Faust/Parte seconda/Atto secondo/Il peneo (II)

Atto secondo - Il peneo (II)

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IL PENEO.

come prima.

Le Sirene. Tuffatevi per entro alle acque del Peneo! Colà avete a nuotare ruzzando, e a canterellare canzonette una dopo l’altra a ricreamento della razza maladetta. Ove l’acqua ne manchi, ogni bel fare ne [p. 319 modifica]vien meno altresì. Partiamoci leste colla nostra schiera luminosa, per al mare Egeo, dove ogni maniera di godimenti ne attende. (Traballa il suolo per terremoto.) Le onde ritraggonsi spumando fuori del loro letto; freme la terra, l’acqua ribolle, e i lidi circostanti qua e colà si fendono e fumano. Fuggiamo! Venite via tutte, venite! chè il prodigio non dà certo alcun pro a chicchessia.

All’erta! o nobili e gioviali ospiti, all’erta al sereno festeggiare della notte, laggiù dove le tremole ondate scintillano, e rigonfiatesi dolcemente vengono a baciare la riva; laggiù dove la Luna addoppia il suo lume, e di santa rugiada ne irrora; laggiù è il vivere libero ed animato; qui all’incontro orribile terremoto; qual è tra voi dotata di prudenza, non si alleni a partire! chè quivi intorno regna la paura e lo spavento.

Seismos1 brontolando e strepitando dal basso. Un’altra potente scossa, un altro vigoroso spintone, e avremo aggiunta quell’altura donde non sia più alcuno che ne rimuova.

Le Sfingi. Oh! l’increscevole sconquasso! Orribile e spaventosa tempesta! quale sussulto! quale commovimento! Di qua, di là, tutto s’agita e vacilla! E noi tuttavia, se non l’inferno tutto quanto venisse a scatenarsi, noi qui ci staremo immobili ed imperterrite.

Di tratto una volta vediamo sorgere [p. 320 modifica]prodigiosamente. Oh! non è egli quel desso, vecchio per sì lunghe età incanutito, che l’isola di Delo costrusse, e la cavó fuori delle onde per compassione di una femmina vagabonda? Spingendo, premendo, con isforzi a verun altro concessi, tese le braccia, curvo il dosso, e nell’atteggiamento di Atlante, solleva il suolo, le erbose zolle, i ciottoli, la ghiaia, la minuta sabbia, e lo stesso alveo delle placide nostre riviere, squarciando del pari a zigzag il variopinto smalto della vallea. Indefesso all’opera, instancabile, colossale cariatide, sorregge un cumulo enorme di ammontati massi, sotterrato per anco fino a mezzo il petto: ma egli non andrà più lungi di molto, chè le Sfingi ferme al loro posto nol consentiranno.

Seismos. Io solo sono quegli che ha fatto tutte queste cose, nè alcuno, spero, vorrà tòrmi on tal vanto; ove stati non fossero i miei scotimenti e sconquassi, sarebbe esso mai il mondo sì bello? — Codeste vostre montagne come dunque avrieno potuto elevarsi nello schietto e splendido azzurro dell’etere, s’io non le avessi spinte in su a mio piacimento per uno spettacolo pittorico ed incantevole, alloraquando al cospetto de’ maggiori nostri antenati — la Notte e il Caosse — mi condussi da prode, e in compagnia de’ Titani lanciai in alto Pelio ed Ossa? Noi così seguitammo a menar di braccia e di schiena nel bollore di giovinezza, fino a tanto che, stracchi, posammo i due monti, a foggia di un doppio tocco, là sul Parnaso.... dove Apollo tiensi in festa cinto dal coro delle Muse tranquille. Fin anco a Giove, ed alle folgori di lui, il trono nel sommo dell’aria composi; e oggidì con istraordinari conati mi sollevo dall’imo [p. 321 modifica]abisso, chiamando a voce alta e forte qual è uomo sollazzevole, onde a nuova vita e’ si desti.

