Da Maillane a Saint-Rémy

occitano

Ludovic Legré 1911 1911 Emanuele Portal Indice:Antologia provenzale, Hoepli, 1911.djvu poesie Da Maillane a Saint-Rémy Intestazione 10 giugno 2024 25% Da definire

Addio a Saint Gilles Pietà!
Questo testo fa parte della raccolta Antologia provenzale


[p. 118 modifica] Il vino bianco disposto nelle bottiglie e le nostre voci da tutti i punti si rispondevano come un’eco: Viva la fiera di Beaucaire! Insieme poi siamo cresciuti, t’ho vista dolce, tenera, amabile, facendo il bene senza tarlo sapere, cercando d’essere per me amorosa, delle mie pene alleviare il fardello, metterti in moto per piacermi. E pertanto grido più che mai: Viva la fiera di Beaucaire! [p. 119 modifica]

TAURENTO.

<poem> Colle sue alte torri e i suoi archi trionfali, la città s’è sprofondata ad un tratto nel mare. La terra ha tremato e le larghe ondate si sono sollevate come un gregge di bianchi cavalli, Poi più nulla! ma si vedono nell’acqua i frontoni dei tempi e dei palagi; sotto i colonnati si vede ancora Diana e Venere rovesciate che biancheggiano nell’acqua, aspettando il segno. Poiché, ne passerà tempo, soffierà la bufera! l’anima del mio paese è un’anima pagana, gli Dei risaliranno sui loro piedestalli. E Taurento che oggi s’allunga nell’oscurità, col suo popolo di murene e di rocce, Taurento uscirà più bella dalle sue onde. [p. 120 modifica]

CAMARGUEN.

Nel caldo paese degli orizzonti turchini, delle zanzare, dei castori e delle lontre, di girare solo, cacciando, giammai ho noia. Passano le Camarghesi. Passano lungo i giunchi. Hanno fretta, sono belle e brune, sulla via trottano i muli e le carrette. 1 Camarghesi vanno ai buoi. Vanno ai buoi in Arles, alle Arene, malgrado il caldo che li arresta ed impedisce loro di avanzare. Non brontolano. Le Camarghesi vanno a danzare. (1) Camarguen, abitatori della Camargue. vasto delta formato alle biforcazioni del Rodano. [p. 121 modifica] Vanno a danzare, perchè amano il riso, il ballo, l’amore e il bel dire, e quando un giovane s’è annegato, bruciano un cero. I Camarghesi vanno a pregare. Vanno a pregare quando ingrossa 11 fiume, nella notte fosca. Allora due lumi vegliano davanti a Sant’Onorato o a San Trufemio. Le Camarghesi vanno a piangere. Vanno a piangere davanti a San Cesario, San Massimino o San Lazzaro; a Nostra Signora del Castello dicono il rosario. I Camarghesi vanno ai battelli. Vanno ai battelli con le corde, il Rodano gonfio sale e scende, trasportando nella sua furia fattorie e raccolti. Le Camarghesi sono in lutto. [p. 122 modifica]

CHIÉU! CHIÉU!

Chiéu, chiéu faceano gli augelletti, e il gaio mattino si levava, e il biondo sole diffondeva sui boschi i suoi raggi. Col petto nudo, la gentile Suzon col suo Tonino se ne andava, lungo il sentiero e cantava correndo dietro le farfalle. Leggieri come la dolce auretta, seguivano a traverso i fiori il folle piccolo Amore, Che pungendoli col suo dardo, Iacea loro scambiare i baci per uno sciame di farfalle. [p. 123 modifica]

IL DIRITTO.

Lo chiamano Diritto, giusto come si dice d’una linea, che va diritta avanti a sè, senza allontanarsi dalla sua strada: ma di questa linea, perchè sia determinato il cammino, occorrono due punti, e i due punti non ci sono. Ma del Diritto chi riconoscerà qual’è il cammino? Rude lavoro, amici miei, l’uomo non è troppo buon lottatore per scegliere il buon grano e metterlo bene a parte nella confusione degli affari. Prendete un uomo bravo, onesto e fedele, non basta. Più d’una volta egli propenderà per ciò che gli è piacevole. Per nascondersi, il Diritto sa trovare cento mila mezzi, si traveste, si dissimula e vederlo è forse più difficile che adempirlo. [p. 124 modifica]

NEMAÜSA.

O figlia di Pradier, suberba Nemausa, come sei bella, sorgente sulla nostra Esplanade, il tuo fronte è uno del più puri che si possano lodare, tanto il genio vi ha impresso il suo divino soffio. Per ammirarti, la notte, quando tutto è buio, le stelle lassù si fermano stupite, nel giorno, il sole ardente è fiero di baciarti, e sei cosi circondata da una doppia luce. Per regina o per diva ti si prenderebbe tosto, nel vedere il tuo sguardo, il tuo gesto sovrano e la serenità della tua testa romana. E infatti regina lo sei, regina di bellezza e diva pure, perchè nella tua maestà, ci appari come l’imagine sovrumana di Dio stesso. [p. 125 modifica]

TOLOZA.

