, ed io parlerò. Corallina mia, se vorrà il cielo che mi sia fatta giustizia, se andrò al possesso de’ beni miei, sarà giusto ch’io mi mariti, ma sarà giusto altresì, che premiando il merito dell’amor vostro, scelga voi per mia sposa.
Corallina. Me, signore, per vostra sposa?
Florindo. Sì, voi, che per tanti titoli ne siete degna.
Corallina. Ci avete voi pensato?
Florindo. Anzi quest’è il maggiore de’ miei pensieri. Volea sospendere a dirvelo, sin tanto che il dirlo e il farlo stesse in mia mano; ma poichè mi violentate a spiegarmi, sì, ve lo replico, voi, e non altra sarà mia sposa.
Corallina. Eh! via!
Florindo. Ve lo giuro per quanto di più sacro...
Corallina. Zitto: prima d’impegnarvi col giuramento, pensate meglio a ciò che siete per fare. Lasciate ch’io vi parli da madre, piucchè da serva, e che spogliandomi affatto dell’amor proprio, vi apra gli occhi a meglio conoscere voi medesimo. Vi ho amato, signor Florindo, posso dir dalle fasce, perchè ambi in quelle rivolti, siamo insieme cresciuti. Ebbi compassione di voi, scacciato dal padre, maltrattato dalla matrigna, oppresso dalla fortuna; e abbandonando il mio pane, il mio stato e le mie convenienze, venni ad assistervi, e soffrite ch’io il dica, colle mie sostanze ad alimentarvi. Superai ogni riguardo, dissimulai le mormorazioni, soffersi degl’incomodi, degli stenti, e talora perfino la privazione del pane. Tutto ciò merita qualche cosa, e la vostra gratitudine è impegnata a ricompensarmi. Non facciamo però che la ricompensa in voi oscuri il lume della ragione, e in me distrugga il merito della servitù. Se mi premiaste col matrimonio, comparirebbe troppo interessato l’innocente amor mio, e direbbesi che fu scorretta la nostra amicizia, e che per tirarvi io nella rete, avessi contribuito a distaccarvi dal padre. A me preme l’onor mio sopra tutto, e a voi deve premere il vostro. Figlio unico di casa ricca e civile, vorreste avvilirvi collo sposare una serva? Ah, signor Florindo, non ci pensate nemmeno. Se mi amate, ascoltatemi; se avete stima di me, arrendetevi ai miei consigli; e se volete essermi grato, siatelo per ora col rassegnarvi. Se il cielo vi renderà più felice, sarete in grado di rendermi ben per bene, amor per amore. Una picciola dote, che per me estrar vogliate da’ vostri beni, sarà bastevole ricompensa ai servigi che vi ho prestati; e godendomi, senza rimorsi al cuore, una fortuna che a me convenga, vi sarò sempre amica, vi sarò sempre serva, sarò sempre la vostra amorosissima Corallina.
Florindo. Ah, voi m’intenerite a tal segno...
Corallina. Manca il meglio dell’opera, signor Florindo; quel che ho fatto finora contasi per nulla, se la macchina non ha il suo fine.
Florindo. Possibile che non vogliate?...
Corallina. Ho parlato col notaio. Egli è persuaso a favorirci nei limiti dell’onesto. Sapete che è un uomo piuttosto facile, però aveva delle difficoltà. Siamo rimasti, ch’ei vada questa sera dal signor Ottavio.
Florindo. Ma farà poi testamento?
Corallina. Vi dirò: vuole il notaio parlar con voi. Cercate anche voi di persuaderlo, ed io questa sera... Sento gente; eccola signora Rosaura.
Florindo. Mi rincresce...
Corallina. Nascondetevi.
Florindo. Perchè?
Corallina. Fatemi questo piacere. Nascondetevi.
Florindo. Lo farò per compiacervi.
Corallina. E stateci fino che io vi chiami.
Florindo. Ma, Corallina, pensateci: non ricusate...
Corallina. Se ne parlate più, mi fate montar in bestia.
Florindo. (Che donna savia! Che donna amorosa!) (si ritira in una camera)
SCENA XIII.
Corallina, poi Rosaura in zendale.
