I promessi sposi (Ferrario)/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

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CAPITOLO XXIV.


Lucia s’era risentita da poco tempo; e di quel tempo una parte aveva penato a sdormentarsi affatto, a sceverare le torbide visioni del sonno dalle memorie e dalle immagini di quella realtà troppo simigliante ad una funesta visione d’infermo. La vecchia le si era tosto fatta accanto, e con quella voce forzatamente umile le aveva detto: “ah! avete dormito? Avreste potuto dormire in letto: ve l’ho pur detto tante volte ier sera.” E non ricevendo risposta, aveva continuato pur con un tuono di supplicazione stizzosa: “mangiate una volta: abbiate giudizio. Uh come siete brutta! Avete bisogno di mangiare. E poi se, quando torna, la piglia con me!”

“No, no; voglio andar via, voglio andare da mia madre. Il padrone me l’ha promesso, ha detto: domattina. Dov’è il padrone?” [p. 325 modifica]

“È partito; ma ha detto che tornerà presto, e che farà tutto quel che volete.”

“Ha detto così? ha detto così? Ebbene; io voglio andare da mia madre, subito, subito.”

Ed ecco s’ode un romor di pedate nella stanza vicina; poi un picchio all’uscio. La vecchia accorre, domanda: “chi è?”

“Apri,” risponde sommessamente la nota voce. Quella tira il paletto; l’innominato, spignendo leggermente le imposte, fa un po’ di spiraglio, ordina alla vecchia di venir fuori, e intromette tosto don Abbondio colla buona donna. Socchiude poi di nuovo le imposte, vi si ferma dietro e fa andare la vecchia in una parte lontana del castellaccio; come aveva già rimandata l’altra donna che stava fuori a guardia.

Tutto questo movimento, quell’istante di aspetto, il primo apparire di persone nuove cagionarono un soprassalto di agitazione a Lucia, alla quale, se lo stato presente era intollerabile, ogni mutazione però era una contingenza di spavento. Guardò, vide un prete, una donna; si rincorò alquanto; guarda più fiso; è egli o non è? Riconosce don Abbondio, e rimane con gli occhi fissi come incantata. La donna, venutale presso, si chinò sopra di lei, e mirandola pietosamente, [p. 326 modifica]prendendole ambe le mani come per carezzarla e per sollevarla ad un tempo, le disse: “oh poveretta! venite, venite con noi.”

“Chi siete?” domandò Lucia; ma, senza udir la risposta, si volse ancora a don Abbondio che stava in piede, due passi discosto, con una cera anch’egli tutta compassionevole; lo affisò di nuovo, e sclamò: “lei! È lei? Il signor curato? Dove siamo? Oh povera me! son fuori del sentimento!”

“No, no,” rispose don Abbondio, “son io da vero: fatevi animo. Vedete? siam qui per condurvi via. Son proprio il vostro curato, venuto qui apposta a cavallo...

Lucia, come riacquistate in un tratto tutte le sue forze, si rizzò precipitosamente in piede; poi fissò ancora lo sguardo su quei due volti, e disse: “è dunque la Madonna che vi ha mandati.”

“Io credo ben di sì,” disse la buona donna.

“Ma possiamo andar via, possiamo andar via da vero?” riprese Lucia, abbassando la voce, e con un piglio timido e sospettoso. “E tutta quella gente....?” continuò colle labbra contratte e tremanti di spavento e di orrore: e quel signore....! quell’uomo....! Mi aveva ben promesso....[p. 327 modifica]

“È qui anch’egli in persona venuto apposta con noi,” disse don Abbondio: “è qui fuori che aspetta. Andiamo presto; non lo facciamo aspettare un par suo”.

Allora quegli di cui si parlava sospinse le imposte, si mostrò, e si trasse avanti. Lucia che poco prima lo desiderava, anzi, non avendo speranza in altra cosa del mondo, non desiderava che lui, ora, dopo aver vedute facce e udite voci amiche, non potè guardarsi da un subitaneo ribrezzo; trasalì, ritenne il fiato, si strinse alla buona donna, e nascose il volto nel seno di quella. Egli, prima, alla vista di quell’aspetto sul quale già la sera antecedente non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di quell’aspetto reso ora più squallido, sbattuto, affannato dal patire prolungato e dall’inedia, era restato a mezzo il passo; al veder poi quell’atto di terrore, chinò gli occhi, stette ancora un istante immobile e muto: indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva detto, “è vero,” sclamò: “perdonatemi!”

“Viene a liberarvi; non è più quello; è diventato buono: sentite che vi chiede perdono?” diceva la buona donna all’orecchio di Lucia.

“Si può dir di più? Via, su quella testa; [p. 328 modifica]non fate la bambina: che possiamo andar presto,” le diceva don Abbondio. Lucia levò il capo, guardò all’innominato e vedendo bassa quella fronte, atterrato e confuso quello sguardo, presa da un misto sentimento di conforto, di riconoscenza, di pietà, disse: “oh il mio signore! Dio le renda merito della sua misericordia.”

“E a voi, a mille doppii, il bene che mi fanno codeste vostre parole.”

Così detto, si volse, andò verso la porta, e uscì il primo. Lucia tutta rianimata, colla donna che le dava braccio, gli tenne dietro; don Abbondio in coda. Scesero la scaletta, furono alla porticina che riusciva nel cortile. L’innominato ne spalancò le imposte, andò alla lettiga, aperse lo sportello, e con una certa gentilezza quasi timida (due nuove cose in lui) sorreggendo il braccio di Lucia, l’aiutò ad entrarvi, poi la buona donna. Prese quindi dalle mani del lettighiero le redini delle due cavalcature, e diede pur braccio a don Abbondio che s’era accostato alla sua.

“Oh che degnazione!” disse questi; e montò assai più lestamente che non avesse fatto la prima volta. Il convoglio si mosse tosto che l’innominato fu anch’egli salito. La sua fronte si era rilevata; lo sguardo aveva ripresa [p. 329 modifica]la solita espressione d’impero. Gli scherani che si trovavano sulla via scorgevano bene sul suo volto i segni d’un forte pensiero, di una sollecitudine straordinaria; ma non capivano nè potevan capire più in là. Non vi si sapeva ancor nulla della gran mutazione di quell’uomo; e per congettura, certo, nessun di coloro vi sarebbe arrivato.

La buona donna aveva tosto tirate le cortine su le finestrelle degli sportelli: pigliate poi affettuosamente le mani di Lucia s’era data a confortarla con parole di pietà, di congratulazione e di tenerezza. E veggendo come, oltre la fatica di tanto travaglio sofferto, la confusione e l’oscurità degli avvenimenti impediva alla poveretta di sentire la contentezza della sua liberazione, le disse quanto poteva trovar di più atto a rimetterla nella memoria, a distrigare, a ravviare, per dir così, i suoi poveri pensieri. Le nominò il paese dond’ella era, e verso cui s’andava.

“Sì?” disse Lucia, che sapeva come era poco discosto dal suo. “Ah Madonna santissima, vi ringrazio! Mia madre! mia madre!”