<poem> Barnabelle, signora di Cabaret, nutriva nel suo cuore sempre più l’ardente, maligna gelosia. Ora la malvagia un giorno uscì da Cabaret di soppiatto, avendo in sella il suo paggetto biondo. Ecco se ne va direttamente verso l’esercito dei Crociati a trovare Folchetto, vescovo e trovatore, che tante volte, dolce corteggiatore, le avea rivolti lai, tenzoni e strofe amorose. La bella giovane è arrivata, al tramonto, al castello di Fanjau: presto il suo paggio biondo scende da cavallo e in tre salti arriva dal vescovo Folchetto. e Barnabella è annunziata. [p. 126 modifica] Il vescovo, turbato, bel galante, esce tosto, corre all’incontro della bella e battono le sue palpebre quando vede la dama Barnabella nelle sue vesti di seta e le collane d’oro. Ma non ha ancora potuto dir nulla che la donna gli parla: Vogliate, per compassione, ricevermi un istante sotto la vostra tenda, per udirmi, se vi piace, in grave confessione. Così toglierete dal martirio l’anima mia. che geme sotto il peso del peccato! Folchetto risponde: Bella dannata, venite che sarete perdonata, e sulle dita la bacia; allora la donna dice: Ha già abboccato. E sotto la tenda essendo entrata, insinuante, ipocrita è caduta in ginocchio, innanzi a Folchetto, in maniera che stando inchinata, scappano dalla seta le due mammelle e le spalle profumate. [p. 127 modifica] Come un serpe il suo busto, svelto ed agile, con lussuria si strofina contro la stola e l’abito; del vescovo allora la carne freme e gli sembrano di brace sgabello e cuscini. Allora la donna dice: Padre mio, confesso che ho il cuore malato di gelosia, confesso che farei tristo e malvagio mestiere, che consegnerei castello, vassalli, sposo, se occorresse, e me pure, al cane, al ladro, che mi portasse il corno del vescovo di Cahors. Quel corno può aprire la porta che tiene chiusa in una forte torre colei che a vederla morta, i miei occhi, i mjei occhi gelosi troverebbero gran diletto. Ma tosto Folchetto cosi l’interrompe: Donna, consolatevi, perchè non avete peccato. [p. 128 modifica] Il vostro cuore può odiare, il vostro braccio può colpire colei che per un eretico ed un rinnegato abbandonò la Santa Chiesa. Angelica è dannata, avete cento volte ragione, ed io giuro per la mia tonsura, che vi porterò la cintura, il corno ed anche l’imboccatura, che, sono come diceste, le chiavi della sua prigione. E consegnarvela vivente. Potrete farla rompere o bruciare, potrete farla uccidere od affamare, potrete in una grotta ben chiusa, imprigionarla, per Dio sarà cosa gradita. Vedrete che al più tardi all’alba di domani, mia nobile e bella signora, dopo che avrò detta la santa messa, andrò, come v’ho promesso, da Monsignor di Cahors.... [p. 129 modifica] E le bacia la mano, E le bacia i capelli e le spalle. E poi sui cuscini e i molli tappeti di velluto cremisino il vescovo colla donna aspettarono il mattino. Che dirò di più? Cosa sicura è che la dimane, sul cadere del giorno, si vide la dama Barnabella col corno alla sua cintura, attaccato con doppio laccio, tornare rapidamente a Cabaret, suo soggiorno. 9 [p. 130 modifica]

IL RE DEI SARACENI.

11 re dei Saraceni lascia la sua bianca città, mette il suo turbante verde e l’yatagan al fianco. Monta sul bianco puledro, che corre come gazzella, il sole dardeggiante fa battere le sue palpebre. Traversa l’oasi, traversa le sabbie, le sue donne e i suoi schiavi pregano nella moschea. Il re dei Saraceni s’imbarca nel vespero, il suo stendardo spiegato sventola alla brezza marina. Passa per Palma e per Barcellona, poi per Frontignan e per Magalona. Ma quando ha visto splendere le messi biondeggianti, il re dei Saraceni, prendendo il suo frustino, È ben qui, disse, che sette anni or sono vidi Dionigia del Mas-Blanc, che oggi vengo a cercare. [p. 131 modifica] Tosto è sbarcato sulla terra fiorita e con tre cavalieri parte a briglia sciolta. Han già passato il ponte di Trinque-taille, arrivano al Mas-Blanc quando l’alba spunta. Il re dei Saraceni si arresta sotto la torre ed amorosamente ha chiamato Dionigia, la fanciulla. Il padrigno burbero grida: Chi mi sveglia? — Il re dei Saraceni chiede di vostra figlia. — Mia figlia non è per te, che hai fatto morire i miei padri. — Padrigno, è ben galante il Re! è bello a vedersi. — Le porto un bel ventaglio di penne colorate, le porto velluto e sete fiorite. — Mia figlia non è per te, che rubasti le mie greggi! — Padrigno, mi piacerebbe un busto di seta. — Le porto un fazzoletto bianco con bei ricami. — Mia figlia non è per te, che bruciasti il mio granaio. [p. 132 modifica] — Le porto un bel nastro colla sua spilla. — Padrigno, di quel re sono innamorata pazzamente. — Fanciulla, taci, se no, laggiù sull’aia getto, nero dm! la tua testa per prima. — Padrigno. della mia morte che Dio vi faccia grazia. cosi dicendo la fanciulla si slancia nel vuoto. E morta viene a cadere innanzi al re che piange, a lora il re ha detto: Padrigno, ecco la tua ora. Il suo yatagan, lucente come folgore di tempesta, del padrigno geloso taglia la testa. 11 re poi è andato ad annegarsi nel Rodano e i suoi tre cavalieri, come lui, ne han fatto la loro tomba. E d’allora si vedono correre, lungo le rive, dei cavalli saraceni che pascolano fra le canne e i pioppi. [p. 133 modifica]

OMAGGIO ALLE CORTI D’AMORE FELIBRINE.