Le Sfingi. Direbbesi codesto novellino essere di data molto vecchia, se non l’avessimo noi co’ propri occhi veduto sbucar pur ora fuor delle screpolature. Una fitta boscaglia gli soprasta al dorso, e roccia su roccia pesa sopra di lui: non per sì lieve cosa una Sfinge si svia, chè ha bel giuoco colui il quale voglia distrarne dalla sacra nostra immobilità.

I Grifoni. Veggo luccicare, traverso ai crepacci, dell’oro in foglia e in pagliazze. Non vi lasciate rubacchiare un siffatto tesoro; all’erta, Imsi! affrettatevi a portarvelo via.

Coro di Formiche. Dacchè i giganti — l’ebbero sollevata — voi scalpitanti salitevi su pronti! — Siate snelli — entro come fuori! — In cotai fessi — qualsia particella — merta d’essere posseduta. — A voi tocca scoprire ogoi menomo che — a un batter d’occhio — in tutti i ripostigli. — Cercate ben sottilmente, esseri brulicanti! — Nostro sia l’oro! nostro sia l’oro! — Sloggiate dal monte!

I Grifoni. Qua! più qua! oro a mucchi! Noi vi caccerem dentro le ugne; son queste i roncigli di miglior lega. Lo stupendo tesoro vi fia ben custodito.

I Pigmei.2 Noi ci troviam proprio al nostro luogo; [p. 322 modifica]come mai? Cel dica chi lo sa! Non ci venite a chiedere donde veniamo, dappoichè alla fin fine troviamci qui! Per darsi bel tempo qualsivoglia paese è acconcio ed opportuno; tosto, come un fesso s’apre entro la roccia, tu vi trovi il nano bello e apparecchiato. Il nano e la nana, lesti all’opera! Coppia per coppia mostri la sua valentìa! Non saprei dire se nel Paradiso le cose procedessero già di tal piede. Quanto a noi, troviamo di costà che va tutto per lo meglio, e benediciamo grati alla nostra propizia stella, dappoichè da levante comeda ponente la madre terra facile e produttiva si mostra.

I Dattili. S’ella produsse i piccoli in una notte, genererà altresì i minimi, che troveran bene chi li pareggi.

I più anziani fra’ Pigmei. Suvvia! ordinatevi pigliate posto! — mano all’opra! — Destri, se non gagliardi! — Fin che dura la pace — apprestate la fucina a provvedere l’armata — di scudi e di strali.

E voi, Imsi, quanti siete — bulicame d’assai attività, — forniteci i metallil e voi, Dattili — numero

[p. 323 modifica]senza numero — l’ordine vi è dato — di procacciare legname! — Appiccatevi a un tempo — le fiamme misteriose — somministratene del carbone.

Il Generalissimo. Con frecce ed arco, pronti al campo! — su questo stagno — trafiggansi gli aironi — che nidificano per miglia — pettorati, orgogliosi — al vibrare di un colpo! — tutti com’e’ fossero un solo; — al primo nostro apparire — con elmo e pennacchio.

Gl’Imsi e i Dattili. Chi fia che ne salvi? — Noi approntiamo il ferro — ei ribadiscono le catene. — Per la nostra emancipazione — il dì per anco non giunse; — e però siate docili e cheti.

Le Gru d’Ibico. Strida letali, e ululi di morte! — Tremito doloroso di vanni! — Quai singhiozzi, qua i gemiti — ne lacerano fin di quassù? — Tutti già son massacrati — il lago del loro sangue rosseggia. — Una rabbia febbrile strappa — all’airone la nobile piuma; — che si posa in su l’elmo a que’ furfanti buzzoni e sbilenchi. — O voi, confederati della nostra armata — aironi pellegrini della marina noi — v’appelliamo a vendetta — in una causa che vi tocca sì fattamente. — Non sia chi risparmi nè forza nè sangue; — guerra, eterna guerra a codesta razza maladetta! (Si perdono crocidando per aria.)

