I tre tiranni/Atto II
Questo testo è incompleto. |
◄ | Atto I | Atto III | ► |
ATTO II
SCENA I
Artemona viene, in sul far del giorno, a parlare a Crisaulo e li trae di mano un’altra soma di farina e prometteli, sotto scusa di andare a stender camicie, di parlare a Lucia.
Artemona roffiana, Timaro, Crisaulo.
Artemona Ta, ta. Saran tutti a letto.
Piace anche a me ’l dormir.
Timaro Chi batte giú?
Artemona Amici. Apri: son io.
Timaro Pare una donna.
E chi sei tu che vai cosí a quest’ora?
Oh brutta vecchia! Se non par la strega
che vadi in corso!
Artemona Dimmi: ove è Crisaulo?
Timaro E che buona faccenda? qualche polli,
cosi a buon’ora?
Artemona Quel che vuoi, speranza.
Non mi fare indugiar, che non è ora
da star per via.
Timaro Non dubitar, figliuola,
che non sarai rubbata.
Artemona Oh! Basterebbe
perder l’onor.
Timaro Che? la verginitá?
Se tu non perdi quelle che hai venduto...
che son piú d’un million.
Artemona Dissi l’onore.
Timaro Oh! l’onor e’ hai struziato a mille amanti
e mille donne. Credo ch’ornai d’altro
puoi perder poco.
Artemona Tu non l’hai chiamato.
Di’ che son io, che mi spedirá, forse.
Timaro Eccol che viene. Arruffati, barbuta.
Artemona Dio ti facci contento.
Crisaulo E te meschina,
donna maestra di non dir mai vero
e vender ciancie.
Artemona E perché dici questo?
Ancor io non ti intendo.
Crisaulo Son ben tante
quelle che tu ci fai che con fatica
te ne puoi ricordar; senza mille altre.
Ove m’hai fatto ultimamente andare,
che aspettai tanto e non vi fu persona?
Che vuoi ch’io pensi?
Artemona Oh! Di cotesto sai
che non tei dissi certo; ma pensava,
secondo che m’avea detto la fante,
che la vi andasse. Non ci ho colpa alcuna.
Dio sa ’l cuor mio. Oh se tu fossi, figlio,
quel ch’io ti prego ognor!
Crisaulo Non è in proposito.
E poi fai ’l grande meco.
Artemona Odi. Ti giuro
sopra l’anima mia che appunto or ora
son giunta a casa: che da lune in qua
non mi son mai partita (io tei vo’ dire)
d’un monastero; ch’una mia compagna
mi ci ha tenuto a lavar certi panni
del padre confessoro. Oh paradiso!
Biat’a lor che v’andranno!
Crisaulo Io non ricerco
i tuoi travagli. Dimmi se facesti
di quella mia.
Artemona Si, si. Lasciami dire.
Da poi ch’io ti trovai v’ho messo mano;
e ’l di dopo, in bel modo, feci a Lucia,
ridendo, cenno di voler parlarli.
Ella non s’è mostrata in alcun modo
né di qua né di lá, che sta in sul savio
per amor de la madre; ma dimane
la coglierò in soquadro, se crepasse.
Voglio tre o quattro de le tuoi camicie
piú belle per lavarle; e con degli altri
panni le stenderò ne la sua ^altana.
E lascia che a la prima non li parlo,
che farò qualche ben.
Crisaulo Non ti dico altro
se non che quanto mai ce n’è bisogno:
che so ben come sto. Fa’ di servirmi
e serviti di me.
Artemona Ti vo’ contare.
Quella farina, ch’è forse otto giorni
che mi mandasti a casa, il mio figliuolo,
quel maritato, venne, non ier l’altro,
quand’io non era in casa, e se la prese
dicendo che n’ha piú di me bisogno.
Ond’io son senza; e, per trattare or questa
tua impresa, non lavoro o faccio niente;
e cosí non guadagno: onde conviene
alfin ch’io stenti. Di darti fastidio
a me ne incresce. Abbimi per iscusa
che ’l bisogno mi fa forse far quello
che non feci mai piú.