Le nostre Regine del Félibrige sono Io splendore della bellezza, dell’empireo hanno il prestigio; le nostre Regine dei Félibrige. Le anime, i cuori, sono loro ligi; al sole rubando i fulgori, le nostre Regine del Félibrige son lo splendore della bellezza. Coi loro entusiasmi di poesia fanno brillare le Corti d’amore, e risonare le armonie, coi loro entusiasmi di poesia. E con un’ambrosia ammaliante inebbriano i trovatori; i loro entusiasmi di poesia fanno brillare le Corti d’3Tio: j. [p. 134 modifica] Così vive e cresce ia nostra razza. La Provenza è l’eterno raggio del bello, nella storia è luminosa la sua traccia, sempre vivace cresce la nostra razza. Le sue Regine hanno sin dagli antichi tempi un posto sul trono degli ideali alati, sempre cosi cresce la nostra razza; la Provenza è l’eterno raggio del bello. Invìo. — Alle fanciulle e donne di Provenza, stelle del cielo poetico, ove la più grande ricompensa è uno dei loro baci fioriti, che sia gradito questo ricordo d’un omaggio in triolets. [p. 135 modifica]

LE LAGRIME.

L’alba inumidiva i fiori. Dissi ai fiori: Come siete belli! Siete fratelli agli astri, da tarcosl sognare d’amore? Dobbiamo vivere solo un’ora, nel sole e presso il ruscello. Una rosa mi disse: lo sono la lagrima che sgorga dall’alba. I boschi splendearhi di lampi. Dissi alle nubi, sull’altura: Che fate nella natura? Donde venite fin lassù? [p. 136 modifica] Passavano come fuochi fatui in un uragano d’estate. La nube mi rispose: lo sono una grossa lagrima sfuggita. Tutto era limpido nella notte. Dissi alle stelle sublimi. Che cosa siete, per gittarci dalle cime tante scintille negli ocelli? L’una appresso l’altra sul volto mi passava, come un getto di luce. Una stella mi disse: sono una lagrima dello spazio. Il vento cantava sul mare. Dissi al mare assopito: Hai tu il segreto della vita, tu che sei il bell’abisso amaro? L’acqua, alzandosi in collera, zampillò d’un tratto fino a me Poi il mare rispose: lo sono una lagrima della terra. [p. 137 modifica] La Tomba rideva fra i raggi. Le dissi, piegando i ginocchi: Fiore, mare, stella, nube bianca mi hanno ingannato, non è vero? Soltanto lagrime sul cammino, ciò farebbe lagrimare Dio! La Tomba mi rispose: lo sono la palpebra che le beve tutte. [p. 138 modifica]


VIVA LA CANZONE!

Nel nostro paese di Provenza vogliamo tutte le libertà, ma soprattutto crediamo che la cosa più bella sia il canto! Vogliamo cantare le amarezze, i passatempi ed i brividi, e crediamo che valga più d’ogni ricchezza, la felicità di cantare le nostre gaie canzoni. Se v’è cosa assai lieta è il canto dell’amor sereno, nessuna vittoria guerriera ci può dare tanto bene. Val meglio cantare la Couligo, che imporre forti taglie. Il) Canzone popolare. [p. 139 modifica] I giovani conserveranno le loro amiche meglio che i soldati, soltanto con le loro canzoni. Impero o democrazia, popolo libero o popolo schiavo, in un batter d’occhio, tutto ciò passa o passerà. Dei poeti soltanto la matassa si dipana, come maschia lezione. Del gran secolo di Carlo Magno ci ricordiamo appunto d’una rude canzone. Non è coll’orrida politica che innalzeremo in alto I cuori, lasciamo nelle querele pubbliche ingolfarsi gli uomini intraprendenti, perchè il seme dei felibri prepara ben meglio la messe. E se un bel giorno diventeremo liberi, sarà per tua virtù, nobile e fiera canzone. [p. 140 modifica] Vi son molte persone, che non san far nulla, che invidiano il governo. Altri pietosi pei propri fratelli, sognano la nostra redenzione. Ma vi son pure i Giuda, che spiano. Credetemi; i grandi patrioti son quelli che fanno le più belle canzoni. [p. 141 modifica]

VENERDÌ SANTO.

La predicheranno la bella Passione, quando Gesù è immolato dai Giudei, nazione ribelle, che avrebbe dovuto proteggerlo. Non è molto grande la cappella per tutte le persone che vengono d’ogni lato; la moltitudine sente agli occhi salire lagrime pietose. Ma quando il Cristo s’innalza nell’aria sulle teste, allora si piange come si piange sui morti amati! E dicono che la Fede cristiana si perde I È uso di gridarlo; a chi lo dice io faccio le corna! [p. 142 modifica]

IL MULINO DELL’AURETO.

Lassù sulla montagna, conosco un bel mulino che quando il vento soffia — vento forte o grecale — con furore macina ogni specie di grano per le genti delle alture e pei fattori della pianura. Il mulino fa tic-tac. La mugnaia è piacente, il mugnaio gentile, e perciò quando il vento è forte, accorrono gli avventori. Qui si lavora cantando canzoni. Il mulino dell’Aureto è un nido di fringuelli. Il mulino fa tic-tac. [p. 143 modifica] In tutta la contrada non v’ha mulino si gaio, mugnaia tanto ammirata, mugnaio cosi diligente. È un piacere il vedere quella coppia gaia, felice, non si crederebbe, come due tortorelle. Il mulino fa tic-tac. Vengono dalla pianura ch’è una processione! Giammai mancano di grano, perché ne fanno provvista. Se il mulino si ferma — ciò non accade spesso — i mugnai fanno festa, aspettando il vento. Il mulino fa tic-tac. [p. 144 modifica]

RITORNO ALLA FATTORIA.

