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parte seconda. 329

M’inganno io, o se’ tu Homunculus! Ove te ne vai, mio piccolo camerata?

Homunculus. Me la passo volando da luogo a luogo, nè mi dorrebbe la esistenza, a patto però che fosse questa quanto può darsi compiuta. Non mi so oggimai più tenere che non mandi in pezzi la guastada; comecchè le cose vedute insino ad ora non mi attirino gran fatto, nè mi nasca la voglia di avventurarmivi. A dirtela schietta schietta e in confidenza, vo in traccia di un paio di filosofi. Io gli ho uditi che dicevano: O Natura! o Natura! E mi sta in capo di non separarmi più da costoro; hanno eglino da sapere alcun che dell’essere terreno, e ne verrò, spero, ad apprendere per dove la saggezza mi voglia.

Mefistofele. Riguardo a ciò, fa a tuo senno; chè nel reame degli spettri, il filosofo è il benvenuto. Purchè piglisi gusto all’arte sua ed a’ suoi favori, lascialo fare, ch’ei te gl’inventa di tratto a dozzine. S’egli avvenga che non t’abbi a smarrire, ti fallirà certo sempre la via della ragione. Vuoi tu essere? — Sii per tua propria virtù, non altrimenti.

Homunculus. Un buon consiglio non è da pigliarsi a gabbo.

Mefistofele. Vattene ora a tua posta! Ed io mi faccio da capo ad esplorare. (Si separano.)

Anassagora a Talete. Il pervicace tuo intelletto ricusa dunque di sottomettersi! Che resta oggimai a tentare per convincerti?

Talete. L’onda per poco increspasi ad ogni brezza, ma da’ massi dirupati tiensi discosta.

Anassagora. Se là trovasi quella roccia, alla emanazione deesi del fuoco.