Crisaulo Basta. T’ho inteso.
Timaro, fa’ portare a questa donna,
a casa, un’altra soma di farina;
e, se vuole ancor altro qui di casa,
dalli quello che vuole.
Artemona Oimè meschina!
Vivrò mai tanto che mi sia concesso
rendere in cambio di si larghi doni,
non parole, ma fatti? E forse tali
che tu sempre cognosca tanto bene
non aver fatto, se ben poverina,
a donna ingrata. Certo, ch’io non posso,
almeno in render le debite grazie,
scioglier parola.
Crisaulo Non grazie o parole.
Fa’ ch’io sol veda, lá dove bisogna,
parole e fatti; che so ben e’ hai l’arte
e la lingua da far muovere un sasso,
non ch’una donna.
Artemona Vo’ che sian gli effetti
che provin l’arte, l’amore e la fede.
Resta con Dio.
Crisaulo Fa’ di tenermi a mente.
Va’. La accompagna tu per fine a casa,
Timaro
Timaro Ben, signor. Son de le nostre,
se séguiti cosi. Vecchia scanfarda,
sará ben forza ch’io ti cavi gli occhi,
se non sei onesta piú nel dimandare
per l’avenir. Ti farò lavorare,
se vói viver crestosa. Oh! Parti bella?
Sgomborarmi la casa con le some!
Fa’ conto di venir piú regolata;
che, per Dio vero...
SCENA II
Lucia si lamenta di Filocrate e manda la fante a cercarlo.
Lucia, Fronesia.
Lucia Aimè, caro Filocrate!
Son pur passati giá tre giorni interi
| e non ti veggio. Ove son le promesse
che cosí caldamente, tante volte,
a mia madre ed a me festi di tórmi
e sempre amarmi? Di quante lusinghe,
quante false parole e quanti inganni
son sempre pieni, omini senza fede!
Quante son quelle che nel fin rimangono
da voi ingannate! Ahi quante crude morti!
quante passion portiam per creder troppo!
Non posso desiar di te vendetta;
né, potendo, vorria: perché piú quella
sopra di me verria che a te medesmo,
quando la ti venisse. Sol ti prego
che vogli aver di si dogliosa vita
qualche pietade.
Fronesia Io te l’ho detto sempre
che non bisogna fare in lor disegno
mai di fermezza; che son fatti appunto
come le foglie e, con modi e parole
e, come dicon, con lor servitú,
trattengon tutte. E, s’avesser con mille
commoditá, tutte gli son padrone;
tutte li fan morir. Poi, vedi, al fine,
i portamenti lor mostran l’amore
e il lor poco cervello.
Lucia Orsú, Fronesia!
Voglio che vadi a dimandar di lui
Fronesia Mi metto in via. E lascia fare a me, che non è un’ora ch’io l’ho parlato. Ma tu, se madonna gridasse, sappi trovar qualche iscusa. Ed io son qui in un punto. Lucia Va’, sorella: e sappi far.
SCENA III
Pilastrino e Listagiro vengono, avanti ora di cena, da Girifalco, temendo che, per la troppa roba comprata, il vecchio fosse sdegnato; e, trovandolo meglio disposto, Listagiro li guarda la mano; e partensi con ordine di tornare a ora di cena.
Pilastrino, Girifalco, Listagiro parasite
Pilastrino Buona sera, messere.
Girifalco Oh! Siate i ben venuti, i miei figliuoli!
Ben mi pareva d’avervi sentito;
e però son venuto in su la porta
ad incontrarvi.
Pilastrino Come sta la cena?
Girifalco Sará in ordine a l’ora; ma, se pensi
di trattarmi cosi...
Pilastrino Perché?
Girifalco Spendesti
piú di mezzo il ducato.
Pilastrino Non è vero.
Eccoci a brontolare. Ah discrissione!
Orsú ! Fa’ che beviamo almeno, un tratto,
acciò che meglio possiam ragionare
senza seccarci.
Girifalco Pilastrin, piú regola.