Corallina. Povero padrone! Se fossi una di quelle che ambiscono, accetterei il partito. Mi sposerebbe ora per gratitudine, ma poi dopo qualche tempo se ne pentirebbe, e in vece di ringraziarmi di quel che ho fatto per lui, maledirebbe la mia pietà interessata.
Rosaura. Corallina, c’è nessuno?
Corallina. Venga, signora, non c’è nessuno.
Rosaura. Non siete più venuta da me, ed io son venuta da voi.
Corallina. Questo è un onore che io non merito. Se avesse ella comandato, sarei venuta a servirla: s’accomodi.
Rosaura. Ora mio padre dorme. Posso pigliarmi questa poca di libertà. (siede)
Corallina. Siamo tanto vicine...
Rosaura. Ma con tutto questo vo riguardata. Via, sedete anche voi.
Corallina. Che cosa ha da comandarmi, signora Rosaura? (siede)
Rosaura. Avete saputo la bella novità?
Corallina. In che proposito?
Rosaura. Quello scimunito di Lelio ha avuto ardire di presentarsi a mio padre, e chiedermi a lui in isposa.
Corallina. Che cosa gli ha risposto il signor Pantalone?
Rosaura. Potete figurarvelo. Mio padre non mi ama sì poco, ch’io abbia a temere ch’ei mi volesse precipitare.
Corallina. In fatti sarebbe un peccato, che una signorina così gentile e garbata andasse in potere di un uomo senza spirito e senza grazia.
Rosaura. Mi ricordo ancora un giorno, che ei mi tenne dietro per la strada. Faceva ridere tutta la gente, e quando passa sotto le mie finestre, è il divertimento del vicinato.
Corallina. Anch’io qualche volta ho riso alle di lui spalle.
Rosaura. Per altro ha egli fatto quello che il signor Florindo non si sente di fare. Ha parlato egli al mio genitore, cosa che il signor Florindo non ha forse ancora pensato.
Corallina. Oggi ha destinato di farlo.
Rosaura. Basta, Corallina mia, lasciate ch’io vi parli con libertà. Non vorrei che questa cosa fosse promossa da voi per qualche buon genio che abbiate per me, e che il signor Florindo c’inclinasse poco, e lo facesse per complimento. Io lo stimo assaissimo, e accomodate che sieno le cose sue, desidererei che mio padre me lo proponesse: però, s’egli non mi volesse veramente bene, non sono ancora in istato di non potermelo staccar dal cuore, e non vorrei che facessimo la sua e la mia infelicità.
Corallina. Ella parla, signora mia, da donna assennata, non da giovinetta com’è. Gli stessi stessissimi sentimenti li ha il signor Florindo. Dubita anch’egli, che un trattato fatto per via di terze persone, impegni più per convenienza che per affetto. E in verità, in materia di matrimoni, sarebbe sempre ben fatto, che gli sposi prima di concludere si parlassero una volta almeno, e si assicurassero della loro reciproca inclinazione. Così i matrimoni riuscirebbero bene. Altrimenti la distanza inganna; le finestre confondono la verità, e si suol dire per proverbio: non ti conosco, se non ti pratico.
Rosaura. Ma! Come mai potrebbe accadere, che il signor Florindo mi vedesse da vicino e mi parlasse? Io lo credo difficile. In casa mia non verrà, se mio padre non gli dà parola e non la riceve da lui; e data la parola, non c’è più rimedio.
Corallina. Non potrebbe ella venire una mattina, o un giorno, così segretamente da me; e qui col signor Florindo vedersi...?
Rosaura. Oibò, oibò, il cielo me ne guardi. Se ci fosse il signor Fiorindo, non ci verrei per tutto l’oro del mondo. Per questo ho mandato Brighella innanzi, e s’egli c’era, non ci veniva. Anzi sarà bene ch’io parta innanzi ch’egli ritorni... (alzandosi)
Corallina. Eh, si fermi liberamente, per ora non torna.
Rosaura. Dov’è andato?
Corallina. Credo che sia da suo padre.
Rosaura. Si accomodano le cose sue?
Corallina. Questa sera le spero accomodate.
Rosaura. Ma perchè non parla dunque a mio padre?
