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La fanciulla e l'artista Il viggianese
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SELIM-BEY
novella



prologo — primo canto

I

Per le rive odorate erra il corsiero
     Dopo infinita via: leardo e vago
     Figlio d’Arabia, di sue forme altero,
     Lentamente pastura intorno al lago.
     Talor cessa, ed agguarda entro al sincero5
     Specchio de l’acque la sua balda imago,
     E la folta criniera agita e squassa,
     E di nuovo le nari al pasco abbassa.

L’occhio securo e provocante, e quella
     Superbia di cervice, a chi vi pone10
     Riguardo, narran ch’ei sovente in sella
     Portò la morte in singolar tenzone:
     Che gli è nota l’elettrica favella
     De la tromba guerriera e del cannone;
     E che non una volta impennò l’ale15
     A procellosi assalti in dì campale.

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Ma passò l’ora de la guerra! Il forte
     Che il pose ai freni, e suo compagno il volle
     Ne’ dubbi de le pugne e de la sorte,
     Siede muto e solingo appiè d’un colle.20
     Tinto le guance d’un pallor di morte
     Gli azzurri sguardi a l’occidente estolle,
     E segue i rai del moribondo giorno,
     Che dora il lago e le montagne intorno.

Pur non disia morir, benchè mortale25
     Sia quel pallor, che gli deforma il viso,
     Benchè freddo feroce e sepolcrale
     Sul labbro immoto gli baleni un riso.
     È un’idea più tremenda e più ferale,
     Ond’è quel cuore giovanil conquiso.30
     A la nuov’alba ei d’un Ulema al piede
     De’ padri suoi rinnegherà la fede!

Sul Coran giurerà. Vile e dispetto
     Al verace credente e al mussulmano
     Imprecato verrà — pur giovinetto! — 35
     Dai figli del Vangelo e del Corano.
     Eppur chi sa di quel solingo petto
     Gli occulti spasmi e la tempesta? È arcano
     Quel petto ancor; profonda notte il preme;
     Empio esser puote, e miserando insieme.40

Volge al tramonto il dì. D’armonïosi
     Gemiti il rosignuolo empie le valli;
     Scote l’aura vagante i flessuosi
     Salici che del lago entro i cristalli

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     Tuffan, piangendo, il crin: voluttuosi45
     I fiori olezzan pe’ dipinti calli;
     Splende il ciel trasparente ed azzurrino
     Ne’ color de l’opàle e del rubino.

Ed è soave questa pallid’ora,
     Ora divina in Oriente! Intanto50
     Per costui che contempla e tace ancora
     Questo roseo tramonto è senza incanto.
     I molli incensi, onde la terra odora,
     De’ cieli il riso e de’ ruscelli il pianto,
     Tutto è muto per lui: di là dai monti55
     Altri soli ei ricorda, altri tramonti!

Ma perchè da quei soli erra il feroce?
     Chi a le dolci il ritolse aure natali?
     Chi lunge il trasse a disertar la croce
     Sotto il riso de’ cieli orientali?60
     Qual nome era il suo nome? E con qual voce
     Al carco impreca de’ presenti mali?...
     Oh, a che varriati divinarlo? Egli erra
     (Ed è molto pel pianto!) esule in terra!

Ei pensa e tace!65

II


Un repentin terrore,
     Un’improvvisa ricordanza il colse,
     Uno spavento inopinato! Al core
     Portò la man; certe sue fimbrie svolse,

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     Ed un pegno di lagrime e d’amore,
     Che obliato vi avea, dal cor si tolse.70
     Era una croce d’ôr convolta in una
     Morbida treccia di capelli e bruna.

E come fiso ei la riguarda, e come
     Or di fiamma diventa, ora di gelo!
     Pende sovr’essa, e le cadenti chiome75
     Il dilatato sguardo ombran d’un velo.
     Un dolor senza posa e senza nome
     Il cor gli sbrana fra l’inferno e il cielo;
     Fra un passato di dolci ore serene
     E un avvenir d’indefinite pene!80

Quante memorie! Quella destra ambita,
     Che sovra il cor gli componea quel dono;
     Quell’occhio pien di gioventù, di vita,
     Di quella voce innamorata il suono,
     Quella treccia diffusa, onde rapita85
     Fu quella bruna ciocca, or dove sono?
     Sotto qual ciel? Sovra qual terra? Ahi quante
     Perturbanti memorie in un istante!

