Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera di Ottavio, con tavolino da scrivere, lumi, sedie
e porta segreta da un lato.

Beatrice ed un Servitore.

Beatrice. Sta attento quando viene il notaio: fallo passare per la scala segreta, e avvisami, che lo faremo entrar per di qui. (accenna una porticina)

Servitore. Sarà servita.

Beatrice. Che cosa fa in sala il signor Ottavio?

Servitore. Passeggia, e sospira.

Beatrice. Digli che venga in camera, che gli voglio parlare.

Servitore. Sì signora. (parte)

Beatrice. E pur è vero, questo testamento gli fa paura. Dubito [p. 276 modifica] anche, che qualche volta gli vengano delle tenerezze per il suo figliuolo. E per questo fo bene a non fidarmi, fo bene a sollecitare la sua disposizione. È vero che il testamento lo potrebbe disfare, ma sino che vivo io, sarà difficile. Non gli lascierò campo di farlo. Eccolo; convien divertirlo.

SCENA II.

Ottavio e detta.

Ottavio. Che mi comanda la signora Beatrice?

Beatrice. Venite qui, il mio caro consorte. Che cosa mai avete, che passeggiate così da voi solo?

Ottavio. Ho un flato che mi tormenta. Il moto mi fa bene.

Beatrice. Via, avete passeggiato abbastanza: sedete.

Ottavio. Sì signora; me lo dite voi, lo farò volentieri.

Beatrice. Eh!1 io penso sempre alla vostra salute, al vostro comodo, al vostro piacere.

Ottavio. Che siate benedetta! L’ora si va avanzando. Può essere che il notaio non venga altrimenti.

Beatrice. Oh, non istate ora a pensare al notaio. Se verrà, verrà; se non verrà, buon viaggio. Se non si farà stassera, si farà un’altra volta: non ci sono queste premure.

Ottavio. È vero, così diceva anch’io.

Beatrice. Che cosa volete questa sera da cena?

Ottavio. Un poco di zuppa; e se vi pare, due polpettine.

Beatrice. Vi ho preparato una buona cosa.

Ottavio. Davvero!

Beatrice. Fatta colle mie mani.

Ottavio. Eh via!

Beatrice. Una torta d’erbe col latte.

Ottavio. Oh buona! L’avete fatta voi?

Beatrice. Io.

Ottavio. Oh, sarà pur buona! [p. 277 modifica]

Beatrice. La mangeremo insieme.

Ottavio. Meglio! Ma spicciamoci presto. Ceniamo, e andiamocene a letto.

Beatrice. La torta si cucina.

Ottavio. Intanto facciamo qualche cosa.

Beatrice. Che cosa vorreste fare?

Ottavio. Giuochiamo un poco alle carte.

Beatrice. Da noi due?

Ottavio. Sì, da noi due. Voi ed io.

Beatrice. A che giuoco?

Ottavio. A viva l’amore.

Beatrice. In due non si può.

Ottavio. Voglio giuocare a viva l’amore, a viva l’amore.

Beatrice. Piuttosto giuochiamo a bazzica2.

Ottavio. Sì cara, a quel che volete voi.

Beatrice. (Che pazienza con questo vecchiaccio!) (da sè) Ecco, faccio io le carte.

Ottavio. Di quanto volete che giuochiamo?

Beatrice. Per giuocare di qualche cosa, giuochiamo di un soldo alla partita.

Ottavio. Sì, di un soldo. E se guadagno, voglio esser pagato.

Beatrice. Ci s’intende. (dà le carte)

Ottavio. Scarto.

Beatrice. Anch’io.

Ottavio. Oh, aspettate. Ho bazzica, e non l’aveva veduta.

Beatrice. Signor no; avete detto scarto, avete da scartare.

Ottavio. Ma se ho la bazzica.

Beatrice. Non importa.

Ottavio. Non l’aveva veduta.

Beatrice. Se siete cieco, vostro danno.

Ottavio. Le butterò via tutte. (getta le carte in tavola e si ammutisce) [p. 278 modifica]

Beatrice. Schiavo. (Un tedio di meno). (da sè; le getta anch’ella. Stanno un pezzo mutoli tutti e due senza parlare e senza guardarsi; poi Ottavio tira fuori gli occhiali, se li mette al naso, e mescola le carte.)

Ottavio. Alzate.

Beatrice. (Alza, senza parlare.)

Ottavio. (Dà le carte.)

Beatrice. Bazzica.

Ottavio. Buona... No, no. Bazzicotto, bazzicotto.3

Beatrice. Non è più tempo: bazzica.

Ottavio. Non aveva conosciuto il comodino.

Beatrice. Via, vi meno buono il bazzicotto.

Ottavio. Segno sette punti. Fate voi: vi ringrazio, carina.

Beatrice. (Non posso più!) (da sè; fa le carte, e le dà fuori)

Ottavio. Bazzica!

SCENA III.

Il Servitore e detti.

Servitore. (Signora, è qui il notaio). (piano a Beatrice)

Ottavio. Che c’è? Bazzica.

Beatrice. (Apri quella porta, e fallo passare). (piano al servitore)

Ottavio. Bazzica. È buona?

Beatrice. Buona.

Ottavio. Eccola: di sei. Carte. (chiede altre carte)

Beatrice. (Gli dà una carta.)

Ottavio. Carte. (come sopra)

SCENA IV.

Ser Agapito dalla porta segreta, e Corallina vestita da notaio,
che resta indietro; e detti.

Agapito. Servo di lor signori.

Ottavio. Schiavo suo. Carte. (a Beatrice)

Beatrice. Ben venuto, signore Agapito. [p. 279 modifica]

Ottavio. (Maladetto!) Carte. (come sopra)

Beatrice. (Mette giù il mazzo.)

Ottavio. Finiremo dopo. Ho sette punti. Ho bazzica, e m’avete dato una carta.

Beatrice. Signor Agapito. Chi è quel signore? (accennando Corallina)

Agapito. Un mio giovine, che soglio condurre con me. Fa le minute sotto la mia dettatura; copia, mi serve per testimonio, e impara la professione.

Beatrice. Fatelo venire avanti.