Mefistofele nella pianura. Io ben sapeva tenere in freno le streghe del Settentrione; ma codesti Spiriti forastieri, mi dànno, a far che stieno al dovere, una briga indiavolata. Il Blocksberg ti offre una posizione assai comoda; in qualsivoglia parte tu ti trovi, gli è agevole orientarsi. Madonna Isle n’aspetta là dal suo masso; sul proprio comignolo gaio sempre Enrico ci [p. 324 modifica]si palesa; i Russanti, gli è vero, brontolano un po’ sulla Miseria;3 ma corsero migliaia d’anni dacchè tutto questo succede. Chi è che sappia in codesti luoghi, dove sta o dove vada? Chi può indivinare se il terreno non gli si solleverà sotto a’ passi? Io scorro placidamente traverso ad una liscia pianura, ed alle spalle mi s’innalza di tratto una montagna; per verità, merta appena che tale la si dica, tant’alta però da togliermi la vista delle mie Sfingi. — Laggiù, nella valle, più d’un fuoco mirasi scoppiettare e splendere alla ventura....; e dinanzi a me saltella e discorre, adescandomi, e fuggendo con gesti leziosi e maliziati buona mano di civette. Adagino, e avanti! Avvezzo a fiutare la selvaggina più ghiotta dove che la si trovi, cerchiamo qui di non rimanere a denti asciutti.

Le Lamie, traendo a sè Mefistofele. Ratto! più ratto! — e via via più lungi! — Poi un tal po’ esitando — cianciando, ciaramellando.... — Gli è ben dolce cosa — lo strascinarci dietro il vecchio libertino! — Egli si tragge con piè di piombo — zoppicando, — all’aspro fio che l’attende; — trascina lo stinco nel seguitarci — mentre noi fuggiamo a galoppo.

Mefistofele fermandosi. Maladetto destino! O uomini ingannati! voi perpetuo trastullo e zimbello sin dal tempo di Adamo! Invecchia l’umana razza, ma ov’è chi faccia senno? Uomo, uomo, non fostù ammaliato ancor quanto basta? Ben sai che in sostanza [p. 325 modifica]non vale un frutto codesta genía che s’allaccia il busto e s’imbelletta le gote; nulla è in esse di sano cui possano comunicarti, dove che tu prenda a toccarle, fracide in ogni lor membro e corrotte. Lo si sa, lo si vede, lo si esperimenta pur anco, e nondimeno, oh le fetide carogne! solo che mandino un zufolino, e tosto hanno i vagheggini alle calcagna.

Le Lamie, ristando dalla corsa. Ferma! Egli riflette, esita, s’arresta. Corretegli dinanzi, non forse e’ ci avesse a fuggire.

Mefistofele, proseguendo il cammino. Avanti! Non vo’ lasciarmi cogliere da’ lacci del dubbio; imperocchè, al postutto, se le streghe punto non fossero, chi diavolo vorrebbe farla da diavolo?

Le Lamie, con piglio carezzevole. Meniamo a cerchio la danza intorno a codesto eroe; l’amore va senza meno a suscitarglisi in petto per alcuna fra noi.

Mefistofele. Aftè, che al dubbio lume voi m’avete cera di femmine gentili, nè vo’riuscirvi sgarbato.

Empousa,4 uscendo fuori di schiera. Nè tampoco io! E come tale consentite ch’io sia pure del vostro sèguito.

Le Lamie. Ella è di soprassello nel circolo, ella non buona mai ad altro che a sconcertare i nostri giuochi.

Empousa a Mefistofele. Abbiti il saluto di [p. 326 modifica]Empousa, tua cugina, la comare dal piè asinino! Tu non hai che un piè di cavallo, e ad ogni modo, messer cugino, salve!

Mefistofele. Reputava di non avere a trovare costì che esseri sconosciuti, e vi rinvengo, ohimè! de’ prossimi congiunti. Gli è un vecchio libro da scartabellare. Dall’Harz all’Ellade, cugini, e poi sempre cugini!

Empousa. Io sono apparecchiata ad agire, e potrei, se n’avessi talento, in cento guise trasformarmi; in vostra grazia però, tolsi quest’oggi la piccola testa asinina.

Mefistofele. Codesta gente mi si dà a conoscere non poco ambiziosa del parentado. Par pure, vorrei a qualunque costo rinnegare la testa asinina, con tutta l’anima.