Vincea già forse la pietà; chè fatto
     L’anelito del petto era men tardo,90
     Meno oscura la fronte, e men contratto
     E men livido il labbro e men beffardo.
     Già quel pegno d’amore e di riscatto
     Senza spavento gli ferìa lo sguardo;
     E il suo grave respir moria frattanto95
     In quel singulto che precorre al pianto.

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Anche un istante, e si pentia!. .. Si accorse
     Di quell’assalto di pietà; respinse
     Giù forte il pianto improvocato, sorse,
     Si rampognò, s’inanimì; si vinse!100
     Del vitreo lago sulla sponda ei corse,
     Di più rea pallidezza ivi si tinse,
     E-a che più meco?!-urlò fremendo, e tacque,
     E gittò quella croce in fondo a l’acque.

Sparve fra’ monti il sole — Eccol perduto!105
     L’unico estremo anello egli ha spezzato,
     Che rannodarlo al cielo avria potuto:
     Irremissibilmente eccol dannato!
     Immobil, ritto, ineccitabil, muto,
     Rubello a Dio, mal concedente al fato,110
     Senza pietà, senza terror, senz’ira,
     Ei non pensa, ei non ode, ei non respira.

III


Quando dal suo profondo empio caosse
     Quell’alma fosca e disperata emerse,
     La fronte intorno dubitando mosse,115
     Onde il sudor che giù venìa deterse.
     Crescea la notte, e giù per le commosse
     Onde del lago mormoranti e terse,
     Come lontane e tremule fiammelle
     In vitree zone trasparian le stelle.

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Quasi affannato gladiator, che resti
     In lenta posa su la vinta arena,
     Largamente ei respira, anzi il diresti
     Sepolto in calma ricrescente e piena.
     Oh, calma?... Istanti di languor son questi!125
     Che fia doman, ch’ei vi ripensi appena?
     Nol sa; nè cura divinarlo; e pago
     Lentamente favella, e guarda il lago.

— «Tutto sprezzar, tutto obliar! L’obblio
     De la terra, del ciel, d’ogni mancata130
     Speranza, ecco, fia questo il viver mio!
     Questa nuova mia fede io l’ho giurata!
     D’una pace profonda ebbi desio,
     D’una morte de l’alma! Io l’ho trovata;
     Eterna sia!... L’Eternitade! Ah questa135
     Idea! si scacci! Or torneria molesta!

» A me, Seid!— » D’un suo nitrito il bello
     Arabo corridor gli fa risposta,
     Dritta levando la cervice, e snello
     Caracolla per l’erba, e se gli accosta.140
     Benignamente ei l’accarezza, e quello
     Si avvalla, e gli offre la sinistra costa,
     E lo sogguarda, ed anelando il lambe,
     E quïetar non puote in su le gambe.

La criniera ei gli palpa; al primo arcione145
     Le redini ricoglie; il ricco arnese
     De la sella ritenta e ricompone,
     E più sempre divien buio il paese,

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     — «Sta, Seid! Generoso! Al tuo padrone
     Sei più, che non solevi, oggi cortese!150
     Intendi forse che tu sol... via, cheto
     Stammi, Seidde: non son io già lieto!

» Leale! Ovunque questo cor si posi
     Sol per te batterà! Grato mi fia
     Acque chiare trovarti, e copïosi155
     Paschi, e netto giaciglio, e fresca ombria!
     Dividerai tu meco i mie’ riposi,
     Come gli eventi di mia lunga via:
     Sotto al casco ti amai, nè manco amante
     Cavaliere mi avrai sotto al turbante!160

» Pur n’è tolto, e in eterno, un sol contento,
     Seidde! Più non sentirai la lieve
     Carezza errar su questo pel d’argento,
     Molle carezza d’una man di neve!
     Nè come piuma abbandonata al vento,165
     Pei verdi parchi rapirai la breve
     Persona... Stolto! or che ricordo?..»-Tacque,
     Sospirò forte, e si rivolse a l’acque.

