Il Roccolo/Ditirambo
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IL ROCCOLO
DITIRAMBO.
D’onde prodigo versa a Berga1 in seno
Tra le fiorite sponde
Le chiare acque feconde,
Annoiato di stare
Fradicio tutto e lordo
Del minor Medoaco2
Il Genio tutelare
Figlio di Bacco, un giorno,
Fitto tra sasso e sasso
L’aqueoperenne corno,
Esce dalla caverna umidalgosa,
E colla man nervosa
L’irsutincolto crine,
La mollispida barba
Spremendo, il viso e il mento
Rasciuga coll’erberte
Frescodorose, e altero
Nelle pure3 onde sue quindi si specchia:
La ferrea vanga impugna,
E nell’aperto cielo
Brillare il cuor si sente
Per la campagna amena
Godendo aura serena.
Ma non lungi alle sue rive
Voci intende alto giolive
Eccheggiar tra il canto e il suono,
Onde s’avvia
Là, d’onde uscia
Quell’armonico frastuono:
E nel mezzo d’un boschetto,
Cui circonda un ruscelletto
Limpido e puro
Un abituro4
Torreggiante
Fra le piante
Ei vede sorgere,
Di cui può scorgere
A parte a parte
Il sito, e l’arte.
Vago allor di veder qual meraviglia
La Rocca selvareccia in se racchiuda,
Affretra il passo, ed a varcar si accigne
Il cheterrante rio, che il bosco cigne.
Al primo sguardo ei vede
Nella volubil onda,
Che scorre al bosco intorno5
Mille pesci guizzare; e chi coll’amo,
Chi colla rete intento
A render loro insidie;
Altri alla verde siepe
I lubrici adattar lacci fatali
Agl’innocenti augelli:
V’ha chi le stanche membra
Lava nel chiuso bagno;6
E chi dagli arboscelli
Coglie le frutta, e spoglia
De’ grappoli le viti; e chi sedendo
Tra le Nîinfe e i Pastori
Canta d’armi e d’amori.
Quindi le volte e gli archi
Di serpeggianti carpini,
Ove le reti ascose
Tra fronda e fronda in cerchio
Girano tese, osserva;
E i striduli fringuelli,
De’ tordi il trutillìo,
Il zuffolar de’ merli
Il garrir de’ cardelli
Ad ascoltar s’aresta.
Ma di ninfe un drapello
Di bello
Vezzoso
Grazioso
Leggiadro viso
Ecco improviso
Al noto Nume
Del patrio fiume
Vengono avanti,
Che co’ sembianti
Cortesaffabili
Sorridono,
Accennano,
L’invitano,
E lo conducono
Entro la stanza,
Da cui la noia,
E la tristezza
Sempr’è sbandita,
Perchè la gioia,
E l’allegrezza
(Dolce dimora)
V’alberga ognora.
Quivi sedendo in mezzo
Alla Figlia diletta
E al Genero cortese
Tra’ cari amici intorno
A lauta mensa, l’ore
Del già cadente giorno
Traea lo splendido
Magnanimo Signor del loco adorno.
Al chiomalgoso nume di Berica
Gli ornati Giovani, e le Donzelle
Scaltre e venuste, brillanti ed ilari
Tutte gareggiano per far onore.
Per man lo prende quinci l’amabile
Clori pacifica, quinci la fiera
Candida Flavia, e a desco vogliono,
Che tra lor seggasi: trattanto un pieno
Solenne pecchero
Di spumeggiante
E piccante,
Ed eletto
Pretto pretto
Quinquenne vino
V’ha chi presentagli, onde bevendolo
Desti gli spirici, e si ristauri
Fatto partecipe dell’altrui giubilo.
Come d’alto stupore il Nume allora
Scosso, la cortesia, la gentilezza,
Ch’abbia quivi suo regno, egli s’avvisa,
E d’insolita gioia acceso in volto,
Pria d’accostarsi al labbro il generoso
Animallegrator grato liquore,
Volge intorno lo sguardo umanamente,
E stando tutti ad ascoltarlo intenti,
Scioglie la lingua al fine in tali accenti.
Felici Alme bennate,
Che in dolce nodo unite
Di caste fiamme ardete,
E sì lieto rendete,
Per noi pur questo giorno,
A voi le Grazie intorno
Sempre siano, e de’ figli
A’ genitori eguali
Il talamo fecondo
Vi renda il sommo Giove,
D’onde ogni don ci piove:
E se allegre bramate
Le vegnenti passar, e questa etate,
Le folli gelosie,
Gli odj, i rancori, e l’ire
Con quest’almo liquore
Sterminatore
Delle noie, e degli affanni
Dal sen cacciate; e gli anni
In dolce pace, e quiete
Piene di gioia ognor voi viverete.
Bevano pure in Cielo i Dei maggiori,
E gl’immortali Eroi
Il nettare e l’ambrosia;
Tu Fortunata mia bella Vicenza
Senza l’ambrosia, e senza
Il nettare de’ numi, e degli Eroi
Puoi serbar lieti ognora i figli tuoi.
Questo neribrillante
Omogeneo Corbino,7
De’ più perfetti balsami,
Che le selve d’Arabia,
E gli orti dell’Esperidi,
O de’ be’ campi Elisii
Le sacre piante stillino,
E ancor più salutifero,
E più perfetto balsamo.
Or questo a te consacro
Gratissimo lavacro
Ristorator de’ muscoli,
E delle membra languide
Gran padre Nartecoforo,
Accetta il sacrifizio,
E del buon nostro Gelio
Delizie della Patria e degli amici,
Tu fa, che gli anni sian lunghi e felici.
Oh! ch’egli è pur amabile,
Io sento che l’esofago
Tutto m’inonda e vellica,
Che mi ricrea lo stomaco,
E un non sò che di fervido
Difonde per le viscere,
Che i spiriti m’esilara.
Compagni, affè, ch’io repplico:
S’empian bicchieri e ciotole
Di questo puro
Soave e duro
Vecchio Corbino,
Perchè gli è un vino
Arciottimissimo
Fra i dolciamari,
Cui non v’ha pari.
Ma voi Donne gentili e delicate,
Che schizzinose,
Non vi arrischiate
Con noi di bere
Questo robusto
Succo vetusto,
Su via gustate
Meco un zinzino
Di Marzemino,8
Questo è un mirabile
Alessifarmaco,
Incomparabile,
Che da ogni male
Preserva e libera;
Che di leggiadro
Color di rosa
Tinge le pallide
Guance alle belle
Nostre Donzelle.
Quando l’assaggi
Ti bacia, e morde
Soavemente;
E un dolce ardore
Ti desta in cuore.
Oh questo è pure
Grato e polputo,
Poichè compiuto
Ha un’olimpiade:
Non v’ha bevanda
Più saporita
Nè più abboccata
Nè più stomatica
Nè più gentile
Da Batro a Tile.
Questo v’esibisce il Trento stillato rubino
Il Trento,9 ch’ama fervidamente voi.
A lui sì raro dono del Gnosio nume
La sua Costoza prodiga fruttifica.
Or senza scrupolo gustatelo, senza timore
Il più squisito non beverete mai.
Noi frattanto, che abbiam più lena in petto,
Questo10 Turco affrontiam possentamabile.
Sù, diam prova di noi per fare onore
Al Signor di Montorso, che ci invia
Quest’arcisaluberrimo lico.
Vedi s’è chiaro, limpido, brillante,
Vermigliuzzo, odorifero, gustoso:
Egli schizza negli occhi, e lagrimare
Di piacere ti fa mentre lo bei,
Or vada pur la vitriola in giro,
Ed ognuno la succi a modo, e a verso,
Sicchè prima di porgerla al vicino,
Non vi resti nemmeno il centellino.
Cionca, cionca pur di questa
Anche tu Barbieri11 mio,
E i pensieri
Troppo seri
Ne’ bicchieri
Affoghiamo in questo giorno,
Ripigliarli poi potremo,
Quando fatto Berlingaccio
Sin da lungi sentiremo
Dondonare il campanone
Coll’odor delle aringhe, e del salmone.
Se talun però di questo
Turco burbero ha paura,
Si trastulli con quel grato
Vespaiuolo12 Breganzino,
(Che al parer d’un Uom Togato
È miglior d’ogni altro vino)
Con quell’occhio di pernice,13
O con quel sì delicato,
Cui nel far pon tanta cura
L’onorato Conte mio
Nelle belle sue colline,
Del felice Santommio.14
Oh mille volte benedette, e cento
E cento, e mille ancora
Quelle belle colline!
