La Veste d'Amianto/Parte prima/II
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte prima - I | Parte prima - III | ► |
II.
Due giorni dopo, nell’aereodromo improvvisato in una delle immense praterie che l’ingegnere Pearly possedeva fuori di Brescia, poco lontano dalla sua villa e dalla sua officina, Susanna rivide Noris.
Ostinandosi nella sua avversione colla pertinacia d’una bimba, ella aveva tentato di esimersi dall’assistere alle prove del nuovo motore Kindler-Pearly del cui risultato inventore e proprietario erano ormai più che sicuri e che perciò entrambi intendevano circondare d’una solennità imponente; ma il suo tentativo di astensione era stato accolto da suo padre con tanta sorpresa e da Max Kindler con tanto rammarico che ella aveva dovuto rinunziare a insistervi.
— Io ho lavorato pensando a voi, Susanna, — le aveva detto il fidanzato, — e voi vorreste infliggermi questa offesa di non assistere al mio trionfo?
Era vero: quello doveva essere il trionfo di Max, ma Susanna se lo era scordato. Non vedeva che il fatto immediato nello scopo della riunione e il fatto immediato erano i voli di Ettore Noris.
Per vedere Noris volare e non già per conoscere i risultati del rendimento del motore Kindler-Pearly erano convenute all’aereodromo, accettando l’invito del padre di Susanna, tutte le amiche e conoscenti di costei, vale a dire tutta l’aristocrazia femminile di Brescia col triplice fascino della bellezza, della eleganza, dello sfarzo, creando intorno all’aereodromo, nell’unico ordine di tribune espressamente costrutto nel recinto chiuso, una ghirlanda viva di magnifici fiori umani.
Oltre il recinto, sul campo aperto, si assiepava la folla quasi tutta maschile, enorme, appassionata, una seconda ghirlanda nera più spessa assai della prima e immobile, severa, rispettosa.
Nel recinto lungo le tribune, era un brusio vivace di voci cinguettanti contenute, di esclamazioni sommesse, di risatine soffocate terminate in una piccola smorfia di falso sgomento... Più intenso era il brusio nel vasto palco che l’ingegnere Pearly aveva riservato per la sua famiglia, ch’egli, con molto buon gusto, aveva disertato poi per recarsi nell’hangar insieme al suo futuro genero, e dove erano convenute invece, intorno alla signora Pearly, a Susanna e a Nadina le più intime amiche della signora e delle signorine.
Tre gruppi, nel palco: le entusiaste dell’aereoplano, capitanate da Nadina, la quale nascondeva gelosamente nel suo piccolo cuore d’essere entusiasta anche dell’aviatore; le miscredenti dell’aviazione — per terrore, per sfiducia, per misoneismo — indifferentissime per l’aviatore, con alla testa la signora Pearly madre; e infine le entusiaste di Ettore Noris, signorine tutte nell’età romantica e giovanissime signore sentimentali o fantastiche o civettuole.
Susanna non apparteneva a nessuno dei tre gruppi.
A chi le aveva chiesto la sua impressione, ella aveva risposto con una frase banalissima:
— Una cosa interessante, senza dubbio.
Adesso, ostentando di non guardare verso il campo dove Noris, già pronto, provava il motore, ella ascoltava con un sorriso assente i commenti delle sue giovani amiche.
Anna Gaudio, la ricchissima, osservava meravigliata:
— Ma è vero che è un bellissimo ragazzo: peccato che faccia l’aviatore!
— Che vuol dire? — replicava convinta e autoritaria Elsa Marlitt, la pallidissima e intelligentissima figlia del banchiere tedesco, — quando un uomo raggiunge in quello che fa l’eccellenza che Noris ha raggiunto non fa più parte del gregge, è qualcosa ed è qualcuno.
— Ha ragione, — approvarono parecchie.
Il concetto di Kindler che però Kindler non aveva saputo esprimere così bene.
Susanna che aveva un grande rispetto per l’intelligenza della sua amica le domandò:
— Tu credi così?
— Ma sicuro!
— Allora, anche un bravo chauffeur....
— Certamente. Non ve ne sono dei famosi? di quelli che si sono illustrati in certe corse vertiginose così da assurgere all’entità di esseri fantastici? Qui siamo in un campo superiore esteticamente e anche il valore dell’individuo s’accresce qui per la gravità maggiore e costante del pericolo.
— Non so, — replicò Susanna, — io non apprezzo che l’intellettualità.
— Vuoi dire, credo, le affermazioni che rientrano nel dominio diretto dell’intelligenza, che ne sono espressioni immediate.
— Certamente.
— Credo che tu abbia torto. Può darsi che alla tua natura di cerebrale siano più affini gli uomini di pensiero che non quelli d’azione: non è una ragione per coinvolgere tutti questi ultimi in un assoluto disprezzo.
La voce acuta, concitata di Nadina interruppe le due amiche.
— Parte! parte!
Era vero.
Ritto presso la sua macchina, tutto chiuso in uno stretto scafandro nero che allungava la sua figura e dava un’intensità anche più cupa alla sua espressione d’austerità, Ettore Noris impartiva le ultime disposizioni ai meccanici.
Adesso, dal palco di Pearly, lo si vedeva benissimo.
— Com’è sempre serio, — osservò una delle fanciulle che apparteneva al gruppo delle entusiaste.
Nadina disse con importanza:
— Ma vedessi che aria buona ha quando ride!
Susanna si rivolse a guardarla con una occhiata di rimprovero.
Ma già due o tre voci domandavano:
— Tu lo hai veduto ridere?
— Sicuro, con me. Non lo sapete che è stato a casa nostra?
