Conferenze di Michele Bakounin/Seconda conferenza

Seconda conferenza

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Michail Bakunin - Conferenze di Michele Bakounin (1911)
Traduzione dal francese di Anonimo (1921)
Seconda conferenza
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Seconda Conferenza


Compagni Cari,

Vi ho detto la volta scorsa che due grandi avvenimenti storici formarono la potenza della borghesia: la rivoluzione religiosa del decimosesto secolo meglio conosciuta col nome di Riforma, e la grande rivoluzione politica del secolo decimottavo. Ed ho aggiunto che, se senza dubbio, questa fu condotta a fine per la potenza dell’aiuto popolare, tuttavia era stata ideata e diretta esclusivamente dalla classe borghese. Debbo ora ancora provarvi che è stata proprio la classe media che ne ha esclusivamente approfittato.

A prima vista, il programma di questa rivoluzione appare immenso. Non si è essa forse compiuta nel nome della Libertà, dell’Eguaglianza, e della Fratellanza del genere umano? tre parole che sembra comprendano tutto quello che nel presente, e nel futuro l’umanità può volere e realizzare! E allora come è avvenuto che una Rivoluzione annunciata con un programma così largo sia miseramente finita con l’emancipazione esclusiva, limitata e privilegiata di una sola classe e a danno dei milioni di lavoratori che dalla prosperità insolente ed ingiusta di questa classe si vedono oggi schiacciati?

Ah! gli è che questa Rivoluzione è stata sola una Rivoluzione politica. Essa aveva audacemente abbattuto ogni barriera, ogni tirannia politica, ma aveva lasciate intatte — e di più le aveva proclamate sacre ed inviolabili — le [p. 15 modifica]basi economiche della società, che sono state sempre la origine e il fondamento primo di tutte le ingiustizie politiche e sociali, e di tutte le assurdità presenti e passate. Essa aveva proclamata il diritto di ognuno e di tutti di essere liberi. Ma essa aveva dato solo ai proprietari, ai capitalisti ed ai ricchi i mezzi di realizzare questa libertà e di goderla.

“La pauvretè, c’est l’esclavage„ Ecco le parole terribili che con la sua voce simpatica che viene dall’esperienza e dal cuore, l’amico Clemente ci ha già ripetuto più volte da quando ho il piacere di essere tra voi, cari compagni ed amici. Sì, povertà significa proprio schiavitù; significa la necessità di vendere il proprio lavoro e col lavoro la propria persona al capitalista che vi dà la possibilità di non morire di fame. E bisogna davvero aver l’animo interessato a mentire come lor signori i borghesi, per osare parlare di libertà politica per le masse operaie. Bella libertà, che le sottomette ai capricci del capitale e che con la fame le incatena alla volontà del capitalista. Non è certo necessario cari amici, che io provi a voi, a cui una lunga dura esperienza ha insegnato a conoscere le miserie del lavoro, come fino a che il capitale resterà da una parte e il lavoro dall’altra, il lavoro sarà schiavo del capitale e i lavoratori resteranno i sudditi di lor signori i borghesi, che quasi per deridervi vi danno tutti i diritti politici, tutte le apparenze della libertà, per conservare invece ed esclusivamente per loro la realtà.

Il diritto alla libertà senza i mezzi per realizzarla è solo una chimera. E noi l’amiamo troppo la libertà, è vero? per contentarci di una chimera. Noi ne vogliamo la realtà. Ma cosa è mai che costituisce il fondamento reale, e la condizione positiva della libertà? E’ che ognuna possa sviluppare completamente e godere appieno di tutte le facoltà corporali, intellettuali e morali. E per conseguenza sono tutti i mezzi materiali necessari all’esistenza umana di ognuno; e inoltre l’educazione e l’istruzione. [p. 16 modifica]Un uomo che muore di inedia, che è oppresso dalla miseria, che ogni giorno deve sentirsi morire pel freddo e per la fame, e che vedendo soffrire tutti coloro che ama, nemmeno può venir loro in aiuto, ma questo non è un uomo libero, bensì uno schiavo. Un uomo condannato a rimanere per tutta la vita un essere rozzo per mancanza di educazione umana, un uomo privo di istruzione, un ignorante, è per forza uno schiavo; e se per caso esercita dei diritti politici potete essere sicuri che in un modo o nell’altro finirà sempre per esercitarli a suo danno ed a profitto invece dei suoi sfruttatori e dei suoi padroni.