E benedetto tutto
Questo Berico suolo,
Ch’è d’Italia è del Mondo
Il più vago paese, e il più giocondo.
Quanto, o Bacco, dobbiamo
A te, che queste nostre
Contrade coltivasti,
E me, tuo figlio, ad esse
Custode preponesti,
Perch’io colle feconde
Mie quet’onde l’innaffi; e sì migliore
Trarne si possa ognora il tuo liquore.
Tu, che per queste un tempo
E Nisa, e Nasso, e Eubea
Obbliasti, e Dorippe, ed Arianna,
E per la biondicrine
Leggiadra Ninfa Calidonia ardesti,
Lascia, che de’ tuoi doni,
Mentre godiamo in così lieto giorno,
Quel, che alla nostra etate
È occulto ancor, si faccia omai palese;
E la cagion io canti,
Per cui così diletti
A te son questi colli,
Ma pria convien, ch’immolli
Con quest’aureo Granaio,15
Che Schio tributa a noi,
L’arsiccie labbra; e poi
Amici, intenderete
Cose, di cui tra voi
Sò, che non v’ha memoria,
Di poema degnissime e d’istoria.
E fama, allor che l’Indo e il Gange scorso
Ebbe, e ammansati i popoli feroci,
Che volse Bacco all’Oriente il dorso,
E colle sue linivole veloci
Navi drizzò, carco di spoglie, il corso
Inver l’Europa; e al fin gionto alle foci
D’Eubea, quindi le Greche, e le Ital’onde
Solcate, del Tirren tenne le sponde.
Quivi dopo le lung-aspre fatiche
Diede al promiscuo esercito riposo,
Poichè più non temea d’armi nemiche,
Nè di barbare trombe il suon noioso;
E il vago piano, e le colline apriche
In compagnia del Popolo festoso
Scorrea, ne’ suoi misteri ignoti ancora
Iniziando la Città di Flora.16
E già Montepulciano, e Chianti avea
Di viti peregrine adorno, e fatto
Saggio della soavissima verdea,
E incensi, e voti di colà ritratto.
Oltre l’erto Appennin però sapea,
Che più fertil trovare ancora ed atto
Clima e terren potria pe’ doni suoi,
E quà giunse, e ristette al fin tra noi.
Qui vitiferi i poggi, e qui le valli
Feconde ritrovò: qui lungamente
Femmine ricrear Fanti e Cavalli
Fece tra la cortes--umana gente:
Qui per le selve ombrose i loro balli
La Menadi traean; qui finalmente,
L’affanno rio sbandito e l’atra noia,
D’allegrezza riempì tutto, e di gioia.
Ma mentre un giorno al suon d’agreste piva
Scherza, e l’aere d’intorno rasserena
Colla imberbe gentil faccia e gioliva
Carolando, e giostrando in sull’amena
Del minor Medoaco erbosa riva,
Ecco sul cheto rio, come Sirena,
Dalla tranquilla escita umida chiostra
Vaga Ninfa, e leggiadra a lui si mostra.
D’Oròlo,17 e di Leògra era costei
Figlia la bianca Calidonia onore
Delle Naiadi snelle: appena i bei
Occhi mira e il bel viso, e già d’amore
Bacco subitamente arde per lei.
Ella sel vede, e d’ira e di rossore
Fremendo, tuffa nelle placid’onde
Le delicate membra, e a lui s’asconde.
Or che non osa amor? Egli la traccia
Della ritrosa Dea segna, e nel fiume
A lei dietro si vibra, ove lo caccia
L’impeto insano, e cerca il chiaro lume:
Ella fugge, ei la segue, e spesso abbraccia
Invece di costei le molli schiume.
Piagne, grida, sospira; ed ella intanto
Nulla cura i sospir, le grida, il pianto.
Lungo tratto seguìlla, e giunto al fine
Dove in mezzo a’ paduli ha il rio sorgente,
Tra’ canneti s’appiatta e tra le spine:
Quivi di lei, del cielo amaramente
Duolsi, e il candido viso, e l’aureo crine
L’amoroso pensier novellamente
Gli pinge in sì leggiadro e vivo aspetto
Che dal desio già sviene, e dal diletto.
Mosso a pietate allor del caro figlio
Il Nubadunator, Erote invia
Alla Dea, che lo scorso alto periglio
Rimembrando tuttor l’aere fuggia:
Egli all’aurato stral dato di piglio,
Cui non è gentil Alma unqua restia,
Glielo scocca di botto in mezzo al core,
Onde sent’ella omai l’ignoto ardore.
Rammenta allor del nume il rubicondo
Volto, nè più tanto l’abborre e sdegna:
Quinci del nuzial stato giocondo
In sua mente l’immagine disegna:
Palpitando però, dal più profondo
Del cor teme e sospira; e pur s’ingegna
Anche di superare in se la casta
Vergogna, che ad amor sola contrasta.
Ma d’Urania il figliuol pel ciel sereno
Già scuotendo venia la sua facella;
E la Ninfa, cui tutto avvampa il seno,
Tragge Amor dove Bacco a se l’appella.
Di ciò ch’indi seguì, nè più nè meno,
Soverchio, amici, è che vi dia novella.
Corso il fine a veder di quell’imbroglio
Era intanco colà tutto il Convoglio.
Ma perchè di svelare altrui disdetto
E quaggiù degli Dei gli arcani e l’opre,
Ecco mosso da Giove un nuvoletto
Scorrer fendendo l’aere si scopre,
Che spinto da soave zefiretto,
I segreti del talamo ricuopre.
Resta immobil la turba all’improvviso
Caso, e guatansi l’uno all’altro in viso.
Le Baccanti però co’ sistri in mano,
Colle nacchere i Fauni ivi d’intorno
Variallegro romor fecero e strano,
Che di giubilo empiè tutto il contorno:
I scaltri satirelli a mano a mano
Gittavano le noci; e a piè d’un orno
Messo al pasco Sileno il Somarello,
Fra ’l nuvol ruzzolar fece il crivello.
A sinistra s’udìo frattanto il tuono
Romoreggiare in Ciel placidamente,
Onde a’ Fallici salti, al canto, al suono
Tosto lieta si diè tutta la gente,
Fausto di quelle nozze augurio e buono,
Che feo l’opra sortir felicemente;
Perchè a Bacco un fanciul vezzoso e bello
Diede poi Calidonia, ed io fui quello.
Quell’io fui, che di Bacco ebbe la bionda
Calidonia, e nodrire il genitore
Femmi del Medoaco in sulla sponda,
Là dove nacque il suo novello amore.
Qui diemmi sede, e del bel suol, che inonda
Il cheto rio, mi fe’ nume e tutore;
E sì Bacchilion nel greco idioma,
Cioè, Figlio di Bacco egli mi noma.
Ma tanto il volto di mia Madre impresso
Porta nel cor, tanto la onora ed ama,
Ch’egli al Castel, ch’edificonne appresso
Lascia col di lei nome eterna fama;
E un altro pur dal nuvoletto istesso,
Ch’adombrollo, non lungi egli ne chiama,
De’ nomi il volgo corrottore, io credo,
Caldogno indi gli disse, e Novoledo
Qui dunque, amici, è il tempo
D’offrire al di lui nume
I rari doni suoi.
Qui non vi sia tra voi
Chi ricusi di bere
Ben colmo il suo bicchiere.
Io farò il primo;
Ma non vi stimo
Un pelo, un fiocco, un bagattino, un’oncia,
Se di questa bigoncia
Non vi spicciate; ell’è
Piena di buon Tordello.18
Gli è questo un vin da Re,
Che i spiriti già spenti
Torneria ne’ diacenti,
E li trarria dal tumolo;
Questo ci vien da Grumolo.
Sussù votiamolo,
Gustiamolo,
Beviamolo.
Oh graziosissimo
Fragranzosissimo
Tordello squisitissimo!
Bevasi pur chi vuole
Del Vesuvio la Lagrima,
O di Montepulciano,
Il vin robusto e fervido
Tutto è buono, tutto è bello
Ma sarà poi miglior sempre il Tordello.
Il Calabrese, il Siculo
Non fan per me;
Son beveraggi
D’un’empia razza,
Di cui t’ammazza
Sol una tazza.
Col Corso
Io non m’azardo,
E me ne guardo
Per fin da un sorso:
Questi son tossici,
Che ti lacerano,
Ti macerano,
Ti logorano
Il cervello; ed è sciocchezza
Che sian migliori il credere
De’ nostri, e lor che noi dobbiamo cedere.