Ed a sottrarsi al risorgente assalto
     Di tal memoria, onde verrìa rimorso,170
     Levò di terra violento un salto,
     E giù ricadde del corsier sul dorso,
     Che spaventato inalberossi, ed alto
     Stette sull’anche esagitando il morso,
     Fin che ne’ fianchi lo speron sentendo,175
     In tempestosa corsa uscia fremendo.

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Correa, correa, dati i capelli ai venti
     Il tenebroso cavalier correa,
     E i monti e le pianure e i firmamenti
     Un improvviso turbine mescea;180
     Correa, correa, burroni, erte, torrenti
     Il procelloso corridor vincea,
     E de l’unghia infocata ivano appena
     L’ orme rapite da la densa arena.

Ad un batter di polsi e di palpebre185
     D’una in un’altra proda erano usciti:
     Arsi parean d’una medesma febre,
     Da un medesmo desio parean rapiti:
     Lunge, più lunge, in fondo a le tenebre
     Eccoli ancora, eccoli omai spariti!...— 190
     E cupamente detonando agli echi
     Del fulmineo galoppo ivan gli spechi.

CANTO I

I


Sovra un ampio rïalto, imporporato
     Del più limpido sole ai nuovi rai:
     195Ove tutto sorride, ove il gelato
     Soffio del norte non ricorre mai;
     Sovra un ampio rïalto incoronato
     Di cipressi, di aranci e di rosai,
     Col mare innanti e le montagne a tergo
     Sorge un recente e spazïoso albergo.200

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Traverso ai circondanti alberi è tale
     Il suo candor, che da l’avverso mare
     Una candida perla orientale
     Chiusa in un cerchio di smeraldo appare.
     Su le rosee torrette ultima sale205
     La curva luna in cima al militare
     Grave pennon, che maestoso e lento
     Su l’asta ondeggia o si rigonfia al vento.

Per quei difesi e floridi recinti
     Giran d’acacie giovani boschetti,210
     Sinuosi viali e laberinti,
     Festoni, aiuole, cupole e poggetti,
     Fresche ombrelle di palme e terebinti,
     Acque lucenti in dïasprati letti,
     Riversantisi in giù nitide conche,215
     Care a la voluttà molli spelonche.

Pur questo albergo agl’intimi piaceri
     Sacro in tutto non è: di volta in volta
     Risonar tu vi udresti inni guerrieri,
     E il vigil grido de l’alterna scolta.220
     Al nitrito di Tessali corsieri
     Degli arcati rimbomba atrii la volta,
     E per le scale ricorrenti e vaste
     Balenan sciable di Damasco ed aste.

Ricco di chiara gioventù fiorente225
     È il guerrier che vi alberga; e sì, che appena
     Il quinto lustro ei varca, e d’Oriente
     Quant’è la terra de’ suoi fatti è piena.

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     Da la maschia sua fronte ed avvenente
     Certa superba leggiadria balena,230
     E par che ancora le sue guance avvampi
     Il sol diffuso degli aperti campi.

A le fulve del crin vaganti anella,
     A le azzurre pupille, ai labbri ardenti,
     A la sua nel turbante aria novella235
     Figlio ei parria di peregrine genti;
     Ma con sì pura oriental favella,
     Ne la collera ancor, move gli accenti,
     Che a l’ammirato mussulman dubbiante
     Più straniero ei non par sotto al turbante.240

Egli è Selim. Non ha gran tempo ei venne
     Entro le mura d’Istambul. Gli allori,
     Che in lontana ei mietea guerra bïenne,
     Gli venner sì propiziando i cori,
     Che del sultan fra le milizie ottenne,245
     Benché nuovo venuto, i primi onori:
     Ed ei si arrese a la fortuna, e cinse
     Un acciar che non chiese e non respinse.

Men gelosia, che nobil maraviglia,
     Bey creato, ei provocò: le schiere,250
     Come rapite, in lui tenner le ciglia,
     Che le Odrisie vestia bende guerriere:
     Però che in esse un cherubin somiglia,
     Un peregrino d’immortal potere,
     Quando baldo, incurante, eppur gentile,255
     Sull’arabo destrier corre le file.