“La manderemo tosto a cercare,” disse la buona donna, la quale non sapeva che la cosa era già fatta. [p. 330 modifica]

“Sì, sì; che Dio ve ne renderà merito.... E voi chi siete? Come siete venuta....

“Mi ha mandata il nostro curato,” disse la buona donna: “perchè questo signore, Dio gli ha toccato il cuore (sia benedetto!) ed è venuto al nostro paese, per parlare al signor cardinale arcivescovo, che l’abbiamo lì a far la visita, quel caro uomo del Signore; e s’è pentito de’ suoi peccatacci, e vuol mutar vita; e ha detto al cardinale che aveva fatta rubare una povera innocente, che siete voi, per intesa con un altro senza timor di Dio, che il curato non mi ha, significato chi possa essere.”

Lucia levò gli occhi al cielo.

“Lo saprete forse voi,” continuò la buona donna: “Basta; dunque il signor cardinale ha pensato, che trattandosi d’una giovane, ci voleva una donna per venire in compagnia, e ha detto al curato che ne cercasse una; e il curato è venuto da me, per sua bontà....

“Oh il signore vi ricompensi della vostra carità!”

“Figuratevi, la mia povera giovane! E mi ha detto il signor curato che vi facessi coraggio, e cercassi di sollevarvi subito, e farvi intendere come il Signore vi ha salvata miracolosamente....[p. 331 modifica]

“Ah sì, proprio miracolosamente; per intercessione della Madonna.”

“Dunque, che stiate di buon animo, e perdonare a chi v’ha fatto del male, ed esser contenta che Dio gli abbia usata misericordia, anzi pregare per lui; che, oltre che ne acquisterete merito, vi sentirete anche allargare il cuore.

Lucia rispose con uno sguardo che esprimeva l’assenso così chiaramente come lo avrebber fatto le parole, e con una dolcezza che le parole non avrebbero saputa rendere.

“Brava giovane!” riprese la donna. “E trovandosi al nostro paese anche il vostro curato, (che ce n’è tanti tanti, di tutto il contorno, da mettere insieme quattro ufizii generali) ha pensato il signor cardinale di mandarlo anche lui in compagnia; benchè è stato di poco aiuto: che già io aveva inteso dire ch’egli era un uomo da poco; ma in questa occasione ho dovuto vedere che è proprio impacciato come un pulcin nella stoppa.”

“E questo....” chiese Lucia, “questo che è diventato buono.... chi è?”

“Come! Non lo sapete?” disse la buona donna; e lo nominò.

“Oh misericordia del Signore!” sclamò [p. 332 modifica]Lucia. Quel nome, quante volte lo aveva udito ripetere con orrore in più d’una storia, in cui compariva sempre come in altre storie quello dell’orco! Ed ora, al pensiero d’essere stata nella colui terribile forza, e d’essere sotto la sua guardia pietosa, al pensiero d’un così scuro pericolo, e di una così improvvisa redenzione, a considerare di chi era quel volto che le era apparso burbero, poi commosso, poi umiliato, rimaneva come estatica, dicendo solo tratto tratto: “oh misericordia!”

“L’è una gran misericordia da vero!” diceva la buona donna. “Ha da essere un gran sollievo per mezzo mondo, tutto all’intorno. A pensare quanta gente teneva in ispavento; e ora, come mi ha detto, il nostro curato... e poi, solo a guardargli in faccia; è diventato un santo! E poi si vedono subito le opere.”

Dire che questa buona donna non sentisse molta curiosità di conoscere un po’ più distintamente la grande avventura nella quale si trovava a fare una parte, non sarebbe la verità. Ma bisogna dire a sua gloria che, compresa d’una pietà rispettosa per Lucia, sentendo in certo modo la gravità e la dignità dell’incarico che le era stato affidato, non pensò pure a farle una domanda indiscreta [p. 333 modifica]nè oziosa: tutte le sue parole in quel tragitto furono di conforto e di premura per la povera giovane.

“Dio sa da quanto non avete mangiato!”

“Non me ne ricordo più.... Da un pezzo.”

“Poverina! Avete bisogno di ristorarvi.”

“Sì,” rispose Lucia con voce fioca.

“A casa mia, grazie a Dio, troveremo subito qualche cosa. Fatevi animo, che ormai c’è poco.”

Lucia si lasciava poi cader languida sul fondo della lettiga, come assopita; e allora la buona donna la lasciava in riposo.

Per don Abbondio questo ritorno non era certo così angoscioso come l’andata di poco prima; ma non fu neppur esso un viaggio di piacere. Al cessare di quella pauraccia, s’era egli sentito da prima tutto scarico, ma ben tosto cominciarono a dare in fuora cento altri fastidii; come laddove è stato sradicato un grand’albero, il terreno rimane sgombro per qualche tempo, ma in breve si copre tutto d’erbacce. Era diventato più sensitivo a tutto il resto; e tanto nel presente, quanto nei pensieri dell’avvenire non gli mancava pur troppo materia di tormentarsi. Sentiva ora, molto più che nell’andata, l’incomodo di quel modo di viaggiare, al quale non era molto [p. 334 modifica]esercitato; e massimamente nella discesa dal castello al fondo della valle. Il lettighiero, obbedendo ad un cenno dell’innominato, faceva andar di buon passo le sue bestie; le due cavalcature tenevan dietro fil filo a passo pari: di che avveniva che, a certi luoghi: più ripidi, il povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di dietro, tracollava sul dinanzi, e per reggersi, doveva appuntellarsi colla mano all’arcione; e non osava però chiedere che s’andasse più adagio, e dall’altra parte avrebbe voluto esser fuori di quel paese al più presto. Oltracciò, dove la via era sur un rialto, su un ciglione, la mula, secondo il costume de’ pari suoi, pareva che facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter proprio le zampe sul margine; e don Abbondio vedeva sotto di sè, quasi a perpendicolo, un salto, o come egli pensava, un precipizio. — Anche tu, — diceva in cuor suo alla bestia, — hai quel maladetto genio d’andare a cercare i pericoli, quando c’è tanto sentiero! — E tirava la briglia dall’altra parte; ma inutilmente. Sicchè, al solito, rodendosi di stizza e di paura, si lasciava condurre a piacer d’altrui. Gli scherani non gli davan più tanto spavento, ora che sapeva più di certo come la pensava il padrone. — Ma, — [p. 335 modifica]rifletteva però, — se la notizia di questa gran conversione si sparge qua dentro intanto che ci siamo ancora, chi sa come la intenderanno costoro? Chi sa che cosa nasce! Che andassero ad immaginarsi che sia venuto io a fare il missionario! Guardi il cielo! Mi martirizzano! — L’aggrondatura dell’innominato non gli dava molestia. — Per tenere a segno quelle facce lì, — pensava, — non ci vuol meno di questa qui; lo capisco anch’io; ma perchè ha da toccare a me di trovarmi fra tutti costoro? —