Se ha qualcun tal pregiudizio
Senta pur questo Pomello19
Che da’ colli Breganzini,
E dagli altri a’ que’ vicini
A noi viene: questo solo,
Purchè sia di due Pretori,
Può contentare
Ogni palato
Più dilicato:
Gli è sì perfetto
Che bevendol, di gioia inonda il petto.
lo vo’ dunque ingoiarne a crepapancia;
E se mi ciancia
Un qualche Fisico,
E mi rinfaccia,
Che troppo arrisico
Vada pure a farsi frigere,
Ed a prefigere
Sali armoniaci,
Manne, e reobarbari,
Cremor di tartaro,
Della borraggine,
Della piantaggine
I succhi insipidi
(Che ti riempiono
D’ipocondriaci
Flati il ventricolo)
A quegli stitici
Vecchi scorbutici,
Che sempre vogliono
Sentir le viscere,
Che lor gorgoglino;
E ’l maldigesto cibo, espediente
Ottimo credono
Di tutto espellere
Precipitevolissimevolmente.
Questi per me sarian tanto veleno,
Checchè dicane Ipocrate, e Galeno,
Avicenna, e che so io:
Son costoro al parer mio
Uomini pieni di pregiudizii.
Poveri spiriti che non sapevano
Le innumerabili virtù de’ farmaci,
Che a noi producono le viti Beriche,
Onde curavano gl’infermi stomachi,
Le febri e i reumi, con succhi e polveri,
Che gl’individui tutti rovinano.
Poveri spiriti, non sapevano
Le innumerabili virtù de’ farmaci,
Che a noi producono le viti beriche.
Io so ben che il mio Tortosa,20
Primo onor dell’arte Medica
Gli sciloppi e le conserve
Suggerisce agli altri e predica,
E ne dà con giusta dosa:
Ma sò pur, che non si serve
Mai per se di sciloppi o di conserve..
Tenga dunque i suoi Purganti
Refrigeranti,
Dulcificanti,
Ammollienti,
Discioglienti
Il Dalla Valle21
Ne’ suoi vasi e scarabattoli
Che al sol odore
Mi farian recere
Insino al cuore.
Quanto a me son di parere,
Che per viver lungamente
Senz’acciacchi e con piacere
Un sicuro espediente
Siasi il bevere,
E ribevere,
Straribevere,
Arciribevere.
Quanto pazzi però sono coloro,
Che stillansi il cervello in sù i lambichi
Notte e giorno, spiando i punti e i moti
Della volubil luna, e degli erranti
Pianeti, per estrar dalla pretesa
Anima universal del mondo quella
Sognata aurea pozion, che tutti i mali
Cacci, e viver gli faccia ind’immortali.
Mi fan pur ridere
Cotesti Chimici,
Che vanno in tracia
Dell’ircocervio;
E spiantati
Disperati
Creperanno
Forse forse in capo all’anno.
Io però che non sono un barbagianni, un cucco,
Di queste nostre viti m’appiglio al puro succo,
Ed ho l’esperienza, che vegeto e giolivo
Mi potrà sostenere sol questo infin che vivo.
Ecco l’amabile
Oro potabile:
La filosofica
Pietra è cotesta,
Ch’anche i più poveri
Fa stare in gringolo,
Perchè gli spiriti
Desta, e ricrea;
Le membra languide
Conforta, e bea.
Ora sù dunque,
E che fate? O là, che fate
Paggi vigliacchi?
Voi lasciate,
Che a ragionar mi stracchi,
Nè da bever più mi date.
Vien qua tu scrocco,
Piglia là quel bellicone,
E quel fiascone,
Che nessun per anche ha tocco.
Al color, io non m’inganno,
Egli è un vino prezioso,
E mi credo,
Sia di quello
Buon Groppello,
Che da Lonedo22
Il Piovene a noi portò:
Or di questo appunto io vo’.
Empine pur quel bellicon maiuscolo,
Ch’io me ne vo’ bagnar le fauci, e l’ugola.
Veh, se zampilla, saltelluzza, e scroscia,
Senti se olezza, e ti ristora il cerabro.
Or a te questo23 Scipione, io dedico,
Sfidandoti a votar meco quel calice,
E con uno de’ tuoi balzi pindarici
A cantar della saggia illustre amabile
Gentil Elena i pregi, e la bell’anima,
E di Simandio le virtuti, e il merito.
Viva dunque Elena, viva
Elena auricrinita,
E seco viva
Chi ha per lei l’Alma ferita.
Vedi, tutto votato me l’ho,
E mi sento già scorrer su, e giù
Per lo seno un ardor, ch’io non sò,
Se diletto sì dolce mai più
Sentir possa, mentr’è un non so chè,
Cui d’esprimere il modo non v’è.
Sento che pizzica,
Mi dolcifica,
Mi vivifica,
Mi fortifica,
Mi beatifica.
Sento che imbalsama
I nervi, e i Muscoli,
I fluidi, e i solidi:
Sento che brillano
Polmone, e fegato,
E sento scorrere
Più sciolto, e libero
Il sangue fervido
Con nuovi spiriti.
Così mi dicono,
Che il dottissimo
Tuo Zio Salesio,24
Ch’è un gran filosofo,
Con certo vitreo
Suo tubo eletrico
Effetti simili
A voi comunichi.
Io lo sò, ch’è un Uom valente,
E che a forza di sapere
Mi farebbe travedere.
Ma pur faccia quanto vuole
Ogni prova e sperienza,
Per destar gli spirti ottusi,
Che po’ poi questo Groppello
Farà ognor gioco più bello,
A provargliene son pronto,
Su, facciamone il confronto.
Giri pur la ruota, e il tubo,
Colla man legger il prema:
Sulla pece io sederò,
La catena strignerò,
Il vicino toccherò,
Mi scuoterò,
Scintillerò,
E tremerò;
Ma qual gusto poi ne avrò?
Dirò ben, ch’egli è un arcano
Di natura, ignoto a noi,
Ma poi?
Quanto a me voglio lasciare
Da investigare,
Da sviluppare,
E da spiegare
Questo affare a’ curiosi:
Che s’io nol posso intendere,
Non mi vo’ per questo appendere.
Ben intendo, e so perchè
Senza tubo, e senza ruota
Questo celebre liquore
E m’ignifichi, e mi scuota;
E nel berlo ho tal piacere,
Che il maggior non puossi avere.
O’ invidiabile Lonedo aprico,
Che a noi produci l’oro potabile!
Da cruda grandine, da nebbia, e gelo
Ti guardi ’l Cielo sempre benefico
Invidiabile Lonedo aprico,
Cui è l’amabile gran Bacco amico.
Tempo forse verrà buon Scipione,
Che in quell’antro 25 tuo beato
D’una botte a cavalcione
A bell’agio star potremo;
Ed a gara allor faremo
Nel trincar questo Groppello,
E cantando manderemo
Tutti i stitici al bordello.
Per non perder frattanto il dì presente
Diamo tosto di mano a quella bombola,
Ch’io son roco, e mi sento il labbro arsiccio
Ed or ora immollarmi voglio il becco
Con quel melaromatico Prosecco.
Di Monteberico questo perfetto
Prosecco eletto ci dà lo splendido
Nostro Canonico.26 Io lo conosco
Egli è un po’ fosco, e sembra torbido;
Ma pur è un balsamo sì puro e sano,
Che il Sanlorano,
Il Fontignacco
Sol un Macacco
Sguaiato
Impazzato
Dir potria, ch’è miglior vino
Del Prosecco del Ghellino.
„ Ayez patience
„ Messieurs les François,
„ Beuvez, s’il vous plait,
„ Fontignac, & Saintlorent:
„ Ceux-cy sont des liqueurs
„ Pour des enfants:
„ Ayez patience,
„ Je suis votre serviteur.
Tanto val questo Prosecco,
Ch’io per me nol cambierei
Coll’Ambrosia degli Dei.
Se talun però desidera
Bel color anche nel bere,
Faccia motto
Col suo gotto.
Ecco il grato Pedevendo27
La Vernaccia auribrillante,
Il soave Formicaro,
L’odoroso Peveriso,
Il serbevole Peloso,
La dorata Malvagia,
L’ambrolezza Moscadello,
Il Carnoso delicato,
Il Vinsanto prelibato,
Il dolcissimo Pasquale:
Queste son cose divine
Graziose, e peregrine,
Ch’a noi danno i vaghi poggi
Di Salceto, e Barbarano,
Di Sovizzo, e Valdilonte,
Di Cretaccio, ed Augarano,
E tant’altre a voi ben conte.
