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e di conquista, allo sprezzo sereno della morte che trasfigurava Noris ai suoi occhi e ingigantiva nel suo prestigio le proporzioni della sua figura.

Ebbene, ella avrebbe ammesso di fronte a sè stessa come dinanzi agli altri d’aver subito il lascino che tutti subivano e la confessione che umiliava un tantino il suo orgoglio pel ricordo dell’errore commesso il giorno innanzi, avrebbe acquetato il dissidio e il turbamento del suo spirito.

Le parve che questa conclusione fosse tale da calmare tutte le sue apprensioni, cosicchè rientrò in casa e attese la seria in condizioni di spirito piuttosto serene.

Il tempo passò rapido nella cura degli infiniti piccoli particolari che dovevano assicurare la riuscita della festa.

Ebbro di felicità Max Kindler stava accanto alla fidanzata e l’aiutava premuroso coll’impressione di lavorare alla costruzione della propria felicità ogni volta che gli era dato di compiere qualche piccolo servigio.

Alle frasi innamorate che egli osava sussurrarle di tratto in tratto, Susanna rispondeva con un mite sorriso malinconico che Max interpretava come indizio di commozione e che gli rendevano ancor più cara la dilettissima.

Com’era buona, Susanna, quella sera, com’era buona!

Max Kindler, abituato ai capricci imperiosi e frequenti della fanciulla, non si capacitava come ella fosse così docile e mite, così buona con lui, così contenta, di tutto in quella sera eccezionale.

Forse per la prima volta durante tutto il tempo del suo fidanzamento il buon tedesco credette davvero all’amore di Susanna che sino allora gli era apparso soltanto come un magnifico premio lontano da conquistarsi e irraggiungibile.

E Susanna era buona soltanto perchè era triste d’una tristezza dolce e languida che ella non sapeva spiegare, che non si curava di spiegare e che le era cara come una gioia secreta.