Le domande, allora, furono per Susanna.
— Racconta. Che tipo è?
— Educato?
— Interessante?
— Distinto?
— Non so, — disse breve Susanna, — con me non ha parlato.
— È una persona molto corretta, — intervenne a dire la grossa signora Pearly dal fondo della bergère dove s’era sprofondata. — Mio marito m’ha detto che ha una coltura non comune.
— Sì, — confermò Elsa Marlitt, — ha fatto due anni di Politecnico con mio fratello.
— Saranno amici, — disse Susanna.
— Lo sono.
— Ah!
— Maurizio conosce anche tutta la sua storia.
— Ah!, c’è una storia?
— Pare.
— D’amore? — interrogò la biondissima signora Acerra che viveva di romanzi fantasticati, letti e cercati.
— D’amore, — disse breve la Marlitt.
Susanna taceva.
— Racconti! — supplicarono parecchie voci.
— Non posso, non so.
— Che peccato!
Un’altra volta il rombo del motore interruppe i commenti.
Adesso, Noris partiva.
Anche Susanna guardava, vinta suo malgrado dal fascino della cosa magnifica, presa dall’entusiasmo della folla che in unico palpito e in impeto solo salutava la macchina librantesi nell’alto con uno scroscio di battimani che veniva da ogni parte del campo e si diffondeva lontano con un clamore di gloria.
Com’era suo costume di fare, Noris aveva drizzato in alto la prora del suo velivolo come un destriero impennato, con un’audacia di manovra che dava, veduta, un brivido, che metteva nell’entusiasmo del pubblico la tensione di uno sgomento.
— Se cadesse! — disse alle spalle di Susanna una piccoletta bianca in viso come un cencio lavato.
Susanna si rivolse coll’impeto d’una persona, offesa, poi ebbe vergogna del suo impeto, tornò a voltarsi, fissò ancora i suoi occhi verdi su nell’azzurro dove macchina e aviatore s’erano ormai chiusi in una cosa sola staccantesi sullo sfondo dell’orizzonte sfavillante di sole come una doppia sottil linea soltanto, due brevi parallele nere di cui la superiore fosse un poco più lunga dall’altra.
— Taci, — diceva la signora Acerra alla piccola, — non si pensano nemmeno codeste cose.
— Perchè? — chiedeva la bimba meravigliata.
— Perchè portano sfortuna.
Elsa Marlitt sorrise.
— Mi trovate superstiziosa? — domandò la biondissima Acerra alla fanciulla.
La Marlitt tornò a sorridere.
— Siete italiana e per giunta meridionale, — disse, — è naturale che siate superstiziosa. Non ridevo per la vostra paura ma per quella di Gretel.
La piccola Gretel aspettò la spiegazione senza sollecitarla.
— È vana la tua paura, Gretel, — fece la Marlitt. — Ettore Noris non può cadere.
— Davvero?
— Davvero. Ma per una ragione che tu non puoi ancora comprendere, cara.
— Dilla a me, — fece sottovoce Susanna senza distogliere lo sguardo dall’alto.
— Ma per questo semplicemente, che egli è segnato in fronte dal destino e molte grandi cose deve compiere prima che l’ultima sua ora sia suonata.
— Come lo sai, tu?
— Se tu lo avessi guardato come io l’ho guardato, Susanna, gli avresti veduto impresso in fronte il crisma della vittoria. Egli appartiene alla razza dei dominatori; ne ha la espressione pacata, profonda, austera, chiusa.
La voce flautata della biondissima Acerra osservò:
— Come lo esaltate, signorina Marlitt! Non ne sareste per avventura un poco innamorata?
Un’onda di sangue salì a colorare il chiaro viso della fanciulla.
Ma ella rispose tranquilla:
— Sarebbe inutile.
— Lo ammirate però molto?
— Lo ammiro molto.
— Come aviatore o come uomo?
— Non ho mai pensato a separare l’uomo dall’aviatore in lui.
— Scende, — fece a un tratto, piano, quasi lo dicesse a sè stessa, Susanna.
— Precipita! — esclamarono sgomente due o tre piccine.
Una gettò anche uno strillo acuto che distolse per un attimo l’attenzione della folla dall’aviatore.
Ma non precipitava Noris.
Egli si abbandonava semplicemente a uno di quegli esercizi di virtuosità che mettevano a repentaglio la sua vita cento volte e cento in ciascuno dei suoi voli. Salito a un’altezza vertiginosa pareva precipitarne a un tratto a piombo dando la sensazione assoluta della caduta.
Giunto a un centinaio di metri dal suolo, ristabiliva l’equilibrio della sua macchina e risaliva lentamente descrivendo larghe spirali riposanti che calmavano per un poco lo sgomento della folla.
— La vita e la morte sono veramente un giuoco per lui, — disse Susanna sottovoce, per sè e forse anche per l’amica.
— Un giuoco, — confermò costei.
Adesso entrambe seguitavano l’acrobatismo aereo di Noris con un palpito che non era di angoscia ma di esaltazione.
Susanna non rammentava più il suo disdegno.
Ma era veramente quello l’uomo che ella aveva sprezzato, che aveva deplorato d’aver dovuto conoscere che s’era proposta di umiliare e di avvilire?
No. Ella era stata vittima di un inganno. Fra il suo disprezzo e la realtà c’era tutta la distanza che correva tra un aviatore e Noris.
Questi, non era un pilota, era il signore dell’aria.
D’aver trovato questa spiegazione e questa giustificazione si trovò tranquilla.
— La tua teoria dell’eccellenza è giusta, — ella disse rivolta all’amica.