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Repugnanti fantastici racconti
     Gli vagano su l’orme: e v’ha chi dice
     Che arcane colpe ne l’esiglio ei sconti,
     Nato in barbara gente e predatrice.260
     Ma nel Divano d’Istambul son conti
     Gli eventi, che il formar grande e infelice;
     Nè prode v’ha che non porria la vita
     Per tanta gloria a sì brevi anni unita.

Forse il severo Ulema in lui ravvisa265
     Mal simulata irreverenza, allora
     Che chiuso il petto in marzial divisa
     Nel tempio egli entra ove Macon si adora:
     Forse v’ha chi gli apponga aver derisa
     Del profeta divin l’arca talora:270
     Gelosi intanto de la fè degli avi
     Strane cose di lui narran gli schiavi.

Narran che quando il muezzin salmeggia,
     E le notturne lampe errano accense,
     Pe’ vasti appartamenti empio ei passeggia,275
     Fra l’ombre avvolto più segrete e dense:
     Che in auree tazze il proibito ondeggia
     Succo del tralcio a le sue ricche mense;
     Che sorridendo egli ne sorbe, e tòrre
     Vivande egli osa, onde il profeta abborre.280

E l’amano costor; però che altero
     Soventi egli è, ma con terribil ghigno
     Spigolando non tenta anche il pensiero,
     Per arte ed uso di signor maligno.

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     Anzi, dacché talor manco severo285
     Riesce, ei fama ha di guerrier benigno;
     0 a quella gente, a duri strazi avvezza,
     Quel che strazio non è sembra carezza.

II


Come Odalische palpitanti e snelle,
     Poi che ai sudditi balli un fren si pose,290
     Riteso il velo su le fronti belle
     Da l’odorate sale escon pensose,
     Così dal cielo si partian le stelle
     In velo azzurro e tremolante ascose:
     Vaga sul crin de la sorgente aurora295
     D’amor la stella iva lucendo ancora.

Di fronte ai colli d’Istambul dormente
     Lunga una striscia d’amaranto uscia,
     Che sfumando pel ciel soavemente
     In una nube d’oro alfin moria.300
     Pari a sultana giovinetta, uscente
     Dai sonni, gli occhi la natura apria,
     E sotto al riso degli adulti albori
     Riprendea le sue gemme e i suoi colori.

Muto il Bey sedea, come il ritorno305
     Aspettasse del sole, entro il giardino;
     E i silenzi de l’alba erano intorno
     Rotti da l’aura e dal ruscel vicino.

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     Ma invan per lui riscintillando al giorno
     Venia da lunge il Bosforo azzurrino;310
     Invan pe’ colli e fra le curve sponde
     Mormoravan d’amor gli alberi e l’onde.

Intentamente ai radïanti liti
     La sua pallida fronte era conversa,
     Ma in pensier’ procellosi e indefiniti315
     Fremea la disdegnosa alma sommersa.
     Simile intanto al serafin, che i miti
     Sogni di un core giovanil traversa,
     Una, più che mortal, divina forma
     Rapida e muta gli venia su l’orma.320

Cadean profuse agli omeri di neve
     Le nere trecce a la ventura erranti,
     E distinta la fronte era d’un breve
     Serto di perle al nuovo sol raggianti:
     Un sinuoso vel candido e leve,325
     Da trapunti girato orli brillanti,
     Dïafano scorrea su la rasata
     Gonna cilestre e d’ermellin listata.

Ai soavi crepuscoli dorati,
     Onde anco il sonno avviluppar dovria330
     Lei serena giacente, ed ai rosati
     Molli sogni d’amor chi la rapia?
     Pure in quei dubitanti occhi infocati,
     Che grave il raggio del mattin feria,
     E in quella fronte di pallor diffusa335
     D’una mesta vigilia era l’accusa.

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E con che amore i grandi occhi inquieti
     Di loco in loco trepida volgea!
     Con che disio fra gli alberi segreti
     Sovra l’orma diletta il piè movea!340
     Per quei fiorenti e roridi tappeti
     Come vezzosa, anche nel duol, parea!
     Chi per mertarne le veglianti cure
     Sfidati non avria rischi e sventure?

III


Mesta è la storia di costei. D’Osmano345
     La prima ell’era invidiata schiava.
     L’amava ei ben; ma come un Mussulmano,
     Mal fidente e superbo, egli l’amava.
     Fortunato signor, nel molle arcano
     Di quel candido sen scender sdegnava;350
     Nè ricercar sapea se nel candore
     Di quel morbido sen battesse un core.

