Dalle novelle di Canterbury/Novella del mercante d'indulgenze/Novella
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Traduzione dall'inglese di Cino Chiarini (1897)
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NOVELLA
DEL MERCANTE DI INDULGENZE
Appena salito il pulpito, comincio col dire ai miei fedeli da qual luogo vengo: poi faccio vedere che ho tutte le mie carte in regola, e che la mia patente porta il bollo del nostro augusto sovrano. Lo faccio, s’intende, per salvarmi le spalle, caso mai qualche chierico si credesse di potermi disturbare nella sacra funzione di Cristo. Quindi vuoto il sacco delle mie solite storielle. Tiro fuori bolle di papi, di cardinali, di patriarchi e di vescovi, borbottando ogni tanto qualche parola in latino, perché la mia predica sia piú saporita, e induca più facilmente gli uomini alla devozione. Poi metto fuori i miei scatoloni di vetro pieni di stracci e d’ossa, che passano per reliquie. Prendo in mano mozzicone di metallo a forma di scapola, e battezzandolo per la spalla di una pecora che appartenne ad un giudeo divenuto santo, cominciò a dire: “Buona gente, fate attenzione alle mie parole. Vedete quest’osso? Chiunque di voi ha una vacca, un vitello, una pecora, un bue, con la pancia gonfia per aver mangiato, nell’erba, qualche verme velenoso o per esserne stato morso, basta che tuffi quest’osso in una fonte e lavi la lingua alla sua bestia con un po’ di quell’acqua, e la bestia è bell’e guarita. Ma questo è poco: qualunque persona beverà a quella fonte, guarirà subito del vaiolo, della tigna, e di ogni altra malattia. State bene attenti, che non è mica finito!
Se chi ha del bestiame, tutte le settimane prima che il gallo faccia chicchirichí beve, a digiuno, un sorso di quell’acqua miracolosa, in capo all’anno avrà le stalle piene ed i granai zeppi. E queste non sono frottole: fu quel santo giudeo che l’insegnò ai nostri nonni. Finalmente, signori, quell’acqua ha un’altra virtú: è un rimedio contro la gelosia. L’uomo per natura piú pazzamente geloso bevendo di quell’acqua non avrà mai alcun sospetto della moglie, quand’anche sia sicuro che lei quel difettaccio ce l’ha. Lascerà che essa bazzichi magari due o tre fratacchiotti, senza farci nemmeno caso.
Però vi debbo avvertire di una cosa: se per caso qui fra voi c’è qualcuno che ha sulla coscienza uno di quei peccatacci che la vergogna impedisce di confessare; se fra quante siete qui giovini e vecchie c’è qualche cattiva moglie che ha fatto al marito... quel brutto scherzo, se ne può andare. Poichè a gente come quella io non permetto di venire qua a fare offerte alle mie reliquie. Chi ha la coscienza tranquilla si faccia pure avanti, e venga su ad offrire nel nome di Dio, che lo assolverò di tutti i suoi peccati, con quella facoltà che mi è concessa dalle carte che dianzi vi ho mostrato.„
Con questo gioco, da che faccio il mercante d’indulgenze, mi sono sempre guadagnato cento marchi all’anno. Me ne sto bravamente nel mio pulpito come un chierico, e quando vedo che la folla ha preso posto, faccio la mia predica in quel modo che vi ho detto, infilzando almeno un altro centinaio di frottole. Mentre parlo allungo il collo più che posso fuori del pulpito, e accenno ora a questo ora a quello con la testa, dimenandola a destra e a sinistra come fanno i colombi quando tubano sul tetto del granaio. Le mie mani intanto volano per l’aria gesticolando, e la lingua non canzona. Credete a me, dev’essere proprio una bella scena vedermi almanaccare a quel modo! La mia predica non tratta che del maledetto peccato dell’avarizia, per indurre i fedeli ad essere liberali col prossimo, e prima di tutto con me. Poiché il mio scopo non è quello di salvare gli uomini dal pericolo, ma quello di far quattrini. Che cosa me ne importa a me, se quando sono morti l’animaccia loro se ne va al diavolo!