Costei rispose semplicemente:
— Lo so. Bisogna aver veduto Noris volare prima di discorrere con lui.
Adesso, uno stesso stupore teneva le fanciulle e la folla dinanzi al giuoco di Ettore Noris che nessuno comprendeva più.
Mantenendosi a un’altezza di forse cinquanta metri, in modo che nitida apparisse in ogni sua parte la macchina portentosa e chiara e vicina a figura di lui ed evidente la manovra, egli descriveva un bizzarro intrico di curve alternate da rette a volte complete le une e le altre, a volte spezzate, a volte tronche. E la macchina aveva impressioni di manovra arditissime: viraggi stretti come descrivessero un angolo acuto, sterzate violente che la facevano sussultare e sobbalzare come volesse precipitare o schiantarsi.
La domanda che ogni sguardo rifletteva veniva formulata anche da qualche labbro:
— Ma che fa?
La spiegazione non venne, ma Noris, terminato il suo misterioso esercizio, si librò in alto a un tratto descrivendo una parabola maestosa e nel suo cammino ascensionale lo accompagnò a un tratto il clamore d’un applauso frenetico che partiva dall’hangar e del quale aveva dato il segnale il padre di Susanna.
— Papà è contento, — fece Nadina.
L’applauso era diventato adesso unanime, frenetico, folle.
— Deve aver fatto qualche cosa di molto difficile Noris, — disse ancora Nadina.
Entrava nel palco delle signore l’ingegner Kindler.
— Avete visto? — egli domandò dopo aver salutato la madre di Susanna.
Nadina gli chiese:
— Ma che ha fatto?
— Non vi siete accorte? Ha descritto nell’aria, coll’aereoplano, il nome del nuovo motore: «Kindler-Pearly».
Venti voci espressero diversamente la rispettiva ammirazione, la sorpresa la meraviglia.
Susanna non diceva sillaba ma aveva sulle labbra un enigmatico sorriso.
Fu a lei che Kindler si rivolse un po’ esitante:
— Che ne dite, cara? — domandò.
— È meraviglioso, — ella disse.
Una luce di gioia sfavillò negli occhi dell’ingegnere.
— Nevvero? — rispose. — Io sapevo che se lo aveste veduto vi avrebbe vinta.
Susanna trasalì.
— Non era un duello fra noi, — sussurrò.
— È vero. Ma sono felice che vi siate ricreduta.
Intervenne la signora Pearly per domandare:
— Che ne dice mio marito?
— Il signor Pearly è entusiasta. La nostra casa ha ottenuto oggi una vittoria che tutte le concorrenti c’invidieranno.
— Oh, quegli affari! — esclamò Susanna.
Kindler sorrise.
— Cara, tutto si riduce a un affare.
Ella protestò:
— Non lo dite, per carità. Non lo dite in questo momento in cui voglio credere soltanto alla poesia d’una cosa bella.
— Avete ragione. Allora vi lascio e vado a dire a vostro padre che Noris ha conquistato anche voi.
Lo stesso brivido di prima fece trasalire Susanna. Ella accompagnò con uno sguardo quasi pietoso il fidanzato che scendeva la gradinata della tribuna per riattraversare il campo e rientrare nell’hangar.
Per la prima volta una vaga malinconia la sfiorò al pensiero che Kindler avrebbe rappresentato fra poco tutta la sua vita.
Distolse lo sguardo da lui, lo riportò verso Noris.
Dopo il difficile e bizzarro volo durato quasi mezz’ora, Noris scendeva adesso avvicinandosi al campo, in lente, ampie volute regolari. A un certo punto egli passò anche al disopra delle tribune vicino così da sfiorarle quasi.
Un grido di spavento echeggiò nel palco, ma Susanna non trasalì.
Ella aveva sollevato lo sguardo e per un attimo il viso di Ettore Noris le era apparso pallido e chiuso, con un’espressione di energia quasi violenta nella bocca chiusa sotto i baffi neri e brevi, negli occhi intenti sulla macchina, nel solco verticale della fronte tra le sopracciglia corrusche.
Più che mai la sua maschera appariva quella del dominatore.
Un desiderio improvviso prese Susanna di sapere cosa fosse dietro quel viso rigido e muto, sotto quella maschera ermetica. Ed ella si avvide del suo desiderio e la sua volontà non lo rinnegò.
Noris s’era allontanato, si avvicinava al suolo, lo toccava, lo toccò. Fermò la macchina dinanzi all’hangar con una precisione matematica e quest’ultima straordinaria manovra pose il colmo all’entusiasmo del pubblico, fece traboccare le emozioni in un’unica espressione che a sua volta si tradusse nel gesto acclamante di mille mani e mille, nell’urlo d’infinite voci fuse in una sola per esaltare l’aviatore.
— Passami il binoccolo, — pregò Susanna rivolta a sua madre.
Lo aveva Nadina il binoccolo e non voleva cederlo. Ubbidì all’ingiunzione materna.
Susanna puntò le lenti verso l’hangar. Voleva vedere Noris nel momento del trionfo, scrutare il suo viso imperscrutabile nell’istante in cui migliaia di uomini esaltavano il suo nome consacrato ancora una volta dalla vittoria.
E il desiderio provato poco prima, di sapere la parola del mistero che metteva la sua impronta su tutto quell’individuo, la riprese quando vide Noris rispondere all’entusiasmo generale con un sorriso appena abbozzato, morto, stanco. Ecco: il binoccolo lo avvicinava, lo rivelava, lo metteva intero in balìa dei suoi occhi ansiosi di sapere: l’ingegnere Pearly e Max Kindler gli stringevano le mani con un’effusione straordinaria: a entrambi Noris rispondeva chinando il capo e mormorando qualche parola che Susanna non poteva afferrare.
