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328 | fausto. |
e dove m’innoltro? C’era dianzi un viottolo, ed ora l’è un caos; trassi oltre il piede e qua son venuto per una via battuta e piana, ed eccomi di tratto smarrito fra le macie. Indarno fo d’aggrapparmi, indarno al basso mi calo: or dove mai rinvenir potrò le mie Sfingi? Ah! ah! chi avría potuto figurarsi un tanto prodigio?.... Una montagna qual è codesta scaturir fuori nella notte! Vo’ dirla un’allegra cavalcata delle streghe, che portansi dietro il loro Blocksberg.
Orèo greppo della natura. Vien qua!1 Vecchio è il mio fianco, e serba ancora l’originale sua forma. Inchinati a codesti malagevoli sentieri di granito, che sono le ultime ramificazioni del Pindo.2 Ond’è ch’io tenevami immoto fin da quando Pompeo davasi sul mio dorso a fuga precipitosa. Appetto a me, l’opera della illusione al primo canto del gallo si scioglie in fumo e vaneggia. Ed io mirai già buona mano di codeste storielle da barbogi, nate appena, svanire.3
Mefistofele. Fo plauso a te, cima veneranda, da robuste querce incoronata! Il chiarore più vivo della Luna non vale a penetrare nella tua fitta e densa ombría; — ma a di lungo per la macchia trapela un lume, che dubbio scintilla. Qual incontro fortuito!
- ↑ Orèo, greppo della natura, vien qui contrapposto alla montagoa lanciata in aria da Seismos.
- ↑ Il picco orientale del Pindo stendesi fino alle pianure di Farsaglia.
- ↑ La montagna di Seismos, cui vedemmo a un battere di ciglia popolata di esseri fantastici, e che sta per dileguare insieme colla Notte di Valburga.