Non è poi meraviglia se stai sempre
malsano perché nuoce fuor di modo
il ber cosí ad ogni ora; che, nel corpo,
fa come, in un laveggio, mentre bolle,
puor l’acqua fredda che toglie il bollire:
onde nascon di poi l’infermitá,
come tu vedi.
Pilastrino Oh! co! co! Chi sentisse
parlar costui del modo e de la via
del non mangiar né ber non penserebbe
che fosse un Ippocrasso o un Gallinello?
Cosí c’è dotto!
Girifalco Per grazia di Dio,
sempre ho trovato che mi giova assai
non m’acciarpare. E vedi che ho passato
di molto il tempo che la maggior parte
non suol passare. Ma che c’è di nuovo?
In piazza che si fa?
Pilastrino Si vende e compra
de’ frutti e de l’erbette; e qui di nuovo
avrem da cena.
Girifalco Tu sei sempre in berta.
Pilastrino Vuoi ch’io ne dica un’altra?
Girifalco Si, di grazia.
Pilastrino Questo ci abbiam di nuovo: che Crisaulo
fa del suo resto; ed or, per questa giostra,
apparecchia livree d’argento e d’oro,
infin per gli staffieri; ed ha comprato
ora un corsier cinquecento ducati.
Pensa se è bello!
Girifalco Tu non di’ da vero.
E come ’l sai?
Pilastrino Ti voglio dir la cosa.
Passava ier da casa di Calonide.
Ed erano ivi aspettarlo a la porta
duo servi o tre. E mi fermai con loro,
alquanto, a ragionare; e intesi questo
con mille altre grandezze che di nuovo
fa per colei.
Girifalco Oimè! che mala nuova
è quella che mi porti, sciagurato!
Poi non debbe esser vero; e tu lo dici
per vedermi morire.
Pilastrino Oh! tu ti cangi
cosi di cera! E’ par che abbi paura
di quel marcetto. N’è ben gran pericolo
che ti scavalchi!
Girifalco Or to’ questi ristori,
Girifalco meschino. E si, fu vero?
Era pur dentro in casa quel tignoso?
Vedesti ’l tu?
Pilastrino Si, vidi poi a l’uscire,
che fu in sul buio; ma non so giá dirti
quel che v’avesse fatto.
Girifalco Aimè tapino!
Perché voglio piú viver? Prego il cielo
che faccia in modo ch’io mi rompa il collo
prima ch’abbi a morir di questa morte.
Cara la vita mia, non ti ricordi
giá piú di me. Tu mi fai pur gran torto,
che sai che ’l primo di non ti cercava.
E tu ti innamorasti cosí forte
di me che non vivevi ben quel giorno
che non facevi dirmi qualche cosa.
Listagiro Lascia pur: ti trarem questi pensieri.
Girifalco Ed ora, che t’ho posto un poco amore,
sei si ritrosa! E forse ancor mi cambi
per una nebbiarella. Che se, un tratto,
mi dá fra l’unghie, ne vo’ fare appunto
quel che fo d’un pidocchio. Oh! ah! ca! ca!
Che sará poi?
Pilastrino Del tuo resto, s’io posso.
Girifalco Ghiottoncella, che m’hai cavato il fiato!
Ma ti voglio cavare a te de gli occhi
quel riso e quelle frasche.
Pilastrino E però è buono
che sia venuto qui questo mio amico;
perch’è persona che ti saprá dire
la cosa come sta e forse trarti
d’ogni tuo affanno.
Girifalco E che induggiamo, adunque?
Pilastrino Non si può far, di giorno. Poi, istasera,
dipoi cena, potrem mettervi mano
e far qualcosa buona. E, perché veda
ora qualcosa, mostrali la mano.
Guarda, maestro Abraham.
Listagiro Per contentarvi.
Girifalco Ecco. Guarda, maestro, se a’ tuoi giorni
vedesti man si bella e dilicata,
colorita e ben fatta.
Listagiro Bella, bella,
se Dio mi guardi. Tu non debbi molto
curarla con saponi ed acqua fresca,
per ordinario.