Certo le mie prediche hanno spesso un fine che non è troppo santo: alcune, per esempio, sono fatte per dare nel gusto alla gente, per lusingarla e approfittarne a forza d’ipocrisia; altre per vanagloria, ed altre in fine per odio. Poichè quando non posso vendicarmi con altre armi, di chi ha offeso me e i miei confratelli, adopero la lingua, e nelle mie prediche gli affibbio certe bottate che arrivano fino all’osso. State sicuri che non può sfuggire ad una pubblica diffamazione. Senza nominare alcuno io so toccare certi tasti, che tutti capiscono subito di chi parlo. Cosí sono solito pagare chi ci dà noia; e santamente sputo il veleno che ho in corpo, senza compromettermi. Insomma, ve lo ripeto, le mie prediche sono tutte figlie della cupidigia, e perciò il mio tema è sempre quello: radix malorum est cupiditas.
Io predico come vedete, contro l’avidità, cioé contro il peccato che tutti i giorni commetto. Ma per quanto grande peccatore mi sia, posso distogliere gli altri dalla colpa, e farli pentire amaramente di averla commessa. S’intende che non ne ho nessun merito, perché io non parlo che per cupidigia. Ma di questo, ormai, ne avrete abbastanza: andiamo avanti.
Dunque, dicevo, la mia predica finisce sempre con una filza di esempi, presi dalla storia dei tempi antichi. Perchè alla gente ignorante piace sentir raccontare cose successe Dio sa quando; e se le ripetono e le imparano a memoria con grande piacere. Ah! Credevate che io mi volessi condannare, proprio da me, alla miseria, mentre posso guadagnarmi da vivere onestamente insegnando agli altri? No, no, non mi è passato mai neppur per la contraccassa del cervello. Io predico, e domando qualche cosa qua e là dove vado, perchè per campare non ho voglia di adoperare le mani, e di mettermi a far canestri. Non vado mica attorno per nulla, come facevano gli Apostoli: vogliono essere quattrini, lana, cacio, e grano, anche dal piú povero servo, e dalla vedova più miserabile di tutto il villaggio. Né debbo sapere se i suoi figliuoli muoiono dalla fame. Dovunque vado voglio trovare del buon vino, e una donnetta che mi tenga allegro.
Ma veniamo alla conclusione, signori miei. Voi desiderate che vi racconti una novella? Ebbene, ora che ho mandato giù un bel bicchiere di birra, di quella forte, spero di raccontarvi un fatto, per Dio, che vi piacerà di certo. Appunto perchè io sono un uomo pieno di vizî, voglio raccontarvi una storia molto morale, che di solito ficco in tutte le mie prediche per fare piú effetto. Ed ora state zitti, che comincio. Una volta c’era nelle Fiandre una combriccola di giovinastri i quali passavano la vita in una continua baldoria, dandosi al gioco e alla crapula, e frequentando il bordello e la taverna, dove stavano dalla mattina alla sera a ballare al suono di arpe e di liuti, o a giocare ai dadi, o a gozzovigliare e a bere senza vedere mai il fondo. E in questo modo, abbandonati ad un turpe stravizio, sacrificavano maledettamente al diavolo, nel tempio del diavolo, tirando dei moccoli cosí grossi ed infernali che facevano paura. Straziavano, con le loro bestemmie, il corpo del nostro Signore benedetto, come se non lo avessero straziato abbastanza i giudei; e piú uno le diceva grosse, piú gli altri ridevano.
Ad un tratto venivano le ballerine, tutte ragazze ben fatte e dalla vita snella, e insieme con esse entravano cantanti con le loro arpe, ruffiane e venditori ambulanti di schiacciate. Tutta gente mandata dal diavolo ad accendere il fuoco della lussuria e a soffiarvi dentro, giacché la lussuria è sempre compagna della crapula e del vino, come ci insegna anche la sacra scrittura.
Basti l’esempio di Loth, il quale, ubriaco fradicio, giacque inconsciamente con le due figliuole, commettendo un incesto.
Chiunque ha studiato bene la storia, sa che Erode, stando a banchetto, pieno di vino fino agli occhi, ordinò prima di alzarsi da tavola, che fosse ucciso Giovan Battista, il quale era innocentissimo.
Seneca ha ragione davvero quando dice che egli fra un uomo che ha perduto il cervello ed uno che è ubriaco non vede altra differenza che questa: che la pazzia, quando coglie un disgraziato, dura piú a lungo della ubriachezza1.
O maledetta gola, tu fosti la prima causa della nostra rovina, tu fosti l’origine della nostra dannazione, finchè Cristo ci riscattò col suo sangue. Guardate un po’, per farla corta, come ci costò salata la maledetta colpa di Adamo, per causa della quale tutto il mondo fu corrotto.
