Conferenze di Michele Bakounin/Terza conferenza

Terza conferenza

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Michail Bakunin - Conferenze di Michele Bakounin (1911)
Traduzione dal francese di Anonimo (1921)
Terza conferenza
Seconda conferenza

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Terza ed ultima Conferenza


Cari compagni,

Vi ho spiegato la volta passata, come la borghesia, senza averne essa stessa una coscienza precisa, salvo una parte, forse un quarto, che lo sapeva, si sia servita del braccio potente del popolo durante la grande Rivoluzione del 1789-1793, per fondare sulle rovine del mondo feudale la sua potenza. Da allora è diventata la classe dominante. E si ha torto quando si crede che sia stata la nobiltà emigrata ed i preti a fare il colpo di Stato reazionario del termidoro, che rovesciò e uccise Robespierre e Saint-Just, e ghigliottinò e deportò una quantità di loro partigiani. Senza alcun dubbio molti dei membri di questi due ordini decaduti presero parte attiva all’intrigo, contenti di vedere cadere coloro che li avevano fatti tremare, tagliando teste senza pietà. Ma da soli non avrebbero potuto fare niente. Spossessati dei loro beni, erano stati ridotti all’impotenza. Ma fu quella parte della borghesia che si era arricchita acquistando i beni nazionali, o con le forniture di guerra, o maneggiando fondi pubblici, e approfittando delle calamità pubbliche ed anche della bancarotta per riempire le saccocce, furono loro, questi virtuosissimi rappresentanti della moralità e dell’ordine pubblico furono loro i principali istigatori di questa reazione. Essi furono caldeggiati e potentemente appoggiati dalla massa dei bottegai; razza che sarà sempre malefica e vile; che inganna e avvelena il popolo [p. 28 modifica]vendendogli merci adulterate; che ha tutta l’ignoranza del popolo senza averne la bontà di cuore; che ha tutta la vanità borghese senza avere le saccocce piene; vile durante le rivoluzioni diventa feroce durante le reazioni. Per essa non esistono tutte le grandi idee che fanno palpitare il cuore delle masse, tutti i grandi principii, tutti i grandi interessi dell’umanità. E non conosce nemmeno il patriottismo, oppure ne conosce solo la vanità e le fanfaronate.

Nessun sentimento è capace di strapparla alle preoccupazioni del suo commercio, e ai miserabili crucci di ogni giorno. Tutti infatti hanno saputo, ed uomini di ogni partito han confermato, che durante il terribile assedio di Parigi, — mentre il popolo combatteva e la classe dei ricchi faceva intrighi e preparava il tradimento che doveva mettere Parigi in mano ai Prussiani, mentre il proletariato generoso e le donne e i figli del popolo erano affamati, — i bottegai hanno avuto un solo pensiero, quello di vendere le loro merci, le loro derrate, e gli oggetti indispensabili al sostentamento del popolo, al prezzo il più alto possibile.

In tutta la Francia i bottegai hanno fatto lo stesso. Nelle città che i Prussiani hanno invaso essi hanno aperto le porte. Nelle città che non furono invase essi si prepararono per aprirle. Essi paralizzarono la difesa nazionale, e dovunque fu loro possibile, essi si opposero all’insurrezione ed all’armamento del popolo che solo avrebbe potuto salvare la Francia. I bottegai nelle città, alla stessa stregua dei contadini nelle campagne, formano oggi l’esercito della reazione. I contadini potranno e dovranno essere convertiti alla Rivoluzione, ma i bottegai mai.

Durante la grande Rivoluzione, la borghesia si era divisa in due gruppi; di questi uno, piccola minoranza, era la borghesia rivoluzionaria più nota col nome generico di Giacobini. Non bisogna confonderli con quelli di oggi, i Giacobini del 1793. Quelli di oggi non sono che pallidi [p. 29 modifica]fantasmi, aborti ridicoli, caricature soltanto degli eroi del secolo scorso. I Giacobini del 1793 erano grandi uomini; essi avevano il fuoco sacro, il culto della giustizia, della libertà e dell’uguaglianza. E non fu loro la colpa se non capirono meglio le parole che oggi ancora riassumono tutte le nostre aspirazioni. Essi considerarono solo il loro aspetto politico e non purtroppo il senso economico e sociale. Ma ripeto che non fu loro la colpa, come non è oggi nostro il merito, se le comprendiamo meglio quelle parole. L’umanità progredisce lentamente, troppo lentamente, purtroppo! e solo attraverso una serie di errori e di colpe e di esperienze crudeli che ne sono conseguenza necessaria, gli uomini arrivano alla verità. I Giacobini del 1793 furono uomini in buona fede, uomini che un’idea inspirò, e che a quella idea si consacrarono. Essi furono eroi! Che se non lo fossero stati non avrebbero compiuto le grandi gesta della Rivoluzione. Noi possiamo e dobbiamo combattere gli errori teorici dei Danton, dei Robespierre, dei Saint-Just; ma anche combattendo le loro idee errate, ristrette, esclusivamente borghesi in economia sociale, noi dobbiamo inchinarci davanti alla loro potenza rivoluzionaria. Essi furono gli ultimi eroi della classe borghese che un tempo fu tanto feconda in eroi.

