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e dove m’innoltro? C’era dianzi un viottolo, ed ora l’è un caos; trassi oltre il piede e qua son venuto per una via battuta e piana, ed eccomi di tratto smarrito fra le macie. Indarno fo d’aggrapparmi, indarno al basso mi calo: or dove mai rinvenir potrò le mie Sfingi? Ah! ah! chi avría potuto figurarsi un tanto prodigio?.... Una montagna qual è codesta scaturir fuori nella notte! Vo’ dirla un’allegra cavalcata delle streghe, che portansi dietro il loro Blocksberg.

Orèo greppo della natura. Vien qua!1 Vecchio è il mio fianco, e serba ancora l’originale sua forma. Inchinati a codesti malagevoli sentieri di granito, che sono le ultime ramificazioni del Pindo.2 Ond’è ch’io tenevami immoto fin da quando Pompeo davasi sul mio dorso a fuga precipitosa. Appetto a me, l’opera della illusione al primo canto del gallo si scioglie in fumo e vaneggia. Ed io mirai già buona mano di codeste storielle da barbogi, nate appena, svanire.3

Mefistofele. Fo plauso a te, cima veneranda, da robuste querce incoronata! Il chiarore più vivo della Luna non vale a penetrare nella tua fitta e densa ombría; — ma a di lungo per la macchia trapela un lume, che dubbio scintilla. Qual incontro fortuito!

  1. Orèo, greppo della natura, vien qui contrapposto alla montagoa lanciata in aria da Seismos.
  2. Il picco orientale del Pindo stendesi fino alle pianure di Farsaglia.
  3. La montagna di Seismos, cui vedemmo a un battere di ciglia popolata di esseri fantastici, e che sta per dileguare insieme colla Notte di Valburga.