Basta; si venne al piede della discesa, e si uscì finalmente anche della valle. La fronte dell’innominato si andò spianando. Don Abbondio anch’egli prese una faccia più naturale, sprigionò alquanto la testa d’in fra le spalle, sgranchiò le braccia e le gambe, si mise a stare un po’ più in sulla vita, che faceva un tutt’altro vedere, mandò più larghi respiri, e con animo più riposato si volse a considerare altri lontani pericoli. — Che cosa dirà quel bestione di don Rodrigo? Rimaner con tanto di naso a questo modo, col danno e colle beffe, figuriamoci se la gli ha a parere amara. Ora è quando fa il diavolo affatto. Sta a vedere che se la piglia anche con me, perchè mi son trovato dentro in questa [p. 336 modifica]cerimonia. Se ha avuto cuore fin d’allora di mandare quei due demonii a farmi una figura di quella sorte sulla strada, adesso poi, sa il cielo! Con sua signoria illustrissima non la può pigliare, che è un pezzo grosso troppo più di lui: lì bisognerà rodere il freno. Intanto il veleno lo avrà in corpo, e sopra qualcheduno lo vorrà sfogare. Come finiscono queste faccende? I colpi cascano sempre all’ingiù; gli stracci vanno all’aria. Lucia, di ragione, sua signoria illustrissima penserà a metterla in salvo: quell’altro poveraccio mal condotto è fuor del tiro, e ha già avuto la sua: ecco che lo straccio son diventato io. La sarebbe barbara, dopo tanti incomodi, dopo tanta agitazione, e senza acquistarne merito, che dovessi patirne le pene io. Che cosa farà adesso sua signoria illustrissima, per difendermi, dopo d’avermi messo in ballo? Mi può egli stare che quel dannato non mi faccia un’azione peggio della prima? E poi, ha tanti affari in capo! mette mano a tante cose! Come si può attendere a tutto? Lascian poi alle volte le cose più imbrogliate di prima. Quei che fanno il bene lo fanno all’ingrosso: quando hanno provata quella soddisfazione, ne hanno abbastanza, e non si voglion seccare a tener dietro a tutte le conseguenze; ma coloro che [p. 337 modifica]hanno quel gusto di fare il male, vi mettono più diligenza, vi stanno dietro fino alla fine, non si danno mai requie, perchè hanno quel canchero che li rode. Ho da andare a dire io che sono venuto qui per comando espresso di sua signoria illustrissima, e non di mia volontà? Parrebbe ch’io volessi tenere dalla parte dell’iniquità. Oh santo cielo! dalla parte dell’iniquità io! Per gli spassi che la mi dà! Basta; il meglio sarà raccontare a Perpetua la cosa com’è; e lascia poi fare a Perpetua a mandarla attorno. Purchè a monsignore non venga il grillo di far qualche publicità, qualche scena inutile, e mettermici dentro anche me. A buon conto, appena siamo arrivati, se è uscito di chiesa, vado a fargli un inchino in fretta in fretta; se no, lascio le mie scuse; e tiro a casa mia. Lucia è bene appoggiata; di me non v’è bisogno; e dopo tanti disagi posso pretendere anch’io d’andarmi a riposare. E poi.... che non venisse anche curiosità a monsignore di saper tutta la storia, e mi toccasse di render conto dell’affare del matrimonio! Non ci mancherebbe altro. E se viene in visita anche alla mia parrocchia?.... Oh, sarà quel che sarà; non voglio tribolarmi innanzi tratto: ne ho abbastanza de’ guai. Per ora vo a chiudermi in casa. Fin che [p. 338 modifica]monsignore si trova da queste parti, don Rodrigo non avrà faccia di far pazzie. E poi...... E poi? Ah! vedo che i miei ultimi anni ho da passarli male! —

La comitiva arrivò che le funzioni di chiesa non erano ancor terminate; passò per mezzo la folla medesima non meno commossa della prima volta; e poi si divise. I due cavalieri voltarono sur una piazzetta di fianco, in fondo a cui era la casa del paroco, la lettiga andò innanzi verso quella della buona donna.

Don Abbondio si mantenne la parola: appena scavalcato fece i più sviscerati complimenti all’innominato, e lo pregò che volesse scusarlo presso monsignore; ch’egli doveva tornare alla parrocchia addirittura, per affari urgenti. Andò a cercare quel che chiamava il suo cavallo, cioè il bastone che aveva lasciato in un angolo del salotto, e s’incamminò. L’innominato stette ad aspettare che il cardinale tornasse di chiesa.

La buona donna, fatta adagiar Lucia sul miglior sedile, nel miglior luogo della sua cucina, si affaccendava ad ammanirle un po’ di refezione, ricusando con una certa rustichezza cordiale i ringraziamenti e le scuse reiterate di lei.

Presto, presto, rinnovando ramoscelli secchi [p. 339 modifica]sotto un laveggio che aveva rimesso a fuoco, e dove nuotava un buon cappone, fe’ levare il bollore al brodo: e riempiutane una scodella già guarnita di fette di pane, potè finalmente presentarla a Lucia. E al vedere la poveretta riconfortarsi ad ogni cucchiaiata, si congratulava ad alta voce seco stessa che la cosa fosse accaduta in un giorno in cui, come ella diceva, non c’era il gatto sul focolare. “Tutti s’ ingegnano oggi a metter tovaglia,” aggiugneva: “fuor che quei poveretti che stentano ad aver pane di veccia e polenta di saggina; però oggi da un signore così caritatevole sperano di buscar tutti qualche cosa. Noi, grazie al cielo, non siamo in questo caso: tra il mestiere di mio marito, e qualche cosa che abbiamo al sole, si campa. Sicchè mangiate di buon cuore intrattanto; che presto il cappone sarà a segno, e potrete sostentarvi un po’ meglio.” E ripresa la scodelletta, tornò ad accudire al desinare e a preparare la tavola per la famiglia.

Lucia ristorata alquanto di forze e sempre più rinvenuta di spirito andava intanto rassettandosi, per una abitudine, per un istinto di pulitezza e di verecondia: rannodava e ricomponeva sulla testa le trecce allentate e [p. 340 modifica]scompigliate, raccomodava il fazzoletto sul seno e intorno al collo. In far questo, le sue dita s’intralciarono nella corona che v’era appesa: lo sguardo vi corse; si fe’ nella mente un tumulto istantaneo; la ricordanza del voto, oppressa fino allora e soffocata da tante sensazioni presenti, vi si suscitò d’improvviso, e vi comparve chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo animo, appena sollevate, furono sopraffatte di nuovo in una volta: e se quell’animo non fosse stato così preparato da una vita d’innocenza, di rassegnazione e di fiducia, la costernazione ch’ella provò in quel momento sarebbe stata disperazione. Dopo un subuglio di quei pensieri che non vengono con parole, le prime che si formarono nella sua mente furono: — oh povera me, che cosa ho mai fatto! —