Estranea a questa eroica minoranza, vi era poi la grande massa della borghesia, sfruttatrice materiale, per la quale le idee e i grandi principi della Rivoluzione erano solo parole, che in tanto avevano valore e significato, in quanto potevano servire ai borghesi per riempire le loro saccocce così larghe e tanto rispettabili. Quando poi i più ricchi e perciò i più influenti tra loro, ebbero riempito a sufficienza le loro tasche, in nome della Rivoluzione e servendosi della Rivoluzione, essi trovarono che la Rivoluzione aveva durato fin troppo, e che era tempo di finirla per ristabilire il regno della legge e dell’ordine pubblico. Essi abbatterono il comitato di salute pubblica, [p. 30 modifica]assassinarono Robespierre, Saint-Just ed i loro amici, e stabilirono il Direttorio, che fu l’incarnazione più vera della depravazione borghese sul finire del secolo decimottavo, il trionfo e il regno dell’oro conquistato ed ammucchiato col furto da qualche migliaio di individui.

Ma la Francia che non aveva avuto il tempo di corrompersi, e che palpitava ancora tutta per le nobili gesta della Rivoluzione, non sopportò a lungo questo governo. Due furono le proteste: una fallì, l’altra trionfò. La prima se fosse riuscita, se avesse potuto riuscire, avrebbe salvato con la Francia tutto il mondo; il trionfo della seconda inaugurò invece il dispotismo dei re e la servitù dei popoli. Mi riferisco all’insurrezione di Babeuf, ed all’usurpazione del primo Bonaparte.

L’insurrezione di Babeuf segna l’ultimo tentativo rivoluzionario del secolo decimottavo. Babeuf ed i suoi amici, tutti erano stati gli amici di Robespierre e di Sain-Just. Essi furono Giacobini socialisti. Essi ebbero sempre il culto dell’eguaglianza, anche a detrimento della libertà. Il loro piano fu molto semplice: fu quello di espropriare tutti i proprietari e tutti i detentori degli strumenti di lavoro e del capitale a favore dello Stato repubblicano, democratico e sociale, di modo che, diventando lo Stato l’unico proprietario di tutti i beni mobili ed immobili, e di tutte le ricchezze, diventava anche l’unico ad utilizzarle, il solo ad essere padrone della società; e poiché sarebbe. stato provvisto dell’onnipotenza politica, sarebbe stato il solo ad impartire la stessa educazione e la stessa istruzione a tutti i fanciulli, ed avrebbe obbligato gli adulti a lavorare ed a vivere secondo eguaglianza e giustizia. Ogni autonomia comunale, ogni iniziativa individuale, in una parola ogni libertà spariva soffocata da questo potere formidabile. La società tutta intera avrebbe dovuto presentare l’aspetto di una uniformità monotona e forzata. Il governo sarebbe stato eletto per suffragio [p. 31 modifica]universale, ma una volta nominato esso avrebbe esercitato su tutti i membri della società un potere assoluto.

La teoria dell’eguaglianza stabilita con la forza dal potere dello Stato, non è stata concepita da Babeuf. I primi principi di questa teoria erano già stati formulati parecchi secoli prima di Cristo, da Platone, nella Repubblica, opera nella quale questo grande pensatore dell’antichità tentò abbozzare il quadro di una società fautrice di eguaglianza. I primi cristiani professarono senza contestazioni possibili, un comunismo pratico, nelle loro associazioni che la società ufficiale tutta quanta, perseguitava. Infine agli inizi stessi della Rivoluzione religiosa, nel primo quarto del sedicesimo secolo, in Germania Tommaso Münezer ed i suoi discepoli tentarono per la prima volta di stabilire, e su basi assai larghe, l’eguaglianza sociale. La cospirazione di Babeuf fu la seconda manifestazione pratica della idea di eguaglianza tra le masse. Tutti questi tentativi compreso l’ultimo, dovettero fallire per due motivi: prima di tutto perchè le masse non erano ancora abbastanza sviluppate per renderne possibile la realizzazione; e poi perchè in tutti questi sistemi, l’eguaglianza veniva associata alla potenza, all’autorità dello Stato, e per conseguenza la libertà veniva esclusa. E noi lo sappiamo, amici cari, che l’eguaglianza è solo possibile con la libertà e per mezzo della libertà; non già la libertà esclusiva dei borghesi, che è fondata sulla servitù della masse, e che non è la libertà ma il privilegio, ma la libertà universale di tutti gli esseri umani, che innalza tutti alla dignità di uomo. Ma noi sappiamo pure che questa libertà è solo possibile nell’eguaglianza. La ribellione non solo a teoria, ma pratica, contro tutte le istituzioni e contro tutti i rapporti sociali derivanti da diseguaglianze; l’istituzione poi dell’eguaglianza economica e sociale per mezzo della libertà di tutti: eccolo il nostro programma di oggi, che deve trionfare malgrado i Bismark, i Napoleone, i Thiers e malgrado tutti i cosacchi dell’augusto [p. 32 modifica]mio imperatore lo czar di tutte le Russie.

La cospirazione di Babeuf aveva riunito intorno a se tutti quei cittadini che ancora erano rimasti a Parigi, e quindi molti operai devoti alla Rivoluzione anche dopo le esecuzioni capitali e le deportazioni del colpo di Stato reazionario del termidoro.