Girifalco Si, quando è l’estate.
Listagiro E ’l verno?
Girifalco Manenò, che allor mi lavo
sol con la calda.
Listagiro Ho veduto a la prima.
Oh bella vita! oh bei monti! oh begli anguli!
oh che bei segni! oh! gran particolari
v’è da vedere! Io, per me, mai non vidi
la piú felice man. Guarda, messere.
Non voglio far come che soglion certi
che dicon mille cose, poi fra tutte
non si ricoglie un vero. Io sempre dico
qualche particolar che sia notabile
e lascio le lunghezze. La man, prima,
è bella com’un cesso.
Girifalco Come «un cesso»?
Listagiro Attendimi, se vuoi. Dissi: non cesso
di veder tuttavia cose piú belle
quanto piú guardo. Quando non mi intendi,
talor, non ti curar; che ora non puoi
esser tanto capace.
Pilastrino Orsú! Incomincia.
Listagiro Prima, per quello che si può vedere,
hai una vita lunga piú che n’abbi
altra visto giá mai. Viverai tanto
che, per vecchiezza, debbi andar carpone
per terra con le mani e verrai sordo,
orbo ed attratto: ma v’è tempo ancora
piú d’ottant’anni.
Girifalco Oh! Quello andar carpone
che non sia qualche mal! che non ne ho visto
alcun cosi.
Listagiro Perché intraviene a pochi
tanto invecchiare. E non è poi gran cosa,
quand ’altri si ci avvezza.
Girifalco E come è questo?
haine mai tu veduti?
Pilastrino Van per terra
co’ piedi e con le man, per la vecchiezza,
come i cavalli e, quasi ogni stimana,
bisogna ancor ferrargli; che, altrimenti,
per i gran calli che han sotto a le piante,
non potrian bussicarsi.
Girifalco Uimei! Che sento?
E mi bisognerá mettere ai piedi
i ferri con i chiodi?
Listagiro Si; ma in modo
che non posson far mal, perché quei calli
vengono appunto duri coni ’un ’unghia
d’un cavallo e, se ben v’entrano i chiodi,
non si posson sentir.
Girifalco Dio me ne guardi!
Che vo’ inanzi morir dieci anni prima
che venire a cotesto; che, in un giorno,
mi romperian le calze e gli scappini:
e forse mi domano.
Listagiro A questo, allora,
in qualche modo provederem noi.
La tua vita sará lieta e felice,
benché, per il passato, l’abbi avuta
alquanto travagliata; che sei stato
uomo di grande ingegno e penso ch’abbi
fatto gran robba.
Girifalco Eh! cotesto, non molto:
che sempre mai si spende e poi ’l guadagno
non risponde a un gran pezzo.
Listagiro E poi tu spendi
liberalmente, che sei uomo largo.
Pilastrino Si, tanto! nel forame.
Listagiro Ancor non penso
ch’abbi figliuoli; ma, in fra poco tempo,
ti se n’aspetta (per quello che mostrano
quelle linee che vedi in fra quei monti
che fan duo stelle) duo maschi a la fila,
perché si fa la congiunzion di Giove
ne la casa di Venus. E di questo
allegrati perché, per via di madre,
nasceran di bellissima progenie.
Al nascimento lor, che non c’è forse
mille anni, ti dirò de la lor vita
cose grandi. E, se questo non ti fosse
destinato dal ciel, giudicherei
che tu venissi, un tratto, ne la Chiesa
un gran privato.
Girifalco Cardinale? o che?
List agirò. Forse che si; perché, giri a suo modo
il ciel, che ti s’aspetta poi in vecchiezza
felicitá.
Girifalco Se vien fatta quell’altra,
non vorrei esser papa.
Pilastrino Oh scempionaccio!
Ti trarrem ben l’amor.
Listagiro E de la vita
sei talora infermiccio; ma ’l tuo ingegno
vede di lá dai monti.
Girifalco Questo è vero:
che, quando voglio fare una cosa io...