Ma non appena le ebbe pensate, ne risentì come uno spavento. Le risovvennero tutte le circostanze del voto, l’angoscia intollerabile, la disperazione di ogni umano soccorso, il fervore della preghiera, la pienezza del sentimento con cui la promessa era stata fatta. E dopo d’avere ottenuta la grazia, pentirsi della promessa, le parve una ingratitudine sacrilega, una perfidia inverso Dio e la Vergine; le parve che una tale infedeltà le [p. 341 modifica]attirerebbe nuove e più terribili sventure, in mezzo alle quali non potrebbe più sperare nè anche nella preghiera; e si affrettò di rinnegare quel pentimento momentaneo. Si tolse riverentemente la corona dal collo, e tenendola nella mano tremante, confermò, rinnovò il voto, chiedendo nello stesso tempo con una supplicazione accorata che le fosse concessa la forza di adempirlo, che le fossero risparmiati i pensieri e le occasioni le quali avrebbero potuto, se non ismuovere il suo animo, tormentarlo troppo. La lontananza di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lontananza che fino allora le era stata così amara, le parve ora una disposizione della Provvidenza che avesse fatti andare insieme i due avvenimenti per un fine solo; e si studiava di trovare nell’uno ragione di consolarsi dell’altro. E dietro a quel pensiero, si andava pur figurando che quella Provvidenza medesima, per compir l’opera, saprebbe ben trovar modo di far che Renzo si rassegnasse anch’egli, non pensasse più...... Ma appena una tale immaginazione fu entrata nella sua mente, vi mise tutto sossopra. La poveretta, sentendo che il cuore voleva di nuovo pentirsi, tornò alla preghiera, alle conferme, al combattimento, dal quale si rilevò, se ci si fa buona [p. 342 modifica]questa espressione, come il vincitore stanco e ferito, di sopra il nemico abbattuto.

In questo s’ode appressare uno scalpitamento e un gridìo festoso. Era la famigliuola che veniva dalla chiesa. Due ragazzette e un fanciullo entrano a salti; si fermano un istante a dare un’occhiata curiosa a Lucia, poi corrono alla mamma, e le s’aggruppano intorno: quale domanda il nome dell’ospite sconosciuta, e come e perchè; quale vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde a tutto e a tutti con un “quieti, quieti.”’ Entra poi con passo più moderato, ma con una premura cordiale dipinta sul volto, il padrone di casa. Era, se non l’abbiamo ancor detto, il sarto del villaggio, e di un tratto di paese all’intorno; un uomo che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più d’una volta il Leggendario de’ Santi, e i Reali di Francia, e passava tra i suoi paesani per uomo di talento e di scienza: lode però che egli rifiutava modestamente, dicendo soltanto che aveva fallata la vocazione; e che se fosse andato agli studii invece di tanti altri.....! Con questo, la miglior pasta del mondo. Essendosi trovato presente quando sua moglie era stata richiesta dal curato d’intraprendere quel viaggio caritatevole, non solo vi aveva [p. 343 modifica]data la sua approvazione, ma avrebbe aggiunte le sue persuasioni, se ve ne fosse stato bisogno. Ed ora che la funzione, la pompa, il concorso, e sopra tutto la predica del cardinale avevano, come si dice, esaltati tutti i suoi buoni sentimenti, tornava a casa con una aspettazione, con un desiderio ansioso di sapere come la cosa fosse riuscita, e di trovare la povera innocente salvata.

“Guardate un po’,” gli disse al suo entrare la buona donna, accennando Lucia; la quale arrossando, si levò, e cominciava a balbettar qualche scusa. Ma egli, andatole presso, la interruppe facendole una gran festa attorno, e sclamando: “ben venuta, ben venuta! Siete la benedizione del cielo in questa casa. Come son contento di vedervi qui! Era ben sicuro che sareste arrivate a buon porto; perchè non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo, senza finirlo bene; ma son contento di vedervi qui. Povera giovane! Ma è però una gran cosa aver ricevuto un miracolo.”

Nè si creda ch’egli fosse il solo a così qualificare quell’avvenimento, perchè aveva letto il Leggendario: per tutto il paese e per tutto il contorno non se ne parlò con altri termini fin che ve ne durò la memoria. E a [p. 344 modifica]dir vero, cogli accessorii che vi si appiccarono in seguito, non gli poteva convenire altro nome.

Accostatosi poi passo passo alla moglie che staccava il laveggio dalla catena da fuoco, le disse pian piano: “è andato bene ogni cosa?”

“Benone ti conterò poi.”

“Sì, sì; con comodo.”

Imbandita quindi tosto la tavola, la padrona andò a prender Lucia, ve l’accompagnò, la fece sedere; e spiccata un’ala di quel cappone, gliela mise dinanzi; poi sedè ella pure e il marito, esortando entrambi l’ospite abbattuta e vergognosa a farsi animo e a mangiare. Il sarto cominciò fra i primi bocconi a discorrere con grand’enfasi, in mezzo agli interrompimenti dei ragazzi che mangiavano in piedi intorno alla tavola, e che in verità avevano vedute troppe cose straordinarie per fare alla lunga la sola parte di ascoltatori. Egli descriveva le cerimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su cui tornava più spesso era la predica del cardinale.

“A vederlo lì dinanzi all’altare,” diceva egli, “un signore di quella sorte, come un curato....[p. 345 modifica]

“E quella cosa d’oro che aveva in testa....” diceva una ragazzetta.

“Taci lì. A pensare, dico, che un signore di quella sorte, e un uomo tanto sapiente, che, a quel che dicono ha letto tutti i libri che ci sono, cosa a cui non è mai arrivato nessun altro, nè anche in Milano, a pensare che sappia adattarsi a dir su quelle cose in modo che tutti capiscono....

“Ho ben capito anch’io,” disse l’altra chiacchierina.

“Taci lì: che cosa vuoi tu aver capito tu?”

“Ho capito che spiegava il Vangelo in cambio del signor curato.”

“Taci lì. Non dico di chi sa qualche cosa; che allora uno è obbligato ad intendere; ma anche i più duri d’ingegno, i più ignoranti, tenevano dietro al sentimento. Andate adesso a domandar loro se saprebbero ripetere le parole ch’egli diceva su: sì; non ne raccapezzerebbero una; ma il sentimento lo hanno qui. E senza mai nominare quel signore, come si capiva che voleva parlare di lui! E poi, per capire, sarebbe bastato osservare quando aveva le lagrime agli occhi. E allora tutta la chiesa a piangere...[p. 346 modifica]

“È proprio vero,” scappò su il fanciullo: “ma perchè mo piangevano tutti a quel modo, come figliuoli?”

“Taci lì. E sì che c’è dei cuori duri in questo paese. E ha fatto proprio vedere che, ancor che ci sia la carestia, bisogna ringraziare il Signore, ed esser contenti: far quel che si può, industriarsi, aiutarsi, e poi esser contenti. Perchè la disgrazia non è mica patire, ed esser poveri; la disgrazia è far del male. E non son mica belle parole; perchè si sa che anch’egli vive da pover uomo, e si cava il pane di bocca per darlo agli affamati; quandochè potrebbe godersi il buon tempo meglio di chiunque sia. Ah! allora un uomo dà soddisfazione a sentirlo discorrere: non mica come tanti altri: fate quel che dico e non fate quel che fo. E poi ha fatto proprio vedere che anche coloro, che non sono quel che si dice signori, se hanno di più del necessario, sono obbligati di farne parte a chi patisce.”