Essa fallì; molti furono ghigliottinati, ma parecchi riuscirono a sopravvivere, e tra gli altri Filippo Buonarotti, uomo di ferro, carattere antico, tanto degno di rispetto che riuscì ad essere rispettato dagli uomini di partiti più opposti. Visse a lungo nel Belgio e vi divenne il principale fondatore della società segreta dei carbonari comunisti; in un libro divenuto oggi assai raro, ha narrato questa lugubre storia, questa ultima eroica protesta della Rivoluzione contro la reazione, conosciuta col nome di congiura Babeuf.

L’altro atto di protesta della società contro la corruzione borghese che s’era impadronita del potere col nome di Direttorio, e che ho già accennata, è l’usurpazione del primo Bonaparte.

Questa storia mille volte più lugubre la conoscete tutti. Essa fu la prima inaugurazione del governo infame e brutale della sciabola, il primo schiaffo che lasciò l’impronta sulla guancia dell’umanità, vibrato nel principio di questo secolo da un insolente arrivista. Napoleone I. diventò un eroe per tutti i despota e nello stesso tempo fu militarmente il loro terrore. Lui vinto, lasciò loro funesta eredità, il suo infame principio: il disprezzo dell’umanità, tiranneggiata con la sciabola.

Non vi parlerò della Restaurazione. Fu un tentativo ridicolo di ridare vita e potere politico a due organismi avariati ed ormai decaduti: la nobiltà ed i preti. Ci fu solo questo di notevole durante la restaurazione, che la borghesia attaccata e minacciata nel suo potere, ritornò quasi rivoluzionaria. Nemica dell’ordine pubblico ogni qual volta questo ordine pubblico non è il suo, e cioè [p. 33 modifica]tutte le volte che esso fissa e garantisce interessi di altri e non suoi, essa cospirò di nuovo. I signori Guizot, Perrier, Thiers e tanti altri che sotto Luigi-Filippo si erano distinti come i più fanatici e partigiani difensori di un governo di oppressione e di corruzione, ma borghese e perciò perfetto ai loro occhi, tutte queste anime dannate della reazione borghese, cospirarono durante la Restaurazione. E nel luglio 1830 trionfarono ed inaugurarono il regno del liberalismo borghese.

E’ dal 1830 che data di fatto la dominazione esclusiva degli interessi e della politica borghese in Europa; e sopra tutto. in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, nell’Olanda e nella Svizzera. Negli altri stati come la Germania, la Danimarca, la Svezia, l’Italia, la Spagna ed il Portogallo, gli interessi borghesi riuscirono a prevalere su tutti gli altri, ma non il governo politico dei borghesi. Non vi parlo del grande e misero impero di tutte le Russie che è ancora sottomesso al despotismo assoluto degli czar, e che veramente non possiede una classe politica intermedia, non ha un organismo politico borghese, ma ha invece da una parte il mondo ufficiale, una organizzazione militare, poliziesca e burocratica per soddisfare i capricci dello czar; e dall’altra il popolo, e cioè decine di milioni di esseri umani che lo czar ed i suoi funzionari divorano. In Russia la Rivoluzione verrà direttamente dal popolo, come ampiamente l’ho dimostrato in un lungo discorso che ho detto qualche anno fa a Berna e che vi farò avere al più presto. E nemmeno, vi parlo di questa infelice, eroica Polonia, che seguita a dibattersi ed è sempre di nuovo soffocata, ma mai finita, dagli artigli di tre aquile infami: quelle dell’impero di Russia, dell’impero d’Austria, e del nuovo impero di Germania rappresentato dalla Prussia. In Polonia come in Russia manca una classe media; da una parte vi è la nobiltà, burocrazia ereditaria serva dello czar in Russia, e dominante una volta ma oggi disorganizzata in Polonia; dall’altra il contadino [p. 34 modifica]asservito, divorato ed oppresso non più dai nobili oggi, che hanno perso il potere, ma dallo stato, dai suoi innumerevoli funzionarii e dallo czar. E nemmeno vi dirò dei piccoli Stati di Svezia e di Danimarca che solo dopo il 1848 sono diventati realmente costituzionali, e che sono perciò in arretrato rispetto allo sviluppo generale di Europa; e non parlerò nemmeno della Spagna e del Portogallo dove il movimento industriale e la politica borghese sono stati così a lungo paralizzati dalla duplice autorità del clero e dell’esercito. Tuttavia debbo osservare come la Spagna che ci sembrava tanto arretrata, ci presenti oggi una tra le più belle organizzazioni tra quante esistono nel mondo, dell’Associazione internazionale dei lavoratori.

Mi soffermerò alquanto sulla Germania. La Germania dal 1830 in poi ci ha presentato e continua a presentare il quadro strano di un paese nel quale predominano gli interessi della borghesia, ma nel quale l’autorità politica non appartiene alla borghesia, ma alla monarchia assoluta, che sotto la maschera della costituzionalità è militarmente e burocraticamente organizzata e servita soltanto dai nobili.

E’ in Francia, in Inghilterra e nel Belgio sopratutto che occorre studiare il governo borghese.

E dopo l’unificazione dell’Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele, possiamo studiarlo anche in Italia. Ma dove è meglio caratterizzata è nella Francia; perciò è in Francia che in special modo lo considereremo.

Dopo il 1830 il principio borghese ha avuto ampia libertà di manifestarsi nella letteratura, nella politica e nell’economia sociale. Può riassumersi con una sola parola: l’individualismo.

