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254 | ATTO SECONDO |
Arlecchino. E chi èla la sposa?
Lelio. Indovinala. Se l’indovini, ti do due soldi.
Arlecchino. Èla fursi...
Lelio. Signor no.
Arlecchino. La sarà...
Lelio. Nè meno.
Arlecchino. Mo lasseme dir. Anca sì che l’è...
Lelio. Non la puoi indovinare.
Arlecchino. Ma donca disila vu.
Lelio. E la figlia del sior Pantalone.
Arlecchino. Mo se tra sior Pantalon e la siora Beatrice gh’è sta dei radeghi.
Lelio. La signora madre mi ha dato licenza.
Arlecchino. E cossà dis el sior Pantalon?
Lelio. E contentissimo. Qui adesso, in questo momento, gli ho domandata la figlia, ed egli mi ha risposto: è fatta e detta.
Arlecchino. Bon: evviva, me ne consolo. Vederemo una bella razza.
Lelio. Orsù, andiamo dalla signora madre.
Arlecchino. Ande pur da per vu, che mi bisogna che torna dal nodaro.
Lelio. Oh sì, dal notaio, che farà la scrittura del mio contratto.
Arlecchino. Avì parlà colla sposa?
Lelio. Non ancora.
Arlecchino. Tutto sta a quel primo incontro. Portarse ben la prima volta, e entrarghe in grazia a drittura.
Lelio. Che cosa pensi tu ch’io potessi dirle la prima volta, quando le parlo?
Arlecchino. Dir per esempio: È tanto tempo che sospirando per i crini della vostra bellezza...
Lelio. Oibò, oibò, se i suoi capelli non li ho veduti.
Arlecchino. Ben, podì dir: che sospirando per le pupille delle vostre luci...
Lelio. Non ho veduti nè meno i suoi occhi.
Arlecchino. Mo cossa avi visto? El so mustazzo?