Qui interruppe il discorso da sè, come soprappreso da un pensiero. Stette un momento; poi compose un piatto delle vivande che erano sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliuolo, e preso questo pei quattro capi, disse alla sua ragazzetta maggiore: [p. 347 modifica]“piglia qua tu.” Le die’ nell’altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: “va qui da Maria vedova, lasciale questa roba, e dille che è per fare un po’ di allegria coi suoi fantolini. Ma con buona creanza, ve’; che non paia che tu le faccia la carità. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere.”

Lucia fe’ gli occhi rossi, e sentì in cuore una tenerezza ricreatrice; come già dai discorsi di prima aveva ricevuto tal sollievo che un sermone espressamente consolatorio non sarebbe stato abile a procurarle. L’animo attratto da quelle descrizioni, da quelle fantasie di pompa, da quelle commozioni di pietà e di maraviglia, preso dall’entusiasmo medesimo del narratore, si staccava dai pensieri dolorosi di sè; e pur ritornandovi, si trovava più forte contro di essi. Il pensiero stesso del gran sagrificio, non già che avesse perduta la sua amaritudine, ma insieme con essa teneva non so che d’una gioia austera e solenne.

Poco stante entrò il curato del paese, e disse d’esser mandato dal cardinale a prender novelle di Lucia, ad avvertirla che monsignore la voleva vedere in quel giorno; poi rendette in nome di lui molte grazie ai coniugi. Tutti e tre, compresi e commossi, non [p. 348 modifica]trovavano parole per corrispondere a tali uficii d’un tal personaggio.

“E vostra madre non è ancora arrivata?” disse il curato a Lucia.

“Mia madre!” sclamò questa. Udendo poscia da lui come egli l’aveva mandata a prendere, d’ordine e per pensata dell’arcivescovo, si tirò il grembiale su gli occhi, e diede in un gran pianto, che continuò a scorrere qualche pezza dopo che il curato fu partito. Quando poi gli affetti tumultuosi, che le si erano suscitati a quell’annunzio, cominciarono a dar luogo a pensieri più posati, la poveretta si ricordò che quel contento allora imminente di riveder la madre, un contento così insperato poche ore prima, ella lo aveva pure espressamente implorato in quell’ore medesime, e posto quasi come una condizione al voto. Fatemi tornar salva con mia madre, aveva ella detto; e queste parole le ricomparvero ora distinte nella memoria. Si confermò più che mai nel proposito di mantenere la promessa, e si fece di nuovo e più amaramente coscienza del rincrescimento, del repetìo, che ne aveva sentito un istante.

Agnese infatti, quando si parlò di lei, non era discosta che un breve tratto di via. È facile pensare come la povera donna fosse [p. 349 modifica]rimasta a quell’invito così inaspettato, e a quell’annunzio necessariamente monco e confuso d’un pericolo cessato, ma spaventoso, di un caso scuro che il messo non sapeva nè circostanziare, nè spiegare, e per cui ella non aveva un appicco di spiegazione nelle sue idee antecedenti. Dopo essersi cacciate le mani nei capegli, dopo aver gridato più volte: “ah Signore! ah Madonna!” dopo aver fatte al messo varie inchieste a cui questi non aveva di che soddisfare, ella s’era messa in fretta e in furia nel baroccio, continuando per via a sclamare e ad interrogare senza profitto. Ma a un certo punto aveva incontrato don Abbondio che veniva passo innanzi passo, e innanzi ai passi mettendo il bastone. Dopo un “oh!” d’ambe le parti, egli s’era fermato, ella aveva fatto fermare, ed era smontata; e s’eran tratti in disparte in un castagneto che quivi era di costa al cammino. Don Abbondio le aveva dato ragguaglio di ciò che aveva potuto sapere e dovuto vedere. La cosa non era chiara; ma almeno Agnese fu assicurata che Lucia era in salvo; e respirò.

Di poi egli aveva voluto entrare in un altro ragionamento, e darle una lunga istruzione sul come governarsi coll’arcivescovo, se questi, com’era probabile, avesse voluto veder [p. 350 modifica]lei e la figlia; e sopra tutto che non conveniva far parola del matrimonio.... Ma Agnese accorgendosi ch’egli non parlava che pel suo proprio interesse, lo aveva piantato, senza promettergli, anzi senza proporsi nulla: chè aveva altro da pensare. E s’era rimessa in cammino.

Finalmente il baroccio arriva e si ferma alla casa del sarto. Lucia si leva precipitosamente; Agnese scende, e salta dentro in furia: sono nelle braccia l’una dell’altra. La buona donna, che sola si trovava presente, fa coraggio ad entrambe, le acquieta, si rallegra con loro, e poi, sempre discreta, le lascia sole, dicendo che andava a mettere insieme un letto per loro; che già aveva modo, ma che in ogni caso, tanto ella quanto suo marito, avrebbero più tosto voluto dormire per terra che lasciarle andare a cercare un ricovero altrove per quella notte.

Passato quel primo sfogo d’abbracciamenti e di singhiozzi, Agnese volle sapere i casi di Lucia, e questa si fece dolorosamente a narrarli. Ma, come il lettore sa, ella era una storia che nessuno conosceva tutta intiera; e per Lucia stessa v’era delle parti oscure, inestricabili affatto. E principalmente quella fatale combinazione dell’essersi la terribile carrozza [p. 351 modifica]trovata lì sulla strada, appunto quando Lucia vi passava per un caso straordinario: su di che la madre e la figlia si perdevano in congetture, senza mai dar nel segno, anzi senza neppure andarvi presso.

Quanto all’autor principale della trama, sì l’una che l’altra non potevano di meno di non pensare che fosse don Rodrigo.

“Ah anima nera! ah tizzone d’inferno!” sclamava Agnese: “ma verrà la sua ora. Domeneddio gli renderà il merito secondo le opere; e allora proverà anch’egli....”

“No, no, mamma; no!” interruppe Lucia: “non gli augurate di patire, non lo augurate a nessuno! Se sapeste che cosa sia patire! Se aveste provato! No, no! preghiamo piuttosto Dio e la Madonna per lui: che Dio gli tocchi gli cuore, come ha fatto a quest’altro povero signore, che era peggio di lui, e adesso è un santo.”

Il ribrezzo che Lucia provava nel tornare sopra memorie così recenti e così crudeli la fece più d’una volta restare a mezzo; più di una volta ella disse che l’animo non le bastava a continuare, e dopo molte lagrime ripigliò a stento la parola. Ma un sentimento diverso la tenne sospesa a un certo passo della narrazione; al passo del voto. Il timore di [p. 352 modifica]esser dalla madre ripresa d’imprudente e di precipitosa: o che questa, come aveva fatto nell’affare del matrimonio, mettesse in campo qualche sua regola larga di coscienza, e volesse farla prevalere; o che, povera donna, dicesse la cosa a qualcheduno in confidenza, se non altro per aver lume e consiglio, e la facesse così divenir pubblica, del che a pensarvi solamente Lucia sentiva una vergogna intollerabile; anche una vergogna presente, una repugnanza inesplicabile a parlare d’una tal materia, tutte queste cose insieme fecero che ella tacque assolutamente quella circostanza importante, proponendo in cuor suo di aprirsene prima col padre Cristoforo. Ma come rimase allorchè, domandando di lui, s’udì rispondere che non v’era più, che era stato mandato in un paese lontano lontano, in un paese che aveva un certo nome!