Or di queste ad una ad una
Assaggiam per bizzarria;
E tu fammi compagnia
Sola28 mio senza paura.
E tra poco il dì verrà,
Che quel tuo nerosmagliante
Asciuttissimestuante,
Che n’aspetta a Setteccà,29
Ciuccierem senza pietà.
Su frattanto: il primo è buono,
Il secondo, il terzo, il quarto:
Io di qua più non mi parto.
Oh gli è pure un ber gustoso
La Vernaccia, ed il Carnoso,
Il Carnoso, e il Moscadello:
Formicaro, e poi Peloso
Oh gli è pure un ber gustoso!
Malvagìa con Peveriso
Egli è un ber di paradiso:
Questo raro Pedevendo
È stupendo;
È un incanto
Questo Vinsanto.30
Oh Mastello benedetto,
Che se’ pieno di Pasquale.31
Or da vero mi ci metto
Tu se’ troppo badiale.
Sotto sotto compagnoni
Con boccali, e con buffoni,
Con fiaschetti, e bombolette,
Con botteglie, e caraffine,
Con nappi, e giare,
Ciati, e inguistare,
Calici, e patere,
Gotti, e scodelle,
Anfore, e ciotole,
Ognun beva, e canti, e spippoli:
Con flauti, e piferi,
Naccare, e Crottali,
Siringhe, e Zuffoli,
Tamburi, e Timpani,
Sambuche, e Tibie,
Ribebe, e Pettidi,
Lironi, e Barbiti,
Gironde, e Trigoni,
E Sistri, e Cembali,
E Viole, e Violette, e Cornamuse
Si soffi, si batta, e tasteggi;
Le pive strillino,
E romoreggino
La baga, e il fagotto,
Le trombe squillino,
Sentir si facciano
L’arpe dulcisone;
E tra i sveglioni,
E i collascioni,
Col talaballacco
Si faccia brindisi
Al padre Bacco.
Viva Bacco Ecchioneo,
Leucanio, Figaleo,
Bromio, Lanterio, Eubeo,
Lieo
Briseo
Melleo.
Evoe,
Evoe.
Viva Bacco Agenoreo,
Nartecoforo, Leneo,
Misobarbaro, Dirceo,
Esinete, Semeleo,
Ditirambo, Itifallo, Tioneo,
Ignigena, Sabazio, Abiro, Anteo,
Gnosio, Libero, Osiride, Zagreo,
Melanesio, Fausterio, Nitileo,
Egobolo, Eleleo,
Miside, Evigio, Lisio,
Cornigero, Dionisio,
Evoè,
Evoè.
Viva Bacco pampinifero,
Edericorimbifero.
Viva Bacco. Evoè,
E con me
Ognun canti, ognun bea finchè cen’è.
Or io mi sento vegeto,
Ringiovinito, e forte,
E a combatter mi porrei
Contro Marte armipotente,
E Bellona scudelmifera
Faccian pur delle bravate,
Io di lor non temerei.
Nè viltade, nè spavento
In qualunque aspro cimento
Non conosce quel soldato,
Che di vino ha il ventre armato.
Vedi là sul suo bucefalo
Dal pennello celeberrimo
Del Deport incomparabile32
Vivespressa quell’immagine
D’Alessandro, che terribile
Imperteritinvincibile
Fa tonnina di que’ barbari,
Trincia teste, e membra stritola;
E non teme degl’indomiti
Elefanti la proboscide;
Che conquista Regni, e Popoli,
Che saccheggia, incende, e stermina
Le indiane auree Metropoli,
E veloce come un fulmine
Di nemici innumerabili
Sempre vince immensi eserciti.
Chi non sà, d’onde procedano
Le stupende sue vittorie?
Se non mentono le storie,
Egli mai non entrò in zuffa,
Nè appiccò mai la barruffa,
Se votato non avea
Di buon greco un barilotto,
E non era mezzo cotto;
Perchè il prode ben sapea,
Che fu Bacco insin abovo
Vincitor del Mondonuovo.
Anch’io dunque vo’ farla or da guerriero,
Qua, chi meco ha l’ardir di stare a fronte,
„ Venga Gradasso pur, venga Ruggero,
„ E vengane per terzo Rodomonte:
Io con questo maiuscolo bicchiero,
Che di barca servir puote a Caronte;
A far con quel Triuve asciutto e vecchio
Prova del mio valor già m’apparecchio.
Io non ho sete di sangue d’Uomini:
Ma di quest’uve nostre melliflue
Il puro sangue solo desidero:
Onde versarne vo’ nelle viscere
In tanta copia, che i miei precordii,
Come in un mare tutti vi nuotino,
Dunque si replichi,
Si quadruplici,
Si sestuplici
Con quest’amabile
Alma nera bevanda.
Questa neralmamabile bevanda
È di quella, che il mio Capra gentile33
Dal suo Monterotondo a piè di Berga
Spreme da varie viti; egli con questa
L’arte di Febo apprese, e de’ leggiadri
Suoi carmi allor, ch’egli vuol far le valli,
E i colli risuonar, che la superba
Mole34 augusta coronano tra il verde
Poggio, e le sponde mie (dove sovente
Ospiti ha Prenci, e Re) con questa in petto
Risveglia l’estro, ed il Cantore argivo,
E il Mantovano illustre, e il Venusino,
E il divin Ferrarese, e il Tosco Cigno
Col dolce canto ad emular s’innalza.
Perchè sa, ch’è gran pazzia
Dir, che sia
De’ Poeti il beveraggio
D’acqua pura una sorgente,
Che il Cavallo piumalato
Scaturir già feo d’un sasso
Con un calcio in Elicona.
Un Uom saggio
Tal follia non crederà.
Chi non sà,
Che il poetico furore
È un calore,
Una fiamma vivardente,
Che scalda il cerabro,
Che accende i spiriti,
Che l’estro suscita,
Ch’agita l’anima,
Che crea le immagini,
Che scuopre arcani
Alla vil plebe ignoti, ed ai profani.
E tali effetti, oibò,
La fredd’acqua nell’Uom produr non può.
Un poter così divino
(Dican pure i Ranaioli
Acquaioli)
Forza in noi di creare ha solo il vino.
Se le Muse non van gionte
A Dionisio, il lor mestiero
Senza pregio languirà:
Il gentile Anacreonte,
Orfeo, Archiloco, ed Omero,
Il buon Flacco (e chi nol sa?)
Perchè a Bacco furo amici,
Perciò tanto la bell’arte
In quegli Uomini fiorì.
E gl’ingegni più felici
Noverando a parte, a parte
Tutti fino ad oggidì:
Ben vedrai, che lor quel nume
Col divino suo liquore
E maestro, e guida fu;
Perchè ispira un certo lume,
Un prorito, ed un furore,
Che poggiar fa l’Uom in sù.
Perciò tant’oltre in questo ameno suolo
Alzaro il volo Poeti celebri;
Perchè più volontieri, e lieto in Berga,
Che in Nisa alberga l’amato Libero;
E de’ suoi doni a larga mano ognora
I colli onora, che mi circondano.
Quindi gli accorti ingegni, e l’alte menti
Tra voi frequenti la patria adornano.
Quindi per la famosa eroica tromba,
Che ancor rimbomba del mio gran Trissino35
Va superba l’Italia, e tra le orrende
Sue rie vicende, tuttor si gloria:
Quindi un Gallo, un Rossetti, e due Pagelli36
Sì colti e belli versi composero.
Quind’il Ferretti de’ nostri avi i pregi,
E i fatti egregi cantando pubblica.
I Gualdi, i Garzadori, i Loschi, i Monti,
E i non men conti dotti Bissarii:
I Porti, ed i Tieni, e i Valmarana,
E il gran Marana37 vate e filosofo:
Il saggio38 Bergamini, i due39 Canati
Di lauro ornati co’ primi andarono;
I Leonichi, i Chiappini, gli Olivieri
De’ Toschi alteri l’estro emularono:
Il Rapa, il Rustichelli, ed il Maganza40
Oltre l’usanza cantar si udirono.
Quindi lo Scroffa,41 quind’il Borgo,42 e il Biondo
Dotto e giocondo metro inventarono.
Quindi cent’altri ancora
Gloriosi, e valentuomini,
Che per tutti gli annidomini
Son descritti a parte a parte,
L’Apollinea nobil arte
Coltivarono sì bene,
Più che al fonte d’Ipocrene
Delle nostre viti all’ombra
Col buon vino, che disgombra
L’importuna ipocondria,
E dà moto alla poesìa.