Adesso si faceva circolo intorno all’aviatore: autorità, giornalisti, invitati gli si affollavano intorno curiosi, interessati, interrogando, guardando. Egli rispondeva a monosillabi guardando un po’ l’uno, un po’ l’altro, volgendosi da destra a sinistra, docile, cortesissimo.
Qualcuno s’avanzava con un vassoio. Susanna potò scorgere benissimo suo padre nell’atto di offrire a Noria un calice di sciampagna che costui accettò e che sollevò brindando prima di portarlo alle labbra.
E che facevano adesso?
Lo chauffeur di casa Pearly aveva portato l’automobile dinanzi all’hangar, proprio accanto all’apparecchio, e Susanna vedeva adesso suo padre parlare a Noris con una insistenza cortese accennandogli la vettura.
Dove voleva portarlo?
Forse alla loro villa. E Noris si schermiva. La fanciulla lo vedeva fare col capo un cenno di diniego e accennare all’aereoplano.
Noris ricusava d’andare da loro.
Un senso di rammarico, dov’era anche una punta di vergogna, strinse il cuore di Susanna. Certamente era per lei che Noris ricusava di andare a villa Pearly. Egli aveva compreso la sua ostilità e non voleva esporvisi un’altra volta.
Pensava così con amarezza quando il suo sguardo, attraverso le lenti, incontrò lo sguardo di Max Kindler che la osservava beato. Evidentemente Kindler era felice di vedere la sua amatissima interessarsi tanto a quella festa che consacrava il suo trionfo.
À un tratto, Susanna ebbe un tuffo al cuore.
Kindler s’era rivolto a dire qualcosa a Pearly e a Noris, qualcosa riguardante lei, perchè suo padre dapprima e Noris poi, avevano levato lo sguardo nella direzione del palco e la salutavano, il padre con un gesto festoso, Noris con un inchino profondo.
E lo sguardo di Noris era su di lei. Un attimo. Subito ella depose il binoccolo e distolse lo sguardo perchè l’impressione le era insostenibile, ma poi socchiuse gli occhi per ritrovare dentro di sè la luce e l’espressione degli occhi di Noris così intensi e così lontani.
Ma che cosa poteva aver detto Kindler a Noris?
Certamente egli aveva fatto osservare all’aviatore come anche la signorina Pearly si interessasse di lui ed ella si era lasciata davvero sorprendere anche da Noris nell’atto di cercarlo col binoccolo.
Un moto dell’orgoglio non domato fece insorgere tutti i suoi istinti di rivolta in una disapprovazione violenta dell’atto di Kindler.
Si propose di rimproverarlo non appena lo avesse veduto. E per un caso singolare, come chiamato dal suo proposito, Kindler comparve subito nel palco, avanzò dritto verso di lei, disse con un sorriso di grande soddisfazione:
— È andato tutto benissimo.
Prima che Susanna potesse parlargli, Elsa Marlitt intervenne:
— Volevate portar via l’aviatore, nevvero?
— Perchè?
— Ho visto l’automobile di Pearly entrare nell’hangar.
— No, non si voleva portarlo via, — spiegò Kindler, — soltanto, siccome moltissimi, tutti, anzi, chiedevano di vedere l’aviatore, Pearly, gli ha proposto di fargli fare un giro in automobile lungo le tribune, dentro il campo.
— Non ha voluto?
— Non ha voluto.
— Perchè?
— Perchè dice che deve rivedere l’apparecchio.
— Ma non funzionava benissimo?
— Funzionava splendidamente, ma Noris è innamorato della sua macchina e ha bisogno di starle intorno sempre. Guardatelo.
Accennò verso l’hangar e le fanciulle videro Ettore Noris affaccendato ad aiutare i suoi meccanici che facevano rientrare l’aeroplano sotto il capanno. Egli si era liberato dello scafandro ma aveva già indossato sopra il costume da città, un camiciotto azzurro da operaio che più facilmente lo faceva confondere, da lontano, con uno dei suoi aiutanti.
— Quello? — fece la biondissima Acerri che si era accostata al gruppo formato dall’ingegnere colla fidanzata e colla Marlitt.
— Quello, — affermò Elsa Marlitt.
— Uh, che orrore adesso! fa scappare la poesia.
La pallida tedesca ebbe un silenzioso sorriso di disdegno.
— È la realtà, — disse tranquillamente Kindler.
— No, — fece Susanna, — la realtà è la poesia di poc’anzi.
— Brava! — approvò l’ingegnere, — sono contento di sentirvi parlare così, mia cara. Anch’io ho indossato più d’una volta la blusa da operaio per compiere o aiutare a compiere nell’officina qualche lavoro difficile. E non ritengo di essermi diminuito in quel momento.
— Almeno, — osservo l’Acerri, — avrete aspettato a farlo quando la vostra fidanzata non era presente.
— La mia fidanzata sa ch’io lavoro, — replicò Kindler, — e a ogni modo, la condizione non vale per Noris. Egli non ha qui fidanzate, che io sappia.
Soggiunse subito, rivolto alla Marlitt:
— Sapete che ci ha parlato di vostro fratello?
— Ah, sì?
— Sì. E io allora gli ho detto che anche la sorella di Marlitt era una sua appassionata ammiratrice.
Il bianco viso della fanciulla si imporporò per la commozione.
— Così gli avete detto?
— Così. E gli ho anche indicato il palco dove voi vi trovavate. Non vi siete accorta ch’egli ha guardato qui e salutato?
