Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/334

326 fausto.

sa, tua cugina, la comare dal piè asinino! Tu non hai che un piè di cavallo, e ad ogni modo, messer cugino, salve!

Mefistofele. Reputava di non avere a trovare costì che esseri sconosciuti, e vi rinvengo, ohimè! de’ prossimi congiunti. Gli è un vecchio libro da scartabellare. Dall’Harz all’Ellade, cugini, e poi sempre cugini!

Empousa. Io sono apparecchiata ad agire, e potrei, se n’avessi talento, in cento guise trasformarmi; in vostra grazia però, tolsi quest’oggi la piccola testa asinina.

Mefistofele. Codesta gente mi si dà a conoscere non poco ambiziosa del parentado. Par pure, vorrei a qualunque costo rinnegare la testa asinina, con tutta l’anima.

Le Lamie. Lascia andare quel ceffo schifoso: ella rende sozzo e laido quanto bello e amabile ti rassembra; appena la si avvicina, che beltà e grazia dileguano.

Mefistofele. Le piccole cugine, incantevoli, affusolate, riesconmi non poco sospette, e sotto le rose di quelle guance, temo una qualche metamorfosi.

Le Lamie. Pròvati ad ogni modo! Noi siamo qui un bel numero. Piglia, se hai ventura nel gioco, ghermisci ciò ch’evvi di meglio! A che pro que’ languidi sospiri? Altro non se’ tu che un cascamorto dappoco; e poi ti pavoneggi, e fai il bello! Eccolo ora mescersi al nostro stuolo: strappatevi l’una dopo l’altra la maschera, e mostratevi a lui quali siete.

Mefistofele. Mi son trascelta la più avvenente...