Le Lamie. Lascia andare quel ceffo schifoso: ella rende sozzo e laido quanto bello e amabile ti rassembra; appena la si avvicina, che beltà e grazia dileguano.

Mefistofele. Le piccole cugine, incantevoli, affusolate, riesconmi non poco sospette, e sotto le rose di quelle guance, temo una qualche metamorfosi.

Le Lamie. Pròvati ad ogni modo! Noi siamo qui un bel numero. Piglia, se hai ventura nel gioco, ghermisci ciò ch’evvi di meglio! A che pro que’ languidi sospiri? Altro non se’ tu che un cascamorto dappoco; e poi ti pavoneggi, e fai il bello! Eccolo ora mescersi al nostro stuolo: strappatevi l’una dopo l’altra la maschera, e mostratevi a lui quali siete.

Mefistofele. Mi son trascelta la più avvenente... [p. 327 modifica](abbracciandola.) Uh! misero a me! Qual asciutta granata! (ne stringe un’altra) E costei.... oh l’orribile mascherone!

Le Lamie. Meriteresti tu forse qualche cosa di meglio? Nol credo.

Mefistofele. Or vo’ beccarmi la piccola.... che è? il braccio di lei cambiasi in una lucerlola che mi sguizza di mano, e le morbide sue trecce mi scappano via al pari d’un serpente. A rifarmi di tali sconci lazzi ghermirò quella d’alta statura... Misericordia! la è non più che un tirso e sopravi una pina.... Dove mai vuol riescire tutto questo?.... Con quella grassoccia farò di consolarmene: m’arrischio per l’ultima fiata! Or su dunque!.... Pastosa, floscia, gli Orientali pagano a caro prezzo di cotali tesori.... Poffare! la è una vescica scoppiata.

Le Lamie. Scomponete le file; aggiratevi, svolazzate: circuite co’ vostri sciami tenebrosi l’importuno figliuolo delle streghe..... circolo vagante, orrendo! Vipistrelli dai vanni tacenti..... Ei se ne sbriga a troppo buon mercato.

Mefistofele, schermendosi. Non mi sono ancora, a quanto pare, rinsavito abbastanza! Costì, come nel Nord, tutto che avviene è irragionevole, assurdo; e qui come laggiù, gli spettri sono schifosi, poeti e popolo scipiti; e qui come dapertutto la mascherata altro non è che una tregenda sensuale! Ho presa alla ventura alcuna di esse maschere leziose e leggiadre, e la mano afferrò tali enti ond’ebbi a raccapricciare! Nè avrei a male di patire ancora taluna di codeste gherminelle, purchè e’ fossero di più lunga durata. (smarrisce la via fra le rocce.) Dove son’io? [p. 328 modifica]e dove m’innoltro? C’era dianzi un viottolo, ed ora l’è un caos; trassi oltre il piede e qua son venuto per una via battuta e piana, ed eccomi di tratto smarrito fra le macie. Indarno fo d’aggrapparmi, indarno al basso mi calo: or dove mai rinvenir potrò le mie Sfingi? Ah! ah! chi avría potuto figurarsi un tanto prodigio?.... Una montagna qual è codesta scaturir fuori nella notte! Vo’ dirla un’allegra cavalcata delle streghe, che portansi dietro il loro Blocksberg.

Orèo greppo della natura. Vien qua!5 Vecchio è il mio fianco, e serba ancora l’originale sua forma. Inchinati a codesti malagevoli sentieri di granito, che sono le ultime ramificazioni del Pindo.6 Ond’è ch’io tenevami immoto fin da quando Pompeo davasi sul mio dorso a fuga precipitosa. Appetto a me, l’opera della illusione al primo canto del gallo si scioglie in fumo e vaneggia. Ed io mirai già buona mano di codeste storielle da barbogi, nate appena, svanire.7

Mefistofele. Fo plauso a te, cima veneranda, da robuste querce incoronata! Il chiarore più vivo della Luna non vale a penetrare nella tua fitta e densa ombría; — ma a di lungo per la macchia trapela un lume, che dubbio scintilla. Qual incontro fortuito! [p. 329 modifica]M’inganno io, o se’ tu Homunculus! Ove te ne vai, mio piccolo camerata?