Intendo per individualismo la tendenza che, — considerando tutta la società e la massa degli individui come degli estranei, dei rivali, dei concorrenti come dei nemici naturali insomma, coi quali ognuno è costretto a vivere, ma che impediscono il cammino — spinge l’ [p. 35 modifica]individuo a conquistare ed a stabilire il proprio benessere, la propria prosperità, la propria felicita malgrado tutto, a detrimento e alle spalle di tutti gli altri. E’ una corsa a chi arriva prima, un si salvi chi può generale, nel quale ognuno cerca di arrivare il primo. Guai a chi si ferma; esso viene sorpassato. Guai a quelli che stanchi di fatica cadono lungo la strada: essi son subito schiacciati. La concorrenza non ha cuore, non sente pietà. Guai ai vinti! Naturalmente in questa lotta debbono commettersi infiniti delitti; senza contare che tutta questa lotta fratricidia è un delitto continuo contro la solidarietà umana, che è la sola base possibile di ogni morale. Lo Stato che si dice sia il rappresentante ed anzi il tutelatore della giustizia, non impedisce che questi delitti vengano perpetrati, ma invece li perpetua e li legalizza. Ciò che esso rappresenta, ciò che esso difende, non è la giustizia umana, bensì la giustizia giuridica la quale altro non è che la consacrazione del trionfo dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri. Lo Stato si limita a chiedere che questi delitti vengano commessi secondo la legalità. Perchè io posso rovinarvi, opprimervi, uccidervi, purché lo faccia legalmente. Altrimenti vengo dichiarato criminale e trattato come tale. Ecco il significato di questo principio, di questa parola: individualismo.

Ed ora vediamo come si è manifestato questo principio nella letteratura creata dai Victor Hugo (1) dai Dumas, dai Balzac, dai Jules Janin e da tanti altri autori di volumi e di articoli di giornali, che dopo il 1830 hanno inondato l’Europa, portando ovunque la depravazione, risvegliando l’egoismo nel cuore dei giovani dei due sessi, e purtroppo anche nel popolo. Prendete un romanzo qualsiasi: accanto ai grandi e falsi sentimenti, accanto alle belle parole cosa trovate? Sempre la stessa cosa. Un giovane è povero, oscuro, sconosciuto; ho però ogni sorta di ambizioni e di desiderii. Egli vorrebbe vivere in un palazzo, mangiare tartufi, bere champagne, scorzare e dormire con una bella marchesa. E dopo un [p. 36 modifica]seguito di eroici tentativi e di avventure straordinarie vi riesce mentre tutti gli altri periscono. Eccolo l’eroe: è l’individualismo puro.

Passiamo alla politica. Come vi si manifesta questo principio? Si dice che le masse hanno bisogno di essere condotte per mano, governate; che esse sono incapaci di fare senza un governo, che esse non sono capaci di governarsi da sole. Chi le governerà? Non vi debbono più essere privilegi di classe. Tutti hanno il diritto di giungere alle più alte cariche sociali. Solo per arrivarvi, occorre essere intelligenti ed abili; bisogna essere forti e fortunati; infine bisogna sapere e poter riuscire a dispetto di tutti i rivali. Ecco un’altra gara di corse: saranno gli individui abili e forti che governeranno le masse.

Ed ora consideriamo lo stesso principio nella questione economica, che è infine quella che maggiormente importa. Ci dicono gli economisti borghesi che essi sono partigiani di una libertà senza limiti per gli individui, e che la concorrenza è la condizione necessaria di questa libertà. Vediamo come è questa libertà. E innanzi tutto una prima domanda: E’ il lavoro separato, isolato, quello che ha prodotto e che continua a produrre tutte le meravigliose ricchezze delle quali si gloria il secolo nostro? Noi sappiamo che non è così. Il lavoro isolato degli individui sarebbe a malapena sufficiente a nutrire e vestire un piccolo numero di selvaggi; ma una grande nazione non diventa ricca e non può vivere, che col lavoro collettivo solidamente organizzato. E poiché il lavoro che produce ricchezza è un lavoro collettivo, sembrerebbe logico, non è vero? Che anche il godimento di queste ricchezze fosse tale. Ed è proprio ciò che non vuole e respinge con odio l’economia borghese. Essa vuole che gli individui ne fruiscano isolatamente. Ma quali individui? Forse tutti? Oh, no! Essa vuole che ne godano i forti, intelligenti, gli scaltri ed i fortunati. Ah sì! sopra tutto i fortunati. Perchè nella sua organizzazione sociale, e in [p. 37 modifica]conformità della legge di ereditarietà che ne è la base principale, nasce una minoranza di individui più o meno ricchi e fortunati, e nascono dei milioni di esseri umani diseredati e infelici.

La società borghese dice allora a tutti questi individui: Lottate, disputatevi il premio, il benessere, la ricchezza, il potere politico. I vincitori saranno felici. Ma almeno in questa lotta vi è eguaglianza? Niente affatto. Gli uni, il numero più piccolo, sono armati di tutto punto, forti dell’istruzione e della ricchezza ereditate, mentre i milioni di uomini del popolo si presentano sull’arena quasi nudi, con l’ignoranza e la miseria che hanno ereditato. Quale può essere il risultato di questa concorrenza che essi dicono libera! Il popolo soccombe, e la borghesia trionfa ed il proletariato è costretto a lavorare come un galeotto per il suo eterno vincitore, il borghese.

Il borghese ha un’arma contro la quale il proletariato non avrà mai la possibilità di difendersi fino a che questa arma il capitale — che oggi in tutti i paesi civili è diventato il principale impulso per la produzione industriale — sarà rivolta contro di lui.