Agapito. Perdoni: non gli do tanta confidenza. Verrà innanzi, quando bisognerà.

Beatrice. Ecco qui il signor Ottavio; egli ha desiderio di fare il suo testamento.

Ottavio. Eh! Non ho poi questo gran desiderio. Grazie al cielo, non sono ancora decrepito. Sto bene di salute, e posso ancora pensarci.

Agapito. V. S. si accomodi. Io non sono venuto per consigliarla a far testamento. Mi hanno chiamato, ed io per obbedire sono comparso.

Ottavio. Che nuove abbiamo, signor Agapito?

Agapito. Non saprei...

Ottavio. Volete giuocare a bazzica? (ad Agapito)

Beatrice. Ma signore Ottavio, voi diventate peggio assai di un bambino. Ogni momento vi cambiate di opinione. Ora sì, ora no. Ora voglio, ora non voglio. Volete che ve lo dica? Sono scandalezzata di voi, e credo che lo facciate o per farmi disperare, o per burlarmi ben bene, e far ridere i miei nemici.

Ottavio. Guardate che pensieracci vi vengono per il capo! Signore Agapito, son qui, voglio far testamento.

Agapito. Benissimo, io la servirò. Ha fatto niente da sè? Ha preparato la sua disposizione in iscritto?

Ottavio. Non ho fatto niente. Faremo fra voi e me.

Agapito. La signora Beatrice favorirà di lasciarci in libertà.

Beatrice. Perchè? Io non ci posso essere?

Agapito. Chi fa testamento, non ha d’aver soggezione. Perdoni, io costumo così. [p. 280 modifica]

Beatrice. Ditemi, signor Ottavio, vi ricordate voi di tutte le cose vostre? Di tutto quello che possedete? Delle disposizioni che avete detto di voler fare?

Ottavio. In verità, ora ho la testa confusa. Non mi ricordo di niente.

Beatrice. Faremo così, se vi contentate. Andremo in camera mia col signor Agapito, faremo un sommarietto di tutto: poi egli ve lo leggerà; vedrete se va bene, e circa alla disposizione, vi consiglierete con lui, e farete tutto quello che il cielo v’inspirerà. Siete contento?

Ottavio. Contentissimo.

Beatrice. Anderà bene così, signor Agapito?

Agapito. Benissimo.

Beatrice. Dunque andiamo.

Agapito. Sono a servirla. Signor Narciso, restate a far compagnia al signor Ottavio, sino ch’io torno. (a Corallina)

Corallina. (Fa una riverenza dal luogo indietro dove si trova.)

Beatrice. Non ha parole? (a ser Agapito)

Agapito. È timido.

Beatrice. Fra il signor Ottavio e lui dormiranno. (Ed io veglierò per il mio interesse. Il signor Agapito farà un testamento a mio modo). (da sè, parte)

Agapito. (Corallina farà da sè quello che insieme dovevamo fare). (da sè, parte)

SCENA V.

Ottavio e Corallina.

Ottavio. (Non vedo l’ora d’esser fuori da quest’impiccio. Mi par d’avere una montagna addosso). (da sè)

Corallina. (Si viene avanzando.)

Ottavio. Signore, accomodatevi. (a Corallina)

Corallina. Ricevo le sue grazie. (siede)

Ottavio. Anche voi volete fare il notaio?

Corallina. Sì signore.

Ottavio. Quanti anni avete? [p. 281 modifica]

Corallina. Venti passati.

Ottavio. Oh! quando io era della vostra età!

Corallina. (Ancora non mi conosce). (da sè)

Ottavio. Di che paese siete?

Corallina. Di questa città.

Ottavio. Di chi siete figlio?

Corallina. Signore, non mi conosce?

Ottavio. No davvero. Voi mi conoscete?

Corallina. E come!

Ottavio. Dove mi avete veduto?

Corallina. In questa casa.

Ottavio. (Si mette gli occhiali) Eppure non vi conosco.

Corallina. Mi pare assai.

Ottavio. Avete una fisonomia, che non mi par nuova ai miei occhi, ma non mi ricordo chi siate4.

Corallina. Guardatemi meglio, e mi conoscerete.

Ottavio. Anche questa voce mi par di conoscerla... Oh benedetta vecchiaia! Capisco che sono un pezzo in là! Vado perdendo anche la memoria.

Corallina. Signore, l’aria di quella porta gli farà male: permette che io la chiuda?

Ottavio. Sì, caro, chiudetela. (Bel ragazzetto!5) (da sè)

Corallina. (S’alza e va chiuder l’uscio per dove è andata Beatrice) (Ci vuol coraggio. Ora son nell’impegno). (da sè; torna a sedere)

Ottavio. E così, ditemi: chi siete?

Corallina. Ma possibile che non mi conosciate?

Ottavio. Sono degli anni che non pratico nessuno. Non vi conosco.

Corallina. Non sentite la voce femminile?

Ottavio. Compatitemi... Siete musico?

Corallina. Non signore, sono musica.

Ottavio. Come! donna?

Corallina. Ancora non mi conoscete?

Ottavio. Avete serrata la porta? [p. 282 modifica]

Corallina. Sì signore.

Ottavio. Avete bisogno di qualche cosa? Comandate.

Corallina. Il cielo vi benedica. Comparite sempre più giovine.

Ottavio. Mi governo. Non fo strapazzi: dite, cara figlia, come avete nome?

Corallina. Ho nome Corallina.

Ottavio. Che?... Oh diamine!... Corallina?... (con gli occhiali)

Corallina. Si vede che vi siete affatto dimenticato di me.

Ottavio. Ih! io era lontano da voi mille miglia. In quest’abito, a quest’ora, chi se lo poteva sognare? E poi, sapete che ci vedo poco. Come qui? Qual motivo?

Corallina. Eccomi qui, in pericolo di perder anche la vita per amor vostro.

Ottavio. Oimè! Che è stato?

Corallina. Signor padrone, siete assassinato.

Ottavio. Da chi?

Corallina. Da vostra moglie.

Ottavio. Oh via! Siete qui colle vostre solite canzonette. Tutti contro quella povera donna.