Ma questa è invece la condizione senza la quale non può esservi libertà: Nessun uomo è tenuto ad obbedire ad un altro uomo; ed egli è libero a condizione che i suoi atti sieno determinati non dalla volontà di altri uomini ma dalla volontà propria e dalle proprie convinzioni. E invece, un uomo che per fame è costretto a vendere il suo lavoro, e col lavoro la sua persona, ed al prezzo più basso possibile al capitalista che si degna di sfruttarlo; un uomo che la rozzezza e l’ignoranza abbandonano alla mercè di accorti sfruttatori, questo sarà sempre uno schiavo.

E non è tutto. La libertà degli individui non è un fatto individuale, ma un fatto e un prodotto collettivo. Nessun uomo potrebbe essere libero senza il concorso di tutta la società umana. Gli individualisti, questi falsi fratelli che noi abbiamo combattuto in tutti i congressi di lavoratori, hanno sostenuto unitamente ai moralisti ed agli economisti borghesi, che l’uomo poteva essere libero e che l’uomo poteva essere uomo anche restando appartato dalla società, affermando che la società era stata fondata per libero contratto di uomini anteriormente liberi.

Questa teoria, bandita da J. J. Rousseau, lo scrittore del secolo scorso che ha fatto il maggior male, il sofista al quale si sono inspirati tutti i rivoluzionari borghesi, [p. 17 modifica]questa teoria rivela una ignoranza completa della natura, e della storia. Non è nel passato e non è nel presente che noi dobbiamo cercare la libertà delle masse, — è in un avvenire prossimo; è in quel prossimo domani che, noi stessi dobbiamo preparare, con la potenza del nostro pensiero, della nostra volontà e anche con quella delle nostre braccia. Prima di noi non c’è mai stato un libero contratto, ma c’è stato solo brutalità, stupidità, ingiustizia e violenza — e oggi ancora, e voi lo sapete fin troppo bene, questo che dicono libero contratto, si chiama invece il patto della fame: la schiavitù delle masse per fame e lo sfruttamento per fame da parte delle minoranze che ci divorano e ci opprimono.

Ed anche dal punto di vista della natura è falsa la teoria del libero contratto. L’uomo non crea la società di propria volontà: Egli vi nasce involontariamente. Egli è per eccellenza un essere socievole. Né può diventare un uomo, cioè un animale capace di pensare, parlare, e volere che in società. Immaginate un uomo che la natura abbia dotate delle facoltà più geniali, abbandonato nella più giovane età lontano da ogni consorzio umano, in un deserto. Se egli non finisce miseramente, ciò che è assai probabile, non sarà altro che un bruto, una scimmia priva di parola e di pensiero: nessuno può pensare senza il linguaggio. Anche quando perfettamente isolati, voi vi trovate soli con voi stessi, se volete pensare dovete usare la parola; voi potrete avere egualmente bene delle immagini che rappresentino cose, ma appena vorrete pensare ecco che voi dovete servirvi della parola, perchè le parole soltanto precisano il pensiero e danno alle rappresentazioni fugaci ed agli istinti, il carattere del pensiero.

E non è prima il pensiero della parola o la parola del pensiero; queste due forme di uno stesso atto del cervello dell’uomo nascono insieme. Quindi impossibilità di pensare senza parola. Ma che cosa è la parola? È il mezzo che ha l’individuo di comunicare e di conversare con molti [p. 18 modifica]altri individui. L’uomo animale si trasforma in essere umano, e cioè pensante, solo con questa conversazione e per mezzo di questa conversazione. La sua individualità in quanto umana, e la sua libertà sono perciò il prodotto delle collettività.

