Vestigi della Storia del Sonetto Italiano dall'anno MCC al MDCCC/Vestigi
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Quanto più mi distrugge il mio pensiero
Che la durezza altrui produsse al mondo,
Tanto ognor, lasso! in lui più mi profondo,
E col fuggir della speranza, spero.
5Io parlo meco, e riconosco il vero,
Chè mancherò sotto sì grave pondo
Ma il mio fermo desio tanto è giocondo
Ch’io bramo e seguo la cagion ch’io pero.
Ben forse alcun verrà dopo qualche anno,
10Il qual leggendo i miei sospiri in rima,
Si dolerà della mia dura sorte:
E chi sa! che colei che or non mi estima,
Visto con il mio mal giunto il suo danno,
Non deggia lagrimar della mia morte.
Chi è questa che vien che ogni uom la mira?
Che fa tremar di caritate l’a’re?
E mena seco Amor, sì che parlare
Null’uom ne puote; ma ciascun sospira?
5Ahi Dio? che sembra quando gli occhi gira!
Dicalo Amor, ch’io nol saprei contare:
Cotanto d’umiltà donna mi pare,
Che ciascun altra inver di lei chiam’ira.
Non si poria contar la sua piacenza;
10Che a leî s’inchina ogni gentil virtute,
E la Beltate per sua Dea la mostra.
Non è sì alta già la mente nostra,
E non s’è posta in noi tanta salute
Che propriamente n’abbiam conoscenza.
Negli occhi porta la mia donna amore,
Perchè si fa gentil ciò ch’ella mira:
Ov’ella passa ogni uom ver lei si gira
E cui saluta fa tremar lo core,
Sì che bassando il viso tutto smuore,
Ed ogni suo difetto allor sospira:
Fugge dinanzi a lei superbia ed ira;
Aiutatemi donne, a farle onore.
Ogni dolcezza, ogni pensiero umìle
Nasce nel core a chi parlar la sente,
Ond’è beato chi prima la vide:
Quel ch’ella par quando un poco sorride
Non si può dire nè tenere a mente;
Si è novo miracolo e gentile!
Mille dubii in un dì, mille querele
Al tribunal dell’alta imperatrice
Amor contra me forma irato, e dice: —
Giudica chi di noi sia più fedele:
Questi, solo per me spiega le vele
Di fama al mondo ove saria infelice. —
Anzi d’ogni mio mal sei la radice,
Dico, e provai già del tuo dolce il fele. —
Ed egli; Ahi falso servo fuggitivo!
È questo il merto che mi rendi, ingrato,
Dandoti una a cui in terra egual non era? —
— Che val, grido, se tosto me n’hai privo? —
Io no; risponde. — Ed ella: A sì gran piato
Convien più tempo a dar sentenza vera.
In qual parte del Cielo in quale Idea
Era l’esempio onde natura tolse
Quel bel viso leggiadro in ch’ella volse
Mostrar quaggiù quanto lassù potea?
5Qual ninfa in fonti, in selve mai qual Dea
Chiome d’oro sì fine all’aura sciolse?
Quando un cor tante in sè virtuti accolse?
Benché la somma è di mia morte rea!
Per divina bellezza indarno mira,
10Chi gli occhi di costei giammai non vide
Come soavemente ella gli gira:
Non sa come Amor sana e come ancide,
Chi non sa come dolce ella sospira
E come dolce parla e dolce ride.
Chi è costei che nostra etate adorna
Di tante meraviglie e di valore?
E in forma umana in compagnia d’Amore
Fra noi mortali come Dea soggiorna?
5Di senno e di beltà dal ciel s’adorna
Qual spirto ignudo e sciolto d’ogni errore;
E per destin la degna a tanto onore
Natura, che a mirarla pur ritorna.
In lei quel poco lume è tutto accolto
10E quel poco splendor che a’ giorni nostri
Sovra noi cade da benigne stelle.
Tal che ’l Maestro de’ stellati chiostri
Si lauda, rimirando nel bel volto;
Che fè già di sua man cose sì belle.
Amor m’ha fatto cieco; e non ha tanto
Di carità che mi conduca in via;
Mi lascia per dispetto in mia balìa,
E dice; Or va; tu che presumi tanto.