Il padre nostro Adamo fu cacciato insieme con sua moglie dal paradiso, e costretto a lavorare e a soffrire, proprio per la gola che lo vinse. Perché fino al giorno in cui restò digiuno, egli rimase in paradiso; e ne fu cacciato, per andare in mezzo ai guai e alle pene, solo quando assaggiò il frutto proibito di quel tale albero. O, ingordigia, non senza ragione gli uomini dovrebbero lamentarsi di te!
Se essi sapessero di quanti mali sono cagione l’intemperanza e la crapula, a vola misurerebbero un po’ piú l’appetito. Ma purtroppo il gozzo e il palato li spingono a girare da un capo all’altro del mondo, per terra, per mare, per aria, in cerca di un boccone ghiotto e di una bevanda squisita. E tu ne sai qualche cosa, o S. Paolo! Egli dice infatti: Dio distruggerà il cibo del ventre e il ventre del cibo. Ah! Fa proprio ribrezzo, in fede mia, il pensare che l’uomo beve, del bianco e del rosso, fino al punto da fare della gola uno strumento di turpe stravizio. Sentite che cosa dice l’Apostolo, piangendo: “Passeggiano molti su questa terra, come vi dicevo (e parlandone, ora mi viene da piangere), che sono nemici della croce di Cristo: fine dei quali è la morte, e Dio il ventre2„. O ventre, o pancia, tu sei un fetido sacco pieno di sterco e di putridume. Da ogni tua parte non si sprigiona che un rumore schifoso. Quanta fatica e quanto denaro ci vuole per trovare il tuo fondo! Povero cuoco, quanto deve affaccendarsi a pestare, spremere, tritare, per ridurre e trasformare la sostanza che deve saziare il tuo ingordo appetito! A forza di colpi fa uscire il midollo dai duri ossi (poichè il cuoco non butta via nulla), e con quell’unto fa sì che il boccone sgusci dolcemente giù per la strozza. E per stuzzicarti sempre più l’appetito, bisogna che cacci nella salsa spezie, odori, e radici di ogni genere, che la rendono piccante. Ma chi va in cerca di tante leccornie, è lo stesso che sia morto, poiché vive nel vizio.
Il vino è un pericoloso eccitante, e l’ubriachezza è causa di molte colpe e di molte sciagure. O briacone, la tua faccia è stravolta, il tuo respiro è affannoso, sei un essere che fa schifo. Dal tuo naso, rosso come un peperone, ronfa un suono che par tu voglia dire: Sansone, Sansone. Mentre Dio sa se Sansone bevve mai una goccia di vino. Tu traballi, e cadi per terra come un maiale ferito. Non hai piú la lingua per parlare, ed hai perduto il pudore, poiché l’ubriachezza è la sepoltura dell’intelletto e dell’onestà. Chi si fa schiavo del vino perde assolutamente il giudizio: perciò guardatevi tanto dal bianco quanto dal rosso, e piú di tutti da quello bianco di Lepe3 che si vende in Via del Pesce e in Chepe4. Perché dovete sapere che la vite che produce questa qualità di vino spagnuolo, striscia piano piano accanto alle altre viti piú vicine; e l’uva per causa di quel contatto fa un vino così generoso, che sale subito alla testa. Immaginatevi che bastano tre bicchieri, di quel vino, perché un disgraziato il quale crede di tornare a casa sua in Chepe, a forza di viaggiare colla testa arrivi nella Spagna, e si trovi proprio nella città di Lepe invece che a Rochelle o a Bordeaux. E intanto dàgli, col naso, a ronfare: Sansone, Sansone.
Ma, Signori, abbiate la compiacenza di ascoltarmi ancora un altro poco. Tutti gli atti più belli e gloriosi di cui si legge nel vecchio Testamento, come furono compiuti? Con l’aiuto di Dio onnipotente, furono compiuti per mezzo dell’astinenza e della preghiera. Leggete la Bibbia e ve lo imparerete.
Sapete voi come finì Attila il famoso conquistatore? Morí in modo vergognoso e turpe, soffocato da un travaso di sangue mentre era ubriaco. Un capitano, veramente, avrebbe dovuto essere piú sobrio.