Orsú! Non vo’ lodarmi. Di persona
non son giá infermo: che, da questa poca
di gotta in fuori e certo mal di rene
e la pietra, che è giá forse vent’anni
che la sento, con questo catarretto. . . ,
oh! co! co!...
Pilastrino Ti dia Iddio.
Girifalco ...aiuti anche a te...
... mi sto assai bene.
Listagiro Orsú! Tien questo a mente.
Tu dèi venire, anzi che passi troppo,
al desiato fin d’una tua impresa: ^
e fia per la virtú di duo pianeti
le cui opposizion debbon pure ora
mancare al fin di questa nuova luna.
E le cose che son giá lungamente
desiate verranno a buoni effetti.
Però sia allegro. Or non vo’ qui discorrere
il ciel di cerchio in cerchio e i loro aspetti.
Ma ho detto appunto.
Pilastrino Basta. È da vantaggio.
Diamo una volta in piazza.
Girifalco Io non potrei,
maestro, ringraziarti a la metá
di quel che...
Listagiro Lascia andare or le parole.
Ringrazia il cielo che ci ha fatti degni
di tanta sua virtú.
Pilastrino Studia la cena.
Girifalco Non furia, Pilastrino, perché Orgilla
mal può sola conciar tante vivande
quanto comprasti.
Pilastrino Avresti da allegrarti
e tenerti felice, che ho prò visto
robba a bastanza: ch’io ti so dir certo
che t’avremmo mangiato almanco mezza
cotesta tua giubbessa in su le spalle
e da mano e nel petto; che sarebbe
com’un presciutto appunto.
Listagiro Oh! co! co! co!
Tu mi farai crepare. E la berretta?
Non n’hai fatto menzion. Che par caduta
nel catin de la morca di dogana
e sarebbe bastante a cento frati
de l’Osservanza a condire un minuto
di duo caldaie.
Pilastrino Quel si ci intendeva.
SCENA IV
Artemona, parlando da sé, mostra di aver parlato a Lucia ed aver ricevuto da lei villania; e, in questo, truova Fronesia che cercava di Filocrate. E, partitesi l’una da l’altra, Fronesia si pensa di non cercar piú Filocrate ma fare, in favor di Crisaulo, uno inganno a Lucia.
Artemona, Fronesia.
Artemona Che farai, vecchia? Vuoi dare a Crisaulo
questa cattiva nuova? Io veggio certo
che non si fa per te. Gliel dirò pure;
ma in destro modo. E vo’ veder s’io posso
farlo suonar di qualche bolognino
per riavermi di quella paura
che m’ha fatto colei. E, se non sono
al cane adesso, non ne vo’ quattrino;
che mi farebbe far senza disagio
mille miei faccenduzze. Ecco Fronesia.
Non par quasi turbata punto in vista.
Debbe averla istimata forse aneti ’ella,
com’ho fatto io. E dove, cosí in furia?
Come andò poi la cosa?
Fronesia Eh! manco male.
Ha fatto pace meco.
Artemona Lo sapeva;
che non fu mai tempesta che durasse.
Io t’arei da insegnar come hai da fare
che questo toro ti divenga agnello,
se potessi fermarti.
Fronesia Non è tempo,
ch ’è troppo tardi. Ci vedrem dimane.
Non voglio piú cercarlo, poi che ho inteso
ch ’è fuori in villa e non si sa pur dove.
Onde avrò luogo di fare un bel tratto
in favor di Crisaulo e far mio sforzo
di cavameli al tutto de la mente:
che, infin che sta cosi, non è possibile
che pensi ad altro; che noi donne sempre
pigliamo il peggio. E, se fia suo marito,
sendo pover di robba e di parenti,
faranno amendui insieme i stentolini
ed a me sará forza procacciare
altronde il pan. Ma se, per opra mia,
venisse in mano di Crisaulo ricco,
so che gran doni non mi mancherebbono.
E, se piacesse a Dio che la sposasse,
sarebbe ella felice ed io, contenta,
me n’andrei seco. E di tutta la casa
sarei donna e madonna; e con alcuno
di quei bei giovanotti servitori
mi starei qualche volta a sollazzare;
e cosí lieta sguazzerei il mondo.