Corallina. Ma ora si tratta di tutto...

Ottavio. Non mi venite ad inquietare.

Corallina. Volete precipitare...

Ottavio. Chiamerò la signora Beatrice.

Corallina. Chetatevi, signor padrone; per amor del cielo, non vi alterate. Sono venuta per desiderio di vedervi, dopo tanto tempo che sono priva della vostra cara presenza. Questi preziosi momenti non li voglio perdere in cose odiose. Siete uomo prudente, non avete bisogno de’ miei consigli. Parliamo d’altro. State bene? Siete sano? Vi ricordate più della vostra Corallina? Caro signor padrone, io vi amo teneramente. Lasciate che vi baci la mano.

Ottavio. Cara la mia Corallina, v’ho sempre voluto bene, e voi in mia vecchiezza6 mi avete abbandonato.

Corallina. L’ho fatto per compassione di un vostro figliuolo. [p. 283 modifica]

Ottavio. Che fa colui?

Corallina. Poverino! Ve lo potete immaginare.

Ottavio. Suo danno. Doveva essere meno altiero.

Corallina. Ma! In sua gioventù gli tocca a soffrire delle gran cose.

Ottavio. Che cosa soffre?

Corallina. Scarsezza di pane, necessità di tutto, il rossore di vedersi fuori di casa sua, e sopratutto piange amaramente la privazione della vista del suo caro padre....

Ottavio. Oh via! non mi7 venite a rattristare. In questa età non ho bisogno di piangere. (alterato)

Corallina. È vero, sono una bestia. Compatitemi, e parliamo di cose allegre. Signor padrone, io mi vorrei rimaritare.

Ottavio. Sarà ben fatto. Sei ancor giovine; e per dirtela, a star con Florindo non fai buona figura.

Corallina. È vero; lo diceva ancor io; mi preme la mia riputazione, e non ci voglio star più. Finalmente non è niente del mio. Vada lacero, vada pezzente, consumi in un giorno quello che gli date voi per un mese, che cosa ha da premere a me? Faccia delle male pratiche, a me che cosa deve importare? Io non sono sua madre; finora ho procurato di assisterlo, di governarlo, di soccorrerlo colle mie fatiche, coi miei lavori. Sono stanca di farlo, voglio pensare a me. Vada in rovina, vada in precipizio. Suo danno. Signor padrone, parliamo di cose allegre.

Ottavio. Ma! Perchè ha d’andare in rovina? Non gli bastano sei scudi il mese? Non gli bastano per mangiare due paoli il giorno?

Corallina. Sì, gli basteranno. E poi, che s’ingegni. Per vestirsi ci pensi da sè. Che vada a giuocare, che faccia quello che fanno tanti altri disperati suoi pari.

Ottavio. Come! Vorresti ch’egli si gettasse coi vagabondi?

Corallina. Sentite: un giovine ozioso, fuori di casa sua, con pochi assegnamenti, e bisognoso di tutto, non può fare a meno di non gettarsi alla mala vita. Io sinora l’ho tenuto in freno. Ma [p. 284 modifica] sono stanca di farlo; voglio maritarmi, signor padrone, voglio goder il mondo, voglio stare allegra, non voglio pensar a’ guai. Voglio far come fate voi. Allegramente, allegramente.

Ottavio. Voi mi dite delle gran cose di questo mio figliuolo.

Corallina. Oh bella! Procuro divertirvi, e voi badate a rattristarvi. Io non ne ho colpa. Parliamo di cose allegre.

Ottavio. Non so che cosa sia questa smania che mi sento di dentro. Le vostre parole mi hanno rattristato.

Corallina. Eh signor padrone, non sono state le mie parole, che vi hanno sconcertato.

Ottavio. Ma che dunque?

Corallina. La vostra coscienza.

Ottavio. Che male ho fatto io? In che ho mancato?

Corallina. Vi par poco eh, aver rovinato un figlio per secondare l’avarizia della matrigna? Non sapete che l’innocenza oppressa del povero signor Florindo grida vendetta al cielo contro lei, contro voi? Se egli si getterà per disperazione alla vita trista, chi sarà causa del suo precipizio? Chi sarà colpevole de’ suoi vizi? Chi meriterà la pena delle sue colpe? Voi, signor padrone, voi. E dopo essere vissuto per tanti anni uomo onorato, uomo savio e dabbene, per causa di vostra moglie morirete pieno di rimorsi, pieno di rossore e di pentimento. Ma non voglio più affliggervi; parliamo di cose allegre.

Ottavio. Eh! ora non cerco allegria. Cara Corallina, sento una spina al cuore. Son vecchio, son vicino alla morte. Oimè! Tremo. Illuminatemi per carità.

Corallina. Conoscete voi la signora Beatrice?

Ottavio. La conosco.

Corallina. Quanto vale, che non la conoscete?

Ottavio. È mia moglie, la conosco.

Corallina. Quant’è che è vostra moglie?

Ottavio. Non lo sai? Un anno.

Corallina. A conoscere una donna non bastano dieci anni. Voi non la conoscete.

Ottavio. Ma perchè? [p. 285 modifica]

Corallina. Perchè, se la conosceste, non vi lascereste da lei menar per il naso.

Ottavio. Oh via: sapete che le voglio bene, son contento di lei, non m’inquietate.

Corallina. Avete ragione. Parliamo di cose allegre. Finalmente io non ci devo entrare. E vero che sono nata in casa vostra, che vi ho amato e vi amo come padre; ma finalmente sono una povera serva. Che ha da importare a me, che il mio padrone si lasci ingannare da una donna finta? Ch’ella gli faccia le belline sul viso, e lo maledica dietro le spalle? Che mostri d’amarlo, e non veda l’ora ch’ei crepi? Che gli faccia scacciare il proprio figliuolo, per arricchire il figliastro? Che gli voglia far far testamento, per assicurare la sua fortuna, e dopo accelerar la morte del povero vecchio benefattore? Finalmente queste cose a me non faranno nè male, nè bene; non ci voglio pensare, non ne voglio discorrere. Signor padrone, parliamo di cose allegre.