Il capitale, come oggi è costituito, non opprime solo il proletariato, ma rovina, espropria e riduce alla miseria una infinità di borghesi. La causa di questo fenomeno che la media e la piccola borghesia non capiscono quanto è necessario, se addirittura non l’ignorano, è tuttavia semplicissima. In seguito alla concorrenza, a questa lotta a morte che grazie alla libertà conquistata dal popolo a favore dei borghesi impera oggi nel commercio e nell’industria, tutti i fabbricanti sono costretti a vendere i loro prodotti, o meglio i prodotti dei lavoratori che essi sfruttano, al prezzo il più basso possibile. Sapete per esperienza come oggi i prodotti più cari vengono in quantità sempre maggiore; esclusi dal mercato per opera dei prodotti a buon mercato, anche se questi sono assai meno perfetti di quelli. Ecco quindi una prima funesta [p. 38 modifica]conseguenza di questa lotta intestina nella produzione borghese. Essa mira per necessità a sostituire i prodotti buoni con dei prodotti mediocri e quindi i lavoratori abili con dei lavoratori mediocri. Essa diminuisce contemporaneamente la qualità dei prodotti e quella dei produttori.

In questa concorrenza, in questa lotta per il prezzo più basso, i grandi capitali debbono di necessità distruggere i piccoli, ed i grossi borghesi debbono rovinare i piccoli. Poiché una fabbrica molto grande può naturalmente confezionare i suoi prodotti e metterli in vendita a miglior mercato di una fabbrica piccola o media. Per istituire una grande fabbrica occorre un grande capitale naturalmente, ma in proporzione a quello che essa può produrre, viene a costare molto meno di una fabbrica piccola o media: 100,000 lire sono più di 10,000 lire, ma 100,000 lire impiegate in quella fabbrica danno il 50 per cento, il 60 per cento, mentre le 10,000 lire impiegate allo stesso modo daranno solo il 20 per cento. Il grande fabbricante fa economia nella costruzione, nelle materie prime, nelle macchine; inoltre impiegando un numero di operai molto più grande che non il piccolo o il medio fabbricante, egli economizza, e guadagna anche con una migliore organizzazione e una più grande suddivisione del lavoro. In breve, con 100,000 lire tutte in sua mano, e spese per costruire ed organizzare una sola fabbrica, il grande fabbricante produce molto di più di dieci piccoli fabbricanti che impieghino 10,000 lire ciascuno; di modo che, se ognuno di questi realizza sulle sue 10,000 lire un beneficio netto di 2000 lire, tanto per un esempio, il fabbricante che costruisce ed organizza la grande fabbrica che gli costa 100,000 lire, guadagna su ognuna delle 10,000 lire, 5000 o 6000; vale a dire che in proporzione egli produce una quantità assai più grande di merci. Producendo molto di più, egli può vendere quindi i suoi prodotti a un prezzo molto minore che non [p. 39 modifica]i medii o i piccoli fabbricanti; e vendendo a minor prezzo obbliga anche i piccoli ed i medii fabbricanti ad abbassare i loro prezzi, perchè altrimenti i loro prodotti non verrebbero acquistati. E poiché la produzione di uno stesso prodotto viene a costare a questi molto di più che non ai grandi fabbricanti, vendendo allo stesso prezzo del grande fabbricante essi si rovinano. Avviene così che i grandi capitali uccidono i piccoli capitali, e alla loro volta i grandi capitali vengono uccisi se ne incontrano dei più grandi di loro.

E questo è così vero, che oggi i grandi capitali hanno tendenza ad associarsi per costruire dei capitali mostruosamente potenti. Lo sfruttamento commerciale ed industriale per mezzo delle società anonime, comincia oggi a sostituire nei paesi maggiormente industriali, in Inghilterra, nel Belgio, nella Francia lo sfruttamento operaio dai grandi capitali isolati. E a mano a mano cresce la civiltà e la ricchezza nazionale dei paesi più progrediti, a mano a mano aumenta la ricchezza dei grandi capitalisti, ma ne diminuisce il numero.

Una quantità di medii borghesi si vede spinta tra la piccola borghesia, e molti, moltissimi piccoli borghesi si vedono spinti inesorabilmente nel proletariato, nella miseria.

E’ un fatto incontestabile, comprovato dalle statistiche di tutti i paesi e dalla dimostrazione la più rigorosamente matematica. Nell’organizzazione economica della società attuale, è legge inesorabile, questo impoverimento graduale della grande massa della borghesia a beneficio di un numero ristretto di grandi capitalisti; e contro di essa non v’è altro rimedio che la Rivoluzione, sociale. Se la piccola borghesia fosse sufficentemente intelligente e avesse abbastanza buon senso per capirlo, da molto tempo si sarebbe associata al proletariato per poter compiere questa Rivoluzione. Ma la piccola borghesia è generalmente molto bestia; la sua stupida vanità ed il suo [p. 40 modifica]egoismo ottenebrano il suo spirito. Essa non vede nulla, non capisce nulla, e schiacciata da una parte della grande borghesia, e dall’altra da quel proletariato che essa disprezza e detesta tanto quanto teme, essa si lascia trascinare nel precipizio.