Guardate, soprattutto che cosa fu co mandato a Lamuele5. Dico Lamuele, state attenti, non Samuele. Leggete la Bibbia, e vi troverete qualche cosa a proposito del dare a bere il vino ai giudici che devono amministrare la giustizia6. Ma basta oramai di questo, perché ne ho parlato anche troppo. Ora che vi ho detto dell’ingordigia, vi metterò in guardia contro il giuoco. Il giuoco è il vero padre della menzogna e dell’inganno; insegna il turpiloquio e a bestemmiare Cristo. Spinge all’omicidio, e fa perdere denari e tempo: senza contare, poi, che l’essere tenuto per un volgare giocatore è cosa riprovevole e disonorante. E quanto piú uno è di elevata condizione, tanto piú sciagurato diventa agli occhi di tutti. Un principe il quale ha il vizio del giuoco, perde, nell’opinione pubblica, il suo prestigio di regnante e di uomo politico.
Stilbone7 il quale era una persona savia, mandato da Sparta, con onorevole incarico, ambasciatore a Corinto per trattare la pace, avendo trovato tutti i primi cittadini della città intenti a giocare turpemente, se ne ritornò subito a Sparta, e disse ai suoi concittadini: “Io non voglio macchiare il mio nome col disonore di farvi stringere alleanza con un popolo di volgari giocatori. Non sarà mai detto che voi, i quali avete un nome così glorioso e rispettato, per mia volontà e per opera mia siate alleati di una gente dedita al giuoco„. Queste furono le parole di quel saggio filosofo.
Ricordatevi anche del re dei Parti, il quale, come racconta la storia, sapendo che il re Demetrio aveva avuto la passione del giuoco, gli mandò, per ischerno, in regalo un paio di dadi d’oro, mostrando di non fare alcun conto della gloria e del nome di lui. Le persone che stanno in alto dovrebbero trovare qualche modo più onesto di passare la giornata.
Ora vi dirò due parole di ciò che dicono i libri a proposito della bestemmia e dello spergiuro. La bestemmia è una cosa abbominevole, ma il falso giuramento è ancora peggio. Dio proibì assolutamente ogni spergiuro, e n’è testimone S. Matteo; ma in modo speciale ne parla Geremia, il quale dice: “Giura il vero, e non giurar mai il falso. Non giurare a caso, ma sempre pensatamente, poiché giurare per cosa da nulla è peccato„.
Non dimenticate i sacri comandamenti di Dio nella prima comunione, e troverete, appunto, che il secondo è questo. “Non pronunziate il mio nome in vano„. Vedete, egli proibisce più severamente tali spergiuri, dell’omicidio stesso e di tante altre colpe. E che questo sia proprio il secondo dei comandamenti di Dio, se ne può persuadere chiunque conosce gli altri. Vi dico poi, chiaro e tondo, che la vendetta del cielo colpisce, prima e poi, la casa di chi offende Dio le sue bestemmie. Eccoli i frutti del giuoco: “Pel sacro cuore di Dio, pei chiodi coi quali fu crocifisso, pel sangue di Cristo in Hailes8, io ho fatto sette e tu cinque e tre. Se giuochi da imbroglione ti spacco il cuore con una pugnalata!„ Questo è il frutto di chi passa la giornata con quei due pezzacci di osso: bestemmie, ira, menzogna, omicidio.
Dunque per amore di Cristo che morí per noi sulla croce, guardatevi tutti, grandi e piccoli, dalla bestemmia. Ma signori, è tempo ormai che io riprenda la mia novella.
Quei tre scapestrati, dei quali vi parlavo, un giorno, prima assai che le campane annunziassero l’alba, se ne stavano a bere in una taverna: quando ad un tratto, mentre erano seduti a tavola, sentirono un campanello nella strada, il quale annunziava il passaggio di un morto che veniva portato al cimitero. Uno di loro, allora disse al garzone: “Presto, va’ a domandare chi è il morto che passa. Sappici dire, per bene, il suo nome„.
“Signore, rispose il ragazzo, non c’è bisogno che io vada a domandarlo: me l’hanno detto due ore prima che voi tre veniste qua. Il morto, per Dio, era un vostro antico compagno. È stato ucciso improvvisamente stanotte. Il disgraziato se ne stava seduto, mezzo ubriaco, su di una panca, quando un ladro, chiamato per soprannome “la Morte,„ il quale uccide chiunque gli capita fra le mani, gli è saltato addosso all’improvviso con la sua lancia, e dopo avergli fatto il cuore in due pezzi, se ne è andato zitto e cheto. Quest’uomo tremendo ha ucciso, qui in paese, un centinaio di persone: credete pure, signor mio, che bisogna stare bene attenti di non capitargli davanti senza saperlo. State in guardia, che non l’aveste ad incontrare. Cosí, almeno, mi è stato detto dalla mia padrona„.