Solo col lavoro collettivo l’uomo riesce ad emanciparsi dalla pressione tirannica che la natura esterna esercita su ognuno; perchè il lavoro individuale, impotente e sterile, non saprebbe vincere mai la natura. Il lavoro produttivo, quello che ha creato tutte le ricchezze e tutta quanta la nostra civiltà è stato sempre un lavoro sociale collettivo; solo che fino ad oggi esso è stato ingiustamente sfruttato da parte di alcuni individui a danno delle masse operaie. Allo stesso modo, l’educazione e l’istruzione che formano l’uomo, questa educazione e questa istruzione della quale lor signori i borghesi sono così fieri, e che essi spandono con tanta parsimonia tra le masse popolari, sono anche esse il prodotto della società tutta intera. Il lavoro, e dirò di più, il pensiero istintivo del popolo le creano, ma fino ad oggi le hanno create a solo profitto degli individui borghesi.

Anche in questo caso si tratta dello sfruttamento di un lavoro collettivo da parte di individui che nessun diritto hanno di fare monopolio del prodotto.

Tutto quanto vi è di umano nell’uomo, e più di ogni cosa la libertà, è il prodotto di un lavoro sociale, collettivo. L’essere libero in un isolamento assoluto è una delle assurdità inventate dai teologi e dai metafisici, i quali hanno sostituito la società degli uomini con quella della loro fisima, di dio. Ognuno, dicono, essi, si sente libero alla presenza di dio, del vuoto assoluto cioè del nulla; è dunque la libertà del niente o meglio il niente di libertà la servitù. Dio, l’invenzione di dio, è stata storicamente la causa morale o meglio immorale, di ogni servaggio.

In quanto a noi che non vogliamo fantasmi e non vogliamo il nulla bensì la realtà umana, vivente, noi [p. 19 modifica]riconosciamo che l’uomo non può sentirsi e sapersi libero — e per conseguenza non può realizzare la propria libertà — che in mezzo agli uomini. Io non sono libero che quando la mia personalità, riflettendosi come in tanti specchi, nelle coscienze egualmente libere di tutti gli uomini che mi circondano, mi ritorna rafforzata dal riconoscimento di tutti. La libertà di tutti lungi dall’essere di intralcio alla mia come sostengono gli individualisti, ne è invece la conferma, la realizzazione, l’estensione infinita. Volere la libertà e la dignità umana degli uomini tutti, vedere e sentire la mia libertà confermata, sanzionata e infinitamente estesa pel consenso di tutti, eccola la felicità; il paradiso umano sulla terra.

Ma una simile libertà non è possibile che nell’eguaglianza. Se un essere umano gode di una libertà maggiore della mia, io divento per forza il suo schiavo; e se è la mia, la libertà più grande, egli sarà mio schiavo. L’eguaglianza è dunque la condizione indispensabile per la libertà.

I borghesi rivoluzionari del 1793 l’hanno ben capita questa necessità logica. Ed è per questo che la parola Eguaglianza occupa il secondo posto della loro formula rivoluzionaria: Libertà, Eguaglianza, Fratellanza. Ma quale eguaglianza? L’eguaglianza dinanzi alla legge, l’eguaglianza nei diritti politici, l’eguaglianza come cittadini ma non come uomini; perchè lo stato non riconosce affatto gli uomini; egli non conosce che i cittadini. Per lo stato l’uomo non esiste che in quanto esercita, — o è supposto per una finzione che eserciti — , i diritti politici L’uomo che è annientato dal lavoro obbligatorio, dalla miseria, dalla fame; l’uomo che socialmente è oppresso, che economicamente è sfruttato, schiacciato, e che soffre, non esiste per lo stato che ne ignora la sofferenza e la schiavitù economica e sociale, asservimento reale che si cela sotto l’apparenza, di una menzognera libertà politica. Questa eguaglianza è dunque politica ma non sociale, [p. 20 modifica]Voi tutti, sapete per esperienza, cari amici, quanto sia fallace questa pretesa libertà politica che non si basa sull’eguaglianza economica e sociale. Ad esempio, in uno Stato molto democratico, tutti gli uomini che hanno raggiunta la maggiore età e che non sono stati colpiti da una condanna per reato comune, hanno il diritto e meglio hanno il dovere di esercitare tutti i loro diritti politici e di occupare tutte le cariche alle quali potrebbe chiamarli la fiducia dei loro concittadini. Il più abbietto del popolo l’uomo il più povero, il più ignorante, può e deve anzi esercitare tutti questi diritti ed occupare tutte queste cariche: possiamo immaginare una eguaglianza più estesa di questa? Sì, perchè egli deve ed egli può solo legalmente; ma in realta ciò gli è impossibile. Il suo, per l’uomo che appartiene alle masse popolari, è solo un potere facoltativo, e non potrà mai diventare per lui una realtà senza una trasformazione radicale delle basi economiche della società, — e diciamola la parola — , senza la Rivoluzione sociale. Quindi tutti questi diritti esercitati dal popolo non sono infine che vana finzione.