— Sì, — rispose la Marlitt mentre un gelo improvviso metteva un brivido nelle vene a Susanna, — sì, ho veduto, ma ho creduto che Pearly e voi gli indicaste Susanna.
— No, egli aveva già veduto Susanna.
— Non credo, — fece costei irrigidendosi contro il tumulto che ricominciava nel suo cuore come contro la minaccia d’un nuovo dolore.
— Perchè non credete?
La voce di Kindler era piena di meraviglia.
— Perchè non può essere, — replicò Susanna.
— Cara, mi duole di contraddirvi, ma non comprendo perchè non possiate ammettere che Nons vi abbia visto. Egli ha veduto dall’alto, voi e Nadina, e lo ha detto a vostro padre appena disceso.
Quel particolare fu accolto in silenzio da Susanna che si rivolse a guardare verso l’hangar per non sostenere in quel momento lo sguardo del fidanzato, mentre Nadina, ebbra di gioia e di orgoglio, si precipitava a narrare alla mamma e alle amiche la grande notizia.
— Sapete? Noris ci ha distinto fra tutti, dall’alto dell’aereoplano, Susanna e me!
Stavolta ella si ribellò anche alla voce della sorella che la richiamava all’ordine:
— Nadina, smettila!
— Oh, fammi il piacere! Se tu non lo puoi soffrire, Noris, lascia almeno che piaccia a me!
L’uscita della bimba provocò una risata generale.
Sorrise anche Susanna, grata in cuor suo alla sorellina di quella specie d’assoluzione che ella le dava anche in faccia a sè stessa.
La signora Pearly sollecitava intanto le figliuole.
— Che cosa aspettate ancora? Non vedete che se ne vanno tutti?
Kindler si scusò:
— Dire che ero salito per avvertirvi che l’automobile è giù.
— Anche voi, ingegnere, perdete la testa per Ettore Noris? — domandò la Acerri con un sorriso d’ironia.
— Non è il caso, — fece Kindler, — perchè tanto non me ne sarebbe grato.
— Refrattario a qualsiasi seduzione, vero?
— Dicono.
— Come mi sarebbe piaciuto avvicinarlo! Ero proprio venuta con questa speranza. Perchè non ce lo avete accompagnato qui!
— Se credete che Noris sia tipo da lasciarsi accompagnare dove si vuole!
— Volete dire che avrebbe rifiutato di lasciarsi presentare a delle signore?
— Era capacissimo di farlo.
— Che strano uomo! sento ancora più vivo il desiderio di conoscerlo.
— Un desiderio che potrete soddisfare facilmente se stasera verrete da noi.
— Ci sarà anche Noris?
— Sì.
— Voi dite? — interrogò Susanna sorpresa da quella notizia che le tornava nuova.
Kindler confermò.
— Sì, cara. Vostro padre lo ha pregato d’assistere alla cerimonia di stasera e Noris ha accettato.
La spiegazione era stata data mentre Susanna scendeva la scalinata della tribuna, preceduta dalla Marlitt e precedendo a sua volta Kindler, cosicchè nessuno s’accorse dei pallore improvviso ch’erasi diffuso sul viso della fanciulla.
Ella non fece osservazione alcuna, ma salutate le amiche e salita in vettura colla madre, la sorella e il fidanzato, mentre l’auto correva verso la villa, si isolò da tutti chinando le palpebre sui suoi grandi occhi verdi per assorbirsi nella ricerca delle ragioni che da qualche ora avevano portato lo scompiglio nel suo magnifico equilibrio morale.
Perchè la commuoveva tanto l’idea di rivedere Noris nella sua casa, di parlargli, di ascoltarlo, di vederlo assistere alla cerimonia del suo fidanzamento? Che cosa aveva fatto o detto quell’uomo che il giorno innanzi ella aveva accolto e giudicato con disdegno, per portare tanto turbamento nel suo spirito?
Nulla.
Egli l’aveva forse veduta ma non l’aveva nemmeno guardata ed ella non aveva neppure udito il suono della sua voce.
E allora?
Ecco: ella lo aveva veduto volare e l’entusiasmo della folla pel dominatore aveva conquistato e trascinato lei pure. Era tutto il gran valore che ella dava alla forza, all’audacia, all’energia, alla volontà imperiosa di affermazione e di conquista, allo sprezzo sereno della morte che trasfigurava Noris ai suoi occhi e ingigantiva nel suo prestigio le proporzioni della sua figura.
Ebbene, ella avrebbe ammesso di fronte a sè stessa come dinanzi agli altri d’aver subito il lascino che tutti subivano e la confessione che umiliava un tantino il suo orgoglio pel ricordo dell’errore commesso il giorno innanzi, avrebbe acquetato il dissidio e il turbamento del suo spirito.
Le parve che questa conclusione fosse tale da calmare tutte le sue apprensioni, cosicchè rientrò in casa e attese la seria in condizioni di spirito piuttosto serene.
Il tempo passò rapido nella cura degli infiniti piccoli particolari che dovevano assicurare la riuscita della festa.
Ebbro di felicità Max Kindler stava accanto alla fidanzata e l’aiutava premuroso coll’impressione di lavorare alla costruzione della propria felicità ogni volta che gli era dato di compiere qualche piccolo servigio.
Alle frasi innamorate che egli osava sussurrarle di tratto in tratto, Susanna rispondeva con un mite sorriso malinconico che Max interpretava come indizio di commozione e che gli rendevano ancor più cara la dilettissima.
Com’era buona, Susanna, quella sera, com’era buona!
Max Kindler, abituato ai capricci imperiosi e frequenti della fanciulla, non si capacitava come ella fosse così docile e mite, così buona con lui, così contenta, di tutto in quella sera eccezionale.