Ma ben altro chiedea la favorita,
     Che quella mite signoria non era:
     Volea l’amor; volea sentir la vita355
     De’ generosi affetti, ed irne altera.
     Da l’auree sale, ove languia romita,
     Ai sereni tendea d’un’altra sfera;
     Seguia rapita da soavi errori
     Idoli senza nome e ignoti amori.360

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E col desio correa fra le lucenti
     Stelle del cielo, fra le nubi erranti,
     Pe’ boschetti, sul Bosforo, ne’ venti,
     De l’Arème ne’ dolci arabi canti.
     Sentia l’orgoglio de la donna, e lenti365
     E sconsolati le cadean gl’istanti!
     Povera schiava! E non avea frattanto
     Nemmen la trista libertà del pianto!

Quando improvviso in Oriente apparve
     Bello di gloria il giovane guerriero370
     Che fu Selimo, le vaganti larve
     S’incarnaron per essa in un pensiero.
     E come prima lo mirò, le parve
     Ch’ella solo ameria quello straniero:
     E a lui sacrò le sue vigilie, e d’ogni375
     Sua notte i voti, le speranze e i sogni.

Da quell’ora più pace Ida non ebbe!
     Tale era il nome di costei. Sì forte
     Quella insania d’amore in sen le crebbe,
     Che le scoppiava il cor come per morte.380
     In sì funesta guisa Osman le increbbe,
     E iniqua tanto le tornò la sorte,
     Che le brune pupille avidamente
     Sul fulgido pugnal tenne sovente.

Ma vinse amore. Armonïoso e grave385
     Gemea fra’ coni de’ cipressi il vento:
     Ne le sale d’Osman dormian le schiave,
     E sparso era di stelle il firmamento,

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     Un Eunuco infedel volse la chiave
     D’un uscio che girò facile e lento;390
     Poi nulla udissi, tranne il vento, e l’onda
     Che giù fremea per l’odorata sponda.

Come gazzella saettata al fianco,
     Ida correa per solitaria via,
     Volta a’fanali d’un ostel, che bianco395
     Le apparia per la notte e disparia;
     E il piè talora contenea, già stanco,
     Ricovrando il respir che le fallia,
     E volto appena un fuggitivo istante
     In via più levi riponea le piante.400

Quinci una ombrosa femminil fierezza,
     Quindi più forte amor scoteale il petto;
     E mentre disvolea per alterezza
     Entrar d’altrui, non aspettata, il tetto,
     A quelle mura, onde sparia l’altezza,405
     L’avea levata un prepotente affetto,
     Sì che fra mesta peritante e lieta
     Del notturno cammin tenne la meta.

Su fulva pelle di leon seduto,
     Al chiaror di velati aurei doppieri,410
     Giacea Selim, curvo al chibocco, e muto,
     Come errante in balìa d’alti pensieri:
     Quando, precessa da spaì barbuto,
     Quasi raminga innamorata Peri
     Di giovinezza e di beltà raggiante415
     Ida gli stette inopinata innante.

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Ei diè, balzando, un grido; e più non disse;
     E tacque lungamente, e lungamente
     Su la venuta le pupille affisse
     Con tale un guardo, ond’ei parea demente.420
     Come su donna che da l’urna uscisse
     Bella di rosea gioventù recente,
     Pendea su lei, maravigliando, e mille
     Strani lampi gli uscian da le pupille.

»— Dio! — pensava fremente — era sopita425
     Di quei giorni d’amor la ricordanza!
     Nè in questa arida landa isterilita
     Di rivederla più valea speranza!
     Giù nel Danubio disparia ferita,
     E di martire amante avea sembianza:430
     Oggi a le foci del Danubio appare,
     E bella e schiava me la rende il mare!— »

E rimanea silenzïoso: ed ella,
     Ignara se pur fosse amore o sprezzo,
     Supplice e fiera, dubitante e bella435
     De l’ampia sala si prostrò nel mezzo.
     De le chiome nerissime le anella
     Le gian cascando con amabil vezzo,
     Mentre, le braccia protendendo, a viva
     Concitata parola il labbro apriva.440

» — Non mi spregiar! Cotesto occhio turbato
     Il cor m’infosca, e le mie forze eccede!
     Non recusarmi! Fu terribil fato,
     Se al mio primo signor mancai di fede!