“E Renzo?” disse Agnese.

“È in salvo, n’è vero?” disse precipitosamente Lucia.

“Questo è sicuro; perchè tutti lo dicono; si tien per certo che sia andato su quel di Bergamo; ma il luogo proprio nessuno lo sa dire: ed egli finora non ha mai mandato nuova di sè. Che non abbia ancora trovato il verso.” [p. 353 modifica]

“Ah, s’egli è in salvo, sia ringraziato il Signore!” disse Lucia; e cercava altra materia di discorso, quando il discorso fu interrotto da una novità inaspettata: la comparsa del cardinale arcivescovo.

Questi, tornato dalla chiesa, dove lo abbiamo lasciato, inteso dall’innominato il felice ritorcimento di Lucia, s’era posto a tavola, facendo seder quello alla sua destra, in mezzo ad una corona di preti, che non potevano saziarsi di lanciare occhiate a quell’aspetto così ammansato senza debolezza, così umiliato senza abbassamento, e di paragonarlo coll’idea che da lungo tempo s’eran fatta del personaggio.

Levate le mense, que’ due s’eran ritirati di nuovo insieme. Dopo un colloquio che durò assai più del primo, l’innominato era partito di nuovo pel suo castello, su quella stessa mula che ve l’aveva portato il mattino; e il cardinale, fatto chiamare il parroco, gli aveva detto che desiderava d’esser guidato alla casa dov’era ricoverata Lucia.

“Oh! monsignore,” aveva risposto il paroco: “lasci, lasci, che manderò io subito ad avvertire che venga qui la giovane, la madre, se è arrivata, anche gli ospiti, se monsignore li vuole, tutti quelli che desidera vostra signoria illustrissima.” [p. 354 modifica]

“Desidero d’andar io a trovarli,” aveva replicato Federigo.

“Non fa bisogno che vostra signoria illustrissima s’incomodi: mando io tosto a chiamarli: è cosa subito fatta,” aveva insistito il paroco guastamestieri (buon uomo del rimanente), non intendendo che il cardinale voleva con quella visita rendere onore alla sventura, all’innocenza, all’ospitalità e al suo proprio ministero in un tempo. Ma, avendo il superiore espresso di nuovo il medesimo desiderio, l’inferiore s’inchinò e si mosse.

Quando i due personaggi furon veduti spuntar nella via, ognuno che v’era andò verso loro; e in pochi istanti vi trasse gente da ogni parte, e fece loro due ale di folla ai lati, e un codazzo dietro. Il curato badava a dire: “via, indietro, ritiratevi; ma! ma!” Federigo diceva al curato: “lasciate, lasciate;” e procedeva, ora levando la mano a benedire la gente, ora abbassandola ad accarezzare i ragazzi che gli venivano tra’ piedi. Così giunsero alla casa, e v’entrarono: la folla rimase assiepata al di fuori. Ma nella folla si trovava anche il sarto, il quale aveva tenuto dietro come gli altri, cogli occhi fissi e colla bocca aperta, non sapendo dove si riuscirebbe. Quando vide quel dove inaspettato, si fece [p. 355 modifica]far largo, pensate con che strepito, gridando e rigridando: “lasciate passare chi ha da passare;” ed entrò.

Agnese e Lucia udirono un ronzìo crescente nella via; mentre pensavano che cosa potess’essere, videro l’uscio spalancarsi, e comparire il porporato col parroco.

“È quella?” chiese il primo al secondo; e ad un cenno affermativo, andò verso Lucia, che era rimasta lì colla madre, entrambe immobili e mute dalla sorpresa e dalla vergogna. Ma il tuono di quella voce, l’aspetto, il contegno, e sopra tutto le parole di Federigo le ebbero tosto rianimate. “Povera giovane,” cominciò egli: “Dio ha permesso che foste posta a una gran prova; ma vi ha ben fatto vedere che non aveva levato l’occhio da voi, che non vi aveva dimenticata. Vi ha rimessa in salvo; e si è servito di voi per una grande opera, per fare una gran misericordia ad uno, e per sollevar molti nello stesso tempo.”

Qui comparve nella stanza la padrona, la quale al romore s’era pur fatta alla finestra di sopra, e avendo potuto vedere chi le entrava in casa, era venuta giù a precipizio, dopo essersi rassettata alquanto: e quasi ad un tratto entrò il sarto da un altro uscio. Vedendo [p. 356 modifica]il colloquio impegnato, andarono a riunirsi in un canto, dove rimasero con gran rispetto. Il cardinale, salutatili cortesemente, continuò a parlare colle donne, mischiando ai conforti qualche domanda, se mai nelle risposte potesse trovare alcuna congiuntura di far del bene a chi aveva tanto patito.

“Bisognerebbe che tutti i preti fossero come vossignoria, che tenessero un po’ dalla parte dei poveri, e non aiutassero a metterli in imbroglio, per cavarsene loro,” disse Agnese, animata dal contegno così famigliare e amorevole di Federigo, e stizzita del pensiero che il signor don Abbondio, dopo d’avere sempre sagrificati gli altri, pretendesse poi anche d’impedir loro un picciolo sfogo, un lamento con chi era al di sopra di lui, quando, per un caso raro, n’era venuta l’occasione.

“Dite pur tutto quel che pensate,” disse il cardinale: “parlate liberamente.”

“Voglio dire che, se il nostro signor curato avesse fatto il suo dovere, la cosa non sarebbe andata così.”

Ma facendole il cardinale nuove istanze perchè si spiegasse meglio, ella comincio a trovarsi impacciata a dover raccontare una storia nella quale anch’ella aveva una parte che [p. 357 modifica]non si curava di far sapere, massime ad un tal uomo. Pure trovò modo di aggiustarla con un picciolo stralcio; raccontò del matrimonio concertato, del rifiuto di don Abbondio, non tacque del pretesto dei Superiori ch’egli aveva messo in campo (ah, Agnese!) e saltò all’attentato di don Rodrigo, e come, essendo stati avvertiti, avevano potuto scappare. “Ma sì,” soggiunse e conchiuse: “scappare per incapparci di nuovo. Se in quello scambio il signor curato ci avesse detto sinceramente la cosa, e avesse subito maritati i miei poveri giovani, noi ce ne andavamo subito via tutti insieme, in segreto, lontano, in luogo che nè anche l’aria non lo avrebbe saputo. Così si è perduto tempo; ed è nato quel che è nato.”

“Il signor curato mi darà conto di questo fatto,” disse il cardinale.

“Signor no, signor no,” ripigliò Agnese: “non ho parlato per questo: non lo sgridi, perchè già quel che è stato è stato, e poi non serve a nulla; è un uomo così di natura: tornando il caso, farebbe lo stesso.”

Ma Lucia scontenta dì quel modo di raccontare la storia, soggiunse: “anche noi abbiamo fatto del male: si vede che non era la volontà del Signore che la cosa dovesse riuscire.” [p. 358 modifica]

“Che male avete potuto far voi, povera giovane?” chiese Federigo.