Le conseguenze di questa concorrenza borghese sono disastrose per il proletariato. Forzati a vendere i loro prodotti — meglio i prodotti degli operai che essi sfruttano — al più basso prezzo possibile, i fabbricanti devono per necessità pagare agli operai i più bassi salari possibili. Ne consegue che essi non possono più pagare l’abilità, il genio dei loro operai. Essi devono cercare invece quel lavoro che si vende ed è obbligato a vendersi al prezzo più basso. Ora, poiché sono le donne ed i fanciulli che si contentano di un salario minore, ecco che di preferenza agli uomini essi impiegano donne e fanciulli; e preferiscono i lavoratori mediocri ai lavoratori abili, a meno che questi non si accontentino del salario che viene corrisposto agli operai meno abili, alle donne ed ai fanciulli. E’ stato provato e riconosciuto da tutti gli economisti borghesi, che la misura del salario dell’operaio è sempre determinato dal costo del suo mantenimento giornaliero: così se un operaio potesse trovare alloggio, nutrirsi e vestirsi con una lira al giorno, il suo salario scenderebbe subito a una lira. E ciò per una ragione molto semplice: è che gli operai, spinti della fame, sono obbligati a farsi concorrenza tra loro e che il fabbricante, impaziente di arricchire più presto sfruttando il loro lavoro, ed obbligato a sua volta dalla concorrenza borghese, a vendere i suoi prodotti al più basso prezzo possibile, preferirà naturalmente prendere gli operai che gli daranno il maggior numero di ore di lavoro per il salario minore.

Non è soltanto logica deduzione, ma è un fatto che avviene ogni giorno in Inghilterra, in Francia, nel Belgio, in Germania e in quelle località della Svizzera nelle quali [p. 41 modifica]ha preso piede la grande industria, l’industria sfruttata nelle grandi fabbriche dai grandi capitali. Nella mia ultima conferenza ho detto che siete operai privilegiati. Quantunque siate ancora ben lontani dal vedervi corrisposto integralmente in salario il valore della vostra produzione giornaliera, quantunque siate anche voi sfruttati dai vostri padroni, tuttavia in confronto agli operai dei grandi stabilimenti industriali voi siete pagati abbastanza bene, avete qualche agio, siete liberi e siete felici. Mi affretto a riconoscere che avete ancora più merito per essere entrati a far parte dell’internazionale, e per essere diventati membri devoti e zelanti di questa immensa associazione di lavoro che deve emancipare i lavoratori del mondo intero. Ciò è nobile e generoso da parte vostra. Voi provate così di non pensare solo a voi, ma anche a quei milioni di fratelli che sono molto più oppressi e molto più infelici di voi. E sono contento di potervi rendere questo omaggio.

Contemporaneamente voi fate non solo un atto di generosa e fraterna solidarietà, ma anche, e lasciate che ve lo dica, un atto di previdenza e di prudenza; voi agite non solo per gli infelici vostri fratelli delle altre industrie e degli altri paesi, ma anche se non per voi, almeno per i vostri figliuoli. Se non propio in modo assoluto, relativamente almeno voi siete ben pagati, liberi e felici. Perchè lo siete? Per la semplicissima ragione che il capitale non ha ancora invaso la vostra industria. Ma voi non credete certo che sarà sempre così. Per una legge che gli è inerente, il grande capitale è fatalmente portato a invadere ogni campo. Naturalmente ha cominciato a sfruttare quei rami del commercio e dell’industria che gli permettevano i più grossi guadagni, e quelli naturalmente, dei quali era più facile lo sfruttamento; ma dopo averli sfruttati a sufficienza, e per la concorrenza che in questo sfruttamento si fa da sè stesso, finirà necessariamente per rivolgersi a quei rami che, fino ad oggi non [p. 42 modifica]ha ancora toccati. Forse oggi non si fanno abiti, scarpe e merletti a macchina? Credetelo pure che presto o tardi e senza dubbio presto assai, anche gli orologi verranno costruiti a macchina.

Le molle, gli scappamenti, la cassa, il pozzetto, la pulitura, la rabescatura, e l’incisione verranno fatte a macchina. I prodotti non saranno così accurati ed altrettanto artistici come quelli che escono dale vostre abili mani, ma costeranno assai meno, e troveranno più compratori che non i vostri prodotti più perfetti, sì ma che finiranno per essere esclusi dal mercato. E allora se non voi i vostri figli, si troveranno altrettanto schiavi e infelici quanto lo sono oggi gli operai dei grandi stabilimenti industriali. Vedete dunque che lavorando per i vostri fratelli, gli operai infelici delle grandi industrie degli altri paesi, voi lavorate anche per voi o per lo meno per i vostri figliuoli.

Voi lavoriate per l’umanità. La classe operaia è diventata oggi l’unica rappresentante della grande, della santa causa dell’umanità. L’avvenire è oggetto dei lavoratori: dei lavoratori delle campagne, dei lavoratori delle fabbriche, dei lavoratori delle città. Tutte le classi che sono al di sopra, gli eterni sfruttatori del lavoro delle masse operaie, e nobiltà, e clero, e borghesia, e la miriade di funzionarii militari e civili che rappresentano l’ingiustizia e il potere malefico dello Stato, sono classi corrotte, colpite da impotenza, incapaci ormai di comprendere e di volere il bene, e solo buone a fare il male.