Noi siamo stanchi di tutte le finzioni, e di quelle religiose e di quelle politiche. Il popolo non vuole più nutrirsi di fantasmi e di fiabe. E’ nutrimento che non ingrassa. Oggi egli vuole la realtà. Vediamo perciò quanto c’è per lui di reale nei diritti politici.

Per occupare convenientemente le cariche e sopra tutto le più alte cariche dello Stato, è necessario intanto possedere un alto grado di istruzione. E il popolo è assolutamente privo di questa istruzione. Per colpa sua? No, per colpa delle istituzioni. Il più grande dovere per tutti gli stati veramente democratici è quello di difondere nel popolo a piene mani l’istruzione. Vi è stato uno solo tra i tanti Stati che l’abbia fatto? Non parliamo degli Stati monarchici che hanno tutto l’interesse a diffondere tra le masse il veleno del catechismo cristiano, e non l’istruzione. Ma parliamo degli Stati repubblicani e [p. 21 modifica]democratici come gli Stati Uniti d’America e la Svizzera. Dobbiamo riconoscere che questi Stati hanno fatto più di tutti gli altri per l’istruzione popolare. Ma hanno raggiunto lo scopo con tutta la loro buona volontà? è stato ad essi possibile di dare a tutti i fanciulli che nascono in seno a loro, una eguale istruzione? No, non era possibile.

Per i figli dei borghesi istruzione superiore, per i figli del popolo istruzione primaria e in rari casi un pò di istruzione secondaria. E perchè simile differenza? Per una ragione assai semplice; gli uomini del popolo, i lavoratori delle campagne e delle città, non hanno i mezzi di mantenere, vale a dire nutrire, vestire ed alloggiare, i loro figli, fin che durano gli studii. Per potere acquistare una istruzione scientifica è necessario studiare fino a ventun anno e spesso anche fino a venticinque. Vi domando quali sono quei lavoratori in grado di mantenere per così lungo tempo i loro figli? Un simile sacrificio è superiore alle loro forze, perchè essi non hanno nè capitali, nè proprietà; perchè essi vivono giorno per giorno col loro salario che è appena sufficiente a mantenere la loro famiglia.

E bisogna aggiungere, cari compagni, che voi lavoratori delle Montagne, operai di un mestiere che la produzione capitalista, lo sfruttamento capitalista, non ha ancora assorbito, voi al confronto siete ben fortunati1. Lavorando a piccoli gruppi nelle vostre officine, e spesso lavorando anzi in casa vostra, voi guadagnate assai di più che non si guadagna nei grandi stabilimenti industriali nei quali sono impiegati centinaia di operai; il vostro è inoltre un lavoro intelligente, artistico e non abbrutisce [p. 22 modifica]come quello fatto ad una macchina. E voi avete agii maggiori ed anche relativamente una maggiore libertà; ed è appunto per questo che voi siete più istruiti, più liberi e più fortunati degli altri.

Nelle fabbriche immense costruite, dirette e sfruttate dai grandi capitali, e nelle quali non sono gli uomini ma le macchine, ad avere la parte più importante, gli operai diventano per necessità miserabili schiavi, — tanto miserabili che quasi sempre sono costretti a condannare i loro piccoli figlioli, e già ad otto anni, a lavorare 12, 14, 16 ore al giorno per pochi soldi. E non lo fanno certo per cupidigia, perchè purtroppo vi sono spinti dal bisogno. Se non facessero così non potrebbero mantenere le loro famiglie.