Lucia, a malgrado degli occhiacci che la madre cercava di farle alla sfuggita, raccontò alla sua volta la storia del tentativo fatto in casa di don Abbondio; e conchiuse dicendo: “abbiam fatto male; e Dio ci ha castigati.”

“Pigliate dalla sua mano i patimenti che avete sofferti, e state di buon animo,” disse Federigo: “perchè, chi avrà ragione di rallegrarsi e di sperare, se non chi ha patito, e pensa ad accusar se medesimo?”

Chiese allora dove fosse il promesso sposo, e udendo da Agnese (Lucia stava zitta, col capo chino e con gli occhi bassi) com’era fuoruscito, ne sentì e ne mostrò maraviglia e dispiacere; e ne chiese il perchè. Agnese barbugliò quel poco che sapeva della storia di Renzo.

“Ho inteso parlare di quest’uomo,” disse il cardinale: “ma come un uomo che si trovò involto in affari di quella sorta poteva egli essere in trattato di matrimonio con questa giovane?”

“Era un giovane dabbene,” disse Lucia, arrossando, ma con la voce ferma.

“Era un giovane quieto anche troppo,” soggiunse Agnese: “e questo lo può [p. 359 modifica]domandare a chi che sia, anche al signor curato. Chi sa che garbuglio avranno fatto laggiù, che cabale? I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni.”

“È vero pur troppo,” disse il cardinale: “m’informerò di lui senza dubbio:” e fattosi dire il nome e il casato del giovane, lo mise in nota. Aggiunse poi che contava di portarsi al loro paese fra pochi giorni, che allora Lucia potrebbe venirvi senza timore, e che intanto egli penserebbe a provvederla d’un ricovero sicuro, fin che ogni cosa fosse aggiustata per lo meglio.

Si volse quindi ai padroni di casa, che si fecero tosto innanzi. Rinnovo le grazie che già aveva ad essi rendute per mezzo del parroco, e li richiese se sarebbero stati contenti di ricettare per quei pochi giorni le ospiti che Dio aveva loro mandate.

“Oh! signor sì,” rispose la donna, con un tuono di voce e con un sembiante che significava assai più di quella asciutta risposta, strozzata dalla vergogna. Ma il marito tutto concitato dalla presenza d’un tale interrogante, dalla voglia di farsi onore in una occasione di tanta importanza, studiava ansiosamente qualche bella risposta. Raggrinzò la fronte, torse gli occhi in traverso, strinse la [p. 360 modifica]bocca, tese a tutta forza l’arco dell’intelletto, cercò, frugò, sentì al di dentro un cozzo d’idee monche e di mezze parole: ma il momento pressava; il cardinale accennava già d’avere interpretato il silenzio: il pover uomo aperse la bocca, e disse: “si figuri!” Altro in quel punto non gli volle venire. Di che non solo rimase avvilito in sul momento; ma sempre poi quel ricordo importuno gli guastava la compiacenza del grande onore ricevuto. E quante volte, tornandovi sopra, e rimettendosi col pensiero in quella circostanza, gli vennero, quasi per dispetto in mente parole che tutte sarebbero state meglio di quell’insulso si figuri! Ma del senno di poi ne son piene le fosse.

Il cardinale partì, dicendo: “la benedizione del Signore sia sopra questa casa.”

Domandò poi quella sera al curato come si sarebbe potuto in modo convenevole compensare quell’uomo, che non doveva essere ricco, della ospitalità costosa, massimamente in quei tempi. Il curato rispose che per verità, nè i guadagni della professione, nè le rendite di certi camperelli che il buon sarto aveva del suo non sarebbero bastate in quell’anno a porlo in istato di esser liberale altrui; ma che avendo fatti avanzi negli anni antecedenti, [p. - modifica] [p. 361 modifica]si trovava dei più agiati del contorno, e poteva far qualche cortesia senza sconcio, come certo la farebbe di cuore; e che del resto si sarebbe recato ad offesa che gli venisse proposto un compenso di danari.

“Avrà probabilmente,” disse il cardinale, “crediti verso gente inabile a pagare.”

“Pensi, monsignore illustrissimo: questa povera gente paga col soprappiù del ricolto: l’anno scorso non v’ebbe soprappiù; in questo tutti si rimangono indietro del necessario.”

“Or bene,” ripigliò Federigo: “prendo io sopra di me tutti quei debiti; e voi mi farete piacere di aver da lui la nota delle partite, e di saldarle.”

“Sarà una somma ragionevole.”

“Tanto meglio: e avrete pur troppo di quelli ancor più miserabili, più spogliati, che non hanno debito perchè non trovano credenza.”

“Eh pur troppo! Si fa quel che si può; ma come bastare, in tempi di questa sorta?”

“Fate che egli gli vesta a mio conto, e pagatelo bene. Veramente, in quest’anno, mi par rubato tutto ciò che non va in pane; ma questo è un caso particolare.”

Non vogliamo però chiudere la storia di [p. 362 modifica]quella giornata, senza raccontar brevemente come la terminasse l’innominato.

Questa volta la fama della sua conversione lo aveva preceduto nella valle, vi s’era tosto diffusa, e aveva messo per tutto uno sbalordimento, un’ansietà, un cruccio, un susurro. Ai primi bravi o servi (era tutt’uno) che incontrò, egli fe’ cenno che lo seguissero; e così di mano in mano. Tutti venivan dietro con una sospensione nuova e colla soggezione solita: tanto che, con un seguito sempre crescente, egli pervenne al castello. Fe’ cenno a quei che si trovavano sulla porta, che venisser dietro pure cogli altri; entrò nel primo cortile, andò verso il mezzo, e quivi, stando tuttavia in arcione, mise un suo grido tonante: era il segno usato al quale accorrevano tutti quei suoi che l’avessero inteso. In un momento tutti quei ch’erano sparsi pel castellaccio venner dietro alla voce, e si univano ai già ragunati, guatando tutti al padrone.

“Andate ad aspettarmi nella sala grande,” diss’egli, e dall’alto della sua cavalcatura li guardava partire. Ne scese di poi tosto, la trasse egli stesso alle stalle, e andò dove era aspettato. Al suo apparire, cessò subito un gran bisbiglio che v’era; tutti si ristrinsero in un lato, lasciando voto per lui un grande spazio della sala: potevano essere una trentina. [p. 363 modifica]

L’innominato levò la mano, come per mantenere il silenzio che già la sua presenza aveva fatto, levò la testa che sopravanzava tutte quelle della brigata, e disse: “ascoltate tutti, e nessuno parli, s’io non lo domando. Figliuoli! la strada per la quale siamo andati finora mena al fondo dell’inferno. Non è un rimprovero ch’io voglia farvi, io che sono dinanzi a tutti, il peggiore di tutti; ma udite ciò che v’ho da dire. Dio misericordioso mi ha chiamato a mutar vita; e io la muterò, l’ho già mutata: così faccia Egli con tutti voi. Sappiate dunque, e tenete per fermo che io son risoluto di prima morire che far più nulla contro la sua santa legge. Levo ad ognun di voi gli ordini scelerati che tenete da me; voi m’intendete; anzi vi comando di non far nulla di ciò che v’era comandato. E tenete per fermo egualmente che nessuno da qui innanzi potrà far male colla mia protezione, al mio servigio. Chi vuol restare con questi patti sarà per me come un figliuolo: e mi troverei contento alla fine di quel giorno in cui non avessi mangiato, per satollare l’ultimo di voi coll’ultimo pane che mi rimanesse in casa. Chi non vuole, gli sarà dato quel che gli si viene [p. 364 modifica]di salario, e un donativo di più: potrà andarsene; ma non porti più il piede qui: quando non fosse per mutar vita; che per questo sarà sempre ricevuto a braccia aperte. Pensateci questa notte: domattina vi domanderò ud uno ad uno a dirmi la risposta; e allora vi darò ordini nuovi. Per ora ritiratevi, ognuno al suo posto. E Dio che ha usato con me tanta misericordia, vi mandi il buon pensiero.”