Il clero e la nobiltà sono stati smascherati e vinti nel 1793. La Rivoluzione del 1848 ha smascherato la borghesia e ne ha rivelato l’impotenza e la malvagità. Durante le giornate di giugno, nel 1848, la classe borghese ha palesemente rinunciato alla religione dei padri suoi: a questa religione rivoluzionaria che aveva avuto come principii e come basi la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza. E appena il popolo prese sul serio l’eguaglianza e la libertà, [p. 43 modifica]la borghesia che può esistere solo con lo sfruttamento, con l’ingiustizia economica cioè e con la servitù sociale, si è gettata alla reazione.

Quegli stessi traditori che oggi ancora una volta vogliono la rovina della Francia, i Thiers, i Jules Favre, e la grande maggioranza dell’assemblea nazionale, nel 1848 hanno lavorato perchè trionfasse la reazione più immonda proprio come fanno anche oggi. Essi avevano cominciato per portare alla presidenza Luigi Bonaparte, e più tardi hanno distrutto il suffragio universale. Il timore della Rivoluzione sociale; l’orrore che essi hanno per l’eguaglianza, la coscienza dei propri delitti, la paura della giustizia popolare, avevano gettato questa classe decaduta, una volta tanto intelligente e tanto eroica ed oggi stupida e vile, nelle braccia della dittatura di Napoleone III. E ne hanno avuto per diciotto anni consecutivi, della dittatura militare. Non bisogna credere però che lor signori i borghesi si sieno trovati poi molto male. Quelli di loro che vollero fare gli ostinati, e che giuocarono col liberalismo in modo troppo evidente ed incomodo per il governo imperiale, furono naturalmente allontanati ed oppressi. Ma tutti gli altri, quelli che lasciarono al popolo le baie della politica, e pensarono esclusivamente e nel modo più serio, al più grande interesse della borghesia, e cioè a sfruttare il popolo, quelli furono potentemente protetti ed incoraggiati. E vennero loro concessi, per salvarne la riputazione, tutte le apparenze della libertà. Non esisteva forse anche sotto, l’impero una assemblea legislativa regolarmente eletta a suffraggio universale? Tutto andò quindi a seconda dei voti dei borghesi. E vi fu un sol punto oscuro: l’ambizione di conquista del sovrano che trascinava per forza la Francia in spese rovinose, e che finì con l’annichilire il suo potere. Ma non era accidentale questo punto nero, bensì una inevitabile necessità del sistema. [p. 44 modifica]Un governo dispotico, anche quando ha le apparenze della libertà, deve per forza appoggiarsi all’armata; ed ogni grande esercito permanente esige prima o poi, necessariamente, una guerra all’esterno, perchè la gerarchia militare è essenzialmente inspirata dall’ambizione: ogni maggiore vuol diventare colonnello ed ogni colonnello vuole essere generale; in quanto ai soldati sistematicamente depravati nelle caserme, non sognano che i nobili piaceri della guerra: massacrare, saccheggiare, rubare, violentare, — a prova: le prodezze dell’esercito Prussiano in Francia. Ebbene, se tutti questi nobili desiderii sapientemente e saggiamente alimentati nel cuore degli ufficiali e dei soldati, restano a lungo senza essere appagati, inaspriscono l’esercito e lo volgono al malcontento e dal malcontento alla rivolta. Ecco dunque che diventa necessario fare la guerra. Tutte le spedizioni e le guerre che Napoleone III ha intrapreso, non sono stati solo capricci personali come oggi pretendono lor signori i borghesi: ma sono stati una necessità del sistema imperialista e despotico che essi stessi avevano creato per timore della Rivoluzione sociale. Sono state le classi privilegiate, l’alto e il basso clero, la nobiltà decaduta, e infine, e più di tutta questa rispettabile, onesta e virtuosa borghesia, al pari di tutte le altre classi e più di Napoleone III. stesso, la causa delle orribili sciagure che hanno colpito la Francia.

E tutti voi avete potuto vedere, o compagni, che per difendere questa Francia disgraziata, in tutto il paese non si è trovato che una sola massa, quella degli operai della città, proprio quella che la borghesia aveva tradito, e lasciato alla mercè dell’Impero e che l’Impero aveva poi sacrificato allo sfruttamento borghese. In tutto il suo vasto territorio solo i generosi lavoratori delle fabbriche e, delle città furono a volere la sommossa popolare per la salvezza della Francia. I lavoratori delle campagne, i contadini, demoralizzati ed istupiditi dall’educazione religiosa che era stata loro impartita dal tempo di Napoleone [p. 45 modifica]1. fino a quel giorno, presero partito per i prussiani e per la reazione contro la Francia. Si sarebbe potuto spronarli alla Rivoluzione; in un opuscolo che molti hanno letto, intitolato: "Lettere ad un Francese„, ho esposto i mezzi che sarebbe stato necessario impiegare per trascinarli alla Rivoluzione. Ma per farlo occorreva innanzi tutto che le città si fossero ribellate ed organizzate rivoluzionariamente. Questo gli operai l’hanno voluto; e in molte città della Francia meridionale, a Lione, a Marsiglia, Montpellier, Saint-Etienne, Tolosa hanno anche tentato di farlo. Ma ovunque essi furono impediti e paralizzati dai radicali borghesi in nome della Repubblica, che i borghesi in nome di questa stessa Repubblica, che i borghesi diventati repubblicani solo per timore di popolo, e Gambetta, e quel vecchio peccatore di Jules Favre, e Thiers la volpe infame, e tutti i Picard, i Ferry, i Jules Simon, i Pelletan e tanti e tanti altri, è proprio in nome della Repubblica che hanno assassinato la Repubblica e la Francia.