A la croce di Dio, che è ben pensata!
Diman voglio trovar la vecchia e seco
consigliarmi di questo; e che pensiamo
qualche malizia nuova.
SCENA V
Artemona, trovato Crisaulo, li narra quello che è seguito de la sua imbasciata e lo lascia mentre egli si lamenta d’Amore: in che poij forte crescendo, preso da uno accidente di cuore, si vien meno; e, per una orazione di Fileno suo servo fedele, ritorna.
Artemona, Crisaulo, Fileno.
Artemona Io non pensava
piú di trovarti.
Crisaulo Eccomi qui. Che nuove?
Artemona Cattive e dolorose.
Crisaulo Aimè! Son morto.
Contami il tutto.
Artemona Eh! Non cosí cattive
che nochin con effetto, che vedrai
che te la vo’ domar; ma, per adesso,
si mostra aspretta.
Crisaulo Sará tanto, al fine,
ch’io ne morrò. Dimmi come è passata,
di punto in punto.
Artemona Oggi vi sono stata:
e la fante mi la ha fatto parlare,
sotto quelle camicie; ed io da lunge
mi mossi per ordir la buona tela.
Ma costei se n’accorse nel principio:
onde mi colse ben, che è gran ventura
ch’io ne sia ritornata senza offesa.
Ma ancor, per questo, non aver pensieri;
che, anco che crepi, le vo’ trar del capo
la bizzarria.
Crisaulo Ben l’avev’io pensato:
che la cognosco per la piú crudele,
la piú ingrata e scortese che nascesse
mai sotto il cielo. Ahi lasso sfortunato!
Questo è ’l buon guidardon di tanta fede?
Dch non foss’io mai nato!
Artemona Taci, dico.
Ascolta.
Crisaulo Si, s’io posso: ch’io mi sento
mancar l’anima dentro. Ma che ria?
Dopo tanta miseria, al fine, un giorno
verrá pur lieto e, dopo tante morti,
una che mi trarrá di questi affanni.
Questo s’acquista.
Artemona E va’; riserba altrove
tanta disperazion: che, se sapessi
il lor cervello come è dentro fatto,
com’io so giá per mille, non potresti
se non sperar. Ti giuro, sopra questa
anima peccatrice, ch’io la tengo
piú sicura che s’io l’avessi in casa.
v Che, a dire il vero, non è cosa al mondo
si varia e ad ogni vento tanto mobile
quanto è la mente lor.^ Nulla è si stabile
in lor che non si muti poi col tempo
e con ingegno ed arte./
Crisaulo Io ben lo provo.
Orsú! Vo’ che mi dica che ti pare
che abbiamo a fare; e cosí governarmi,
se per me si potrá.
Artemona Non ho tempo ora,
Commedie del Cinquecento - 1. 15
che ti direi una mia fantasia
sopra di questo; ma ci voglio meglio
pensar. Lascia, ch’io vengo infra duo giorni
con qualche aiuto. Fa’ che, in questo mezzo,
tu non ti pigli affanno.
Crisaulo Iddio volesse
che lo potessi far!
Artemona Fa’ di sforzarti.
Crisaulo Dch! Perché non poss’io tante parole
formar col pianto o, co’ sospiri ardenti,
dar tanto di valore a questi venti
’che al cielo ancor de l’acerbe mie pene
giunga pietade? Che giá qui mi pare
ch’ogni cosa mortai meco s’attristi,
meco pianga e sospiri e mostri in vista
di compassion sembiante; se non quella
che sol desia vedere in mezzo agli anni
quest’alma spenta. E giá condotta è a tale
che poco manca che si dura vita
non abbandoni e si ritorni ignuda
al suo Fattor.
Fileno Caro padrone, affrena
questi tuoi pianti. Tu vuoi pur far lieti
i tuoi nimici e noi sempre tenere,
miseri, in duolo. Se non vuoi aver cura
a te medesmo, abbi almanco rispetto
a noi; che piú t’amiamo e piú nel cuore
abbiam le tuoi passion, gli affanni e pene
che piú ci affliggo n che le nostre istesse.