Qui egli tacque, e tutto tacque. Per quanto varii e tumultuosi fossero i pensieri che sorbollivano in quei cervellacci, non ne apparve al di fuori nessun segno. Erano avvezzi a prendere la voce del lor signore come la manifestazione d’una volontà colla quale non v’era da piatire: e quella voce, annunziando che la volontà era mutata, non dinotava punto ch’ella fosse indebolita. A nessuno di loro passò manco per la mente che, per esser lui convertito, si potesse prendergli animo addosso, replicargli come ad un altr’uomo. Vedevano in lui un santo, ma un di que’ santi che si dipingono colla testa alta e colla spada in pugno. Oltre il timore, avevano anche per lui (principalmente i nati sotto la sua padronanza, ed erano una gran parte) un’affezione come di uomini ligi; avevano poi tutti [p. 365 modifica]una benevolenza di ammirazione; e alla sua presenza sentivano una specie di quella, dirò pur così, verecondia, che anche gli animi più zotici e più petulanti provano dinanzi ad una superiorità che hanno già riconosciuta. Le cose poi che allora avevano udite da quella bocca erano bensì odiose ai loro orecchi, ma non false nè affatto estranee ai loro intelletti: se mille volte se n’erano fatti beffe, non era già perchè le discredessero; ma per prevenire colle beffe la paura che ne sarebbe lor venuta a pensarvi seriamente. Ed ora, a vedere l’effetto di quella paura in un animo come quello del lor padrone, chi più, chi manco, non ve ne fu uno che non gli se ne appiccasse, almeno per qualche tempo. Si aggiunga a tutto ciò che quelli fra loro i quali avevano i primi risaputa la gran novella fuori della valle, avevano insieme veduta, e avevano pur riferita la gioia, la baldanza della popolazione, il nuovo favore per l’innominato, la venerazione succeduta improvvisamente all’antico odio, all’antico terrore. Talchè nell’uomo che avevano sempre riguardato, per dir così, di basso in alto, anche quando eglino stessi erano in gran parte la sua forza, vedevano ora la maraviglia, l’idolo d’una moltitudine; lo vedevano al di sopra degli altri in un modo [p. 366 modifica]ben diverso di prima, ma non meno; sempre fuori della schiera comune, sempre capo.

Stavano adunque sbalorditi, incerti l’uno dell’altro, e ognuno di sè. Chi si rodeva, chi faceva disegni del dove sarebbe andato a cercar ricovero e impiego, chi si esaminava se avrebbe potuto adattarsi a diventar galantuomo; quale anche, smosso da quelle parole, se ne sentiva una certa inclinazione; quale, senza risolver nulla, proponeva di prometter tutto a buon conto, di rimanere intanto a mangiare quel pane offerto così di buon cuore, e allora così scarso, e di acquistar tempo: nessuno fiatò. E quando l’innominato, al fine delle sue parole, levò di nuovo quella mano imperiosa ad accennare, che se ne andassero, quatti quatti, come un branco di pecore, presero tutti insieme la via dell’uscio. Egli uscì dietro a loro, e piantatosi prima nel mezzo del cortile, stette a vedere al barlume come si sbrancassero, e ognuno si avviasse al suo posto. Salito poscia a prendere una sua lanterna, percorse di nuovo i cortili, i corridoi, le sale, visitò tutti gli accessi, e quando vide ogni cosa quieto, andò finalmente a dormire. Sì, a dormire; perchè aveva sonno.

Affari intralciati, e insieme urgenti, per quanto ne fosse sempre stato accattatore, non [p. 367 modifica]se n’era mai trovato addosso tanti, in nessuna congiuntura, come allora; eppure aveva sonno. I rimorsi che gliel’avevano tolto la notte antecedente, non che fossero acchetati, mandavano anzi grida più alte, più severe, più assolute; eppure aveva sonno. L’ordine, la specie di governo stabilito là entro da lui in tanti anni, con tante cure, con un tanto singolare accoppiamento di avventatezza e di perseveranza, ora lo aveva egli medesimo messo in forse con poche parole; la devozione illimitata di que’ suoi, quella loro dispostezza a tutto, quella fede scheranesca su cui egli era avvezzo da tanto tempo a riposare, l’aveva ora concussa egli medesimo; i suoi mezzi, gli aveva fatti diventare un gran volume d’imbrogli; s’era messa la confusione e l’incertezza in casa; eppure aveva sonno.

Andò dunque nella sua stanza, s’accostò a quel letto in cui la notte antecedente aveva trovato tanti triboli; e s’inginocchiò dinanzi alla sponda, colla intenzione di pregare. Trovò in fatti in un cantuccio riposto e profondo della mente le orazioni ch’era stato ammaestrato a recitare da fanciullo; cominciò a recitarle; e quelle parole, rimaste quivi tanto tempo ravvolte insieme, venivano l’una dopo l’altra come sgomitolandosi. Provava egli in [p. 368 modifica]questo un misto di sentimenti indefinibile: una certa dolcezza in quel ritorno materiale alle abitudini dell’innocenza; un inasprimento di dolore al pensiero dell’abisso ch’egli aveva posto tra quel tempo e questo; un ardore di giugnere, con opere di espiazione, ad una coscienza nuova, ad uno stato il più vicino alla innocenza, a cui non poteva tornare; una riconoscenza, una fiducia in quella misericordia che ve lo poteva condurre, e gli aveva già dati tanti segni di volerlo. Levatosi poi, si corcò, e prese sonno immediatamente.

Così terminò quella giornata tanto celebre ancora quando scriveva il nostro anonimo: e adesso, s’egli non era, non se ne saprebbe nulla, almeno dei particolari; giacchè il Ripamonti e il Rivola, citati sopra da noi, non dicono se non che quel sì segnalato tiranno, dopo un abboccamento con Federigo, mutò mirabilmente vita, e per sempre. E quanti sono che hanno letto i libri di quei due? Meno ancora di quelli che leggeranno il nostro. E chi sa se nella valle stessa, chi avesse voglia di cercarla, e abilità di trovarla, sarà rimasta qualche stracca e confusa tradizione del fatto? Son nate tante cose da quel tempo in poi!


fine del secondo tomo.