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— Parola. Ha avuto il coraggio di dichiararci che egli non ha che una passione al mondo; la sua macchina. È vero?
— È vero, — confermò Noris.
— E dopo la vostra macchina che cosa amate? — domandò di nuovo la biondissima.
— Ancora la mia macchina, signora.
— Ma infine, amerete pure qualcosa oltre la vostra macchina?
— Non mi accorgo di tenere ad altro, — confessò Noris semplicemente.
— E osate dire questo a delle signore?
— Voi mi interrogate per sapere la verità, suppongo.
— Dunque, ci odiate?
— Chi?
— Noi donne.
Un solco si scavò sulla fronte di Noris, tra le sopracciglia contratte.
— Ahi — egli disse, — questo volevate sapere?
— Questo, sì.
Egli girò il suo sguardo sul gruppo, lo fermò un istante su ciascuno dei visi intenta sul suo, colse di ognuno l’espressione ammiratrice, di qualcuno il segreto appassionato, poi disse lentamente con una voce che diceva non l’amarezza della rinunzia ma la risoluzione ferma e invincibile:
— Quando si combatte ogni giorno un duello colla morte, non è lecito pensare all’amore.
— Ma perchè avete scelto per vostra parte quella terribile battaglia quotidiana? — interrogò ancora l’Acerri.
— Perchè mi piace, — fece Ettore Noris. E nei suoi occhi brillò una fiamma della quale Susanna sentì il guizzo sino in fondo al cuore.
— Bravo Noris, — disse forte la voce di Elsa Marlitt che appoggiata allo stipite della porta, alle spalle di Noris, aveva ascoltato inosservata e in silenzio la schermaglia provocata dalla curiosità dell’Acerri.
Egli si rivolse.