Col gran sole abbiamo finita la giornata, egli, fiero, s’è avvolto nel suo rosso lenzuolo, io tomo alla fattoria. De» mani, insieme, se Dio lo vuole, riprenderemo tutti e due la nostra opera incominciata. Fra gli alberi, lontano, vedo la porta della casa, la porta del Mas-Nòu, che coi mille fiori che la circondano, sembra una cappelletti adornata con gusto. Vedo, chiaro, minuto, che rompe il crepuscolo, come uno scintillio di stelle splendente nell’ombra, una fiaccola che arde dietro i narcisi. Vedo infine, colle mani giunte sul grembiale, nena posa e l’atteggiamento soave d’una Madonna, Mirella che m’aspetta, lungi, sulla soglia. [p. 145 modifica]

ADDIO A SAINT GILLES.

Il vino non si vende più, ahimè I le annate si fanno cattive, a poco a poco tutto se ne va. In Saint Gille non c’è più vita I Si ha un bel possedere buon vino bianco, una vecchia chiesa romana, ciò non fa guari le veci di pane ed ancor meno portare la canna. Alcuni vanno via, non a bella posta; camminano per leghe e leghe; andiamo, mio povero Laforét, bisogna fare come i colleghi! il) La/orft, di SainI Gille, poeta popolare (carrettiere). 10 [p. 146 modifica] Ma non posso fare un gran salto, avendo corte le ali; mi esilio dal mio luogo nativo e giro per la terra provenzale. Non sono ancora dei più sfortunati, vedete come ciò s’indovina, sarei potuto cadere men dolce, sono in mezzo alla crusca, alla farina. Presso un mugnaio, che ho conosciuto, mentre servivo la patria, mi son trovato il ben venuto; oggi sono della famiglia. Ma ormai la mia frusta scoppietta sulle bianche vie polverose, felice sarò di partire nella mattinata nebbiosa. E che vuol mai il carrettiere che sulle braccia ha una nidiata, essere ogni giorno mattiniero per andare a cercare il cibo. [p. 147 modifica] Alio vecchio Saint Gille, ove sono stato allevato, dove mia madre è seppellita, credi bene che quantunque t’abbia lasciato, avrai sempre il mio pensiero. Vedrò sempre da lontano il tuo castello, I tuoi bastioni, la casa di mio padre; tutta la mia vita di adolescente è racchiusa nella tua via di Beaucaire. Ritornello — La vedo abbastanza arruffata la matassa che si dipana, di dolore i cuori sono gonfi, quando si fila cattiva lana. [p. 148 modifica]

DA MAILLANE A SAINT-RÉMY.

Dall’angolo felibrino della sua gentile Maillane, ove il nostro Mi strai ha il suo piccolo giardino, si vede fra i salici ed i platani Saint Rémy, che biancheggia a capo ad una lunga via. Gradevole è la contrada, ed anche nel viale è dolce camminare l’estate, di buon mattino. Tutto è gaio, ridente, fresco; la rugiada, simili a mille perle ha seminate le sue lagrime, che pendono lucenti, dalle foglie nelle siepi, la gemma germoglia e si schiude il fiore; muta ancora e tranquilla, laggiù, la campagna spira la pace, la giovinezza e l’amore. [p. 149 modifica] Fra i cespugli, cullati dai zefiri, capinere ed usignuoli, raccolti sui nidi, salutano il sole colla loro limpida canzone, il sole che giusto allora spunta e risplende, e l’uccello della via, la gentile cutrettola, vola un poco, poi si ferma, e avanti! presto fugge. Come un fratello segue la sorella, pel sentiero, in un letto verdeggiante fra i giunchi, un ruscello va pian piano, e l’acqua che scorre, contenta, fa sentire il suo canto sereno e vivo; l’acqua è limpida e la riva in festa si specchia coi bei liori dell’estate. Ed intanto sulle Alpine, lassù, s’innalza, coronato di gloria il sole splendente. Innamorata esce dalla sua povera cameretta la lucertola e viene per abbeverarsi tosto. [p. 150 modifica] Ai raggi ardenti; la terra ed il cielo, tutto s’indora, e guardereste sempre quel quadro divino. Ed intanto quel giorno camminavo senza vedere! ero ebbro della felicità che non ha l’eguale; rimpiangevo, certo, d’essere tanto lontano dal luogo ove il mio cuore restava tutto intiero. Ma ero tanto felice che non potevo crederlo, quando ti toccai finalmehte, terra di Saint-Rémy.


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Lou vin blan ragé dins li go,
E nósti voix, di quatre caire,
Se respoundien coume d’echò:
Vivo la fiero de Bèucaire!
Ensèm despièi avem grandi:
T’ai vi dou?o, tèndro, amistouso
Faire lou bèn sèns l’esbrudi,
Lou cerca, nen èstre amourouso,
De mi peno alauja lou fai,
Te metre en aio per me plaire....
Oh! tambèn, cride mai que mai:
Vivo la fiero de Bèucaire!

(Li Prouv etilato).
(1851).


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Raoul Gineste.

TAURENTO.

Emé si nàuti tourre e sis are triounfau,
La vilo dins lou mar, d’un cop s’es prefoundado.
La terrò a tremoula e li gràndis oundado
Ali rebouinbi coume un troupèu de lilanc chivau.
Pièi plus rèn 1 mai se vèl dins l’aigo li frountau
Di tèmple e di palais: souto li coulounado
Se vèi encaro Diano e Venus debaussado
Que blanquejon dins l’aigo, esperant lou signau.
Car, que passe lou tèms I que boufe la citavano!
L’amo de muun pai’s es uno amo pagano.
Li Diéu remountaran subre si pedestau.
E Taurento que vuei s’alongo dins la broundo
Emé soun pople de murene e de roucau,
Taurento sourtira plus bello de sis oundo.

(Armami prouvenrau, A. 1896))

.

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Marius Girard

1838-1906.

CAMARGUEN (1).

