Storia di Torino (vol 2)/Libro V/Capo III
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Capo Terzo
Move dalla piazza della cittadella, piglia dopo la piazza di San Carlo il nome di Strada di San Filippo, e dopo la piazza Carlina quello di Strada del Soccorso. Nella seconda isola a sinistra trovasi la chiesa e il convento di San Giuseppe, che fu prima rifugio di Convertite, poi monastero di monache; in ultimo convento de’ Padri ministri degli infermi.
Abbiamo già accennato come in una casa vicino a San Martiniano si ricoverassero le Convertite fin dal cadere del secolo xvi. Nel 1584, accenna monsignor Peruzzi nella sua visita, che era già edificata per loro uso una chiesetta di Santa Maria Maddalena, e che si fabbricava una casa a forma di monastero. Superiora delle Convertite, le quali non aveano ancora regola certa, era Maddalena Borromea Ferrera. Ma come spesso interviene, e per ben tre volte si vide accadere a Torino, il rifugio delle Convertite si mutò in monastero. Si posero in clausura ed abbracciarono la regola di Sant’Agostino (1647) sotto l’immediata protezione di Roma.1 Essendo poi cresciute di numero, sì che mal agiate si trovavano d’abitazione e non aveano d’attorno spazio ad ampliar l’edifìcio, murarono un nuovo monastero nell’ingrandimento della citta al meriggio della piazza Carlina. Madama Reale Maria Giovanna Battista ne pose la prima pietra nella state del 1677.2 Qualche anno dopo vi si trasferirono.
Nel 1599, vivendo ancora S. Camillo de’ Lellis, ed essendo il Piemonte travagliato da fiero contagio, Carlo Emmanuele i avea domandato a Clemente viii otto frati della Buona Morte per sussidio spirituale de’ suoi sudditi. Mentre il santo medesimo si allestiva alla partenza, il cessar del contagio e la guerra con Francia ne fecero rivocar la domanda. Passarono molti e molti anni primachè i frati della Buona Morte s’accingessero a piantar casa a Torino. Nel 1677 ebbe tal desiderio il padre Domenico Simondi di Revello, che apparteneva alla casa di Genova, ed impegnò l’influenza di suor Giovanna Roero, monaca Domenicana e del parentado di lei, nonchè quella di Giambattista Truchi generale delle Finanze (a cui recò una lettera di raccomandazione del vescovo di Mondovì suo fratello) dell’arcivescovo Beggiamo, del padre Malines, Gesuita di gran credito, e del padre Bonaventura Lavosini, Carmelitano scalzo, confessore di Madama Reale.
Avutane commissione dal generale, stante le buone speranze che gli si davano, vennero nel 1678 a Torino il padre Simondi e il padre Giuseppe Maria Lanci, bolognese, e la prima loro residenza fu in quattro camere tolte a pigione in casa del barone Chioattero, dove, essendo poverissimi, non aveano che un letto solo, e dove nondimeno, nella carestia e maligna influenza che allora imperversava, s’acconciarono in modo di dar ricovero ad un ammalalo. Tanta carità dispose gli animi in loro favore. Ad istanza dell’abate di Caraglio vennero assegnate ai medesimi cinque camere nello Spedale di Carità, colla facoltà di ufficiarne la chiesa.
In settembre del 1679 ebbero largo sussidio da Madama Reale per comprar la chiesa ed il monastero del Crocifìsso; acquisto che ricercò lunghe trattative. La chiesa delle monache, angusta e disadorna, fu da loro quasi per intero rifabbricata, gareggiando in sì bell’opera la pietà de’ fedeli, che ora, spandendosi, è vero, sopra altri rami di beneficenza, è così languida in ciò che concerne la struttura e il materiale adornamento delle chiese.3
Giovanni Battista Truchi ergeva l’altar maggiore nel 1696, come appare dall’iscrizione. Paolo Vittorio Buschetti ordinava con suo testamento del 1693 si costruisse l’altare di S. Camillo; ciò veniva adempiuto, e se ne poneva lapide commemorativa nel 1743.
Carlo Bianco edificò la cappella di San Carlo; i conti Cauda di Casellette quella della Natività.
Uno de’ più chiari tra i padri che allora fiorirono fu Pantaleone Dolera, predicatore e teologo di corte, il quale salì al generalato dell’ordine.
Addì 13 maggio del 1780 i Padri della Buona Morte cominciarono la riedificazione del loro collegio, e si ha la descrizione delle solennità osservate nel porsi dal conte Provana, a nome del Re, la prima pietra.