Ottavio. Ah Corallina... Non più cose allegre; cose tetre, cose miserabili... Come! Si vuol ch’io faccia testamento per farmi poscia morire?

Corallina. Pur troppo è la verità. Ma non voglio infastidirvi. Mutiamo discorso8.

Ottavio. Ah se potessi di ciò assicurarmi; vorrei prima di morire far una bella risoluzione.

Corallina. Signor padrone, parliamo quietamente, senza che vi conturbiate; che torto fate voi alla signora Beatrice, a dubitar di lei per un poco?

Ottavio. Niente affatto.

Corallina. Dunque fate così. Dubitate di lei per un’ora, ed io m’impegno di farvi toccar con mano la verità. O sarà ella una buona donna, e voi fate tutto a suo modo; o sarà una finta, una bugiarda, e voi farete quello che più vi tornerà a conto.

Ottavio. Tu di’ bene... Ma come posso io far questa prova? [p. 286 modifica]

Corallina. Sentite: fate così... Ma non vorrei, parlando di cose tetre, venirvi a noia. Volete che mutiamo discorso?

Ottavio. No, no, seguitiamo questo. Mi preme assai.

Corallina. Bisogna farsi animo, e far così... (si batte alla porta chiusa) Oimè! battono.

Ottavio. Chi sarà mai?

Corallina. Conviene aprire.

Ottavio. Ma... Il nostro discorso...

Corallina. Un’altra volta. (tornano a battere)

Ottavio. Nascondetevi. Entrate nella mia camera. Colà non verrà nessuno.

Corallina. Avvisatemi, se vi è pericolo. (Voglia il cielo ch’io possa condurre a fine il disegno). (da sè; entra in una camera in fondo alla scena)

SCENA VI.

Ottavio, poi Arlecchino.

Ottavio. Oh, sono pure nel grand’imbroglio! Povero me! Se fosse vero... Ah, spero che non sarà. (apre) Che vuoi? (ad Arlecchino, che si presenta alla porta)

Arlecchino. El sior nodaro el dis cussì, che vussioria ghe manda...

Ottavio. Che cosa?

Arlecchino. Ghe manda....

Ottavio. Ma che? Spicciati.

Arlecchino. Ah sì! El contrasto dei novizzi9.

Ottavio. Che diavolo dici? Io non ti capisco.

Arlecchino. Me par certo che l’abbia dit cussì.

Ottavio. Sei un balordo; non avrà detto così.

Arlecchino. Adess m’arrecordo: la creatura del matrimonio10.

Ottavio. Eh, va al diavolo, pappagallo.

Arlecchino. Mo se el m’ha dit cussì. [p. 287 modifica]

Ottavio. Ma se non può stare.

Arlecchino. Ha dit la padrona, che ghe mandè quella carta da notte, che avì mess in tei cantaro11.

Ottavio. Testa di legno! Vorrai tu dire quella carta di dote, che ho messo nel canterale.

Arlecchino. Circumcirca.

Ottavio. Ho capito; è nella camera dove dormo. Vattene, che ora la mando al signor notaio.

Arlecchino. I m’ha dit che la porta....

Ottavio. Va in sala, aspetta, e la porterai.

Arlecchino. Vado in sala, e la porterai12. (parte)

Ottavio. Presto, sentiamo che cosa sa dirmi quella buona donna di Corallina. (in atto di partire)

SCENA VII.

Corallina e detto.

Corallina. È andato via? (dalla camera, incontrandola Ottavio)

Ottavio. Sì, ma per maggior sicurezza entriamo nella mia camera. Parlatemi pure liberamente, che son disposto a far tutto per chiarirmi della verità.

Corallina. Andate innanzi; permettetemi ch’io dica una parola ad un uomo ch’è qui sulla scala segreta.

Ottavio. E chi è quest’uomo?

Corallina. È il servitor del notaio.

Ottavio. Vi conosce?

Corallina. Signor no13.

Ottavio. Via, spicciatevi, che vi aspetto. Mi sento un ardor nello stomaco, che mi par di morire. Ah, se scoprissi un inganno... Ma non sarà vero; mi pare impossibile. (entra per la porta di fondo) [p. 288 modifica]

SCENA VIII.

Corallina, poi Brighella travestito.

Corallina. Sinora la cosa va bene. (apre la porta segreta) Brighella, entrate.

Brighella. Son qua... Come vala?

Corallina. Andate dal signor Florindo. e ditegli che si consoli, che le cose vanno bene; che ho tirato il signor Ottavio ad ascoltarmi, e a dubitar della moglie. Ora tento un’altra cosa, e se mi riesce, siamo a segno di tutto. Avvisatelo che si trovi in queste vicinanze, per venir qui ad ogni cenno. Avvisate anche il vostro padrone e la vostra padrona, e che tutti stieno pronti per aiutarmi se occorre, per profittar se bisogna14. (entra dove Ottavio è entrato)

SCENA IX.

Brighella, poi Ottavio.

Brighella. Gran testa ha sta Corallina! Gran belle vissere! Gran bel cuor! Oh, se posso, la vôi per mi sta zoggia! Se tanto la fa per amor d’amicizia, figureve quel che la farà per affetto matrimonial. (in atto di partire)

Ottavio. Galantuomo.

Brighella. Signor. (alterando la voce)

Ottavio. Tenete. Fatemi il piacere di portar questa carta al vostro padrone. (Corro a sentir Corallina). (entra, e chiude la porta)

Brighella. Coss’èla mo sta carta? L’ho da portar al me patron? Ch’el m’abbia cognossù? Mi no la so capir. Basta, la porterò al me patron. (parte) [p. 289 modifica]

SCENA X.

Arlecchino, poi Beatrice.

Arlecchino. Adess; tornerò un’altra volta. (mostrando di parlare in sala) Sior padron.... Dov’èlo? Sior padron.... El contrasto.... La creatura15.... Sior padron. L’è andà in fumo. (va alla porta) Siora padrona, el padron l’è andà in tel cantaro co la creatura16.

Beatrice. Che cosa vai tu dicendo?

Arlecchino. Digo così...

Beatrice. Dov’è il signor Ottavio?