Au cauti pafs di founsour bluio.
Di mouissau, di vibre e di luio
De barroula soul en cassant
Jamai m’enueio:
Li Camarguenco van passant.
Van passant de-long di sarreto,
Soun pressado, bello e moureto
Sus li camin troton li miòu
E li carreto,
Li Camarguen s’en van i biòu.
Van i biòu, en Arie, is Areno
Maugrat la caud gue lis arreno
E lis empacho d’avan?a,
N’an pas la reno:
Li Camarguenco van dansa.

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Van dansa, car amon lou rire,
Lou bai, l’amour e lou bèu dire;
E quand un drole s’èi nega,
Brulon un ciré:
Li Camarguen s’en van prega.
Van prega quand groussis lou fiume
Dins la niue fousco. Alor dous lume
Vihon davant Sant Ounourat
Vo Sant Trefume:
Li Camarguenco van ploura.
Van ploura davans Sant Cesari.
Sant Massemin e Sant Lazari:
À Nosto-Damo de Castèu
Fan soun rousàri:
Li Camarguen van i batèu.
Van i batèu emé de cordo,
Lou Rose grand mounto e desbordo,
Empourtant dins si vira-vòut
Mas e recordo:
Li Camarguenco soun en dòu.
ad ( Armali a pìouveiii’au, A. 1S94|.

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Henri Giralo

CHIÉU! CHIÉU!

Chiéu! chiéu! fasien lis auceloun,
E lou gai matin se levavo.
E lou lilound soulèu debanavo
Sus li bouscage si raioun.
Pitre nus, la gènto Susoun
Emé soun Tounin s’enanavo
Long de la draiolo e cantavo
Courrènt detras li parpaioun.
Lóugié coume la douço aureto
Seguissien à travès li tlour,
Lou fòu pichot mandrin d’Amour,
Que, li pougnènt de sa sageto,
lé fasié prendre li poutoun
Pèr un essaim de parpaioun.

(Armano pronvem-axi))

.
A. 1894.

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Antonia Glaize

1833.

LOU DRE.

lé dison Dre, tout-just coume se dis dóu tra
Que vai dre davans éu sènso vira de caire:
Aquest per ié regia lou camin que tara
lé fau rèn que dous poun, e dous poun n’a pas gairei
A\ai lou Dre, soun camin quau lou recouneira?
Duro obro, mis ami 1 L’ome es pas proun luchaire
Pèr tria lou bon gran e lou ben separa
Dins lou mescladis dis afaire.
Prenès un ome brave, ounèste emai fidèu....
Sufis pas: mai d’un cop prendra per co que dèu
Acó qu’a lou doun de ié plaire.
Per s’escoundre, lou Dre trovo cent milo biais;
Se desguiso, s’acato: e lou vèire es bessai
Mai ditìcile que lou taire.
(Armana proweticau. A. 1883).

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Léontine Goirand

(Felibresso d’Areno).

NEMAÜSA.

O fìho de Pradiè, superbo Nemausa,
Que sies bello aubourant subre nosto Esplanado
Toun front, un di mai pur que se posque lausa,
Tant l’ingèni i’ a tra sa divino alenado!
Per t’amira, la niue, quand tout s’es ameisa,
Lis estcllo ainoundaut, s’aplanton estounado
Lou jour, l’ardènt solèu es fièr de te beisa,
E d’un doublé trelus sies ansin courounado.
Per rèino o per divesso on te prendrié subran,
A vèire toun regard, toun gàubi soubeiran
E la serenità de ta tèsto roumano.
Eto, rèino; la sies; rèino de la bèuta,
E divesso tambèn; car dins ta majesta,
De Diéu meme aparèis l’estampo subre-umano.
(HÉNNION: Les fteurs félibresques).

[p. 125 modifica]

Felix Gras

1844-1901.

</poem>


TOLOZA.

. Barnabello
Dono de Cabaret, dins soun cor nourrissié,
E sèmpre mai que mai soun aigro jalousié.
Or, la marrido un jour de Cabaret sourtié
De cauto-à-cauto, aguènt en sello
Soun pichot page blound. Vès-la, sen vai tout dret
De vers l’armado di crousaire
Trouva Foulquet, bisbe e troubaire
Que proun de fes, dous calignaire,
l’avié fa lais, tensoun e d’amourous coublet.
La bello garno es arribado
Qu’èro soulèu tremount, au Castèu de Fanjau.
Vite soun page blound davalo de chivau.
Vers l’evesque Foulquet arribo dins tres saut,
E Barnabello es anounciado.

[p. 126 modifica]

L’evesque, treboula, bèu galant, vite sort,
Cours à Penda vans de la bello;
E parpelejon si parpello
Quand vèi la dono Barnabelio
Dins si vièsti de sedo e dins si coulas d’or.
Mai n’a panca rèn pouscu dire
Que la dono ié fai: Vougués per coumpassioun
Me re?aupre un istant sout voste pavaioun
Per m’ausi, se vous plais, en grèvo counfessioun,
Ansin tirarés dóu martire
Moun amo, que gemis sout lou pes dóu pecat!
Foulquet respond: Bello danado,
Venès que sarès perdounado,
E sus li det l’a poutounado.
Lors la Dono se di: A deja trebuca.
E sout la tendo estènt intrado,
Cautelouso, ipoucrito, es toumbado à geinoun
Davans Foulquet; de biais qu’en estènt de clinoun,
Bouinbisson foro sedo e si dous mameloun
E sis espalo perfumado!