Corallina. Egli, per quel ch’io credo, vorrebbe prima parlar con lei.
Rosaura. Se sapessi come!
Corallina. Assolutamente non v’è altro rimedio, che venire una mattina da me.
Rosaura. E se si vien a sapere?
Corallina. Non lo saprà nè men l’aria.
Rosaura. Come faremo a saper il quando?
Corallina. Lasci fare a me. Basta che mi dia parola di venir a parlar con lui, quando io l’avviserò.
Rosaura. Se sarà in mio potere, verrò senz’altro.
Corallina. Mi dà parola?
Rosaura. Vi do parola.
Corallina. Quand’è così, l’invito adesso.
Rosaura. A far che?
Corallina. A parlare col signor Florindo.
Rosaura. Dove?
Corallina. Qui, in questa casa.
Rosaura. Non ho tempo per aspettar ch’ei ritorni.
Corallina. È ritornato.
Rosaura. Come?
Corallina. Signora Rosaura, perdoni, non si adiri. Egli è in quella camera.
Rosaura. Questo è un tradimento.
Corallina. Tradimento? L’ho io mandata a chiamare?
Rosaura. Avete detto a Brighella ch’egli non c’era.
Corallina. E allora non c’era.
Rosaura. Ed ora...
Corallina. Ed ora c’è.
Rosaura. Vado via.
Corallina. E la vostra parola?
Rosaura. Che parola?
Corallina. Non avete promesso, che avvisandovi sareste venuta?
Rosaura. Ho detto, potendo.
Corallina. Oh bella! Come non potete venire, se già ci siete?
Rosaura. Corallina, lasciatemi andare.
Corallina. Voi mancherete alla vostra parola.
Rosaura. Me l’avete carpita. Siete una donna astuta.
Corallina. Oh, quand’è così, da me non ci venite più.
Rosaura. Compatitemi, non vi adirate.
Corallina. Vengo, vengo. (fingendo esser chiamata)
Rosaura. Dove, Corallina?
Corallina. Non sente? Sono chiamata.
Rosaura. Da chi?
Corallina. Dal signor Florindo, dal mio padrone.
Rosaura. Mi ha veduta?
Corallina. Se non è cieco.
Rosaura. Che dirà della mia debolezza?
Corallina. Vuol dire perchè se ne va?
Rosaura. No: perchè qui son venuta.
Corallina. Dirà ch’ella fa il giocolino dei bambini.
Rosaura. Che vale a dire?
Corallina. Fa capolino e fugge.
Rosaura. Oimè!
Corallina. Vengo, vengo. (come sopra)
Rosaura. Un’altra volta, se mi avviserete a tempo, verrò.
Corallina. Eh! via, che occorre far meco cotanti fichi? Chi sono io? Una sguaiataccia da non fidarsene? Sono una ciarliera, che vada a dirlo al mercato? Non son io quella, in cui diceste di confidarvi? Il rossore, la timidezza va bene sino ad un certo segno, ma la melensaggine poi non è da una par vostra. Se avete intenzione di parlare col signor Fiorindo, che importa oggi o domani? Non è tutt’uno? Non sono freddure? Certe cose non le posso soffrire. Già che ci siete, stateci. Il signor Florindo è lì, lo meno qui; lo vedete, vi spicciate, e ve n’andate con un poco più di proposito e di convenienza. (va nella camera di Florindo)
Rosaura. Oh Dio! Che faccio? Resto o me ne vado? Corallina mi ha confusa, mi ha stordita.
SCENA XIV.
Corallina, Florindo e Rosaura.
Corallina. Oh via, anche voi fatemi il vergognoso. (a Florindo, spingendolo verso Rosaura)
Florindo. Non vorrei che ella credesse...
Corallina. Che ha da credere? Quando crede che le vogliate bene, ha finito.
Rosaura. Di quelle calze, Corallina, ne avrete delle altre?
Corallina. Oh sì signora, delle calze ne avrò quante volete, ma dei padroni non ho altro che questo.
Florindo. Servo suo, mia signora.
Rosaura. La riverisco divotamente.
Corallina. Eh via, via, mi contento.
Rosaura. Addio, Corallina. (in atto di partire)
Corallina. Andate via? (a Rosaura)
Rosaura. Mio padre dorme.