5Ed io perchè mi sento in forza alquanto,
E spero di trovar chi man mi dia,
Vado; ma poi non so dove mi sia:
Sicché mi fermo ritto su d’un canto.
Amore allora, che mi sta guatando,
10Mi mostra per disprezzo e mi ostenta,
E mi va canzonando in alto metro:
Nè ’l dice così pian ch’io non lo senta,
Ond io rispondo così borbottando:
Mostrami almen la via ch’io torni indietro.
Belle fresche purpuree viole,
Che quella candidissima man colse,
Qual pioggia o qual puro aer produr volse
Tanto più vaghi fior che far non suole?
Qual rugiada, qual terra, ovver qual Sole
Tante vaghe bellezze in voi raccolse?
Onde il soave odor Natura tolse,
O il ciel ch’a tanto ben degnar ne vuole?
Care mie violette, quella mano
Che v’elesse intra l’altre, ov’eri, in sorte,
V’ha di tante eccellenze e pregio ornate;
Quella che il cor mi tolse e di villano
Lo fè gentil, a cui siate consorte,
Quella dunque, e non altri, ringraziate.
PIETRO BEMBO
sonetto
Già donna, or Dea; nel cui virginal chiostro,
Scendendo in terra a sentir caldo e gelo,
S’armò per liberarne il Re del cielo
Da l’empie man de l’avversario nostro.
I pensier tutti e l’uno e l’altro inchiostro,
Cangiata veste, e con la mente il pelo,
A te rivolgo: e, quel che agli altri celo,
Le interne piaghe mie ti scopro e mostro:
Sanale; che puoi farlo: e dammi aita
A salvar l’alma da l’eterno danno;
La qual, se dal cammin dritto impedita,
Le Sirene gran tempo schernita hanno,
Non tardar tu; che omai della mia vita
Si volge il terzo e cinquantesim’anno.
VITTORIA COLONNA
morta
Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato
Che con l’alta virtù de’ raggi suoi
Pria non v’accese; che mill’anni e poi,
Voi sareste più chiaro, ei più lodato!
5Il nome suo col vostro stile ornato
Che fa scorno agli antichi invidia a noi,
A mal grado del tempo avreste voi
Dal secondo morir sempre guardato.
Potess’io almen mandar nel vostro petto
10L’ardor ch’io sento, o voi nel mio l’ingegno
Per far la rima a quel gran merto eguale!
Che così temo il ciel non prenda a sdegno
Voi, perchè preso avete altro soggetto;
Me, che ardisco parlar di un lume tale.
VERONICA GAMBARA
morta
Altri boschi, altri prati ed altri monti,
Felice e lieto Bardo, or godi e miri;
Ed altre ninfe vedi in vaghi giri
Danzar cantando intorno a fresche fonti:
5E ad altri che a mortali ora racconti
I moderati tuoi santi desiri;
Ne più fuor del tuo petto escon sospiri
Di dolor segni manifesti e conti:
Ma beato dal ciel nascer l’aurora,
10E sotto i piedi tuoi vedi le stelle
Produr girando i vari effetti suoi;
E vedi che i pastor, d’erbe novelle
Sacrificio li fanno; e dicon poi:
Sii propizio a chi t’ama e a chi t’onora.
Già corsi l’Alpi gelide e canute,
Malfida siepe alle tue rive amate,
Or sento, Italia mia, l’aure odorate
E l’aere pien di vita e di salute.
5Quante mi deste al cor, lasso! ferute,
Membrando la fatal vostra beltate,
Culti poggi, antri verdi, ed ombre grate,
Da’ ciechi figli tuoi mal conosciute!
Oh felice colui che un breve e colto
10Terren fra voi possiede, un antro, un rivo,
Sua cara donna, e di fortuna un volto!
Ebbi i miei tetti e le mie paci a schivo;
Ahi giovenil desìo fallace e stolto!
Or vo piangendo che di lor son privo.
GIO. DELLA CASA
morto
O sonno! o, della queta umida ombrosa
Notte, placido figlio! o de’ mortali
Egregi, conforto; oblio dolce de’ mali
Sì gravi, ond’è in vita aspra e noiosa!
5Soccorri al core omai che langue; e posa
Non ave; e queste membra stanche e frali
Solleva: a me ten vieni, o sonno! e l’ali
Tue brune sovra me distendi e posa.
Ov’è il silenzio che il dì fugge e il lume?