Dunque Olimpici Accademici.43
Se volete far de’ versi,
Che di grazie sieno aspersi,
Senz’andarvi a lambicare,
E stillare
Il Cervello qua e là,
Coronatevi
Di verdi pampini,
Avvotatevi
Al padre Egobolo,
Ristoratevi
Col vino l’ugola,
Ravvivatevi
Col vin gli spiriti,
E poi cantate
Con variometrici
Anacreontici
Leggiadri versi
Strofette, e Cobbole,
Ballate, e Frottole,
Idili, ed Egloghe,
Madrigali,
Rotondelli,
E Strambotti.
Cantate pure
Con dolciarmonici
Endecasillabi
Gravisonanti
Inni Peanici,
Epenencomici,
E Cesterotici.
Cantate Ottave, Epigrammi, Terzetti
E Quaderne, e Sestine, ed Elegie,
E Canzoni, e Capitoli, e Sonetti.
La liquid’ambra,
Che dalle viti
Di queste fertili
Colline apriche
Distilla Bromio,
Fa che i sopiti
Spirti si scuotano,
E crea la voglia
Di tosto sciogliere
Le labbra al canto.
Dunque Lelio44 gentil e grazioso
Emular se vogliamo in questo giorno
De’ Vicentini prischi Vati i pregi,
Da noi sbandite
Le cure inutili,
E l’atra noia
Brutta squarquoia,
Che afflige e logora
Il corpo e l’animo,
Non si perdoni
A quel fumoso
Denso Lambrusco:45
Io dico a quello,
Che il saggio Anton ben degno
Tuo germano, e sostegno
Dell’avita prudenza,
Dal suo Maso fecondo
Coglie in copia, e non ha l’eguale al mondo,
O chiomaurato Apolline,
Questo è ben altro,
Che l’acqua insipida
Del tuo Castalio.
Senti l’odore,
Gusta il sapore,
Di questo fervido
Vecchio Lambrusco:
Se tu l’assaggi,
Io metto pegno,
Che turi il fonte,
Il lauro schianti,
E tutto il Monte
Là dove stai
Di viti pianti:
Ma di queste sì buone,
Che il Potator giammai
Non s’avanza a toccar col suo roncone.
Intanto noi di questo
Lelio beviamo,
E ribeviamo a prova,
E bevendo cantiamo
In foggia nova
Sdruciolestemporanei
Lepidi versi; e voi
Forosette
Ritrosette,
Forfantelle
Scaltr’e belle
Donne achetatevi,
Datemi orecchio,
Ch’io mi apparecchio
Per farvi un brindisi.
E tu Lelio mio
Col flauto sonoro
Or seguimi, ed io
In questo bel vaso
Ripien di Lambrusco,
Che schizza nel naso
Già tutto m’immergo,
Le labbra ne tergo,
La lingua ne aspergo,
E fino al Ciel m’ergo.
Donne vi guardi ’l ciel di girne altere
Per caduca beltà, che come il giglio
Oggi candido s’apre, ed odoroso
Alletta e piace, e poi sull’indomani
Appassito, riman negletto e vile.
Vostra gloria maggior sia di virtute
Aver l’animo adorno, e di que’ pregi,
Cui non pon fare oltraggio o gli anni, o della
Incostante fortuna i tristi eventi.
Non di gemme brillanti il crin lucente,
Non di pallide perle il collo avvinto,
E non d’amplondeggiante aurata veste
Aver gli omeri carchi, e di sdegnoso
Fasto gir orgogliose a voi procaccia
Merto ed onor: ma grazia, gentilezza,
E colle dolciamabili maniere
Saggiaccorto parlare, ed onestate
Voi di laude faran degne, e di stima.
Or di voi tutte i’ voglio qui comporre un modello,
Di cui Zeusi, nè Apelle mai fecero il più bello,
Dinanzi a voi lo pongo, e servavi di speglio,
Onde per voi possiate ritrarne il buono e il meglio.
Il magnanimo cuor di Flavia io prendo,
La dolcezza di Nice, ed il cortese
Tratto di Fille, e d’Egle la prudenza;
Il saper di Nigella, il brio di Lisa,
Di Clori il favellar, l’accorto ingegno
D’Aracne, e di Melea le grazie, e i vezzi.
Ciò tutto insieme adatto,
E formo il mio Ritratto.
Su via l’une dall’altre
Donne leggiadre e scaltre,
Affinchè a lui somigli
Ciascuna omai si pigli
Per se quel, che non ha,
E compia sua beltà.
Ma con tutte queste chiacchiere
Non si tratta più di bere.
Donne mie voi mi siete
Buone, e care,
Ma di sete
Io per voi non vo’ crepare.
Già lo sò, ch’è un perder tempo
Il cantar le vostre lodi,
Perchè a’ poveri Poeti,
Quanto più sono discreti,
E si sfiatano per voi,
Più sempre poi
Ingalluzzite
Voi ne indormite.
Chi si muove di me dunque a pietà?
Ah! ah! ah!
Caro Lesbino
Vien pur qua
Con quel vaso cristallino,
In cui brilla,
E zampilla
Certo vino,
Che per anche io non conosco.
Che farà s’io lo vuoto in fino al fondo?
Diamin falla, che venga il finimondo,
Dàl’ pur qua: con questo Incognito46
Si richiamino gli spiriti
Sopiti e languidi,
E si goda, e si canti, e si balli
Al suon di cennamelle, e di timballi.
Capperi!
Gnaffe!
Pape!
Questo è pur da gran Signori.
Son ben allocchi
Certi nostri Barbassori,
Che venir fan di lontano
Altri vini,
Ch’essi credon miglior de’ Vicentini,
Perchè voglion, che sia grato
Il fetente odor di pece,
E che lordo il bicchier resti di fece.
Ma lasciam noi pur costoro
Nella lor opinione,
Finchè l’Incognito
Da Montorso ci viene, e da Masone,
Questo si gusti, si bea, si tracanni,
Se vogliam, che più lieti e giocondi
Senza noie e senz’affanni
Passino i giorni, e gli anni.
Non è l’oro, e la grandezza,
Che pur tanto l’Uomo apprezza,
Ciò che a lui dà
Felicità.
E chi di voi nol sà? Del Mondo intero
A Cesare l’impero che giovò?
Ed a Mida qual prò l’aver tant’oro?
Gloria, e tesoro a quegl’ingordi Rè
Nulla valse, perchè come la luna
Volubile fortuna li tradì.
Quel di ferro morì come un infame,
Questo di fame al fin quasi perì.
Quanto avria fatto meglio quel Cesare bravaccio
Delle cose di Roma a non pigliarsi ’mpaccio;
E poichè domo avea l’istabile Francese
E lo Spagnuolo altero, ed il feroce Inglese,
L’armi deporre al tempio, ed ergerne un trofeo
Senza correre dietro al povero Pompeo.
Lasciar (contento omai dell’acquistato onore)
Dovea le brame ingiuste d’esser Imperatore.
E qui nelle sue Gallie, dov’era ben veduto
Provato non avrebbe sì sconoscente Bruto
Felice lui, se in vece di gire al Rubicone
Fosse rimasto in pace in riva al Bacchiglione.
Quanto meglio era per Mida
Domandare al buon Niseo
Di cangiar ciò, che toccava,
Non in oro, come feo
Quel pazzaccio,
Asinaccio,
Stolidaccio,
Avaraccio,
Ma più tosto in Corbino, od in Vernaccio.
Lungi dunque ambizione,
Avarizia lungi da me.
Empian scrigni gli Usurai,
Sia chi vuol Principe, e Re:
Ma si tengano ancor tutti i lor guai.
Noi trattanto in festa, e in giolito,
Senz’affanno, e senza imbroglio,
Ripigliamo il nostro gioco.
Oh il bel gioco! Adesso i’ voglio,
Che di quest’ognuno assaggi:
Questo è quel così perfetto
Gratamabile Passetto,
Che alle falde di Summano47
Trasportar da’ campi Elisi
Feo Pluton già due mill’anni,
Quando a lui su quelle vette
Offeria la cieca gente
Sagrifizi, incensi, e voti:
Ora il nume affumicato,
Che le immonde acque di Lete
Sol può ber, se gli vien sete,
È costretto di soffrire,
Ch’altri goda i doni suoi,
Che rimasti son fra noi.
Dunque alla barba di quel brutto vecchio
Vo’ berne un fiasco, una borraccia, un secchio.