La borghesia è stata giudicata. Essa che è la classe più ricca e più numerosa della Francia, — ove beninteso non si consideri la massa del popolo, — avrebbe ben potuto se lo avesse voluto, salvare la Francia. Ma per fare questo avrebbe dovuto sacrificare il proprio denaro, e la vita, ed avrebbe dovuto confidarsi con franchezza al proletariato come avevano fatto i loro antenati, i borghesi del 1793. Ma essa volle sacrificare il proprio danaro ancora meno della propria vita, e preferì che la Francia venisse conquistata dai Prussiani piuttosto che vederla salvata da una Rivoluzione di popolo.

La questione tra gli operai delle città e la borghesia venne posta in termini ben chiari. Gli operai dissero: Noi faremo piuttosto saltare le nostre case, che vedere le nostre città in mano ai Prussiani. E i borghesi risposero: Noi apriremo piuttosto le porte delle nostre città ai Prussiani pur di non permettervi di fare disordini pubblici; noi le [p. 46 modifica]nostre case vogliamo conservarle ad ogni costo, anche se dovessimo baciare il culo a lor signori i Prussiani.

E notate che oggi sono gli stessi borghesi, che osano insultare la Comune di Parigi; questa nobile Comune, che tiene alto l’onore della Francia, e che, speriamolo, salverà insieme con la Francia anche la libertà del mondo; sono proprio gli stessi borghesi, che oggi l’insultano; e in nome di che cosa? — in nome del patriottismo.

Invero questi borghesi hanno la faccia di bronzo! Sono giunti ad un tale grado di infamia, che han finito per perdere ogni sentimento di pudore. Essi non sanno che sia vergogna. Prima di essere morti sono già putridi.

E non è solo in Francia che la borghesia è imputridita, che non ha più moralità, che non ha più intelligenza; è così in tutta Europa; e in tutti i paesi di Europa il proletariato soltanto, ha conservato il fuoco sacro. Lui solo oggi tiene alto il vessillo dell’umanità.

Quale è la sua divisa, la sua morale, la sua base? La solidarietà. Tutti per uno ed uno per tutti. È questa la divisa ed il principio della nostra grande Associazione internazionale, che, sorpassando le frontiere degli stati ed abolendo così gli stati, mira ad unire i lavoratori del mondo intero in una unica famiglia umana, basata sul lavoro, egualmente obbligatorio per tutti, in nome della libertà di ognuno e di tutti.

Si, o compagni carissimi, voi operai, solidariamente coi fratelli vostri lavoratori di tutto il mondo, avete oggi ereditato la grande missione dell’emancipazione dell’umanità. Ed avete anche un coerede, lavoratore come voi, sebbene in condizioni diverse dalle vostre. Esso è il contadino. Ma il contadino non ha ancora coscienza della grande missione che ha il popolo.

Esso è stato avvelenato ed è ancor oggi avvelenato dai preti e, senza che se ne avveda, serve di strumento alla reazione. Voi dovete illuminarlo, voi dovete salvarlo, [p. 47 modifica]suo malgrado, trascinandolo con voi e spiegandogli ciò che significa la Rivoluzione sociale.

In questo momento, e sopratutto in principio, gli operai dell’industria non debbono e non possono contare che su loro stessi. Ma se vorranno potranno essere onipotenti. Solo debbono volerlo seriamente. E per realizzare questa volontà non hanno che due modi. Uno consiste nel fissare nei loro singoli gruppi dapprima e poi tra i vari gruppi, una vera, fraterna solidarietà, non solo a parole, ma a fatti; non solo nei giorni di festa, di conferenza o di bicchierata, ma nella vita di tutti i giorni. Ogni membro dell’internazionale deve potersene accorgere, deve essere convinto che tutti gli altri membri sono suoi fratelli.

L’altro modo è quello dell’organizzazione rivoluzionaria; l’organizzazione in previsione dell’azione. Se i moti popolari di Lione, di Marsiglia e di altre città di Francia sono falliti, è perchè non erano organizzati. Posso dunque parlarvene con completa conoscenza di causa perchè vi ho partecipato e sofferto.

E se oggi la Comune di Parigi si sostiene così valorosamente, è perchè durante l’assediò gli operai si sono organizzati a dovere. Non è a torto che i giornali borghesi accusano l’internazionale di aver prodotta la magnifica insurrezione di Parigi.

Sì, siamo fieri di dire che sono stati i nostri fratelli dell’internazionale che col loro perseverante lavoro hanno organizzato il popolo di Parigi, ed hanno reso possibile la Comune di Parigi.

Cerchiamo dunque di essere buoni fratelli, o compagni, ed organizziamoci. E non credete di essere alla fine della Rivoluzione; noi siamo appena al principio. La Rivoluzione è ormai per molte decine di anni all’ordine del giorno. Essa prima o poi verrà a trovarci; prepariamoci dunque, rendiamoci migliori, diventiamo più posi[p. 48 modifica]tivi e meno parolai, ciarliamo meno, beviamo meno, e facciamo meno feste. Stringiamo la cintola, e prepariamoci come si deve a questa lotta che dovrà salvare tutti i popoli, che dovrà emancipare l’umanità.

Viva la Rivoluzione sociale! Viva la Comune di Parigi!


FINE