10E i lievi sogni che con non secure
Vesti già di seguirti han per costume?
Lasso! che in van te chiamo; e queste oscure
E gelide ombre invan lusingo. Ahi piume
D’asprezza colme! ahi notti acerbe e dure!
Quella cetra gentil che in su la riva
Cantò di Mincio, Dafni e Melibeo,
Sì che non so, se in Menalo o in Liceo,
In quella o iu altra età, simil s’udiva;
5Poi che con voce più canora e viva
Celebrato ebbe Pale ed Aristeo,
E le grand’opre che in esilio feo
Il gran figliuol d’Anchise e della Diva;
Dal suo Pastore in una quercia ombrosa
10Sacrata pende; e se la move il vento,
Par che dica superba e disdegnosa;
Non sia chi di toccarmi abbia ardimento;
Che se non spero aver man sì famosa,
Del gran Tiliro mio sol mi contento.
TORQUATO TASSO
morto
Amore alma è del Mondo; Amore è mente
Che volge in Ciel per corso obliquo il Sole,
E degli erranti Dei l’alte carole
Rende al celeste suon veloci e lente:
5L’aria, l’acqua, la terra, il fuoco ardente,
Misto a’ gran membri dell’immensa mole
Nudre il suo spirto; e s’uom s’allegra e duole
Ei n’è cagione, o speri anco e pavente.
Pur, benchè tutto crei, tutto governi,
10E per tutto risplenda e in tutto spiri,
Più spiega in noi di sua possanza amore:
E disdegnando i cerchi alti e superni
Posto ha la sede sua ne’ dolci giri
De’ be’ vostr’occhi,e il tempio ha nel mio core.
ALESSANDRO TASSONI
morto
Questa Mummia col fiato in cui Natura
L’arte imitò d’un uom di carta pesta
Che par mover le mani e i piedi a sesta
Per forza d’ingegnosa architettura;
5Di Filippo da Narni è la figura,
Che non portò giammai scarpa, nè vesta
Che fosser nuove, o cappel nuovo in testa;
E cento mila scudi ha su l’usura.
Vedilo col mantel spelato e rotto
10Ch’ei stesso ha di fil bianco ricucito,
E la gonnella del piovano Arlotto.
Chi volesse saper, di ch’è il vestito
Che già quattordici anni e’ porta sotto.
Non troveria del primo drappo un dito.
FRANCESCO REDI
morto
Lunga è l’arte d’Amor, la vita è breve;
Perigliosa la prova, aspro il cimento,
Difficile il giudizio: e al par del vento
Precipitosa l’occasione e lieve.
5Siede in la scuola il fero mastro, e greve
Flagello impugna al crudo ufficio intento;
Non per via del piacer, ma del tormento
Ogni discepol suo vuol che s’alleve.
Mesce i premi al castigo; e sempre amari
10I premi sono, e tra le pene involti,
E tra gli stenti, e sempre scarsi e rari.
Eppur fiorita è l’empia scuola, e molti
Già vi son vecchi; eppur non v’è chi impari:
Anzi imparano tutti a farsi stolti.
BENEDETTO MENZINI
morto
Mentr’io dormia sotto quell’elce ombrosa
Parvemi, disse Alcon, per l’onde chiare
Gir navigando donde il Sole appare
Sin dove stanco in grembo al mar si posa.
5E a me, soggiunse Elpin, nella fumosa
Fucina di Vulcan parve d’entrare,
E prender armi d’artificio rare
Grand’elmo e spada ardente e fulminosa.
Sorrise Uranio, che per entro vede
10Gli altrui pensier col senno; e in questi accenti
Proruppe e s’acquistò credenza e fede.
Siate, o pastori, a quella cura intenti
Che giusto il Ciel dispensator vi diede,
E sognerete sol greggi ed armenti.
ALESSANDRO GUIDI
morto
Non è costei della più bella Idea
Che lassù splenda a noi discesa in terra;
Ma tutto il bel che nel suo volto serra
Sol dal mio forte immaginar si crea.
5Io la cinsi di gloria e fatta ho Dea,
E in guiderdon le mie speranze atterra;
Lei posi in regno, e me rivolge in guerra,
E di mio pianto e di mia morte è rea.
Tal forza acquista un amoroso inganno;
10E amar convienimi, ed odiar dovrei
Come il popolo oppresso odia il tiranno.