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     Un deserto in tempesta avrei varcato,445
     Un mar di foco, per venirti al piede!
     Oh, ch’io non abbia disïato invano
     Porre sul cuore d’un leon la mano!

» Se pur non fia che dal mio sen trabocchi
     Nel tuo l’affetto generoso ond’ardo,450
     Procomberò beata ai tuoi ginocchi,
     Da te chiedendo una parola, un guardo!
     Mira la schiava, e le vedrai negli occhi
     Ardere un cor, ch’esser non può codardo!
     Le volgi un riso, e fulminata muore455
     In un delirio d’infinito amore! — »

Ei tuttavia misterïoso e muto,
     Ma con aria più mite e più serena,
     Sovra un divan di candido velluto
     Pallida la raccolse e senza lena.460
     Come gesmin dal turbine abbattuto
     Che i petali reclina in su l’arena,
     A l’omero la fronte ella gli cesse,
     Ed ei d’un braccio la ricinse e resse.

» Ed or non sai — le sussurrò — con queste465
     Forme qual piaga mi rïapri in seno,
     Tu fantasma d’un puro angiol celeste,
     Che su me veglia... o vi vegliava almeno!
     Non sai di che dolor, di che tempeste
     Il cor de l’uomo, a cui ricorri, è pieno!470
     Nè intender puoi quali memorie ascondi
     Per questo petto che di pianto inondi!

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»Tu le speranze d’un perduto Eliso
     A questo esul solingo in sen rimetti!
     Tu, generosa creatura, il viso475
     E gli occhi d’un errante angiol rifletti!
     Così movea de le sue labbra il riso
     Provocator di generosi affetti:
     Parlami! Allor che tu favelli meco
     La voce tua de la sua voce è l’eco!480

»Parlami amore! E mi vedrai sol vago
     Di favellarti, ed adorando udirti:
     Adorata sarai come l’imago
     Del più leggiadro de’ celesti spirti.
     Ma non curar di scendere nel lago485
     Di questo cor: nulla potrei ridirti!
     Del mio culto contenta esser tu dei,
     Paventando l’arcan de’ giorni miei!

»Guai, se per lungo interrogar l’incanto
     Di questa nuova illusïon cessasse!490
     Guai, se cadesse questo prisma infranto,
     Che un’altra volta a vaneggiar mi trasse!» —
     Qui tacque: ed ella tremule di pianto
     Levò le luci, e le ritenne basse;
     E, i rosei labbri ad un sorriso aprendo,495
     Dirgli parea: ti adorerò tacendo!

In quella estasi ardente ed insueta
     Ella soltanto una parola intese,
     Soltanto amor; nè la ragion segreta,
     Di quell’amor, nè la virtù, comprese.500

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     Giunta le parve del disio la meta,
     Né dentro al sen, che l’accogliea, discese,
     Né sospettò come potesse un core
     Arder del primo in un secondo amore.

Se amavi mai, se d’una fiamma ardevi,505
     Onde il cor trasfigura e vien divino,
     Se in mille creature una vedevi
     Quasi luce fedel del tuo cammino;
     Se la seguivi ardendo, e la perdevi
     De l’amor, de la vita in sul mattino;510
     Se quando ogni speranza era fallita
     Di rivederla anche una volta in vita;

La vedevi apparir larva improvvisa
     D’un’altra donna sul conforme aspetto,
     E mollemente ne’ tuoi sguardi affisa,515
     Bellissima languir sovra il tuo petto;
     Intendere potrai l’arcana guisa
     Onde scoppiava del Bey l’affetto,
     E come antica fiamma era già quella,
     Che a l’ignara parea fiamma novella.520

Ei rïamò le sue memorie: pura,
     Come il respiro d’un bambin dormente,
     Una perduta amante creatura
     Rivide in Ida, e l’adorò presente.
     Ed ella altera della sua ventura,525
     Da quel rogo d’amor sorse innocente,
     Come risorge intemerato e bello
     Dagli odorati incendi arabo augello.

