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266 ATTO SECONDO


colle mie sostanze ad alimentarvi. Superai ogni riguardo, dissimulai le mormorazioni, soffersi degl’incomodi, degli stenti, e talora perfino la privazione del pane. Tutto ciò merita qualche cosa, e la vostra gratitudine è impegnata a ricompensarmi. Non facciamo però che la ricompensa in voi oscuri il lume della ragione, e in me distrugga il merito della servitù. Se mi premiaste col matrimonio, comparirebbe troppo interessato l’innocente amor mio, e direbbesi che fu scorretta la nostra amicizia, e che per tirarvi io nella rete, avessi contribuito a distaccarvi dal padre. A me preme l’onor mio sopra tutto, e a voi deve premere il vostro. Figlio unico di casa ricca e civile, vorreste avvilirvi collo sposare una serva? Ah, signor Florindo, non ci pensate nemmeno. Se mi amate, ascoltatemi; se avete stima di me, arrendetevi ai miei consigli; e se volete essermi grato, siatelo per ora col rassegnarvi. Se il cielo vi renderà più felice, sarete in grado di rendermi ben per bene, amor per amore. Una picciola dote, che per me estrar vogliate da’ vostri beni, sarà bastevole ricompensa ai servigi che vi ho prestati; e godendomi, senza rimorsi al cuore, una fortuna che a me convenga, vi sarò sempre amica, vi sarò sempre serva, sarò sempre la vostra amorosissima Corallina.

Florindo. Ah, voi m’intenerite a tal segno...

Corallina. Manca il meglio dell’opera, signor Florindo; quel che ho fatto finora contasi per nulla, se la macchina non ha il suo fine.

Florindo. Possibile che non vogliate?...

Corallina. Ho parlato col notaio. Egli è persuaso a favorirci nei limiti dell’onesto. Sapete che è un uomo piuttosto facile, però aveva delle difficoltà. Siamo rimasti, ch’ei vada questa sera dal signor Ottavio.

Florindo. Ma farà poi testamento?

Corallina. Vi dirò: vuole il notaio parlar con voi. Cercate anche voi di persuaderlo, ed io questa sera... Sento gente; eccola signora Rosaura.

Florindo. Mi rincresce...