Arlecchino. Dov’èlo el sior Ottavi?

Beatrice. Sarà nell’altra camera a cercar la scrittura.

Arlecchino. Senz’alter el sarà in camera a revéder le scritture.

Beatrice. È chiusa la porta. (picchia) Signor Ottavio, signor Ottavio. Diamine! che è mai questa novità? Non chiude mai. Signor Ottavio. Che sia andato giù della scala? Non crederei. Le scale sono mesi che non le fa.

Arlecchino. El pol esser andà zoso da la fenestra.

Beatrice. Che gli sia venuto qualche accidente?

Arlecchino. Pol esser, per amor della creatura.

Beatrice. Arlecchino, va giù nel pian terreno. Guarda se mai fosse disceso; se fosse venuto il suo figliuolo; se mi ordissero qualche tradimento. Quel giovine non vi è più. Temo di qualche inganno. Va presto, spicciati.

Arlecchino. Vado subito. (parte per la porta segreta)

Beatrice. Io entrerò in quella camera per l’altra porta, di cui ho le chiavi. Misera me! Sono in angustie. Non vorrei ch’egli fosse pericolato. Faccia testamento, e poi crepi, se vuol crepare, (parte) [p. 290 modifica]

SCENA XI.

Corallina dalla camera di Ottavio, poi Arlecchino.

Corallina. Manco male che se n’è andata. Posso uscire liberamente. Povero padrone! Ma! Questi vecchi imparino a rimaritarsi. (va per la porta segreta, ed incontra Arlecchino)

Arlecchino. Chi va là?

Corallina. Oimè!

Arlecchino. Chi sive vu?17

Corallina. Sono il giovine del notaio.

Arlecchino. Il giovine del notaio? (contraffacendo la voce di Corallina) Saldi. (la prende per un braccio)

Corallina. Lasciatemi andare.

Arlecchino. (Sta vose la cognosso). (da sè) Vegnì con mi.

Corallina. No, lasciatemi.

Arlecchino. Eh sangue de mi! (la vuol tirare innanzi) Griderò, farò vegnir zente.

Corallina. No, per carità.

Arlecchino. Oh corpo del diavolo! Corallina?

Corallina. Zitto, per amor del cielo.

Arlecchino. Oh, no vôi che me vegna el gosso. Vôi gridar. Cora....

Corallina. Senti, senti; prendi questo zecchino, e sta zitto.

Arlecchino. L’oro èlo un bon remedi contra il gosso?

Corallina. Sì, te lo dono, lasciami andare, e non lo dire a nessuno.

Arlecchino. Va là; farò sto atto de cavalleria.

Corallina. Cielo, aiutami. (parte)

Arlecchino. Qualche imbroio gh’è sotto: ma a mi me basta che sto zecchin sia de peso. (parte) [p. 291 modifica]

SCENA XII.

Altra camera con letto chiuso dal cortinaggio, tavolino e lume.

Ottavio sul letto chiuso18, che non si vede;
Beatrice apre l’uscio ed entra.

Beatrice. Signor Ottavio. Signor Ottavio. Qui non c’è nemmeno. Povera me! Che me l’abbiano condotto via? Parmi vedere... (5’accosta al letto da una parte) Eccolo nel letto bello e vestito. Si sarà addormentato. Voglio destarlo, ritrovar questa carta, e concludere il testamento. Signor Ottavio; ehi, signor Ottavio; signor Ottavio19... (scuotendolo) Oh me infelice! Che sia morto? Signor Ottavio, signor Ottavio; pare morto senz’altro. Un accidente l’avrà colpito. Oh che colpo! Oh che caso! Oh mia disgrazia! È morto prima di far testamento.

SCENA XIII.

Il Notaio e detti.

Notaio. Ebbene, signora, l’ha ritrovata questa scrittura?

Beatrice. Non la trovo.... Ma, non si può far senza?

Notaio. Se non si trova, faremo senza. Si ricorda ella precisamente la somma della sua dote?

Beatrice. Sì signore seimila scudi.

Notaio. Bene, metteremo seimila scudi; giacchè ella ha piacere che col testamento si confermi questa sua dote, lo faremo; basta che il signor Ottavio me lo dica in voce.

Beatrice. Il signor Ottavio è nel letto.

Notaio. Che fa? Dorme?

Beatrice. Ho paura ch’egli abbia male.

Notaio. Mal grave?

Beatrice. Piuttosto; ma per far testamento saremo a tempo.

Notaio. Non gli sarebbe già venuto qualche accidente? [p. 292 modifica]

Beatrice. Io credo di no. Ma se ciò fosse, il testamento non si farebbe più?

Notaio. Oh bella! Si avrebbe a far parlare un morto?

Beatrice. Non sarebbe la prima volta.

Notaio. S’inganna, signora

Beatrice. Via, via, il signor Ottavio è vivo. Aspetti, che gli andrò a domandare, se vuole che ora V. S. gli legga la sua minuta, e che si concluda. (s’accosta al letto)

Notaio. Benissimo. (Costei la sa lunga). (da sè)

Beatrice. Ha detto così che si sente male, e vuole spicciarsi per timor di morire. Anzi colle sue mani mi ha dati questi trenta zecchini, acciò V. S. beva la cioccolata per amor suo.

Notaio. Non occorr’altro. Troviamo li testimoni, e faccia portar da scrivere.

Beatrice. Dove li troveremo? I miei servitori non vorrei che in ciò s’intrigassero.

Notaio. Andrò io a ritrovarli.

Beatrice. Non vorrei che fossero di quelli che vogliono parlare coll’ammalato, e disturbarlo.

Notaio. Lasci far a me. Ho io de’ testimoni a proposito. Conosco il bisogno suo e del signor Ottavio; mi lasci andare alla piazza, e torno in un momento.

Beatrice. Bravo, signor Agapito! Facciamo le cose come vanno fatte. Mi ha detto il signor Ottavio, che per voi ci sarà un piccolo legato di mille scudi.

Notaio. Si lasci servire, e sarà contenta. (parte)

SCENA XIV.

Beatrice, poi Lelio.