[p. 127 modifica]

Coume uno serp soun jougne e souple e mistoulin
Emé lussuri se fringoulo
Contro l’estolo e la cagoulo!
Dóu bisbe lèu la car gingoulo,
E ié sèmblon de braso escabello e couissin.
Alor la dono dis: Moun paire,
Counfèsse qu’ ai lou cor malaut de jalousié,
Counfèsse que fariéu traite e marrit mestié,
Que liéurariéu castèu, gènt, espous, se falié,
E iéu encaro 1 au can, au laire
Que m’adurrié lou biéu dóu bisbe de Cahour!
Aquéu biéu pòu durbi la porto
Que tèn clavado en tourre torto
Aquelo qu’ à la vèire morto,
Mis iue, mis iue jalous troubarien grand sabour,
Mai lèu Foulijuet ansin l’aplanto:
Dono, counsoulas-vous car noun avès peca.

[p. 128 modifica]

Voste cor pòu ahi, voste bras pòu pica
Aquelo que, pèr un eiretge e renega,
Abandouné la Glèiso san o.
Angelico es danado, avès cènt cop resoun.
E iéu jure pèr ma tounsuro.
Que vous adurrai la centuro,
Lou biéu e soun emboucaduro,
Que soun, coume disès, li clau de sa presoun.
E vous la liéure touto vivo!
Poudrés la (aire roumpre o la faire crema,
Poudrés la faire óucire o la faire afama,
Poudrés dins un croutoun bèn basti l’estrema,
Pér Diéu sara causo agradivo.
Veirés que lou plus tard à l’aubo de deman.
Ma noblo e bello segnouresso,
Tre qu’ aurai di ma santo messo,
Anarai segound ma proumesso,
Vers Mounsen de Cahour....

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E ié baso la man,
lé baso la cabeladuro,
lé baso lis espalo. E pièi sus li couissin
E li tapis moulet de velout cremesin,
Lou bisbe emé la dono espèron lou matin.
Que dirai mai? Causo seguro
Es ijue lou lendeman, sus lou tantost dóu jour.
Se veguè dono Barnabello
Emé lou bièu à sa fuvello
Estaca ’mé doublo courdello,
Regagnant vitamen Cabaret, soun sejour.

(Poema, omonimo).
C. VII.


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LOU RÈI DI SARRASIN.

Lou rèi di Sarrasin quito sa vilo bianco,
Bouto soun turhan verd, soun iatagan à 1 anco.
Mounto soun blanc poulin que cour coume gazello.
Lou soulèu dardaiant fai batre si parpèlo.
Travèsso l’ouasis, travèsso li sablèio,
Si femo e sis esclau prègon dins la mousquèio.
Lou rèi di Sarrasin s’embarco à la vesprado;
Soun estendard dubert floto à la marinado.
Eu passo davans Palmo e davans Barcilouno,
Pièi davans Frountignan, pièi davans Magalouno.
Mai quand a vist lusi li meissoun rousselino,
Lou rèi di Sarrasin, prenènt sa gavelino:
Es bèn elei, s’es di, que i’a sèt an veguère
Danìso dóu Mas-Blanc, que vuei véne la querre.

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Tant lèu a desbarca sus la terrò flourido
Ein’éu tres cavalié partorì à touto brido.
An adeja passa lou pont de Trenco-Taio.
Arribon au Mas-Blanc quand l’aubo s’esparpaio.
Lou rèi di Sarrasin campa souto la touno,
Amourous, a souna Daniso, la chatouno.
Lou peirastre renous crido: Quau me reviho?
— Lou rèi di Sarrasin demando vosto fiho.
— Ma fiho es pas pèr tu, qu’as fa peri mi rèire!
— Peirastre, es bèn galant lou Rèi! fai gau de vèire.
— l’aduse un bèu ventau de plumo acoulourido,
l’aduse de velout e de sedo flourido.
— Ma fiho es pas pèr tu, que raubères mi fedo 1
— Peirastre, amariéu bèn un coursihoun de sedo.
— l’aduse un fichu blanc emé de bèlli franjo.
— Ma fiho es pas pèr tu, que brulères ma granjo 1

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— l’aduse un bèu riban eira— soun espingolo
— Peirastre, d’aquéu Rèi siéu amourouso folo.
— Pichoto taiso-te, se noun, avau sus l’iero.
Te trase, nègre-diéu 1 la testo la premierò!
_ Peirastre. de ma mort que Diéu vous fague gràei.
Acò disènt, l’enfant, se jito dins l’espàci,
E morto vèn toumba davans lou rèi que plouro.
Al or lou rèi a di: Peirastre, aro es toun ouro!
Soun iatagan lusènt coume uiau de tempèste
Dóu peirastre jalous a davala la tèsto.
Lou rèi s’es pièi ana nega dedins lou Rose
E si tres cavalié coume éu n’an fa soun erose.
E desempiéi l’on vèl courre de-long di ribo
De chivau sarrasin qu’ esbrouton sagno e pibo.

(Armano, prouvençau).
A. 1883.


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Hippolvte Guillebert.

1841.

OUMAGE I COURT D’AMOUR FELIBRENCO.

Nòsti rèino dóu Felibrige
Soun l’esplendour de la bèuta,
De l’empirèio an lou prestige
Nòsti rèino dóu Felibrige.
Lis amo, li cor ié soun lige:
Au soulèu raubant si darta
Nòsti rèino dóu Felibrige
Soun I’esplendour de la bèuta.
’Mé sis envanc de pouSsio
Fan esblèugi li Court d’Amour,
lé clantisson lis armounio
’Mé sis envanc de pouSsio
E d’uno ebrianto ambrousio
Encigalant li troubadour,
’Mé sis envanc de pouSsio
Fan esblèugi li Court d’amour.