Forse per la prima volta durante tutto il tempo del suo fidanzamento il buon tedesco credette davvero all’amore di Susanna che sino allora gli era apparso soltanto come un magnifico premio lontano da conquistarsi e irraggiungibile.
E Susanna era buona soltanto perchè era triste d’una tristezza dolce e languida che ella non sapeva spiegare, che non si curava di spiegare e che le era cara come una gioia secreta.
Più che mai la sua tenerezza per Kindler rassomigliava quella sera a un affetto fraterno, più che mai le sue parole e le suo proteste passavano sull’anima sua senza turbarla nemmeno alla superficie.
Come in un sogno ella accudiva alle piccole faccende minute ed eleganti che rientravano nei suoi doveri di padroncina di casa. Ma non le pareva di lavorare per sè mentre disponeva fiori e fiori su tutti i mobili dei salotti, dentro tutte le coppe, lungo la tavola della sala da pranzo. Lontano era il suo spirito o meglio assente, non intento a nessuno e a nessuna cosa, e come chiuso sopra un sogno.
Ma quando, un domestico entrò reggendo un magnifico canestro di gardenie bianche disposte in modo da raffigurare un monoplano colle grandi ale distese e annunziò che lo inviava Ettore Noris, un turbamento improvviso assalì la fanciulla, che ella non seppe nemmeno superare, che la inchiodò in mezzo alla stanza immobile, muta con grandi occhi intorbiditi spalancati sui fiori.
— Dove lo debbo mettere? — domandava il domestico.
E Susanna non fu in grado di rispondere.
Fu Kindler che prese i fiori e li portò alla fidanzata chiedendole con un sorriso:
— Cara, sei commossa, nevvero?
La voce dell’amico buono fece trasalire la fanciulla, le diede la forza di superare l’ambascia interiore oscura e incomprensibile, di rispondere al suo sorriso e alla sua domanda.
— Io indovino — ripetè Kindle — che tu hai un po’ di rimorso, oggi, verso Noris.
— È vero, — ella confessò.
— Non ci pensare. Egli non s’è neppure accorto del tuo malvolere.
— Speriamo sia così.
— D’altronde, — proseguì Max, — hai un modo semplicissimo di riparare.
— E cioè?
— Stasera, quando Noris verrà, tu gli vai incontro, gli stendi la mano e lo ringrazi dei fiori.
— Non ne avrò mai il coraggio, — dichiarò Susanna con convinzione.
Kindler sorrise.
— Che enormità tu dici, cara! una donnina come te che non si periterebbe di comparire dinanzi all’Imperatore.
Sorrise anche Susanna senza replicare.
— D’altronde, — riprese Kindler, — bisogna pure che tu lo ringrazi dei fiori. Sono veramente meravigliosi. Non avrei mai creduto che Noris potesse avere il pensiero di mandarci dei fiori.
— Perchè?
— Perchè è un uomo singolare che non tiene conto alcuno delle convenienze mondane.
Entrarono i Pearly padre e madre. La signora, già agghindata e acconciata per il ricevimento solenne, si disperò perchè Susanna non pensava ancora ad andare a vestirsi.
Il marito, florido, soddisfatto, raggiante si esaltò alla vista dei fiori come un fanciullo.
— Magnifico! indovinatissimo! perfetto! quel Noris è un ragazzo straordinario. Mi piace, parola d’onore, mi piace. Se riesce a mettere insieme un milione lo dò per marito a Nadina che ne è innamorata.
— E senza il milione? — interrogò Susanna.
— Senza il milione no. Ma non aver paura che quello non impiega mica molto tempo a metterlo insieme.
— Potrebbe forse già averlo, — osservò Kindler, — se fosse più interessato.
— Già, — riprese a dire il padre, — è grave difetto questo suo di disprezzare il denaro. Non vorrei questo difetto in un genero. Bisognerà soprassedere a dar marito a Nadina.
Uscì in una clamorosa risata mentre sua moglie badava a esortarlo:
— Non dir sciocchezze, amico mio; un aviatore non è un uomo che si possa sposare.
Susanna guardò sua madre con compassione.
— Povera, mamma! — disse, — non ti preoccupare. Ti garantisco io che Noris non sposerà Nadina.
— Lo spero anch’io, figliuola, e non mi preoccupo. Ma adesso, ti prego, vai a vestirti.
Susanna ubbidì anche perchè sentiva vivissimo il bisogno di essere sola.
Giunta nella sua camera, suo primo impulso fu di coprirsi il viso colle mani e sollevarlo in alto buttando indietro il capo in una muta invocazione di soccorso.
— Dio mio, Dio mio, — mormorò, — ma che avviene dunque dentro di me?
Noris le aveva mandato dei fiori. Non era una cosa naturale nella circostanza che ricorreva? Suo padre lo aveva invitato ad assistere a un’intima festa di famiglia ed egli rispondeva a quella cortesia con un’altra cortesia. Che c’era dunque di così singolare in tutto questo?
Nulla. Ma l’idea che Noris aveva necessariamente fermato il pensiero su di lei per scegliere i fiori da inviarle, bastava a darle una irrequietezza singolare. Come la pensava Noris? Chissà! forse rispondeva con disprezzo al creduto disprezzo di lei e quei fiori altro non erano che una cortesia usata a suo padre e al suo fidanzato. E forse non la pensava neppure, non s’era davvero accorto di lei, come aveva detto due giorni prima a Max Kindler.
Questa supposizione le parve ancora più intollerabile della prima.