Prendi questo leuto; e, per uscire
di tanto duolo, fa’ che suoni e canti
qualche canzone allegra.
Crisaulo Altro non posso
cantar se non di quel che dentro il cuore
mi muoverá.
Fileno Su! Non star piú; ch’io senta.
Crisaulo
MADRIGALE
Non vedrá mai queste mie luci asciutte,
in alcun tempo, il cielo
né l’alma de le dolci fiamme spenta
per fin ch’ella si spogli,
lieta, del mortai velo,
lasciando il corpo e l’amorose lutte.
Alta luce, che accogli
l’anima ch’è contenta
in cosí dolce foco arder mai sempre,
con meno amare tempre
scorgi l’alma che è giunta all’ultim’ora;
poi che, morendo, ancor t’ama ed onora.
Fileno Ah! Tu sei pur di bello in su la grossa!
Oh! Che canzone è quella, da cantare
il di de’ morti!
Crisaulo Ahi! Luce di mia vita,
che al cor lasso di si dolci pensieri
fosti esca un tempo, altro or da me non vuoi
che pianto e morte. È venuto ornai l’ora.
La ti do volentieri.
Fileno Aimè, padrone!
Crisaulo Io passo. Potrai dirle tu con vero!
ch’io son morto per lei.
Fileno Timaro, corri;
porta aceto rosato e malvagia
e confessioni. Aimè! ch’io tremo tutto,
• che ’l padron si vien meno. O sommo Iddio,
chiunque puoi col sol benigno sguardo
al mio caro signor porgere aita,
dch! muovati pietá, se quella solo
ne gli spirti celesti vive e alberga;
né vogli di si cruda e acerba morte
di chi piú che sé t’ama e sopra a tutti
li iddíi t’onora esser cosí cagione.
Ma, se pur questo fosse in suo destino
e ’l ciel cosí dispuon che Amor questi occhi
lassi chiuda piangendo, a te mi volgo
(se feci mai perché benignamente
merti d’essere udito) che nel cielo
ss sei piú potente, Amore; e sol ti priego
che pria mi facci de la morte dono
(ch’io te la chieggio in grazia) che ciò segua:
che assai piú amara e piena di spavento
questa mi fora e quella men dogliosa,
lasciando in vita lui.
Crisaulo Che fai, Fileno?
Mi pare aver sentito apparir, dentro
ne le tenebre mie dell’intelletto,
luce d’immortai guardo che gli oscuri
e dogliosi pensieri in parte m’abbia
riconfortato. E m’è venuto in mente,
quando si truova un poverino ignudo,
nel tempo de le nevi, essere, in luogo
diserto, si aggelato che giá l’alma
si sia partita, pur restando alquanto
nel cuore ancor del caldo naturale,
che, venuto un allegro e ardente sole,
li porta, insieme con un dolce caldo,
la vita giá perduta.
Fileno I caldi prieghi
sono stati, signor, che ho qui, piangendo,
porti a quel Sol che col suo divin raggio
sempre ti può far vivo.
Crisaulo Non fia mai
in me dimenticato tanto amore.
Anzi, per fin che sará questa vita
meco, l’avrò con gli altri tuoi infiniti
buoni uffici nel cuore.
SCENA VI
Pilastrino, avendo’ cenato col vecchio, esce ebbro di casa: e, caduto di contra a la porta di Crisaulo, la famiglia sua esce fuori con arme dubbiando di romori.
Pilastrino ebbro, Fileno.
Pilastrino Oh! oh! co! co!
Sta’, sta’, ch’io vengo. Ohu! Sii! su! Listagiro,
corri, che la casa trema, ca...cade.
Lascia, lascia ’l vecchio, che affumma tutta.
Oh! co! co! Ve’ ch’io ’l dissi. Eccola in terra.
L’addovinai pur. Leva! leva! Lasciami
spegn...gne...gne...gner quel mocchilone. Addio!