Finch’io beo questo Passetto,
La tristezza
Non ha luogo nel mio petto:
Finch’io bevo di questo,
L’allegrezza
Da me scaccia ogni rio pensier infesto:
Finchè di questo i’ beo,
Per la gioia, che nel seno
Si diffonde, mi ricreo,
Mi conforto, e rasereno:
Finchè beo questo Passetto
Io non cerco altro diletto.
Beviam dunque amici a gara,
Su beviam questo buon vino,
E lasciam che di noi faccia il destino.
Il destino che farà,
Se con noi Bacco sarà?
Piova pur tetrinfesti mortiferi
Rio Saturno gl’influssi, e risplendano
Le comete, che i Grandi atterriscono:
L’aria ingombrino strani fenomeni,
L’empia sorte ne opprima e perseguiti,
Escano fuori dell’orrido tartaro
E Megera, ed Aletto, e Tesifone,
E coll’atre ceraste venefiche
E spaventino, e assalgano, e investano:
Da’ suoi cardini il Mondo si sgangheri,
Si disciolga, s’infranga, precipiti,
Io non mi vo’ confondere,
Atterrir io non mi vo’:
Faccia il diamin quanto può,
Purchè in seno io possa infondere
Di Sabazio la virtù,
Del passato non curo più,
Il presente non sentirò,
Al futuro non penserò.
Io mi rido degli Astrologi,
Che si vantano di leggere
Gli Enimmatici caratteri,
Fatti a zifra del Zodiaco;
E le sorti avverse e prospere
Predire agli Uomini;
E lor dan regole,
Consigli, e metodi,
E sciocchi vogliono,
Che i giorni osservino,
E gli anni critici,
E climaterici
Per sottrarsi alle influenze,
Che maligne lor sovrastano,
E con buona salute in allegrezza
Giugnere ad una prospera vecchiezza.
Ciurmatori,
Impostori,
Ignoranti,
Furfanti
Sono gli Astrologi.
Canocchiali, e telescopii,
Astrolabj, sfere, e circoli
Fan dar volta alle carrugole:
Li solstizj, e gli equinozii,
I pianeti, e l’effemeridi
Non mi fan nè mal nè bene.
Ma s’io berrò
Quanto posso, e quanto vo’
O di questo magnifico Negraio48
De’ poggi di Montruio, e di Mossano49
Che all’onorato mio cortese Arnaldi50
Allievo di Minerva, e delle Muse,
„ Pien di filosofia la lingua, e il petto,
Gli spiriti febei risveglia in seno:
O di questo Cruvaio51 ingannatore,
O del blando52 Pignolo, o del Capraio53
Schiumoso, che nel pian di Malo imbotta,
E al terz’anno serbar suol il Canati,54
Se di questi berrò
Quant’i posso, e quanto vo’
I polmoni, e gl’intestini
Rinovar mi sentirò,
E con buona salute viverò,
Dunque or ora ch’io parlo
Voglio provarlo.
„ Glò, glò, glò
„ Gottemorghene
„ Trinchevvaina,
„ Star queste ffine
„ Liquor diffine:
„ Mi piene baghe
„ Beffer senza paura che imbriaghe.
Sù mescete,
Infondete,
Bevete
Questo possente
Balsamo eletto,
Ma così pretto.
Quanto a me più che ne ingozzo,
Più mi strabilio
Vado in gloria, e in visibilio.
Ma guardatevi, che mai
Nel bicchiere non vi cada
Una gocciola d’acqua o di rugiada.
Che faria
Frenesia,
Trufferia,
Ingiustizia,
Sporcizia,
Malizia
Il corrompere, e far brutto
Coll’acqua questo asciutto.
Venga il canchero, e la rabbia
A colui, che primo fu
A meschiar l’onde mie
Col Vicentino
Salubre vino.
Queste i’ vo’ che servan solo
Ad irrigare il suolo,
Per nodrire, e fecondare
Le colline, e le pianure,
Onde robuste e vegete
S’alzin quindi le viti
A coronar di grappoli
Gli oppi, e gli olmi mariti.
Ma se poi mai più nel tino,
Nella botte, o nel veggiolo
Ne ponesse alcun Mariuolo,
Si dichiara in questo punto
Della patria traditore;
Ed in pena del suo errore
Condannato sia costui
Sempre a ber dell’immaturo
Aciduccio, ed ammuffato
Flatingenera, tirato,
Senza forza, e senza brio
(Che stia pur da me lontano)
Piscerello Padovano.55
E perchè sia giuridica
Questa sentenza,
In presenza
Di voi tutti Compagnoni
Di quest’otre a cavalcioni,
Tra le tazze, e tra i boccali
Siedo protribunali,
Ed in termine ben chiaro
La dichiaro
Immutabile,
Inviolabile,
Inalterabile,
Inappellabile.
Bevan acqua le Signore,
Che del pallido colore
Voglion tingere le guance:
Ma per me queste son ciance:
Esse credon di piacere
Quando altrui si fan vedere
Con un visuccio
Smortuccio
Languiduccio
Senza sangue, e senza spiriti.
Vanerelle,
Pazzerelle,
Si lusingan così di parer belle,
Voi però che saggi siete,
Ben io so, che mi direte
Che vi piaciono le Donne
Come piace il vino a me,
Ch’elle sian, ma di suo piè,
Rosse, e bianche;
Perchè il bianco, e il rosso fa
Perfettissima amistà.
E s’io vi dica il vero
Chi vuol farn’esperienza,
Dia di mano al suo bicchiero,
Ed apprenda un bel mistero.
Via si meschi ad ana, ad ana
Marzemino e Moscadello,
Pedevendo e Groppello,
Vespaiolo e Corbino,
Lambrusco e Pasquale,
Tuttassieme in un boccale.
Vien dall’Indicoccidente
Un febrifugo potente,
Che si chiama da voi Chinachinaro,
Quest’è un amaro
Disgustoso e sciagurato,
Che t’appesta le fauci ed il palato:
Ma specifico migliore
Riescirà questa mistura
Saporita,
E gradita,
Ch’appetisce la natura,
E che le dà ristoro,
E chiamarla vogl’io Vinovinoto.
Or il primo
Ne vò bere infin ch’il tocco;
E s’Uom mi dice
Tu se’ uno scrocco;
Infelice,
Io gli rispondo
Netto e tondo,
Tu se’ pur sciocco:
Una vita regolata,
Senza qualche stracavata
Mi farebbe intisichire
Presto presto e poi sbasire.
Io però credo al Pigati56
Onestuomo,
Valentuomo,
E che ha letto,
Scartabellato,
E studiato
Più d’un tomo;
D’ambedue l’arti d’Apollo
Gran maestro, ei m’assicura
Che una volta almen per mese
Non fa danno, anzi buon prò
Con insolito stravizzo
Un buon pasto,
Dando il guasto
A bicchieri, e ber a josa,
Ch’egli è pur la bella cosa.
Ora tocca la mia volta;
E vo’ farla come và.
Dammi qua
Quella pevera:
No la pevera, l’imbuto,
Il boccale, il fiasco, il gotto,
Quel che vuoi, sì: meglio, meglio
Dammi ’l secchio,
Ch’io ne bea fin all’orecchio,
E s’io nol vuoto intero,
Dì che non vaglio un Zero.
Vedi pur, non cen’è più:
Metti giù,
Metti giù questo:
Piglia su:
Nò; piglia quello;
Mesci pur, ch’io tengo sodo;
Fà belbello, avverso, ammodo:
Ma tu tremi?
Di che temi?
Stali
Stali;
Perchè prilli,
E vacilli,
E mi spigni,
E mi giri il capo attorno?
Non fai motto?
Tu se’ storno,
Tu se’ cotto.
Veh! veh!
Che c’è?
Affè,
Tè, tè,
Dondola il tetto,
Traballa il desco,
Trema la terra,
Afferra, afferra,
Esciamo al fresco.
Oh! veh quel tordo57
S’egli è balordo,
A sua posta nella ragna
S’è infilzato, e poi si lagna.
E quella merla,
Sta a vederla.
Zitto, zitto,
Sbussa il cesto:
Ma tien ritto,
Ma fa presto.
Dagli un altro a quel fringuello.
Al zimbello,
Al zimbello, che farà?
Quello stuolo d’uccellacci,
Che fà?
Dove và?
Ferma là:
Vien quà.
Ah! ah!
Quegli Uccellacci
Pazzacci,
Bravacci
Daran ne’ lacci.
Uccellacci, Uccellaccioni.