Tutta mia colpa è il crudo oprar di lei;
Or conosco Terrore e piango il danno.
Arte infelice è il fabbricarsi i Dei!
GIO. BATTISTA ZAPPI.
morto
In quella età ch’io misurar solea
Me col mio capro, e il capro era maggiore.
Io amava Clori, che insin da quell’ore
Maraviglia, e non donna a me parea.
5Un dì le dissi, io t’amo; e il disse il core,
Poichè tanto la lingua non sapea;
Ed ella un bacio diemmi e mi dicea:
Pargoletto, ah non sai che cosa è amore!
Ella d’altri s’accese, altri di lei;
10Io poi giunsi all’età ch’uom s’innamora,
L’età degl’infelici affanni miei:
Ciori or mi sprezza, io l’amo insin d’allora:
Non si ricorda del mio amor costei;
Io mi ricordo di quel bacio ancora.
CORNELIO BENTIVOGLIO
morto
Vidi; ahi memoria rea delle mie pene!
In abito mentito io vidi Amore
Ampio gregge guidar, fatto pastore,
Al dolce suon delle cerate avene:
E il riconobbi all’aspre sue catene
Ch’usciano un poco al rozzo manto fuore;
E l’arco vidi che il crudel signore
Indivisibilmente al fianco tiene.
Onde gridai; Povere greggi! ascoso
È il lupo in vesta pastoral; fuggite,
Pastor, fuggite il suono insidìoso.
Allora Amor: Tu che le insidie ordite
Scopristi, ed ami si l’altrui riposo.
Tutte prova in te sol le mie ferite.
QUIRICO ROSSI
morto
Io nol vedrò; poichè il cangiato aspetto
E la vita che sento venir meno,
Mi diparte dal dolce aer sereno,
Nè mi riserba al sanguinoso obbietto
5Ma tu, Donna, il vedrai questo diletto
Figlio, che stringi vezzeggiando al seno,
D onta, di strazi, e d’amarezza pieno,
Barbaramente lacerato il petto.
Che fia allor, che fia? e qual mai frutto
10Corrai dall’arbor trionfale? Oh quanto
Si prepara per te dolore e lutto!
Così largo versando amaro pianto
Il buon vecchio dicea. Con ciglio asciutto
Maria si stava ad ascoltarlo intanto.
Quando Gesù con l’ultimo lamento
Schiuse le tombe e la montagna scosse,
Adamo rabuffato e sonnolento
Levò la testa, e sovra i piè rizzosse.
5Le torbide pupille intorno mosse
Piene di meraviglia e di spavento;
E palpitando addimandò chi fosse
Quei che pendeva insanguinato e spento.
Come lo seppe, alla rugosa fronte
10Al crin canuto, ed alle guance smorte
Con la pentita man fè danni ed onte:
Poi volto lagrimoso alla consorte,
Ei gridò sì che rimbombonne il monte;
Io per te diedi al mio Signor la morte.
GIUSEPPE PARINI
morto
Quell’io che già con lungo amaro carme
Amor derisi e il suo regno potente;
E chiamai dietro me l’Itala gente.
Col mio riso maligno, ad ascoltarme;
5Or sento anch’io sotto l’indomite arme,
Fra la folla del popolo imminente,
Dietro le rote del gran carro lente
Dall’offeso tiranno strascinarme.
Ognuno per veder la infame multa.
10Corre, urta, grida al suo propinquo: È quei;
E il beffator comun beffa ed insulta.
Io scornato abbassando gli occhi rei,
Seguo il mio fato; e il mio nemico esulta —
Imparate a deridere gli Dei!
VITTORIO ALFIERI
morto
O cameretta, che già in te chiudesti
Quel grande alla cui fama è angusto il mondo.
Quel gentile d’amor mastro profondo
Per cui Laura ebbe in terra onor celesti;
5O di pensier soavemente mesti
Solitario ricovero giocondo!
Di che lagrime amare il petto inondo
Nel veder che ora inonorato resti!
Prezioso diaspro, agata, ed oro
10Foran debito fregio e appena degno
Di rivestir sì nobile tesoro.
Ma no: tomba fregiar d’uom ch’ebbe regno
Vuolsi; e por gemme ove disdice alloro:
Qui basta il nome di quel divo ingegno.