Beatrice. Manco male che ho dato in un uomo facile, pratico del mestiere, e pronto a’ ripieghi. Mi ha inteso bastantemente, e rimedierà egli al disordine. Per altro, o sia morto, o stia per morire, mi aveva ben corbellato. La scrittura della dote, ch’egli [p. 293 modifica] mi ha fatto dopo il matrimonio, ho paura non sia fatta a dovere, e mi preme di confermarla col testamento.

Lelio. Buona sera, signora madre.

Beatrice. Figliuolo mio, dove siete stato sinora?

Lelio. A fare all’amore colla signora Rosaura.

Beatrice. Con lei veramente?

Lelio. Sì signora, con lei.

Beatrice. Dove?

Lelio. Sotto le sue finestre.

Beatrice. Vi ha ella parlato dalla finestra?

Lelio. Non era alla finestra, ma passeggiava per camera. La serva mi ha veduto, e l’ha avvertita ch’io sospirava.

Beatrice. Eh scioccherello! Con quella non vi è da sperare; vi mariterò io.

Lelio. Ho veduto entrare Florindo in casa del signor Pantalone.

Beatrice. Peggio!

Lelio. Sarei rimasto lì ancora; ma l’accidente ha fatto, che dando l’acqua ai fiori, mi hanno bagnato da capo a’ piedi.

Beatrice. Non ve ne accorgete che vi disprezzano, che si burlano di voi?

Lelio. Eh! giusto! Vorrei dar la buona sera al signor padre, e andarmene a letto.

Beatrice. Avete finito di dargli la buona sera.

Lelio. Perchè?20 Beatrice. Perchè il vecchio sta per morire.

Lelio. Signora madre, quando muore qualcheduno, non si piange?

Beatrice. Sicuro. E bisognerà che anche noi ci mettiamo a piangere.

Lelio. Quando?

Beatrice. Quando veranno le visite a condolersi.

Lelio. Quando ho da piangere, avvisatemi. [p. 294 modifica]

SCENA XV.

Servitore e detti.

Servitore. È qui il signor notaio con alcune altre persone, che non so chi siano.

Beatrice. Che passino, e porta da scrivere. (il servitore parte)

Lelio. Che cosa vuole il notaio?

Beatrice. Finir il testamento del signor Ottavio.

Lelio. Se è moribondo!21

Beatrice. Zitto. Badate a voi, e non parlate. (a Lelio)

Lelio. (Questa domani la racconto al caffè). (da sè)

SCENA XVI.

Il Notaio con alcuni testimoni. Il Servitore di Ottavio
che porta da scrivere, e detti.

Beatrice. Bravo22, signor Agapito.

Notaio. Sono di parola?

Beatrice. Bravo.

Notaio. Ecco li testimoni. Signori, saranno testimoni di questo testamento, che fa il signore Ottavio Panzoni.

Beatrice. Li supplico, e saprò il mio dovere. (verso li testimoni)

Notaio. Signora Beatrice, signor23 Lelio, favoriscano ritirarsi, acciò possa io interrogare con libertà e confidenza il signor testatore, per leggere poi a’ testimoni la sua volontà.

Beatrice. Volentieri, ritiriamoci. (a Lelio)

Lelio. Oh bella! vuol interrogare un moribondo24. (a Beatrice)

Beatrice. (Vien qui, sciocco). (lo tira in disparte)

Notaio. (S’accosta al letto di Ottavio.25

Beatrice. (Sarebbe meglio che tu fossi morto, che non parleresti).

Lelio. (Oh bella! Se fossi morto, non prenderei moglie). [p. 295 modifica]

Beatrice. (Bella razza che tu farai!)

Lelio. (Vedrete che bei figliuoli! La signora Rosaura è bella, io son grazioso).

Beatrice. (Tu sei pazzo. Eppure, non avendo altri figliuoli, ti voglio bene).

Lelio. (Quando andiamo a cena?)

Notaio. Ecco fatto. Ecco la volontà del signor Ottavio; ascoltino, signori testimoni.

Beatrice. Posso sentire io?

Notaio. S’accomodi.26Il signor Ottavio Panzoni, sano per grazia del cielo di corpo e di mente...27 pensando che l’uomo e mortale, ha fatto e fa il presente suo ultimo testamento nuncupativo, che dicesi sine scriptis...

Lelio. (Sine scriptis; nuncupativo: queste parole non le capisco28). (da sè)

Notaio. Per la sua sepoltura, si rimette all’infrascritto suo erede universale.

Lelio. Che sarò io.29

Notaio. Item, per ragion di legato....

Beatrice. Ha detto che non voleva fare legati. Sentiamo l’istituzion dell’erede.

Notaio. In tutti i suoi beni presenti e futuri, mobili, stabili e semoventi, azioni, ragioni, nomi di debitori, instituì ed instituisce, nominò e nomina il signor Florindo Panzoni, figlio suo legittimo e naturale....

Beatrice. Come!

Notaio. Non ha inteso? Il signor Florindo Panzoni.

Beatrice. Questa non è la volontà del signor Ottavio.

Notaio. Io le dico di sì, e se non lo crede, l’interroghi.30

Beatrice. Questo è un tradimento. Il signor Ottavio ha instituito erede sua moglie, che sono io. [p. 296 modifica]

Notaio. Ed io le dico che ha instituito suo figlio. Ecco i testimoni.

Beatrice. Testimoni falsi! Notaio mendace!

Notaio. Io dico la verità.

Beatrice. Voi dite il falso.

Lelio. Chi potrà decidere la questione?

Ottavio. (Esce da’ piedi del letto) La deciderò io.

Beatrice. Oimè!

Lelio. Bravo! E viva; si è risanato31. (parte)

Ottavio. Signora Beatrice, vi ringrazio del bene che mi volete.

Beatrice. Ah marito mio....

Ottavio. Bugiarda.

SCENA XVII.

Corallina e detti.

Corallina. Alto, alto, signori miei; ora tocca a parlare a me. Signora Beatrice, mi riconosce?

Beatrice. Corallina? Oh cieli!... Ah per amor del cielo, abbiate pietà di me.

Corallina. Si ricorda di quella pettegola, di quella impertinente, di quella servaccia?