Questa è l’istruzione che i lavoratori possono dare ai loro figlioli. Non credo di dover spendere altre parole per provarvi, cari compagni, a voi che per esperienza lo sapete fin troppo che fino a quando il popolo lavorerà non per sè, ma per arricchire coloro che detengono la proprietà e la ricchezza, l’istruzione che il lavoratore potrà dare ai suoi figliuoli sarà sempre inferiore a quella dei figli della borghesia.

Ed ecco perciò una grande e funesta diseguaglianza sociale che necessariamente troverete alla base stessa dell’organizzazione degli Stati: una massa forzatamente ignorante, e una minoranza privilegiata, che se non è sempre molto intelligente, è in confronto assai istruita. La conclusione è facile. La minoranza istruita governerà eternamente le masse ignoranti.

E non si tratta solo di una diseguaglianza naturale degli individui; ma è invece una diseguaglianza alla quale dobbiamo rassegnarci per forza. Vi è chi ha una costituzione più felice di un altro, e c’è chi nasce con doti naturali di intelligenza e di volontà più grandi di un altro. Aggiungo subito che queste differenze non sono affatto così grandi come si dice. Anche dal punto di vista [p. 23 modifica]naturale, gli uomini sono presso a poco eguali, e le doti ed i difetti quasi si compensano in ciascuno. Sono due sole le eccezioni a questa legge dell’eguaglianza generale: gli uomini di genio e gli idioti. Ma le eccezioni non fanno la regola, e in generale possiamo dire che tutti gli individui umani si equivalgono, e che se esistono differenze grandissime tra gli individui nella società odierna, esse sono sorte dall’ineguaglianze spaventose di educazione e di istruzione e non naturalmente.

Il fanciullo dotato delle più belle attitudini, ma nato in famiglia povera, in una famiglia di lavoratori che vivono giorno per giorno del loro rude lavoro, si vede condannato all’ignoranza che, ben lungi dallo svilupparle, uccide le sue facoltà naturali: egli sarà operaio o bracciante, e sarà colui che manterrà e nutrirà per forza i borghesi che per natura sono forse più bestie di lui. Il figlio del borghese invece, il fanciullo del ricco, per quanto sia nato bestia, riceverà l’educazione e l’istruzione necessarie per sviluppare il più possibile le sue facoltà; egli sarà uno sfruttatore del lavoro altrui, il maestro, il legislatore, il governante, — un signore infine. E per quanto possa essere bestia, egli farà leggi a favore del popolo e contro il popolo, e governerà le masse popolari.

Si dirà che in uno stato democratico il popolo sceglierà solo i buoni. — Ma come farà per riconoscere i buoni? Egli non ha l’istruzione necessaria per poter giudicare del buono e del cattivo, né ha il tempo necessario per imparare a conoscere gli uomini dei quali gli viene proposta l’elezione. Inoltre questi uomini vivono in una società diversa dalla sua; quando è il momento delle elezioni ecco che essi vengono ad inchinarsi a Sua Maestà il popolo sovrano; ma una volta eletti fanno ben presto a voltargli le spalle. E d’altronde per il fatto stesso che appartengono alla classe privilegiata, alla classe che sfrutta, per quanto siano eccellenti come padri di famiglia e come membri della loro classe, essi saranno [p. 24 modifica]sempre cattivi per il popolo; perchè è troppo naturale che essi cerchino di conservare i privilegi che costituiscono la base stessa della loro esistenza e che condannano il popolo alla servitù perpetua.

E perchè il popolo non manderebbe degli uomini suoi, del popolo nelle assemblee legislative ed al governo? — Prima di tutto, perchè gli uomini del popolo debbono vivere col lavoro delle loro braccia, non hanno la possibilità di dedicarsi esclusivamente alla politica; e non potendolo fare, e restando perciò quasi sempre appartati dalle questioni politiche ed economiche che si trattano in quelle alte regioni, finirebbero per essere sempre gli zimbelli degli avvocati e dei politicanti borghesi. Poi perchè sarà sempre sufficiente a questi uomini del popolo, di entrare a far parte del governo, per diventare a loro volta dei borghesi molto spesso più detestabili e più disprezzanti del popolo dal quale sono usciti, che non gli stessi borghesi di nascita.