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E a poco a poco ripigliò decoro,
     E il cor le rifiorì. Lungo i moreschi530
     Suoi molli appartamenti in urne d’oro
     Splendeano i fior’ più graziosi e freschi:
     Ambre, ottomane di gentil lavoro,
     Tende fiorate e lucidi rabeschi,
     Pendenti lampe d’alabastro, e mille535
     Gemme profuse e preziose armille.

Quando sciogliea la voce armoniosa
     De l’auree corde al fremito sposata,
     Pareva Uris cantante in ciel di rosa
     Da trasparenti nuvole velata.540
     Così l’ore traea l’avventurosa
     Giovinetta romita, amante amata,
     E omai serena su la sua fortuna
     I suoi raggi spandea la sesta luna.

Ma nel cuore d’Osmàn l’ira concetta545
     Più foscamente ardea. Dal dì fatale
     Che disparve da lui la giovinetta,
     Mai non levò la man dal suo pugnale.
     Industriosa e vigile vendetta
     Gli era perpetuamente al capezzale;550
     Ed ei fremendo sul Coran giurava
     Che viva o spenta rïavria la schiava.

E cento intorno prezzolate spie
     Il superbo lanciò, che d’anelanti
     Segugi in guisa per diverse vie555
     Corser, de l’ira del Pascià tremanti.

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     Nè del fero signor le gelosie
     Potette alcuno racchetar fra tanti,
     Fin che non seppe da color, che in volta
     Ivano, ov’era l’infedel raccolta.560

Ed ei, che solo fra cotanti avea
     In dispetto il Bey, ferocemente
     Balzò di gioia, e nunzïar gli fea
     Che il rivedria taluno al dì vegnente;
     Il qual ne l’arme misurarsi ardea565
     Col più giovine eroe de l’occidente,
     E il cercheria fra le stess’ombre amene,
     Ove Amor lo cingea d’auree catene.

Quando al Bey venne tremando il messo,
     E del Pascià gli riferì l’intento,570
     -«Ch’ei venga, ed ampio troverà l’ingresso!»-
     Colui rispose con pacato accento.
     Ma da pensier’ tumultuanti oppresso
     Tutta notte vagò torbido e lento;
     E cauto ad Ida si sottrasse, e scese575
     Nel più folto del parco, e il dì vi attese.

Ma l’amorosa, che pendea dal caro
     Volto rapita, vi notò la sera
     Un tal sorriso cupamente amaro,
     Che d’un leve dolor figlio non era.580
     Onde appena gli albori in ciel tornaro,
     Fuor da’ tappeti suoi balzò leggera,
     E lo seguì tacendo infra le piante,
     D’inquiete paure il cor tremante.

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Volto il Bey pensosamente a l’ime585
     Piagge del mar, tacea, nè omai sentiva
     Il fresco vaneggiar de l’ore prime
     Pel verde suol che d’ogni parte oliva:
     Nè il sol vedea che le contrarie cime
     De’ monti azzurri a porpora vestiva.590
     Ida, com’angiol tutelar, que’ sui
     Occhi d’amore non togliea da lui.

— «Perchè, pensava, da la manca sponda
     Cupo non move la pupilla intenta?
     Quai novi arcani a l’amor mio nasconde,595
     A l’ardito amor mio, ch’oggi paventa?» —
     E mosse a lui, che, ne le sue profonde
     Cure sepolto, non udiala; e lenta,
     Lenta, e più leve d’indica farfalla
     Col niveo braccio gli fasciò la spalla.600

E curva in un vezzoso atto insistente,
     Su la diritta man la man gli pose,
     E se gli presse al cor teneramente,
     Come a fugarne le procelle ascose.
     Gli alberi traversando il sol nascente605
     Quelle nere feria luci amorose,
     Onde una pura lagrima pendea
     Che le perle del crine anco vincea.

Ma quasi goccia di notturna brina
     Sovra un tronco divelto e senza vita,610
     Quella tremula stilla e peregrina
     Sul pensoso cadea non avvertita.

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     Di che forte sorpresa Ida meschina,
     Bella fra sorridente e dispettita,
     Più fortemente fra le braccia il chiuse,615
     E carezze e rampogne insiem confuse.

