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Un desiderio improvviso prese Susanna di sapere cosa fosse dietro quel viso rigido e muto, sotto quella maschera ermetica. Ed ella si avvide del suo desiderio e la sua volontà non lo rinnegò.
Noris s’era allontanato, si avvicinava al suolo, lo toccava, lo toccò. Fermò la macchina dinanzi all’hangar con una precisione matematica e quest’ultima straordinaria manovra pose il colmo all’entusiasmo del pubblico, fece traboccare le emozioni in un’unica espressione che a sua volta si tradusse nel gesto acclamante di mille mani e mille, nell’urlo d’infinite voci fuse in una sola per esaltare l’aviatore.
— Passami il binoccolo, — pregò Susanna rivolta a sua madre.
Lo aveva Nadina il binoccolo e non voleva cederlo. Ubbidì all’ingiunzione materna.
Susanna puntò le lenti verso l’hangar. Voleva vedere Noris nel momento del trionfo, scrutare il suo viso imperscrutabile nell’istante in cui migliaia di uomini esaltavano il suo nome consacrato ancora una volta dalla vittoria.
E il desiderio provato poco prima, di sapere la parola del mistero che metteva la sua impronta su tutto quell’individuo, la riprese quando vide Noris rispondere all’entusiasmo generale con un sorriso appena abbozzato, morto, stanco. Ecco: il binoccolo lo avvicinava, lo rivelava, lo metteva intero in balìa dei suoi occhi ansiosi di sapere: l’ingegnere Pearly e Max Kindler gli stringevano le mani con un’effusione straordinaria: a entrambi Noris rispondeva chinando il capo e mormorando qualche parola che Susanna non poteva afferrare.
Adesso si faceva circolo intorno all’aviatore: autorità, giornalisti, invitati gli si affollavano intorno curiosi, interessati, interrogando, guardando. Egli rispondeva a monosillabi guardando un po’ l’uno, un po’ l’altro, volgendosi da destra a sinistra, docile, cortesissimo.
Qualcuno s’avanzava con un vassoio. Susanna potò scorgere benissimo suo padre nell’atto di