Beatrice. Non mi tormentate di più.

Corallina. Si ricorda che ha fatto cacciar fuori di casa il povero signor Florindo?

Ottavio. Dov’è mio figlio? Dov’è il povero mio Florindo?...

Corallina. Eccolo, signor padrone. Eccolo, che vi domanda pietà.

SCENA XVIII.

Florindo e detti.

Florindo. Ah caro padre (s’inginocchia)

Ottavio. Vieni. Appressati a me, parte delle mie viscere e del mio sangue. Tu sei il mio unico erede. Signor notaio, domani si [p. 297 modifica] stipulerà il testamento; e voi, signora moglie bugiarda, signora vedova, che aspetta di piangere quando verranno32 le visite a condolersi, prima di piangere per la morte di questo vecchiaccio, piangerete la causa del vostro male, e l’effetto dei vostri perfidi inganni.

Beatrice. Datemi la mia dote.

Ottavio. Che dote!

Beatrice. Seimila scudi.

Ottavio. Non è vero. Ho sottoscritta una carta falsa, e la farò revocare.

SCENA XIX.

Pantalone, Brighella e detti.

Pantalone. Sior Ottavio....

Ottavio. Oh! signor Pantalone.

Pantalone. La compatissa se intro con libertà. Ho sentio tutto: quante copie ghe n’ali de sta carta de dota?

Ottavio. Una sola. L’aveva io, e il diavolo poco fa mi ha indotto a mandarla alla signora Beatrice.

Pantalone. Co ghe ne xe una sola, eccola qua. La xe capitada in te le mie man, e fazzo cussì. (la straccia)

Beatrice. Fermatevi...

Pantalone. La carta xe revocada, e cussì me vendico delle so impertinenze. (a Beatrice)

Beatrice. Oh maledetta fortuna!

Ottavio. Come vi capitò quella carta? (a Pantalone)

Brighella. La me l’ha dada a mi, e mi l’ho dada al me padron.

Ottavio. Ma io la consegnai al servitor del notaio.

Brighella. Ella m’ha tolto per el servidor del nodaro, e son servidor del sior Pantalon. [p. 298 modifica]

Beatrice. Tutti contro di me. Signor notaio, i miei trenta zecchini.

Notaio. Non me li ha ella dati per parte del signor Ottavio?

Beatrice. Sono miei, e li voglio.

Ottavio. So tutto, ho inteso tutto. Signor notaio, sono miei, ed io ve li dono, in premio della vostra onestà.

Notaio. Sarete persuaso, che quel che ho fatto, l’ho fatto con una onesta finzione, consigliato e animato da Corallina.

Corallina. Tutta opera mia, tutte invenzioni mie, tutta condotta mia, per illuminarvi una volta, per disingannarvi, per farvi conoscere la verità, per assistere un figlio oppresso, per soccorrere un padre assassinato, per correggere una matrigna ingrata.

Ottavio. Ah Corallina mia, voi mi date la vita! Voi ora mi fate piangere per tenerezza.

Corallina. Orsù: parliamo di cose allegre. Signor padrone, il buono piace a tutti. Vi siete voi rimaritato? Ci vogliamo maritare anche noi. Il signor Florindo ed io abbiamo bisogno di matrimonio, e ci raccomandiamo a voi, perchè ci facciate generosamente il mezzano.

Ottavio. Sì, cari, sì, venite qui. Tutti due lo meritate. Florindo, vien qui; vien qui, Corallina. Non vi è rango, non vi è disparità. Io vi congiungo, io mi contento. Siete marito e moglie.

Beatrice. Ecco, dove tendeano le mire di questa virtuosa eroina.

Corallina. Oh che bei termini! Che bei concetti! Ammiro la sua intrepidezza. Ella in mezzo alle sue disgrazie è spiritosa e brillante. (a Beatrice, deridendola)

Beatrice. Ah, non ho più sofferenza... (vuol partire)

Corallina. Si fermi, e sarà meglio per lei. (a Beatrice)

Beatrice. Come!

Corallina. La supplico. Il signor Ottavio mi vuole sposare al signor Florindo, ed io prima di farlo gli voglio dare la dote.

Beatrice. Che dote?

Corallina. Ora lo vedrà. Con sua licenza, gentildonna. (parte)

Beatrice. Ed io soffrirò che m’insulti, e voi lo soffrirete? Voi che tanto mi amaste? Non vi ricordate più di quelle tenerezze [p. 299 modifica] che provaste per me? Caro signor Ottavio, chi a vera cura di voi, chi vi assisterà il giorno, chi vi darà soccorso la notte? (ad Ottavio)

Ottavio. Ah! Voi... voi mi avete tradito.

SCENA XX.

Corallina, Rosaura e detti.

Corallina. Signori miei, ecco la mia dote. Ecco la signora Rosaura, ch’io presento al signor Florindo.

Ottavio. Come!

Corallina. Signor padrone, voi in premio della mia buona servitù, mi avete regalato il signor Florindo; il signor Florindo è mio, ne posso far quel ch’io voglio. Lo posso vendere, impegnare e donare. Io lo dono alla signora Rosaura, degna di lui per nascita, per facoltà, per costumi. A me preme l’onore della vostra casa, il bene di vostro figlio, la salvezza del mio decoro; e in questa maniera il padre sarà contento, il figlio sarà consolato, e la povera serva compatita ed amata.

Pantalone. Sior Ottavio, se ve degne de mia fia, sappiè che mi son contento.

Ottavio. Adorabile Corallina...

Corallina. Parliamo di cose allegre. Sposini, siete voi contenti?

Florindo. Io ne son contentissimo; amo la signora Rosaura; confesso che avrei a tutto preferito il debito che ho con voi, ma poichè, generosa mia Corallina...

Corallina. Parliamo di cose allegre. Signora Rosaura, lo fate di buon animo?