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Ansin viéu, grandis nosto rato,
Prouvènfo es l’eterne belu 1
Dins ristòri lusis sa trafo.
Sèmpre vièu, grandis nosto rafo,
Si rèino an de longo uno piato
I trone d’ideau alu;
Sèmpre ansin grandis nosto rato
Prouvènfo es l’eterne belu.

MANDADIS.

I chato e dono de Prouvènfo,
— Estello dóu cèu poueti
Ounte la majo recoumpènso
Es un de si poutoun flouri. —
l’agrade ’questo souvènenfo
D’un óumage triouleti.

(op. separato))

.

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Clovis Hughes.

1851-1908.

LI LAQREMO.

L’aubeto bagnavo li flour..
Diguére i flour: Coume sias bello!
Sias-ti li sorre dis estello,
Que fasès pantaia d’amour?
Avien bessai qu ’à viéure uno ouro,
Dins lou soulèu, contro lou riéu.
Uno roso me diguè: Siéu
La lagremo que l’aubo plouro!
Li bos dardaiavon d’uiau.
Diguère i nivo, sus l’auturo:
Qu’ èi que fasès dins la naturo?
D’ounte venès peramoundaut?

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Filavon coume un vòu de fado,
Dins uno chavano d’estiéu.
Lou nivo me respoundè: Siéu
Uno grosso larmo envoulado!
Tout clarejavo dins la niue!
Diguère is estello sublimo:
Que sias pèr nous jita di cimo
Tant de belugo dins lis iue?
L’uno après l’autro, sus la faci,
Me passavo coume un esliéu.
Uno estello me diguè: Siéu
Uno lagremo de l’espàci!
Lou vènt cantavo sus la mar.
Diguère à la mar endourmìdo:
As-ti lou secret de la vido,
Tu que siés lou bèu toumple amar?
L’aigo, s’aubourant en coulèro,
Espousquè subran jusqu’ à iéu.
Pièi la mar me respoundè: Siéu
Qu’ uno lagremo de la terrò.

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La Toumbo risié dins un rai.
lé diguère acouta dis anco:
Flour, mar, estello. niéulo bianco
M’an troumpa, digo, pas verai?
Rèn que de larmo sus la routo,
Acò farié lagrema Diéu!
La Toumbo m’a respoundu: Siéu
La parpello que li béu toutol
ad (Armana prouvençauj.
A. 1892.

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Joseph Huot.

1839-1898.

VIVO LA CANSOUN!

Dins noste pals de Prouvènjo
Voulèn tóuti li liberta;
Mai, subre-tout, avén cresènço
Que la pu bello es de canta!
Voulèn canta lis amaresso,
Li soulas e li femisoun:
E cresèn que passo richesso
Lou bonur de canta nòsti gali causoun!
Se i’a ’no causo bèn astrado
Es lou cani de l’amour seren,
Ges de vitóri de Parmado
Podon nous douna tant de bèn.
Vau mies avé fa la Couligo (1)
Que d’impausa torto rancoun....

[p. 139 modifica]

Li jouvènt gardaran si migo,
Bèn mies que li sóudard... rèn qu’emé si cansoun.
Hmpèri, vo demoucraclo,
Pople libre, o pople embarra,
Dins lou tèms de durbi li ciho,
Tout acò passo.... o passara!
Di soulet pouèto l’escagno
Se debano en masdo leifoun:
Dóu grand siède de Carle Magno
S’ensouvenèn tout just d’uno rudo cansoun!
Es pas ’mé l’orro poulitico
Qu’enauraren li cor bèn aut!
Leissen, i garrouio publico,
S’alassa lis ome d’assaut;
Car la semento di Felibre
Preparo bèn mies la meissoun.
E s’un bèu jour devenèn libre
Sara pèr ta vertu, noblo e fièro cansoun!

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l’a proun gènt, c|ue sabon rèn (aire,
Qu’envejon lou gouvernamen....
D’àutri, pietadous pèr si fraire,
Raivon poste relevamen....
A\a i’ a tambèn d’Iscarioto
Que, cautas, guèiron lou boussoun.
Cresès-me: Li grand patriota
Es aquéli que fan li pu bèlli causoun!

(Lou Gai Sabe, 1907))

.

[p. 141 modifica]

Abbé Imbert

1849-1900.

DIVÈNDRE SANT.

La van precha la passioun bello,
Ounte Jèsus ei sagata
Pèr li Jusiòu, nacioun rebello,
Qu’aurié degù lou recata.
Es pas proun grando la capello,
Tant vèn de gènt de tout cousta.
L’acamp entié à sji parpello
Sent de plour pietadous mounta.
Mai quand lou Crist en l’èr s’aubouro
Subre li tèsto, alor se plouro
Coume se plouro i mort ama.
E dison que la Fé crestiano
Se pèrd I Es l’us de lou brama,
En quau lou dis iéu fau li bano!

(op. separato))

.

[p. 142 modifica]

Elzéar Jouveau

1847.

LOU MOULIN DE L’AURETO.

Amount, sus la mountagno,
Sabe un poulit moulin
Que quand lou vènt s’encagno,
— Aurasso o gregalin —
Hmé furour móuturo
Touto meno de gran,
Pèr li gènt de l’auturo
E li masié dóu pian.
Lou moulin fai ti-ta....
La móunièro es plasènto
E lou móunié galant;
Autambèn, tre que vènto,
l’arribon li chaland.
Aqui se fai l’oubreto
En cantant de cansoun:
Lou moulin de l’Aureto
Es un nis de quinsoun.
Lou moulin fai ti-ta....