Son pavoni?
Mai nò.
Son beccacce?
Oibò.
Sono quaglie?
Nol so.
Che non rompano le maglie.
Or vo’,
Vo’ a vedere quel che sono.
Oh! oh!
Son cardelli,
Farò,
Io farò che non mi scappino,
Nò, nò.
Cardellucci
Neralbogiallucci,
Frasconcelli,
Arditelli,
Sfacciatelli:
Ora cantate,
Fischiate,
Strillare,
Troppo tardi omai piagnete,
Poichè siete nella rete.
State mò:
State qui finchè ritorno.
Io vogl’ire un poco attorno,
E veder tutte quante
Le delizie,58 che sono
In questo luoco adorno,
Alto Ninfe, che nel bagno59
Vo’ calar senza compagno.
Le coscie, e il tergo,
E il petto immergo,
Ma più insuso io non m’arrischio,
Perchè temo,
Che se l’acqua il labbro tocca,
Non me ne cada qualche stilla in bocca:
Io dell’acqua altrui son prodigo;
Ma che ne bea giammai,
Padre Bacco, lo sò, tu nol vorrai,
Or di novo eccomi qua;60
Ma che fà?
Là che fà così negletta
Quella bella cantimplora?
Pigliala fuora,
Dammela qua.
Facciam onore
Al gentil Negri,61
Di cui la è dono,
E stiamo allegri.
Questa è ripiena
D’un potentissimo
Grato Elisire,
Che fa vergogna
A quel sì celebre,
Di cui Borgogna
Va tanto altera;
E fa vedere,
Che questo suolo
Da per se solo
Tutte a noi dà
Le cose rare,
Che in altri molti
Natura provida
Sparse qua, e là.
Dammela sì,
Sì, sì,
Dammela qua.
Ti tengo stretta,
Che non mi ruzzoli,
Accostati, baciami.
O benedetto
Quel, ch’a noi manda
Questa bevanda.
O bevanda benedetta,
O bevanda squisita,
Perfetta, e saporita.
Ma tu mi mordi?
E così tu mi tradisci,
M’infernifichi, e ferisci?
Crudele, crudele,
Or di te vendetta farò.
Cantimplora, cantimploruzza,
Io non fò ruzza.
Ti voterò,
Ti spremerò,
Ti annienterò
O giocondo
Capogiro, giramondo.
Lafalilella
Canta la bella
La bella Girometta:
Do, re, mi, fa,
La gnora Luna
Baruccabà,
Dà, dà
Dammi Lesbino
Dammi del vino,
Dammi di quello
Di quello bello,
Di quel Corbino
Razzentefrizzante
Smagliantestuante.
Poh! l’afa tepida
Che in faccia spirami;
Mi sento cuocere
La milza, e il fegato,
Elenuccia
Vaguccia,
Rossuccia,
Biancuccia,
Belbellappiano:
Lascialo stare.
Tu lo guati, gli strigni la mano,
Tu lo strugi,
L’abbrugi,
L’adeschi,
L’inveschi,
L’attrappi,
Cattivella, e poi gli scappi.
Olà, olà,
Ca pribarbicornupedi
Satirelli,
Ricciutelli,
Furfantelli,
Cessate pur cessate
Di giribarcolare,
E d’urtitracollare:
Acchetatevi,
Accostatevi,
E quelle verdeggianti
Pampinederecorimbifere corone
Apprestatemi, ch’i’ vo’
Adornarne le fronti
D’Elena, e di Simandio.
Veng’Amor, ed Imeneo,
E questi cuori stringano
Di laccio indissolubile.
Faccian pur eco i monti, e le valli,
E le Ninfe leggiadramorose,
Cinte il crin di viole, e di rose,
Incomincino allegre i lor balli.
Di spirito divin tutto ripieno
Il padre Bacchiglion così dicea:
E fuor di se rapito,
Come se allor allora
Dall’antro fosse di Trofonio uscito,
Stava per dire ancora
Ammirabili cose,
A noi mortali ascose;
E gli eventi avvenire
Già già volea predire.
Ma Giove gli mandò
Morfeo, che gli occhi e i labbri a lui turò
Quattro Satiri allora,
Intrecciando le man sia d’essi ad arte,
Nella sua grotta algosa
Lo portaron veloci; e più feconde
D’ind’in poi scaturir le sue chiar’onde.
- ↑ Berga, e Berica si dice Vicenza da’ colli Berici, alle cui falde è situata.
- ↑ Medoaco minore anticamente chiamavasi il Bacchiglione a differenza del Medoaco maggiore, ora la Brenta.
- ↑ Questo Fiume, che ha le sue prime sorgenti tra i due Villaggi Novoledo, e Caldogno, ne’ suoi principi ha l'acque chiarissime, che poi diventano crasse di mano in mano per la pinguedine del terreno, tra cui scorrono.
- ↑ Casino del Roccolo del Signor Conte Gelio Ghellini. Vedi la Figura.
- ↑ Questo Roccolo è piantato nel mezo d’un quadrato di circa due campi di terreno, intorno cui scorre un vivo ruscello, che forma un’ampia peschiera, oltre la quale gira una siepe, che tutto chiude il recinto.
- ↑ All’ingresso del recinto, dall’una parte si trova un comodo camerino ad uso di bagno; e tutto esso recinto è piantato di scelti fruttai, e di uve delicatissime.
- ↑ Tra i vini più salubri e che più ad ogni stomaco si confacciano, de’ quali abbonda il territorio vicentino si dà il primo luogo al Corbino, il quale nuovo riesce dolce, e quindi acquista un’aromatica qualità, per cui non cede a qualunque altro miglior vino pasteggiabile; e quanto più invecchia, tanto più diventa perfetto.
- ↑ Il tanto celebre vino Marzemino è assai delicato e soavissimo. Si fa supera anche in altri paesi, ma il Vicentino supera ogni altro.
- ↑ Il Sig. Co: Ottavio Trento nella sua Villa di Costoza, celebre e per le belle colline attissime a produrre i più perfetti liquori, e per quegli antri meravigliosi, che noi volgarmente chiamiamo Covali, fà il più eccellente Marzemino, ed il più squisito.
- ↑ Il vino Turco si fa da’ Signori Conti Porto-Barbarani, nella Deliziosa e magnifica loro Villa di Montorso.
- ↑ Don Gio: Battista de’ Co: Barbieri can. later.
- ↑ Il vino Vespaiuolo presso alcuni passa per uno de’ più eccellenti liquori, e veramente è saporitissimo.
- ↑ Occhio di pernice vino delicatissimo della suddetta villa di Montorso.
- ↑ Il Signor Conte Ghellini nella sua Villa di Santommio ha varie sorte di vini, tutti singolarissimi.
- ↑ Vino Granaio assai generoso e delicato si fa nelle Colline di Schio.
- ↑ Si allude al graziosissimo Ditirambo del gran Filosofo Medico e Poeta Francesco Redi intitolato Bacco in Toscana.
- ↑ Oròlo, e Leògra nomi di due Torrenti, i quali vanno a scaricarsi nel Bacchiglione.
- ↑ Vino Tordello si fa in varie contrade del Vicentino: ma quelle che si ha dal Villaggio di Grumolo è il più perfetto.
- ↑ Vino Pomello è veramente balsamico. Questo singolarmente si fà in Breganze dal Signor Co: Gio: Batista Monza.
- ↑ Il Signor Lodovico Tortosa Nob. Vic. Medico, Filosofo, e Poeta chiarissimo, fornito di tutta la più squisita erudizione sacra e profana; dalla conversazione del quale mai non si parte senza profitto.
- ↑ Il fu Gio: Batista Dalla Valle, morto pochi anni addietro merita, che di lui si faccia onorata menzione. Egli era Apotecario di professione: ma fu in oltre uno de’ primi Uomini del nostro secolo nella cognizione delle cose naturali, note a tutte le più accreditate Accademie di Europa. Egli ha lasciata una bella e preziosa raccolta di minerali, e d’altre cose rarissime.
- ↑ Tra tutte le contrade del Territorio Vicentino, che danno Vini scelti, quella di Lonedo è forse d’ogni altra più celebre. Quivi il Sig. Conte Francesco Piovene ha li più squisiti e migliori. Il più singolare però è il Groppello, gratissimo nel tempo stesso, e medicinale.
- ↑ Il Sig. Conte Scipione Figliuolo di detto Sig. Conte Piovene.
- ↑ Il Sig. Marchese Luigi Sale Cavaliere notissimo a letterati, e molto versato ne’ sacri studj non meno, che ne’ filosofici.
