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volte spezzate, a volte tronche. E la macchina aveva impressioni di manovra arditissime: viraggi stretti come descrivessero un angolo acuto, sterzate violente che la facevano sussultare e sobbalzare come volesse precipitare o schiantarsi.

La domanda che ogni sguardo rifletteva veniva formulata anche da qualche labbro:

— Ma che fa?

La spiegazione non venne, ma Noris, terminato il suo misterioso esercizio, si librò in alto a un tratto descrivendo una parabola maestosa e nel suo cammino ascensionale lo accompagnò a un tratto il clamore d’un applauso frenetico che partiva dall’hangar e del quale aveva dato il segnale il padre di Susanna.

— Papà è contento, — fece Nadina.

L’applauso era diventato adesso unanime, frenetico, folle.

— Deve aver fatto qualche cosa di molto difficile Noris, — disse ancora Nadina.

Entrava nel palco delle signore l’ingegner Kindler.

— Avete visto? — egli domandò dopo aver salutato la madre di Susanna.

Nadina gli chiese:

— Ma che ha fatto?

— Non vi siete accorte? Ha descritto nell’aria, coll’aereoplano, il nome del nuovo motore: «Kindler-Pearly».

Venti voci espressero diversamente la rispettiva ammirazione, la sorpresa la meraviglia.

Susanna non diceva sillaba ma aveva sulle labbra un enigmatico sorriso.

Fu a lei che Kindler si rivolse un po’ esitante:

— Che ne dite, cara? — domandò.

— È meraviglioso, — ella disse.

Una luce di gioia sfavillò negli occhi dell’ingegnere.

— Nevvero? — rispose. — Io sapevo che se lo aveste veduto vi avrebbe vinta.

Susanna trasalì.