Sentì che difficilmente ella avrebbe ritrovato la pace e il suo sereno equilibrio ove non avesse saputo, e allora risolse di avvicinare Noris quella sera e di interrogarlo fin che la sfinge non si fosse rivelata.
Presa la risoluzione, Susanna potè attendere a vestirsi e riuscì a prestare anche una discreta, attenzione ai consigli della cameriera che quella sera metteva, nella riuscita della toeletta della signorina, tanto amor proprio quanto ne avrebbe messo in un impegno d’onore.
La toeletta di Susanna riuscì meravigliosamente, ma portò un ritardo considerevole. Quando ella comparve nel salotto di sua madre, gli invitati cominciavano ad arrivare e Max Kindler si spazientiva.
Egli le corse incontro quando la vide, le offerse il braccio, l’accompagnò attraverso le sale ricevendo accanto a lei i complimenti rivolti alla bellezza, di Susanna e gli auguri formulati per la felicità d’entrambi.
— Siete così bella, stasera, — le disse a un tratto, — che io mi sento avvilito.
— Perchè? — domandò lei.
— Perchè mi par d’essere il più presuntuoso fra gli uomini osando amarvi e volervi come vi amo e come vi voglio.
Quelle ingenue parole appassionate non commossero Susanna. Ella, cercava collo sguardo, intorno, se mai apparisse in qualche gruppo d’abiti neri l’alta figura di Ettore Noris.
Ma Ettore Noris non venne che più tardi, molto più tardi, quando la presentazione ufficiale del fidanzato di Susanna era già stata fatta dal padre di lei e nel gruppo delle signore si cominciava a disperare di rivedere l’aviatore.
Egli venne, entrò quasi inosservato e si fermò nel secondo salotto dove per un caso fortuito Ester Acerri, la biondissima che viveva di romanzi, riuscì a bloccarlo tenendolo sequestrato.
Susanna lo rivide poco dopo, quando ella pure cominciava ormai a disperare e sul suo viso la delusione aveva già steso un velo lieve di malinconia.
Lo rivide appunto mentre egli parlava coll’Acerri in un gruppo di signore che s’erano raccolte intorno a lei per avvicinare l’aviatore.
A sua volta, Susanna era accompagnata da un giovane avvocato molto mondano e molto aristocratico che credette di cattivarsi la simpatia della fanciulla osservando rivolto a Noris:
— Ecco un uomo che mi sembra più a posto sotto la tettoia d’un hangar che non in uno dei vostri salotti.
Fu stupito di udire la fanciulla rispondergli:
— Lo credo anch’io ed è un onore che noi rendiamo a Noris.
Il giovanotto s’inchinò.
— Poichè voi lo dite!
Senza più curarsi di lui, Susanna s’avvicinò risolutamente al gruppo femminile che si contendeva l’aviatore.
Una singolare agitazione e insolita era in lei, un’eccitazione che le diede la forza di chiedere, rivolta a Noris:
— È permesso fare omaggio al valore?
Ettore Noris rispose con un sorriso alla frase che lo sorprendeva un poco, s’inchinò, prese appena la mano che Susanna gli stendeva e dove brillava già il cerchietto d’oro offertole quella sera dal fidanzato.
— Voi mi prevenite, — disse, — ma io giungo appena e non avevo ancora avuto il bene di trovarvi per presentarvi i miei auguri.
— Grazie, il vostro augurio ce lo hanno portato già i vostri magnifici fiori. Siete stato squisito.
Un’altra volta Ettore s’inchinò senza che l’espressione del suo viso si alterasse menomamente.
L’Acerri interveniva:
— Si possono vedere codesti fiori? — domandò.
— Sono nella sala da pranzo, — disse Susanna, — li vedrai fra poco.
Si rivolse ancora a Noris per chiedergli:
— Non venite di là? Avete già veduto mia madre? e papà? e Max?
— Non ho veduto nessuno, signora; come lei vede, sono stato sequestrato.
— Osate lagnarvene! — esclamò Max Kindler che per l’appunto compariva allora andando in traccia della fidanzata.
— Non me ne lagno infatti. Mi limitavo a constatare.
— Ma non è neppure entusiasta, — dichiarò l’Acerri, — non ho mai conosciuto un uomo meno galante di Ettore Noris.
— Possibile? — fece Max Kindler fingendosi scandalizzato.
— Parola. Ha avuto il coraggio di dichiararci che egli non ha che una passione al mondo; la sua macchina. È vero?
— È vero, — confermò Noris.
— E dopo la vostra macchina che cosa amate? — domandò di nuovo la biondissima.
— Ancora la mia macchina, signora.
— Ma infine, amerete pure qualcosa oltre la vostra macchina?
— Non mi accorgo di tenere ad altro, — confessò Noris semplicemente.
— E osate dire questo a delle signore?
— Voi mi interrogate per sapere la verità, suppongo.
— Dunque, ci odiate?
— Chi?
— Noi donne.
Un solco si scavò sulla fronte di Noris, tra le sopracciglia contratte.
— Ahi — egli disse, — questo volevate sapere?
— Questo, sì.
Egli girò il suo sguardo sul gruppo, lo fermò un istante su ciascuno dei visi intenta sul suo, colse di ognuno l’espressione ammiratrice, di qualcuno il segreto appassionato, poi disse lentamente con una voce che diceva non l’amarezza della rinunzia ma la risoluzione ferma e invincibile:
— Quando si combatte ogni giorno un duello colla morte, non è lecito pensare all’amore.
— Ma perchè avete scelto per vostra parte quella terribile battaglia quotidiana? — interrogò ancora l’Acerri.
