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Più che mai la sua tenerezza per Kindler rassomigliava quella sera a un affetto fraterno, più che mai le sue parole e le suo proteste passavano sull’anima sua senza turbarla nemmeno alla superficie.

Come in un sogno ella accudiva alle piccole faccende minute ed eleganti che rientravano nei suoi doveri di padroncina di casa. Ma non le pareva di lavorare per sè mentre disponeva fiori e fiori su tutti i mobili dei salotti, dentro tutte le coppe, lungo la tavola della sala da pranzo. Lontano era il suo spirito o meglio assente, non intento a nessuno e a nessuna cosa, e come chiuso sopra un sogno.

Ma quando, un domestico entrò reggendo un magnifico canestro di gardenie bianche disposte in modo da raffigurare un monoplano colle grandi ale distese e annunziò che lo inviava Ettore Noris, un turbamento improvviso assalì la fanciulla, che ella non seppe nemmeno superare, che la inchiodò in mezzo alla stanza immobile, muta con grandi occhi intorbiditi spalancati sui fiori.

— Dove lo debbo mettere? — domandava il domestico.

E Susanna non fu in grado di rispondere.

Fu Kindler che prese i fiori e li portò alla fidanzata chiedendole con un sorriso:

— Cara, sei commossa, nevvero?

La voce dell’amico buono fece trasalire la fanciulla, le diede la forza di superare l’ambascia interiore oscura e incomprensibile, di rispondere al suo sorriso e alla sua domanda.

— Io indovino — ripetè Kindle — che tu hai un po’ di rimorso, oggi, verso Noris.

— È vero, — ella confessò.

— Non ci pensare. Egli non s’è neppure accorto del tuo malvolere.

— Speriamo sia così.

— D’altronde, — proseguì Max, — hai un modo semplicissimo di riparare.

— E cioè?

— Stasera, quando Noris verrà, tu gli vai in-