Homunculus. Me la passo volando da luogo a luogo, nè mi dorrebbe la esistenza, a patto però che fosse questa quanto può darsi compiuta. Non mi so oggimai più tenere che non mandi in pezzi la guastada; comecchè le cose vedute insino ad ora non mi attirino gran fatto, nè mi nasca la voglia di avventurarmivi. A dirtela schietta schietta e in confidenza, vo in traccia di un paio di filosofi. Io gli ho uditi che dicevano: O Natura! o Natura! E mi sta in capo di non separarmi più da costoro; hanno eglino da sapere alcun che dell’essere terreno, e ne verrò, spero, ad apprendere per dove la saggezza mi voglia.

Mefistofele. Riguardo a ciò, fa a tuo senno; chè nel reame degli spettri, il filosofo è il benvenuto. Purchè piglisi gusto all’arte sua ed a’ suoi favori, lascialo fare, ch’ei te gl’inventa di tratto a dozzine. S’egli avvenga che non t’abbi a smarrire, ti fallirà certo sempre la via della ragione. Vuoi tu essere? — Sii per tua propria virtù, non altrimenti.

Homunculus. Un buon consiglio non è da pigliarsi a gabbo.

Mefistofele. Vattene ora a tua posta! Ed io mi faccio da capo ad esplorare. (Si separano.)

Anassagora a Talete. Il pervicace tuo intelletto ricusa dunque di sottomettersi! Che resta oggimai a tentare per convincerti?

Talete. L’onda per poco increspasi ad ogni brezza, ma da’ massi dirupati tiensi discosta.

Anassagora. Se là trovasi quella roccia, alla emanazione deesi del fuoco. [p. 330 modifica]

Talete. L’umidore soltanto dà la vita agli esseri.

Homunculus fra que’ due. Consentite ch’io vengavi di costa; ch’io pure mi vo struggendo nel desio della esistenza.

Anassagora. Fostù mai, o Talete! buono a trarre dalla melma in una notte un monte siccome questo?

Talete. La natura e le sue correnti vitali non operarono mai nulla al tal giorno, alla tal notte, alla tal ora; ma essa crea ordinatamente qual sia forma; dirò anzi, che ne’ maggiori fenomeni suoi, la violenza non ha punto che fare.

Anassagora. Qui, per altro, non è da dire che altrimenti avvenisse. Il terribile fuoco plutonico, la spaventosa esplosione de’ vapori eolii facevano screpolare la vecchia crosta del suolo unito, e all’istante dovette nascerne una nuova montagna.

Talete. In somma, qual induzione puossi trarre da ciò? La montagna esiste, non v’ha che dire in contrario. In somiglianti piati perdesi il ranno e il sapone; tutt’al più si riesce a tirare pel naso i merlotti.

Anassagora. Fin d’ora la montagna formicola di Mirmidoni che si traggono ad abitare le spaccature del granito, e di Pigmei, d’Insi e d’altri piccoli enti faccendieri e attivi. (Ad Homunculus) Tu non ambisti mai le grandezze, uso qual sei a vivere come un captivo nella sua prigione; se tu puoi avvezzarti all’impero, ed io ti fo coronar monarca senza meno.

Homunculus. Che ne dice il nostro Talete?

Talete. Io non saprei consigliartelo. Co’ piccoli, si commettono azioni piccole e di poco momento; — co’ grandi, persino il piccolo si fa grande. Vedi là in [p. 331 modifica]alto il negro stormo delle gru; — esso minaccia il popolo ammutinato, e non si terrebbe dal minacciare lo stesso re in persona. Coll’aguzzo lor becco, e colle zampe armate di unghioni, piombano esse sui piccoli, e li pongono in brani; e già già la tempesta fa tale è per iscoppiare. Un misfatto privava di vita gli aironi sparpagliati dattorno al lago dormiglioso e tranquillo; tuttavia codesta pioggia di frecce letali trasse con sè la espiazione d’una sanguinosa vendetta, che accende ne’ confederati della razza loro la sete del sangue sacrilego de’ Pigmei. A che servono ora gli scudi, gli elmi e le lance? Di che pro fia pei nani lo splendore degli eroi? Ve’ come la danno a gambe Dattili ed Insi! Ecco oggimai l’esercito vacillante, in fuga, sgominato, sconfitto.