“Per Maria santissima, soggiunse il padrone della taverna, il ragazzo non dice bugie: quest’anno, in un grosso villaggio a piú di un miglio di qui, costui ha ucciso moglie, marito, il bambino, il servitore e il garzone. Credo che di casa stia laggiú. È prudenza stare in guardia e prevenirlo prima che ci abbia a fare qualche brutto scherzo.„
“Per le braccia di Dio, disse allora il giovinastro accattabrighe, ma è proprio un pericolo cosí grande incontrarsi con costui? Ebbene, io non ho paura, e lo anderò a cercare per la campagna, per la città, dovunque egli sia. Lo giuro sulle sacre ossa di Dio. Sentite, amici, soggiunse ai suoi compagni, noi tre siamo stati sempre d’accordo; diamoci ora la mano, e mettiamoci, da buoni fratelli, all’opera: vedrete che non tarderemo ad uccidere questo vigliacco che si fa chiamare “la Morte.„ Sull’onore di Dio, lui che ha ucciso tanta gente, prima di notte cadrà morto.„
Dopo aver giurato, tutti e tre, di aiutarsi come fratelli e di non separarsi mai, vivi o morti, si alzarono per andarsene. E briachi e furibondi si avviarono verso il villaggio, del quale, poco prima, aveva parlato il padrone della bettola; e per via non fecero che lacerare il povero corpo di Cristo con orribili bestemmie. “Se possiamo agguantarlo non ci scapperà vivo dalle mani.„
Avevano fatto quasi mezzo miglio di strada, quando, mentre stavano per passare una siepe, s’imbatterono in un povero vecchio, il quale salutandoli garbatamente disse: “Dio vi accompagni, signori.„
Il piú prepotente di quei tre soggettacci rispose: “Che? Brutto straccione, perché sei tutto imbacuccato a cotesto modo, che ti si vede appena il viso? Com’è che non ti vergogni a vivere ancora, cosí vecchio come sei?„
Egli è, rispose il vecchio guardandolo in faccia, che per quanto abbia girato tutto il mondo, perfino l’India, non posso trovare un cane, in nessun villaggio, il quale voglia cambiare la sua gioventú con la mia vecchiaia. E devo tenermela fin che piacerà a Dio, e finchè la Morte, ahimé, non mi venga a prendere! Cosí povero disgraziato, me ne vo girando pel mondo, e mattina e sera batto col mio bastone la terra, che è la porta la quale chiude mia madre, e dico:
— Madre mia, aprimi. Non vedi che ogni giorno mi consumo sempre di piú e la carne se ne va col sangue e con la pelle? Ahimè, quando avranno pace le mie ossa? Madre mia, quanto volentieri cambierei con te la cassetta dei miei risparmi, cosí a lungo custodita nella mia camera, per quel panno che ti avvolge sotterra! — Ma lei non mi vuol far questa grazia, e la mia faccia si fa sempre piú pallida e smunta.
Ma a voi, signori, non fa onore offendere in questo modo un povero vecchio, il quale non vi ha offeso né con parole né con atti. Ricordatevi di quello che dice la bibbia: “Davanti a un vecchio canuto alzatevi in piedi.„ Perciò io vi consiglio a non voler fare del male a un povero vecchio quale sono io, come voi non vorreste fosse fatto a voi un giorno, se vi sarà dato di campare tanto.„
“No, vecchio straccione, rispose tosto l’altro giocatore; non sarà detto che tu la passi cosí liscia per S. Giovanni. Dianzi tu parlavi di quel vile traditore soprannominato “la Morte„ che uccide in paese tutti gli amici nostri: ci scommetto che tu sei una sua spia. Di’ dunque, dove si trova, o per Dio e pel santissimo Sacramento tu ce la pagherai. Poiché certo tu sei d’accordo con lui, traditore ladro, nel dare la caccia a noi per ucciderci.„
“Se non desiderate che questo, signori miei, cioè di trovare “la Morte„ rispose il vecchio, vi contento subito. Voltate per questa strada: l’uomo che voi cercate io l’ho lasciato, in fede mia, in quel bosco laggiú sotto un albero. Andate che ve lo troverete, e vedrete che non avrà paura di voi. Vedete quella quercia? È proprio là. Andate, e Dio il quale ci ha redenti dai nostri peccati, vi accompagni e vi faccia migliori.„ Così disse il vecchio.