-«Perchè taci, o Bey? Perchè sì mesto?
     Perchè d’Ida il vegliante occhio declini?
     Perchè da’ tuoi riposi esci sì presto,
     E pensoso e solingo erri i giardini?620
     Aprimi, deh, qualunque ei sia, codesto
     Misterïoso affanno in che ti ostini!
     Consenti almen ch’io non ti lasci, e fida,
     Senza saperli, i mali tuoi divida!

«Eppur come sì tristo esser si pòte625
     In questo riso del mattin? Non odi
     L’aure e l’acque alternar musiche note,
     Riprender l’usignuol le sue melodi?
     Non provi tu cento dolcezze ignote?
     Di questo riso universal non godi?630
     Se in ogni istante non ti amasse il core,
     Ben da quest’alba apprenderia l’amore!

«Oh, tu sorridi! Il so ben io: parola
     Mai non ti volgo, che d’amor non sia!
     Tu perdonar mi dei! Dessa è la sola635
     Musica che risponde a l’alma mia!
     Non volendol talor del sen mi vola
     Questo accento di foco e d’armonia,
     Quasi, non pago de’ suoi gaudi occulti,
     Nel ricrederli al labbro il cor mi esulti.!»— 640

[p. 135 modifica]


Affettuosa! E non sapea che il lembo
     D’un disperato abisso ella radea,
     E che maturo di dolori un nembo
     Sul suo giovine capo omai pendea:
     Che il cor piagato di Selimo in grembo645
     Tanto più d’ira e di furor fremea,
     Quant’ella vaga e del periglio ignara
     Con quei suoi vezzi gli venìa più cara.

Benignamente ei riguardolla, e in gioco
     Volgendo il caso, le narrò che Osmano,650
     Oltraggiato signor, verria fra poco
     Una smarrita reclamando invano.
     Ida avvampò d’un improvviso foco,
     Che in pallor dileguava a mano a mano,
     Le s’infoscar gli sguardi, ed, a quel nome,655
     Sentì rizzarsi per terror le chiome.

Ed ei d’amore e di pietade in atto
     Stretta al cor si recò la bene amata,
     Ed apparia che per minaccia o patto
     Nïun dal cor più gliel’avria strappata.660
     Ma ricomposto nel medesmo tratto
     A finta gioia, di dolor velata,
     Attenuando le venia l’affanno,
     Pietoso al suo dolor tessendo inganno.

— «Di che vaneggi dunque? Ove l’ombrosa665
     Tua concitata fantasia trascende?
     Hai sì pallida fede, o peritosa,
     In questo amore che di te mi accende?

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     Sul tuo viso ritorni, Ida, la rosa,
     Che bene altre durai fere vicende!670
     Non abbia Osmano a superbir de’ tuoi
     Novi spaventi, che domar non puoi!» —

E l’assecura e sorge; e non appena
     Da lei, che indarno il fermeria, si è tolto,
     Che degli affanni la raccolta piena675
     Disarginata gli rimbalza al volto.
     Come in un ciel ch’or vivido balena,
     Ed or tetro rientra in nugol folto,
     Così vedresti ne la sua sembianza
     Lo sconforto alternarsi e la speranza.680

Concitati, profondi, impetuosi
     Rotano i suoi pensieri in gran tenzone,
     Ma su qual d’essi l’anima si posi
     D’indeclinabil duol trova cagione.
     O dar morte, o subirla, o ingloriosi685
     Giorni raminghi! In questo trivio ei pone
     L’occhio; e qualunque via venga battuta,
     Irremissibilmente Ida è perduta.

Ne le sue sale è già: rapidamente
     Quanto son vaste le passeggia, e freme:690
     Sotto un cedro frattanto Ida dolente
     Rimansi, eppure di dolor non geme.
     O che, vinta dal duol, più duol non sente;
     O che pur le sorride alcuna speme,
     Mesta e serena ell’è, come quell’ora695
     Che il sol tramonta e non è notte ancora.

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Le curve labbra levemente aperte,
     Giunte le nivee palme in su’ ginocchi,
     Siede sola e pensosa, e al ciel converte
     Di rugiadose perle umidi gli occhi.700
     È immobil tutta come salma inerte,
     Quasi cura mortal più non la tocchi:
     Soltanto il crin, cui la fresc’aura scote,
     Or gli omeri le vela ora le gote.