Anassagora, dopo una pausa, con tuon di voce solenne. Ebbi finora riverite le potenze di sotterra; ma questa fiata mi volgo alle regioni superiori.... O tu che hai trono lassù, fiorente d’immortale giovinezza, o Dea che hai con tre aspetti tre denominazioni diverse! io ti scongiuro in nome de’ meschini della mia razza. O Diana, o Luna, o Ecate, tu che allarghi il seno, e porti fin negli abissi i tuoi capi pensieri, tu, il cui lume si diffonde tranquillo e soave, tu potente, tu inesplicabile, spalanca l’orrendo baratro delle tue ombre, e il prisco valore si addimostri, senza i prestigi della magia. (Pausa.)

Sare’io così tosto esaudito? Alla mia preghiera, spinta inverso gli alti luoghi, scompiglierebbesi dunque tolto l’ordine di natura?

S’erge, e più e più sempre grandeggia avanzandosi il soglio circolare della Dea, — formidabile a [p. 332 modifica]guardare — mostruoso! Il fuoco che ne schizza nel farsi roggio s’infosca.... Arrestati! cerchio largo e minaccioso, o tu ne ridurrai in nulla, e noi, e la terra e le acque! Fia dunque vero che le femmine di Tessaglia, affidate ad una colpabile stregoneria, l’abbiano dal tuo cammino giù tratta per via d’incantesimi; ch’abbianti strappato i più esiziali secreti? Il disco luminoso s’è impallidito — squarciasi d’improvviso, scintilla, fiammeggia! Qual frastuono! quai sibili! il tuono seguito dall’uragano! — Appiè del soglio prostrato, — perdonami, o Dea! — opra è tutto questo de’ miei scongiuri. (Gittasi colla faccia per terra.)

Talete. Quante son cose che nè vede costui nè tampoco comprende! Io mal saprei dire per punto come ciò ne sia avvenuto, e non por una provai delle tante sensazioni da cui mostrasi egli dominato. Confessiamolo ingenuamente, che la è un’ora di maltezze, dappoichè la Luna va cullandosi colassù adesso come sempre.

Homunculus. Osserva da quella parte ov’eransi i Pigmei stabilitil Tonda appariva la montagna, e s’è fatta aguzza. Io notai una scossa straordinaria; la roccia era caduta giù della Luna, e di nulla facendosi carico, accoppava, schiacciava tutti, amici e nemici. Nondimeno non posso trattenermi dall’ammirare ingegni cosiffatti, i quali colla facoltà loro creatrice, nel breve corso di una notte valsero d’alto in basso compiere ad un’ora la mole di codesta montagna.

Talete. Dàtti pace or tu, chè gli è tutto questo una invenzione bella e buona. Sgombri una volta la lurida schiatta! Non avrei certo a caro che tu fossi [p. 333 modifica]re. — Adesso poi, alla gioconda festa del mare! Colà s’attendono ospiti meravigliosi, a render loro onoranza ed omaggio. (Si allontanano.)

Mefistofele, aggrappandosi dalla parte opposta. E’ m’è por forza trascinarmi su per codesti massi enormi e dirupati di granito, abbrancato alle ispide radici dell’antico querceto! Sul mio Brocken i vapori dell’Harz tramandano non so che odor di bitume che mi garba assai, dopo lo zolfo.... ma qui, fra codesti Greci, non ne fiuti per nulla. Sarei curioso di sapere con che sogliano essi attizzare il fuoco dell’inferno.

Una Driade. Che tu fossi un tal po’ saggio e prudente a casa tua, può darsi, ma lo sei ben poco all’estero; giacchè, invece di volgere continuo il pensiero al paese natale, dovresti onorar quivi la maestà della quercia sacrata.