Florindo. Se dorme, può trattenersi. (a Rosaura)
Rosaura. Sarà svegliato forse.
Corallina. Vi è tempo un’ora. Quando s’alza, io lo vedo dalla finestra.
Florindo. Oggi mi preme di parlare al signor Pantalone.
Rosaura. Ha qualche interesse con lui?
Florindo. Sì signora, ho un picciolo affare.
Rosaura. Affar picciolo?
Florindo. Voglio dire...
Corallina. Così e così.
Florindo. (Quanto è più bella da vicino, che da lontano!) (da sè)
Rosaura. (Sudo da capo a piè). (da sè)
Corallina. M’immagino, signor Florindo, che vi premerà vedere il signor Pantalone, per parlargli della signora Rosaura.
Florindo. Per l’appunto.
Rosaura. Per me, signore? (a Florindo)
Florindo. Ah, se fossi degno...
Rosaura. Mi mortifica.
Corallina. Poverini! Parlate poco, ma i vostri occhi dicono molto.
Florindo. Signora Rosaura, supererò il rossore, e vi dirò ch’io vi amo.
Corallina. Bravo!
Rosaura. Non merito le sue grazie... ma...
Corallina. Via, dite su.
Rosaura. Ma si assicuri che ho della stima...
Corallina. Che volete voi di più? Ella ha della stima per voi. (a Florindo)
Florindo. Troppa bontà, signora mia.
Rosaura. È il suo merito.
Florindo. Se il cielo mi assisterà, farò quei passi che sono convenevoli per ottenervi.
Rosaura. Mi confonde.
Florindo. Sarete voi contenta, se il signor Pantalone mi onorerà del suo assenso?
Rosaura. Perchè no?
Florindo. Potrò assicurarmi della vostra fede?
Rosaura. Sì signore.
Florindo. Datemene una caparra colla vostra mano.10
Corallina. Oh, basta così. Le cirimonie vanno troppo avanti. Premeva sapere, se il vostro genio è d’accordo; ora che ne siete assicurati, s’hanno a far le cose a dovere, e l’ha da sapere il signor Pantalone, prima che vi tocchiate la mano. Sono una donna onesta, e non permetterò che così di nascosto...
Rosaura. Zitto, Corallina, non mi fate arrossir d’avvantaggio. Serva sua. (parte)
Florindo. Dove? (vuol seguitarla)
Corallina. Fermatevi.
Florindo. L’avete disgustata.
Corallina. Carino11! Vi siete svegliato tutto in una volta.
Florindo. Oh cieli! Non sono finalmente di sasso. Sapete quel che io vi ho detto. La mia mano l’ho esibita a voi di cuore; ma se voi la ricusate, se voi mi ponete al cimento, torno a dirvi, non sono di sasso. (parte)
Corallina. Ed io ho piacere che si vadano a genio. Spero che in breve saranno consolati, se il mio disegno non va fallito. Se alcuno mi avesse in tal incontro veduta, mi avrebbe onorato del titolo di mezzana; ma tali si direbbono egualmente tutti quelli che trattano e che procurano un lecito matrimonio. Alfine si saprà dal mondo chi sono. Si saprà che ho avuto cuore di rinunziare uno sposo civile, un’occasione invidiabile, una grandissima fortuna, per delicatezza d’onore, per zelo di fedeltà, per impegno di vera onestà e disinteressata amicizia.
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Figlia, detto amorosamente, per gentilezza. [nota originale]
- ↑ Pap. aggiunge: tagliarlo in pezzi, calpestarlo co’ piedi.
- ↑ Aseo vuol dire aceto. Qui è lo stesso, che capperi! [nota originale]
- ↑ Pap.: la sfoga el ecc.
- ↑ Nell’ed. Zatta qui e dopo c’è il punto fermo.
- ↑ Pap.: giudizi temerari.
- ↑ Che possiate. [nota originale]
- ↑ Non si sveglia. [nota originale]
- ↑ Coperta collo zendale.
- ↑ Segue nell’ed. Paper.: «Ros. Per obbedirvi... gli vuol dar la mano».
- ↑ Pap.: Furbetto!