Rosaura. Sì, cara Corallina, sapete voi la mia inclinazione. A voi l’ho confidata. Voi avete il merito d’averla alimentata e resa felice. Mio padre vi acconsente, il signor Ottavio l’approva, il signor Florindo mi ama; che più desiderare potrei al mondo? Sì, desidero unicamente poter a voi procurar quella ricompensa... [p. 300 modifica]

Corallina. Sì signora, parliamo un poco di me. È giusto, che ancor io sia contenta. Ho bisogno di marito e di dote. Il marito lo troverò io, la dote me la darà il signor Ottavio.

Ottavio. Sì, volentieri. Trova il marito.

Corallina. Eccolo. (accenna Brighella)

Brighella. Oh cara! (s'accosta a Corallina)

Ottavio. Ed io ti darò mille scudi. Bastano? (a Corallina)

Brighella. Se i fusse do mille...

Pantalone. Mille ghe ne farò mi de contradota.

Florindo. E mille io...

Corallina. Basta, basta, non tanta roba, non merito tanto.

Brighella. Lassè che i fazza. (a Corallina)

Beatrice. Tutti allegri, ed io misera sono in pianto.

Ottavio. Vostro danno: andate fuori di casa mia, senza nulla, come siete venuta.

Beatrice. Ah pazienza!

Corallina. Caro signor Ottavio, la supplico di una grazia.

Ottavio. Comandate, la mia cara Corallina.

Corallina. Per salvezza del suo decoro, e giacchè ha tanta bontà per me, si contenti di fare un assegnamento alla signora Beatrice, che possa vivere33. È ancor giovine, potrebbe fare degli spropositi.

Ottavio. Via, in grazia vostra, le assegnerò dugento scudi l’anno; ma fuori di casa mia.

Beatrice. Ah Corallina34, voi mi fate arrossire...

Corallina. Così mi vendico delle sue persecuzioni. Io non ho mai avuto odio con lei, ma tutto ho fatto per il povero mio padrone. Se non era io, sarebbe egli precipitato. L’ho soccorso, l’ho assistito, l’ho rimesso in casa e in grazia del padre. L’ho ammogliato decentemente, l’ho assicurato della sua eredità, l’ho liberato da’ suoi nemici. Una serva amorosa cosa poteva mai far di più? Or vengano que’ saccenti35, che dicon male [p. 301 modifica] delle donne; vengano que’ signori poeti, a cui pare di non potere avere applauso, se non ci tagliano i panni addosso. Io li farò arrossire, e ciò faranno meglio di me tante e tante nobili virtuose donne, le quali superano gli uomini nelle virtù, e non arrivano mai a paragonarli nei vizi. Viva il nostro sesso, e crepi colui che ne dice male36.

Fine della Commedia.



Note

  1. Così l’ediz. Zatta; Pap., Pasq. ecc. hanno: ed.
  2. Bazzica è un giuoco di carte; si dà tre carte per uno, e si dice aver bazzica, quando numerando i punti delle tre carte, non passano il numero nove. [nota originale]
  3. Si dice aver bazzicotto, quando le tre carte sono simili, o semplicemente, o coll’aiuto di un comodino, a che servono i quattro sette. [nota originale]
  4. Pap.: siete.
  5. Pap.: ragazzotto.
  6. Pap.: vecchiaia.
  7. Pap.: Oh via! cara non mi ecc.
  8. Pap. aggiunge: parliamo di cose allegre.
  9. Dice spropositi, e qui vuol dir il contratto di nozze. [nota originale]
  10. Vuol dire la scrittura di matrimonio. [nota originale]
  11. Vuol dire quella carta di nozze, che ha posta nel canterale, cioè nell’armadio. [nota originale]
  12. Sproposito da Arlecchino. [nota originale]
  13. Pap.: Oibò.
  14. L’ed. Pap. aggiunge: Brighella, son nell’impegno, il cielo mi assiste, il cielo non abbandona gl’innocenti, favorisce gli oppressi; dà forza e spirito ad una donna, seconda i miei disegni, e mi assicura della vittoria.
  15. Vuol dire il contratto, la scrittura [nota originale]
  16. Dice spropositi. [nota originale]
  17. Chi siete voi? [nota originale]
  18. Pap. aggiunge: dalla canterella.
  19. Pap. aggiunge: dico... Signor Ot..ta..vio..
  20. Segue nell’ed. Paper.: «Perchè il vecchio o è morto, o sta lì per morire. Lel. Voglio vederlo, va al letto, lo scuote, poi ritorna. Poverino! è morto senz’altro. Beatr. Mi sarò liberata da quel tedio. Potrò maritar voi nobilmente e dopo forse rimaritarmi ancor io. Lel. Volete il terzo marito? Beatr. Perchè no? Lel. Bella cosa, se anch’io potessi prender tre o quattro mogli! Beat. Averete occasione di benedir vostra madre. Se non mi fossi rimaritata con questo vecchio, non avremmo lo stato che abbiamo. Lel. Signora madre, quando ecc.».
  21. Pap.: Dopo morto?
  22. Pap.: Ben venuto.
  23. Pap.: col signor.
  24. Pap.: un morto.
  25. Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Io non ho mai sentito dire che i morti parlino! a Beatr. Beatr. (Sarebbe meglio che fossi morto anche tu ecc.)».
  26. Segue nell’ed. Pap.: «Lel. È ancor io? (Son curioso di sentire il linguaggio de’ morti), da sè. Not. Il signor ecc.».
  27. Segue nell’ed. Pap. «Lel. (È vero; i morti non sono ammalati). Not. Pensando ecc.».
  28. Pap.: queste saranno parole da morto.
  29. Pap.: Che sarò io?
  30. Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Volete ch’ella interroghi un morto? Coi morti non sanno parlare altri che li notari. Beatr. Questo è ecc.».
  31. Pap.: Bravo! E viva; è risuscitato. Vado a cena contento.
  32. Pap.: vengono.
  33. Pap. aggiunge: non permetta che una sua moglie vada raminga. È ancor ecc.
  34. Pap.: Cara Corallina.
  35. Pap.: questi sacciuti.
  36. Segue nell’ed. Pap.: «Il giubbilo mi fa divenire poetessa.

    Possa colui che colle donne è ingrato
    Amar senza sperar d’esser amato.
    Provi il rigor, finchè si senta anch’esso
    Dir: e viva le donne, e viva il sesso».