Mefistofele. Non può stare la mente che non torni alle cose lasciate; ciò che per lungo uso si vide, rimane per noi un paradiso. Ma, dimmi: in quell’antro laggiù, qual triplice forma rivelasi coccoloni, al chiarore di fioca lampana?

La Driade. Son esse le Forcídi!8 Arrischiati, se ti dà l’animo, di venire fino costì, e volgi loro il discorso.

Mefistofele. E perchè no? — Travedo qualche oggetto, e ne son tutto ammirato. Per quanto ardito io mi sia, deggio confessare a me stesso di non aver mai veduto cosa che loro somigli. Tanta orridezza è in costoro, che ne disgrado persin le Mandragore.... È egli possibile che serbi punto di schifosità la colpa [p. 334 modifica]dannata fin da principio, in faccia a quel triplice mostro? Noi non cel vorremmo pare sul limitare del più orribile de’ nostri inferni. Quivi all’incontro mette radice nella regione del bello; e antico appellasi con orgoglio.... Ma elle prendono a muoversi; diresti che hanno sentito al fiuto il mio appressarmi. Odili garrire fischiando codesti vipistrelli-vampiri.

Una Forcide. Datemi or voi, mie sorelle, datemi l’occhio, onde riconosca il temerario che trae sì dappresso al nostro tempio.

Mefistofele. Oh molto venerande, non ispiacciavi ch’io m’accosti a ricevere la triplice vostra benedizione. Mi vi presento, è vero, in atto ancora di sconosciuto, ma ad un tempo, se non fo abbaglio, qual lontano congiunto. M’avvenne già di contemplare le antiche auguste divinità, e sonmi prosternato dinanzi ad Opi ed a Rea; — le stesse Parche, suore del Caos se e vostre, le ho vedute non più tardi d’ieri.... o d’ier l’altro;9 ma nulla di somigliante a voi mi fu riscontrato giammai. — Ed ora io mi taccio, però che sentomi tutto commosso.

Le Forcidi. E’ pare che un tale Spirito abbia non poco senno.

Mefistofele. Ben mi fa meraviglia come alcuno infra’ poeti non si facesse mai a celebrarvi. — Ditemi, in grazia, come ciò avvenga, anzi, come abbia potuto fino al presente avvenire? In nessun luogo e in nesson tempo valsi a scoprire una statua che vi rappresenti, o mie reverendissime: tuttafiata non veggiam noi lo scalpello isforzarsi ad effigiare Giunone, Pallade, Venere ed altre tali? [p. 335 modifica]

Le Forcidi. Sepolte quai ci viviamo nella solitudine e nel silenzio della tenebria, nessuna fra noi tre ebbe ancora posto mente a ciò.

Mefistofele. E avrestelo forse potuto così appartate dal mondo, qui dove nessuno vedete, da anima viva non viste? Dovreste la vostra sede in quelle regioni stabilire, dove il lusso, la magnificenza e le arti regnano del pari; dove tuttodì enormi massi scheggiati a ripetuti colpi di martello, ci vivono in sembianza di un eroe; dove....

Le Forcidi. Taci ormai, finiscila di suscitare dentro da noi nuovi desiderii! A che pro daremo più oltre ascolto a codesti tuoi propositi, noi nate nel buio della polle, consanguinee alle tenebre, noi al postutto sconosciute a chicchessia, e sto per dire a noi medesime?

Mefistofele. S’ella è così, non vi ha che ridire; ma puossi bene trasfondere in altrui il proprio essere. A voi, che tre siete, basta un occhio solo e un sol dente. Bel mito sarebbe quello che mostrasse in due ristretta la triplice entità, e che l’altra avesse per poco a cedermi il proprio aspetto.

Una Forcide. Che ne pensate voi, o sorelle? Puossi egli far questo?

Le altre. Facciamone lo sperimento, ma senz’occhio nè dente.

Mefistofele. Oh bella! mancherebbe allora quant’evvi di meglio. Così facendo, come ottenere la rassomiglianza intera e perfetta?