E tutti e tre quei manigoldi si misero a correre finché giunsero alla quercia, ai piedi della quale trovarono circa otto staia di fiorini d’oro coniati splendidamente. Allora non si curarono piú di andare in cerca di “Morte„; ma fu tale la loro gioia nel vedere tutte quelle belle monete luccicanti, che restarono atterriti davanti al prezioso tesoro. Il primo a parlare fu il piú malvagio.
“Fratelli, disse, sentite quello che dico. È vero che mi piace scherzare e fare il chiasso, ma in fondo un po’ di testa ce l’ho anch’io. Con questo tesoro che ci ha dato la fortuna noi ce la potremo passare allegramente per tutta la vita, spendendo senza risparmio giacché a noi questo danaro non ci costa nulla. Stamattina, per Iddio mortale, chi di noi avrebbe pensato a tanta fortuna? Per potercelo godere in pace, tutto quest’oro, bisognerebbe portarlo via di quí, in casa mia o in casa vostra, giacché è nostro: ma come si fa a portarlo via di giorno? Se ci vedessero ci prenderebbero per ladri, e anche di quelli grossi, e il nostro tesoro finirebbe per mandarci alla forca. Però bisogna portarlo via di notte e con la più grande accortezza e precauzione. Io proporrei, quindi, che si tirasse alla paglia piú corta,9 per vedere chi di noi debba andare in fretta in città a comprare (senza dar nell’occhio alla gente) del pane e del vino per tutti. Gli altri due intanto resteranno a guardia del tesoro, e se colui che va in città si sbrigherà presto, giunta la sera porteremo via il tesoro, e lo nasconderemo, d’amore e d’accordo, dove crederemo meglio„.
Cosí dicendo strinse egli stesso nel pugno tre fili di paglia, e fece tirare agli altri due per vedere su chi cadeva la sorte. Toccò al più piccolo, il quale andò subito in città. Appena si fu allontanato un poco, uno degli altri due rimasti a guardia del tesoro disse: “Senti, tu hai giurato di essermi fratello, perciò io ti voglio fare una proposta che sarà utile anche a te. Il nostro compagno se n’è andato, e ci ha lasciati quí con tutto quest’oro, che dovrebbe essere diviso in tre parti: se io avessi trovato il modo di dividerlo, invece, fra noi due soli, non ti pare che ti avrei reso un servizio proprio da amico?„.
L’altro rispose: “Io non vedo come tu possa far questo. Poiché egli sa bene che l’oro l’abbiamo in consegna noi: quindi che cosa potremo fare? Come ce la caveremo?„ “Mi posso fidare, soggiunse allora il primo malandrino? Se me lo prometti, ti dirò poche parole quello che dovremo fare e che condurremo, senza dubbio, a buon fine„. “Ti giuro sulla mia parola, rispose l’altro, che io non ti tradirò mai davvero„.
“Or bene, riprese il primo, noi siamo in due: due hanno più forza di uno solo. Tu dunque sta attento appena egli si sarà messo a sedere in terra per mangiare: allora alzati in piedi, e vagli addosso come per fare uno scherzo, ch’io intanto lo colpirò con la mia spada ai fianchi. Tu poi, fingendo sempre di scherzare, tienlo fermo a terra, e cerca di colpirlo anche tu con la spada, e vedrai, mio caro amico, che tutto quest’oro ce lo divideremo fra noi due. Allora si che potremo godercela davvero, e levarci la voglia di giuocare ai dadi. Cosí i due malandrini si misero d’accordo per uccidere il loro compagno.
Il più giovane, intanto, il quale si era recato in città, per la strada non faceva che pensare alla bellezza di tutti quei fiorini nuovi di zecca e luccicanti, e fra sé pensava: “Dio, se potessi diventar padrone io solo di tutto quell’oro, non ci sarebbe al mondo persona piú felice di me!„ E andò a finire che il diavolo, nemico e tentatore del genere umano, gli mise in testa di comprare del veleno per avvelenare gli altri due. Il diavolo il quale non desiderava che che questo, colse subito l’occasione favorevole, vedendolo cosí ben disposto, per condurlo alla sventura. Ed infatti lo sciagurato decise risolutamente di uccidere i suoi compagni, senza pietà.
Quindi, senza por tempo in mezzo, giunse in città, e recatosi da uno speziale, lo pregò di volergli vendere del veleno, per uccidere certi topi che lo molestavano in casa, e una faina che gli aveva ucciso i capponi in una sua cascina. Cosí, se gli riuscisse, avrebbe la soddisfazione di vendicarsi di quegli animalacci distruggendoli in una notte.