— Perchè mi piace, — fece Ettore Noris. E nei suoi occhi brillò una fiamma della quale Susanna sentì il guizzo sino in fondo al cuore.
— Bravo Noris, — disse forte la voce di Elsa Marlitt che appoggiata allo stipite della porta, alle spalle di Noris, aveva ascoltato inosservata e in silenzio la schermaglia provocata dalla curiosità dell’Acerri.
Egli si rivolse.
Susanna lo presentò all’amica e subito si pentì di aver fatto la presentazione poichè vide Noris appartarsi con Elsa che aveva saputo subito accaparrarselo.
Intanto, nelle altre sale, la voce diffusa della presenza di Noris provocava un movimento generale di curiosità. Tutti volevano avvicinare l’aviatore, parlargli, farsi distinguere da lui.
La formosissima contessa Strazzo che malgrado la quarantina passata persisteva a difendere felicemente la sua già famosa bellezza e la sua arte di seduzione dalle ingiurie del tempo, raccomandava a Susanna che aveva ripreso, accanto al fidanzato, il suo compito di padrona di casa:
— Bada di presentarmelo, sai?
— Non dubiti, contessa.
— Sono curiosa di guardarlo in faccia questo nemico delle donne.
— Gli troverà un viso piuttosto impassibile, — osservò Susanna sorridendo.
— Va’ là! cosa vuoi mai sapere tu che sei una bambina! Ne ho visto tanti di codesti semi-selvaggi abbassar le arie e diventare più carezzevoli d’un augellino!
— Ma Noris non è un semi-selvaggio, signora.
— Cara mia, un uomo che si dice refrattario all’amore, non può essere che un selvaggio autentico.
La fanciulla sorrise e non contraddisse.
Col pretesto di dover andare in cerca di Noris per presentarlo alla contessa Strazzo, si staccò da Kindler e ritornò nel salotto dove aveva lasciato poco prima Elsa e l’aviatore.
Il salotto era deserto.
Ella sorperse Noris in un’altra sala, accanto a sua madre, intento a discorrere con lei.
Poichè la visione le dava un senso di sicura dolcezza, ella rimase a contemplare Noris da lungi meravigliata di vedergli un espressione tanto in contrasto con quella che gli era abituale.
Si sarebbe detto che Noris si abbandonasse, in quel colloquio, alla dolcezza di non dover stare in guardia contro qualcuno o contro qualche cosa. Proprio l’impressione che Susanna subiva ora che quel viso avesse disarmato e lasciasse mostrare — calata la maschera — il vero aspetto dell’anima che rispecchiava.
Più acuto si fece nella fanciulla il convincimento che l’atteggiamento solito dell’aviatore nascondesse un mistero.
Davvero un mistero d’amore, come aveva detto nel pomeriggio di quello stesso giorno Elsa Marlitt? La sua semplice anima fu propensa a crederlo e attraverso a quel convincimento rivestì di un fascino nuovo l’aviatore.
Chissà che cosa diceva adesso, Noris a sua madre?
Fu tentata d’andarle vicino per godere lei pure la gioia di quel colloquio semplice che pareva interessare tanto sua madre e dal quale Noris sembrava trarre tanto riposo.
Ma non appena ella ebbe raggiunto sua madre, il viso di Ettore Noris riprese la sua maschera impenetrabile e rigida.
Un dolore acuto strinse il cuore di Susanna di fronte a quella prova evidente di ostilità.
Noris non le faceva l’onore di scoprire per lei, come aveva fatto per sua madre, un poco dell’anima sua. La considerava dunque indegna di leggere dentro la sua anima?
Un moto dell’antico orgoglio prese in lei il sopravvento anche sul dolore. Sopratutto, sopratutto bisognava che Noris non si avvedesse che dal suo contegno ella era stata ferita.
Disse con una ironia non celata:
— Mi duole di darvi una seccatura, ma c’è una signora che desidera conoscervi.
— Onoratissimo, — egli disse inchinandosi.
La buona signora Pearly domandò:
— Chi è?
— La contessa Strozzo, mamma.
— State in guardia, — fece la signora rivolta a Noris e sorridendo, — è molto pericolosa.
— Ma il signor Noris è coraggioso, — osservò Susanna. E rivolta a Noris domandò: — Vogliamo andare?
— Andiamo.
La contessa Strazzo non ebbe la soddisfazione di accaparrarsi subito Noris. Proprio nell’istante in cui Susanna e l’aviatore si dirigevano verso di lei, un suono di gong avvertì che la cena era pronta.
Noris si trovò ad essere naturalmente il compagno di Susanna nel breve tragitto verso la sala da pranzo e il suo compagno di prospetto a tavola.
Si parlarono ancora: Noris senza trovare più l’espressione semplice e serena che poco prima aveva trasfigurato, sotto gli occhi di Susanna, il volto di lui; la fanciulla, senza riuscire più a superare il senso d’ostilità che la piccola delusione subìta aveva fatto risorgere in lei e che rendeva amara ogni sua espressione.
Più volte, durante il rimanente della serata, Max Kindler osservò la sua fidanzata con un accoramento segreto chiedendosi che cosa turbasse quel piccolo cuore che egli indovinava ferito anche sotto la vivacità fittizia che Susanna ostentava e che la febbre dei suoi nervi l’aiutava a mentire.
La reazione venne dopo. Quando, finita la festa, partiti gli invitati, ritiratosi anche Max, ella potè finalmente rifugiarsi nella sua cameretta e abbandonarsi al disordine che teneva tutto il suo spirito e dove ella non distingueva più se e qual cosa in lei dolorasse.
Il sonno venne assai tardi a suggellare i suoi occhi pieni di lagrime.