Quindi vedete benissimo anche voi, che l’eguaglianza politica, sia pure negli stati più democratici, non è che menzogna. Altrettanto è dell’eguaglianza giuridica, dell’eguaglianza cioè di fronte alla legge. La legge è fatta dai borghesi ad uso dei borghesi, ed è esercitata dai borghesi a danno del popolo. Lo Stato e la legge che lo definisce, esistono solo per perpetuare la servitù del popolo a favore dei borghesi.

D’altronde voi lo sapete, che quando vi trovate lesi nei vostri interessi, nella vostra onorabilità, nei vostri diritti e volete fare un processo, per farlo dovete prima di tutto provare di essere in condizione di pagar le spese, depositando una certa somma. Che se non siete in grado di depositarla non potete fare il processo. Ora il popolo, la maggioranza dei lavoratori, ha la possibilità di depositare somme presso i tribunali? Quasi sempre no. E allora il ricco potrà insultarvi impunemente, perchè per il popolo non c’è giustizia. [p. 25 modifica]E fino a quando non ci sarà l’eguaglianza economica e sociale, fino a quando una minoranza qualsiasi sarà in grado di diventare ricca, proprietaria, capitalista, non col lavoro proprio di ognuno, ma per eredità, l’eguaglianza politica sarà solo una menzogna. Sapete quale è la definizione più vera della proprietà ereditaria? Essa è il diritto ereditario di sfruttare il lavoro collettivo del popolo e di asservire le masse.

Ecco ciò che non avevano compreso gli eroi maggiori della Rivoluzione del 1793: Danton, Robespierre, Saint-Just. Essi volevano la libertà e l’eguaglianza politica, non quella economica e sociale. Ed è per questo che la libertà e l’eguaglianza instaurate per mezzo loro hanno costituito e poggiato su basi nuove il dominio dei borghesi sul popolo.

Essi han creduto di mascherare una tale contraddizione, aggiungendo come terza parola nella loro formula rivoluzionaria la Fratellanza. Fu ancora una volta una menzogna! Io lo domando a voi, se può essere mai possibile la fratellanza tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi ed oppressori! Come! Potrei farvi mandare a soffrire durante tutto un lungo giorno, e la sera dopo aver raccolto il frutto delle vostre sofferenze e del vostro sudore, lasciandovi solo quel tanto che può bastarvi per vivere, e cioè per poter di nuovo sudare e soffrire a vantaggio mio domani, — la sera, potrei dirvi: abbracciamoci, siamo tutti fratelli!

È proprio questa la fratellanza della rivoluzione borghese.

Noi pure, anche noi, vogliamo la Libertà, l’Eguaglianza, la Fratellanza. Noi vogliamo che esse cessino di essere solo finzione e menzogna per diventare invece la verità, per costituire invece la realtà!

Questo è il significato e lo scopo di quella che chiamiamo la Rivoluzione sociale. [p. 26 modifica] E può essere riepilogata con poche parole: La Rivoluzione sociale vuole, e noi lo vogliamo, che ogni uomo che nasce su questa terra, possa divenire un uomo nel senso più largo della parola; che egli non abbia solo il diritto, ma abbia anche tutti i mezzi necessari per sviluppare tutte le sue attitudini, per essere pienamente libero e felice nell’eguaglianza e per la fratellanza. Ecco ciò che noi tutti vogliamo, e per ottenere ciò, siamo pronti tutti a morire.

Io vi domando, amici, una terza riunione e sarà l’ultima, per potervi esporre completamente il mio pensiero.


Note

  1. Le cose hanno assai cambiato a Val di Saint-Imier dopo il 1871. L’industria dell’orologeria è entrata nella fase della grande produzione; la maggior parte degli operai e delle operaie impiegati a fabbricare orologi, oggi lavorano nelle officine e nelle manifatture, e i loro salari sono assai diminuiti in rapporto a quelli di un tempo.