Lo speziale gli rispose: “Lascia fare a me: ti darò una certa cosa io, che (Dio mi salvi l’anima se è vero) chiunque ne assaggi solo quanto un chicco di grano, muore in pochi minuti. Il mio specifico è cosí potente ed efficace, che farà più presto chi ne ha mangiato a andare all’altro mondo, che tu a fare nemmeno un miglio di strada.„
Quello sciagurato prese il veleno, chiuso dentro una scatola, e corse nella strada vicina da un tale a farsi prestare tre grosse bottiglie. In due vi mise dentro il vino avvelenato, la terza la lasciò vuota per metterci da bere per sé, poiché prevedeva che nella notte avrebbe avuto un gran da fare a portar via di là tutto quell’oro. Sistemate per bene le tre bottiglie, lo sciagurato furfante tornò dai suoi amici.
Ma perché farla ancora più lunga? I due che erano rimasti a guardare il tesoro ed avevano deciso la morte del compagno, lo uccisero senz’altro; e poiché l’ebbero morto uno di loro disse: “Ora mettiamoci a sedere e beviamo allegramente, poi penseremo a seppellire il cadavere.„ E presa per caso una delle due bottiglie di vino col veleno, trincò e fece trincare anche all’altro, e poco dopo morirono tutti e due avvelenati.
Sbaglierò, ma io credo fermamente che Avicenna in nessuna parte del suo “Canone„ abbia mai descritto sintomi di avvelenamento piú tremendi di quelli che ebbero quei disgraziati prima di morire. Così, dunque, morirono i due omicidi e il traditore che voleva avvelenarli.
O scelleraggine delle scelleraggini! O traditori omicidi! O malvagità umana! O avidità dell’oro, libidine del piacere, vizio del giuoco! O tu che offendi Dio con orribili bestemmie e prepotente orgoglio! O uomini sciagurati, come avviene che voi siate cosí malvagi e villani col vostro creatore, con Colui che vi ha fatti, e riscattati col suo sangue?
Ora, miei buoni amici, Dio vi perdoni le vostre colpe, e vi guardi dal peccato della cupidigia. Il mio santo perdono è qua per liberarvi tutti dai peccati vostri, purché, s’intende, vogliate offrire qualche cosa: nobili10, sterline, fermagli d’argento, cucchiai, anelli, tutto è buono. Ecco qua una Bolla santa, chinate la testa peccatori! Avanti, donne, offrite un po’ di lana, ed io segnerò subito il nome vostro qui nel mio registro per mandarvi a godere la beatitudine del cielo. Quanti verranno qua ad offrire, io li assolverò con la mia alta potenza, e se ne potranno tornare a casa con l’anima candida come quando vennero al mondo. Eccovi, signori miei, la mia predica. Ora Gesù Cristo che è il medico dell’anima nostra, possa concedervi di ricevere il suo perdono, poiché, ve le dico senza inganni, questa è la miglior cosa del mondo.
A proposito, signori, la mia novella mi faceva dimenticare una cosa. Io ho qui nella mia sacca una provvista di reliquie e indulgenze, consegnatemi dal Papa stesso, preziose come solo in Inghilterra si potrebbero trovare. Se c’è qualcuno di voi, il quale vuole offrire devotamente qualche cosa per avere la mia assoluzione, venga qua, s’inginocchi e riceverà la santa remissione dei peccati. O piuttosto se vi pare meglio, strada facendo rinnovate tutti il perdono ad ogni paese che ci lasciamo indietro. Cosí si rinnoverà anche l’offerta: nobili e monete fanno sempre comodo. Del resto è una bella fortuna per voi avere qui a vostra disposizione un mercante d’indulgenze, il quale vi può assolvere dai vostri peccati, per ogni caso che vi dovesse succedere mentre cavalcate per la campagna. Qualcuno di voi, per esempio potrebbe cascare da cavallo e rompersi il collo. Vedete dunque che per la vostra tranquillità è una vera fortuna che io sia capitato qui con voi, giacché tutti, ricchi e poveri, io vi posso assolvere nel momento in cui l’anima vostra volerà via dal corpo. Io consiglio il nostro oste ad esser lui il primo a prendere l’assoluzione, come quegli che ha sulla coscienza piú peccati di tutti gli altri. Qua, dunque, mio caro signor oste, tu sarai il primo ad offrire qualche cosa, ed io per soli quattro soldi ti farò baciare tutte le mie reliquie. Coraggio, apri la borsa.