[p. 143 modifica]

Dins touto Pencountrado,
Pa pas moulin tant gènt,
Móunièro tant mirado,
Móunié tant diligènt.
Es un plesi de vèire
Aquéu galoi paréu,
Urous, qu’es pas de crèire,
Coume dous tourtourèu.
Lou moulin fai ti-ta.
lé vènon de la plano
Qu’es uno proucessioun!
Jamai mancon de grano,
Car n’en fan prouvesioun.
Se lou moulin s’arrèsto,
— Parribo pas souvènt —
Li moulinié fan fèsto
En esperant lou vènt.
Lou moulin fai ti-ta.

(Armano, prouvenfau).
A. 1895.


[p. 144 modifica]

Mari us Jouveau

1878.

RETOUR AU MAS.

Emé lou grand souléu avèn tini journado;
Éu, fièr, s’es amaga dins soun rouge Un?òu;
léu, tourne au mas. Deman, ensèn, se Diéu lou vòu,
Reprendren tóuti duus nosto obro entamenado.
— Entre lis aubre, alin. iéu vese abardanado.
La porto de l’oustau, la porto dóu Mas-Nòu
Qu’emé li milo flour qu’enciéudon soun envòu,
Sèmblo uno capeleto emé goust adoumado.
Vese, claret, menu, traucant lou calabrun,
Coume un belu d’estello escampa dins l’oumbrun,
Un lumenoun lusi dintre li courbo-dono;
léu vese enlin, li man jouncho sus soun foudau,
Dins la pauso e l’esté suau d’uno madono.
Mirèio que m’espèro, alin, sus lou lindau.

(Armano prouvenfau).
A. 1896.


[p. 145 modifica]

Laforét (1).

(1877).

ADIEU SANT-GÀ1LE.

Lou vin se vènd plus! Ai, ai, ai,
Lis annado se fan marrido!
A cha pau tout acò s’en vai!
Dins Sant-Gile i’ a plus de vido!
A bèu aguedre bon vin blanc,
Uno vièio glèiso roumano,
Acò nous fai pas ’gué de pan,
Encaro mens pourta la cano!
D’ùni s’en van, lou fan pa’ sprès,
Caminon de légo, de légo....
Anen, moun paure Lafourèst,
Fau faire courne li coulègo!

[p. 146 modifica]

— Mai pode pas faire un gros saut,
Estènt qu’ai de pichòtis alo,
Me bandisse foro moun trau
E lande en terrò prouvenjalo.
Siéu panca di plus malurous;
Vesès coume acò se devino:
Auriéu pouscu toumba mens dous,
Siéu dedins lou bren, la tarino!
Vers un rnóunié qu’ai couneigu
Dóu tèms que serviéu la patrio,
Me siéu trouva lou bèn vengu;
Au-jour d’uei ié sian en famiho!
Tourna-mai moun fouit va danti
Sus li routo bianco, póussouso,
Urous que sarai de parti
Dins la matinado neblouso.
E que vòu mai lou carretié,
Que sus li bras a ’no nisado,
Estro chasque jour matinié
Pèr i’ana cerca la becadol

[p. 147 modifica]

Moun vièi Sant-Gile ounte ai teta,
Ounte ma maire es enterrado
Crei bèn qu’emai t’ague quita
Gardaras toujour mi pensado;
Verai de-longo toun castèu,
Ti barri, l’oustau de moun paire,
Touto ma vido de barbèu
Tèn dins toun camin de Béucaire.

REFRIN.

Lou vese proun espelouti
Lou cabedèu que se debano,
De lagno li cor soun elafi
Quand se fielo marrido lano!

(Armana prouvenqau).
A. 1907.


[p. 148 modifica]

Ludovic Legré.

1904.

DE MAIANO À SANT ROUMIÉ.

Dóu felibren cantoun de soun poulit Maiano
Ounte noste Mistrau a soun pichot jardin,
Se vèi. entre mitan di sause e di platano,
Sant Roumié que blanquejo au bout d’un long camin,
Plasènto es l’encountrado, e tambèn dins l’andano
Hi dous de camina. l’estiéu de bon matin.
Tout es gai, risoulet, afrescouli; l’eigagno
Coume milo perleto a samena si plour
Que pènjon trelusènt, ì (ueio di barragno;
l.ou boutoun se despiego e s’espandis la tlour,
Mudo encaro, e tranquilo, eilalin la compagno
Trespiro que la pas, la jouinesso e l’amour.

[p. 149 modifica]

Au mitan di bouissoun que vèn bressa Laureto,
Bouscarlo e roussignòu, amata sus si nis,
Saludon lou soulèu de sa cansoun clareto
Lou soulèu tout-bèu-just que pounchejo e lusis;
E l’aucèu dóu camin, la gènto bergeireto,
Volo un pau, pièi s’arresto, e zóu I lèu mai fugis.
Couine un fraire seguis sa sorre, emé la draio,
Dins un lié verdoulet, entre li jounc, un riéu
Camino plan-planet, e l’aigueto que raio,
Counténto, fai ausi soun canta tèndre e viéu;
L’aigo es lindo, e la riho en fèsto se miralo
Emé li bèlli tlour que ie douno l’estiéu.
E ’nterin sus l’aupiho, eilamoundaut, s’enauro,
De glori courouna, lou respiendènt soulèu;
Enamourado sort de sa chainbreto pauro
La lagramuso. e vèn, pèr s’abéura, lèu, lèu,

[p. 150 modifica]

1 rai ardènt: la terrò e lou cèu, tout se dauro,
E regardarias sèmpre aquéu divin tablèu.
E pamens. aquéu jour, marchave sènso vèire!
Ère plen d’un bonur que n’a pas soun parié,
Regretave, segur, d’èstre tant liuen à rèire
Dóu rode ounte moun cor restavo tout entié:
Mai ère tant urous que noun poudiéu lou crèire,
Quand te touquère entìn, terrò de Sant Roumié.

(Armano prouvençeau).
A. 1862.