Una Forcide. Presto fatto! chiudi un occhio, sporgi in fuori il tuo graffio, e osservato di profilo, rassomiglieremo tosto perfettamente, come fratello e sorelle. [p. 336 modifica]

Mefistofele. Troppo onore! Sia dunque così!

Le Forcidi. Sia pure!

Mefistofele sotto al profilo d’una Forcide. Andiamo! Mi spaccio ora per un figliuolo prediletto del Caosse!

Le Forcidi. E noi siamo, senza il minimo dubbio, figliuole di lui.

Mefistofele. Vengo ora trattato, oh vergogna! da ermafrodito.

Le Forcidi. Quanta avvenenza nella nuova terna delle sorelle! Abbiamo noi due occhi, e abbiamo due denti.

Mefistofele. Vo’ nascondermi adesso ad ogni sguardo, per isprofondarmi nel baratro infernale, a dare a’ diavoli raccapriccio e spavento. (Exit.)


Note

  1. Seismos, il terremoto personificato: Titano, il quale urtando cogli omeri fa uscire Pelio ed Ossa, non che molte isole, e fra queste la maggiore fra le Cicladi, Delo, culla galleggiante d’Apollo e di Diana.
  2. Formata appena la montagna, ecco tosto formicolarvi da tutte parti la vita. Ci compaiono a miriadi i piccoli esseri a ghermire i tesori ch’essa cela delle viscere, Imsi, Formiche, e Dattili e Pigmei: son per gli uni le pagliuzze e le verghe dell’oro, di cui i Grifoni pretendono farsi guardiani; tocca agli altri il ferro per gli odii e per le vendette. I Pigmei sono in guerra colle gru di Scizia e cogli aironi loro implacabili nemici: venuti fra di essi alle prese, s’aguzzano in un attimo dardi e giavellotti, impegnasi la zuffa, e gli aironi vanno massacrati sullo stagno. Tosto le gru, gli augelli d’Ibico, depositari della sacra vendetta, levansi in aria, la quale echeggia tutta quanta di rabbiose strida; avrassi intera giustizia dell’onta, e i Pigmei non tarderanno a pagare il fio dell’attentato. (Vedi la Ballata di Schiller.) Sempre e poi sempre la tradizione fantastica, il mito, la leggenda; dopo l’Idra di Lerna, le Stinfalidi, e dopo queste, le gru d’Ibico; il romanticismo è dovunque, librasi per l’aria co’ sacri augelli, galoppa ne’ campi con Fausto seduto in groppa a Chirone, e discende con Mefistofele nell’antro delle Forchiadi. Il concorso è uniforme dalla Sfinge al Centauro, dalle Sirene alle Lamie, da Ecate ad Empousa; non un’idea, non un essere, non uno schizzo che venga meno all’uopo del grande poeta.
  3. Ilsenstein, Heinrichhoh, Elend sono i nomi di tre picchi del Blocksberg. V’ha qui nella lingua tedesca un giuoco di parole che nasce dalla decomposizione, e non può affatto rendersi in italiano.
  4. Ἕν ποῦς, Divinità dal piè d’asino, messaggiera di Ecate, o secondo alcuni la medesima Ecate, che mostrasi a’ viandanti sotto varie forme, or giovenca ed or albero, quando mosca e quando serpente. Mefistofele, cui non va troppo a sangue una tal parentela col piè d’asino, fa finta di non capire, e si raddrizza sul suo piè di cavallo con una boria al tutto aristocratica.
  5. Orèo, greppo della natura, vien qui contrapposto alla montagoa lanciata in aria da Seismos.
  6. Il picco orientale del Pindo stendesi fino alle pianure di Farsaglia.
  7. La montagna di Seismos, cui vedemmo a un battere di ciglia popolata di esseri fantastici, e che sta per dileguare insieme colla Notte di Valburga.
  8. Le Gorgoni, Euriale, Stenio e Medusa, figliuole di Forco, dio marino, e di Ceto.
  9. Intendi, nella mascherata.