“Io? No, no, lascia pure che Cristo mi maledica (rispose l’oste): magari fossi sicuro dei miei interessi, come sono sicuro che non mi coglierà la maledizione! Mi vorresti proprio far baciare le tue brache vecchie, spacciandole per reliquie di un santo mentre portano ancora, bella tonda, l’impronta del tuo c...? Per la croce trovata da S. Elisabetta, altro che reliquie e santuarî: vorrei avere nelle mie mani i tuoi c....... i! Tagliateli, che ti aiuterò a portarli via, e li faremo conservare come reliquie nello sterco di maiale.„
Il povero mercante d’indulgenze non fiatò nemmeno. Rimase cosí male, che non rispose mezza parola. L’oste accortosene disse: “Quand’è cosí, con te, e con chiunque prende il cappello come te, io non ci scherzo piú.„
Allora il nostro bravo cavaliere vedendo che tutti ridevano disse: “Via, via, basta signor mercante, noi non vogliamo musi lunghi. Venite qua, mio carissimo oste, ve ne prego, date un bacio al mercante d’indulgenze e fatela finita. Qua, signor mercante, fate la pace, e torniamo a ridere e a scherzare come prima.„ Si baciarono e la brigata riprese allegramente il suo cammino.
Note
- ↑ [p. 413 modifica]Il Tyrwhitt suppone che il poeta intenda riferirsi alla Epist. LXXXIII, nella quale Seneca dice: “Extende in plures dies illum ebrii habitum: numquid de furore dubitatis? Nunc quoque non est minor sed brevior.„
- ↑ [p. 413 modifica]Il Chaucer ha tradotto letteralmente dalla sacra scrittura: “Multi enim ambulant etc.„ Cfr. Filipp. III. 18.
- ↑ [p. 413 modifica]Vicino a Cadiz.
- ↑ [p. 413 modifica]Chepe (Cheapside) era nel medio evo una delle parti del vasto territorio di Londra dove affluiva la classe più ricca della cittadinanza, e dove il commercio aveva uno sviluppo grandissimo. Cfr. Prologo gen., pag. 40.
- ↑ [p. 413 modifica]Prov. XXXI. 6.
- ↑ [p. 413 modifica]Prov. XXXI. 4.
- ↑ [p. 413 modifica]Probabilmente il Chaucer ha tolto questa storia dal Polycraticus, sive de nugis Curialium et vestigiis Philosophorum di Giovanni da Salisbury, che visse durante il regno di Enrico II, fu vescovo di Chartres nel 1176, e morí nel 1180. Il testo del Polycraticus (I, 5), nel quale però invece di Stilbone che si reca a Sparta si racconta di un tal Chilone mandato ambasciatore a Corinto, dice cosí: “Chilon Lacedaemonius, iungendae societatis causa missus Corinthum, duces et seniores populi ludentes invenit in alea. Infecto itaque negotio
- ↑ [p. 414 modifica]L’abbazia di Hailes in Glaucestershire fondata da Riccardo di Cornovaglia fratello di Enrico III. Cfr. Tyrwhitt, op. cit., n.
- ↑ [p. 414 modifica]L’espressione inglese è drawing cut, ed è quella stessa che ricorre anche nel prologo generale (v. pag. 64), dove io, non essendo riuscito, allora, a capirne il significato preciso, l’ho tradotta: fare al conto. Una nota del Froissart, che pur troppo ho veduto quando il prologo era già stampato, mi ha condotto poi a quest’altra spiegazione che è, probabilmente, la vera. Drawing cut, secondo il Froissart, (cfr. Tyrwhitt, op. cit., n.) corrisponde all’espressione francese: tirer à la longue, (o courte) paille. È molto verisimile, infatti, che cut (tagliato) stia ad indicare la paglia tagliata in pezzetti di differente lunghezza. La sorte cadeva su colui, che dal fascetto dei pezzi di paglia tenuti stretti in una mano da uno dei presenti, tirava fuori la paglia piú lunga, o più corta, secondo quello che era stato convenuto prima. Questa espressione si trova anche in una filastrocca francese che incomincia cosí:
Il était un petit navire,
il était un petit navire,
qui n’avait ja-jamais navigué,
qui n’avait ja-jamais navigué.........e in cui si trova questa strofe:
On tira au sort la courte paille,
on tira au sort la courte paille,pour savoir qui-qui serait mangé,
pour savoir qui-qui serait mangé........... - ↑ [p. 415 modifica]Antica moneta inglese.