- ↑ Il Covolo che essi Signori Conti Piovene hanno nella loro villa di Lonedo.
- ↑ Il Sig. Canonico Co: Jacopo Ghellini Fratello de’ Signori Conti Pietro, e Marco.
Questi Cavalieri dai lor terreni posti sul Monte Berico raccolgono il Prosecco, il quale ha tutte le più rare qualità, che possa avere un tal vino di qualunque altro paese. - ↑ Queste sono dieci sorte di vini, li quali meriterebbero d’essere commendati distintamente, essendo tutti squisiti, e ciascheduno differente l’uno dall’altro di sapore, e di qualità.
- ↑ Il Sign. Giuseppe Sola Nobil. Vicentino.
- ↑ Villa Suburbana del suddetto dove accoglie, e tratta splendidamente i suoi amici.
- ↑ Vinsanto si fa pure in Verona, ed in Brescia: ma il Vicentino non cede nè all’uno nè all’altro.
- ↑ Si dice questo vino Pasquale, perchè non si fa se non verso Pasqua d’agnello, serbandosi sino all’ora l’uva appicata all’aria. Tutte le nostre uve delicate vi riescono mirabilmente: Serbato un tal liquore fino al terzo anno diventa squisitissimo.
- ↑ Si allude alla vaga pittura a fresco, fatta dal Signor Giuseppe Deport nel casino del Roccolo rappresentante Alessandro nell’Indie.
- ↑ Il Signor Marchese Mario Capra Poeta delicatissimo, che fu Principe dell’Accademia Olimpica.
- ↑ La celebre Villa di esso Sign. Marchese Capra detta la Rotonda, un miglio fuor di Città. Opera forse la più stupenda, e magnifica del nostro celeberrimo Architetto Andrea Palladio; e che si può dir con ragione un portento dell’arte, cui per ammirare concorrono continuamente i Forestieri. In così bel soggiorno allogiarono più volte ancora gran Principi trattati dalla munificenza di queste splendidissimo Cavaliere.
- ↑ Il celebre poeta Gian Giorgio Trissino dal velo d’oro, autore dell’incomparabile Poema eroico intitolato: L’Italia liberata, di cui si ripudia l’ultima impressione di Verona, perchè alterata senza il dovuto riguardo alla rispettevole autorità d’un tanto Poeta.
- ↑ Di questi antichi Poeti parlano gl’istorici Vicentini, e specialmente Giacomo Marzari, e Gio: Batista Pagliarini.
- ↑ Andrea Marana Nob. Vic. fu gran Poeta, e gran Matematico a’ nostri giorni.
- ↑ Antonio Bergamini contemporaneo del Marana fu eccellente grammatico, filosofo, e poeta.
- ↑ Messer Bartolomeo Canati Nob. Vic. fiorì nel 1500. Di lui oltre varie Liriche poesie si conserva nella Famiglia un Poema eroico in ottava rima, che forse in breve sarà pubblicato.
Tommaso Canati della stessa Famiglia fu molto versato nelle lingue de’ dotti, nelle matematiche, e nella poesia, nel fine dello scorso secolo, e nel princizio del corrente. - ↑ Questi tre Poeti sono notissimi agli eruditi sotto i bomi di Menon, Begotto, e Magagnò.
- ↑ Messer Cammillo Scroffa di Famiglia nobilissima Vicentina: celeberrimo per li suoi Cantici pedanteschi sotto il nome di Fidenzio Glotocrisio.
- ↑ Il Borgo, e il Biondo imitarono i Cantici Fidenziani.
- ↑ L’Accademia Olimpica fu in altri tempi una delle più accreditate d’Italia. Si spera vederla rimessa dallo zelo di chi vi presiede.
Il Teatro Olimpico opera questa pure portentosa del nostro Palladio, è meraviglia di tutti gl’intendenti d’Architettura. L’accademia si raduna nelle sale di questo Teatro.
Il Signor Conte Giovanni Montanari Vicent. ne ha trattato da quel dotto, erudito, e sapientissimo Cavaliere, ch’egli è in una sua Opera, che per essere notissima a’ Letterati non meno d’Italia, che oltramontani non ha mestieri d’essere da noi commendata. - ↑ Il Signor Canonico Conte Lelio Ghellini Poeta soavissimo, e prontissimo a verseggiare.
- ↑ Vino Lambrusco è fervido, e generosissimo. Il Sig. Co: Antonio Ghellini lo ha da un suo Parco di Villaveda, che chiama il Maso.
- ↑ Vino detto Incognito si fa di varie uve, e riesce un liquore molto robusto, e saporitissimo.
- ↑ Summano, Montagna altissima del Vicentino (15. miglia lontana dalla Città a settentrione ) famosa per l’antico tempio, ch’era nella sua cima, in cui si adorava da’ Gentili l’idolo Plutone, chiamato latinamente Summum Manium, d’onde poi ne derivò ne il nome di Summano. Alle falde di essa Montagna si trovano tutt’all’intorno parecchi Villaggi deliziosissimi. A mezogiorno è situato Santorso: verso mattina Piovene, Zuiano, ed altri: a ponente Schio, e Magrè: a settentrione Velo, ed Arsiero, e ne distretti loro si fanno vari sceltissimi vini, (tra quali il Passetto, che è un liquore di rarissime qualità) Le due nobilissime Famiglie de’ Sign. Conti di Velo, e di Arsiero dai loro Feudi ne traggono i più squisiti e pregevoli.
- ↑ Vino Negraio ottimo e sanissimo per lo stomaco.
- ↑ Due Villaggi felicissimi per le viti.
- ↑ Il N. H. Sig. Co: Lodovico Arnaldi Filosofo, e Poeta singolarissimo, il quale sino dalla sua giovanile età da’ saggi straordinari di sapienza, e di erudizione.
- ↑ Cruvaio è una specie di Claret delicatissimo, e gagliardissimo, benchè all’apparenza sembri leggieri, e però si chiama ingannatore.
- ↑ Pignolo, vino raro, pieno, ed amabile.
- ↑ Capraio, liquore balsamico.
- ↑ Li Nob. Fratelli Canati nelle lor possessioni di Malo fanno questi tre vini molto particolari.
- ↑ Benchè le colline Euganee diano alcuni vini singolari nel Padovano, contuttociò quel territorio, fertilissimo per altro, generalmente li produce languidi, e vi è l’uso di farli coll’uva acerba.
- ↑ Il Signor Gio: Maria Pigati Cittadino Vicentino e Poeta non meno che Medico eccellentissimo.
- ↑ La Caccia del Roccolo si fa singolarmente in sul mattino; e allor è quando fassi preda più abbondante di uccelli: contuttociò ne’ giorni de loro maggior passaggio in sulla sera pur vi si attende, e non pochi talvolta anche sul tramontar del sole (ora in cui cercano assilo per la sopravvegnente notte) tutta via se ne predano.
- ↑ Il Signor Conte Gelio Ghellini nel costruire il suo Roccolo ebbe in vista non meno il piacer della uccellagione, che quello di avere una boschereccia delizia nella sua Villa, in cui trattenere graziosamente gli Amici, e gli Ospiti: laonde oltre a quanto spetta alla caccia egli vi aggiunse pure e il comodo del bagno, e il divertimento della pesca, e viali e statue e prospettive ed altre adiacenza, le quali tuttassieme formano un luogo, ove ad ogni ora così nell’autunnale come nella estiva stagione andar si può, e trattenersi con molta soddisfazione e diletto.
- ↑ Naturalissima cosa è, ch’uom dal soverchio bere riscaldato ed acceso vada in traccia di refrigerio. Il nostro Eroe però si contenta di dar un tuffo nel bagno per rinfrescarsi: ma per conservare il carattere si astiene, ed anzi cautamente si guarda dal trangugiare nè pure una stilla d’acqua siccome buon Figlio di Bacco, di cui siegue gli avvertimenti e gli esempli.
- ↑ Una buona rinfrescata nell’acqua reprime i vapori fumosi, che manda il vino al cerabro: laonde non è meraviglia, se callando Bacchiglione ciuschero e brillo nel bagno, escito quindi ch’egli se n’è, ritorni a parlar con senno: ma poi ripigliando lo stravizzo vi si riduce a segno di non aver più nè tempo nè mente da ripararne gli effetti.
- ↑ Il Signor Co: Agostino Negri ne’ poderi della sua Villa suburbana detta le Casalatina fa un vino del sapore, e della qualità del più perfetto, che venga di Borgogna.