Sta’ su, Pilastrino, in su la persona.
Te n’hai fatt’una ben... ben... buona, a raso
canale. Oh! Stammi cosí bene allegro.
Si, si, gli è buono: ch’è piú dolce ch’essere
in su la pancia (oh che dolce morire!)
d’una vitella cotta col formaggio;
ch’è piú dolce che ’l mele. Oh! Cosí vogliono
esser gli uomini li... liberali! Ohu!
oh! co! Guarda come gira ben... bene
il tetto in su la piazza! So, so che noi
farebbe Iddio che non ci sia qui al mulin
di Bertaccio. Sta’, sta’, che viene. Eccolo.
Vello. Sta’ pur fermo. Non mi ti accostar,
che son troppo stanco. Ecco li quan... quante
belle donne! Se non mi pare ’l bor...boor...
borgo nuovo! Leva! leva! fugge! oh!
fugge sotto, che ’l ciel ca.. .casca! Ve’ che ’l
camino arde in cu... cucina. Su! Leva
la torta. Ve’ che mi struggo tutto, ahuè!
d’ambascia. Oh! S’io non pagassi un pan unto,
qui, il letto de la Gnesa, tan... tanto mi
vien sonno! Oimè ! come mi duol lo stomaco
ne le budella! Ve’, lá giú, quan... quante
pecorelle! Vo’ saltare anch’io e ballar
d’allegrezza. Lasciami appoggiar prima
con la persona. Chiocciola marinella,
cava fuor le corna. Oh potta di santo...!
Par ch’abbi la febbre, cosí mi bolle
il fegato! Oh! Bogli bogli, calderon,
per dispetto del tuo padron. Oh! co! S’io
mi reggo d’allegrezza, ch’io diventi
speziale o sbirro. Lascia ch’io fornisca
questa, e vengo. Streppiti e calderoni,
ch’io li ho impegnati. E viva la ca...
Sta’, non mi dar la spinta. Eccomi giú.
Oimei, e’ ho rotto dentro! auhè!
Fileno Chi è quello!
Timaro, chi è lá? Senti? Chi grida?
Che romore è? Che vuol dir. Pilastrino?
Tu non rispondi? È morto. Aiuto, aiuto!
Arme, arme! Fuori! che gli è stato morto,
qui, Pilastrino. Accennami col dito
se ancor sei vivo.
Pilastrino Oh! oh! oimè meschino!
Fileno Non c’è mal, non c’è mal.
Pilastrino Ben... ben sapeva
ch’oggi m’avea a venir qualche disgrazia.
S’io campo, faccio voto di vestirmi
pinzocora del terzo ordine. Oimei! oh!
che m’esce il fiato.
Fileno Guarda lá gaglioffo!
Forse ch’io noi pensai che gli è ubbriaco,
questo impiccato? M’era giá venuto
il cuor, di compassione e di paura,
ad un granel di miglio. Che t’han fatto?
Di’, Pilastrino.
Pilastrino Son caduto giú
I da le mura de la ròcca. Oimei! Aiutami,
qua giú nel fosso, fratello, ch’io moro.
Vorrei la candela da benedire
e ben da bere in questo affanno.
Fileno Parti
ch’abbia ben preso l’orso per gli orecchi,
questo poltron? Sta’ su, che sei ubbriaco
spolpato. Quel che avresti di bisogno
in questo mal sarebbe un braccio e un terzo
d’un buon querciuol. Questo porco da stalla,
ch’ogni tre di si cuoce!
Pilastrino Tu non dici
il ver, se fossi mia madre. Ti vo’ far
men...men... mentir per la gola. Aspettami,
assassino! ch’io ti voglio accusare.
Non camperai da le mie mani. È desso,
quel traditor, quel biroldaio, boia.
Ti vo’ cavare il cuor, coglion, co l’unghie.
Lasciami pure arrizzare il ca...capo
ben. ..bene. Sta’. Tien... tienti alto. Oh! Bene!
Io me ne vado in chia... chiazzo Barletti
a ber con l’oste. Addio.