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tato; e massimamente nella discesa dal castello al fondo della valle. Il lettighiero, obbedendo ad un cenno dell’innominato, faceva andar di buon passo le sue bestie; le due cavalcature tenevan dietro fil filo a passo pari: di che avveniva che, a certi luoghi: più ripidi, il povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di dietro, tracollava sul dinanzi, e per reggersi, doveva appuntellarsi colla mano all’arcione; e non osava però chiedere che s’andasse più adagio, e dall’altra parte avrebbe voluto esser fuori di quel paese al più presto. Oltracciò, dove la via era sur un rialto, su un ciglione, la mula, secondo il costume de’ pari suoi, pareva che facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter proprio le zampe sul margine; e don Abbondio vedeva sotto di sè, quasi a perpendicolo, un salto, o come egli pensava, un precipizio. — Anche tu, — diceva in cuor suo alla bestia, — hai quel maladetto genio d’andare a cercare i pericoli, quando c’è tanto sentiero! — E tirava la briglia dall’altra parte; ma inutilmente. Sicchè, al solito, rodendosi di stizza e di paura, si lasciava condurre a piacer d’altrui. Gli scherani non gli davan più tanto spavento, ora che sapeva più di certo come la pensava il padrone. — Ma, — riflet-