La chiesa di San Giuseppe quantunque picciola si distingue per buoni dipinti. Il transito di San Giuseppe all’altar maggiore è di Sebastiano Taricco da Cherasco. La tavola di Sant’Antonio da Padova e di San Francesco d’Assisi all’altare sotto questo titolo è di Carlo Francesco Panfilo milanese, chiamato, per la grazia delle sue figure, il Guido della Lombardia. La facciata fu dipinta da Giovanni Battista Aleroni.4
Poco oltre la chiesa di San Giuseppe a sinistra sorge uno di que’ maestosi e severi edifìzii che si vanno diradando, ma che non vorrei scomparissero affatto, affinchè Torino, città italianissima, non s’assomigli ad una città svizzera. È il palazzo de’ conti Provana di Collegno, notabile soprattutto per la nobiltà del vestibolo. Fu costrutto nel 1698 dal conte Antonio Provana sui disegni del padre Guarino Guarini.5
Quasi di fronte a destra è il palazzo del signor marchese di Romagnano, già Cassotti di Casalgrasso, il cui corpo principale s’alza in fondo al cortile. Apparteneva nel 1645 al conte Carlo Provana di Collegno, da cui passò ad Antonio Valloni, il quale lo rivendette al marchese del Carretto di Gorzegno nel 1647. L’edifizio che di presente si vede debb’essere opera di questa illustre famiglia che lo alienò nel 1680 ad altra più illustre, vale a dire a Sigismondo Francesco de’ principi d’Este, marchese di Lanzo. Trenta anni rimase presso questa altissima stirpe, dalla quale nel 1710 passò per vendita a’ conti di Casalgrasso.6
Nel secondo isolato a sinistra incontransi la chiesa ed il convento di Santa Teresa de’ Carmelitani Scalzi.
Due Carmelitani Scalzi vennero in luglio del 1622 da Genova a Torino; dimorarono nel convento di Santa Maria di Piazza fino al settembre, nel qual tempo il duca assegnò loro una casa dello Spedale de’ Santi Maurizio e Lazzaro, dove in gennaio dell’anno seguente aprirono chiesa, e dove in ottobre la cresciuta religiosa famiglia die l’abito a Gerolamo Greppo di Mondovì, che fu poi mandato al noviziato a Genova. In giugno del 1624 i Carmelitani Scalzi acquistarono tre case verso la cittadella vicino al Gambero, ed in una d’esse case aprirono chiesa;7 ed era quesf ultima la casa paterna di Gian Domenico Taddei, il quale, come bellamente dice il libro del convento, se stesso offerse in vivo tempio di Dio, pigliando l’abito carmelitano, e la sua casa in cappella della Vergine, madre di Dio, Morì cinque mesi dopo la religiosa professione il 4 dicembre 1626; ed è da notare che le fatiche, l’abitazione piccola e malsana, e i disagi d’ogni maniera otto religiosi spensero dal 1623 al 1629, tutti, da uno in fuori, tra gli anni ventuno ed i quarantotto. Tre altri ne uccise la peste del 1630.
Frattanto, coll’austerità dei costumi e co’ santi esempii illuminavano e commoveano non meno i grandi che il popolo, perocchè in quella età licenziosa, se di rado s’avea cuore abbastanza forte per seguitar il cammino della virtù, s’avea nondimeno la lealtà d’amarla e d’onorarla negli altri, e non si conosceva gran fatto l’arte malvagia, ne il talento maligno di tentar di travestirla in manto d’ipocrisia, celante un meccanismo di venali interessi, d’occulti guadagni.
Il più chiaro, per santità di vita, tra questi Carmelitani Scalzi che allora fiorirono, fu il padre Giovanni della Croce, di cui non so il nome di famiglia. Nato in Bordeaux, era professo della provincia di Parigi. Nel 1624 venne in aiuto del nascente convento di Torino, e sebbene forestiero, piacque mollo ed ebbe varii uffici in convento e fuori. Fu confessore di Maria di Borbone, moglie del principe Tommaso. Essendosi poi la medesima ritirata a Parigi, ebbe il medesimo ufficio presso Madama Reale Cristina. Rotta la guerra con Francia erasi mandato fuori un bando severo che tutti i Francesi dovessero sgombrare. Cristina, non volendo privarsi d’un direttore spirituale di tanto merito, lo fe’ rimanere e lo ricevea segretissimamente. Una volta mentre il padre Giovanni della Croce era in camera colla principessa, venne alla medesima l’avviso che il duca suo marito si recava in quel punto a trovarla. Non trovò ella migliore spediente per salvare il confessore che di farlo calare dentro ad un cesto dal castello. Vittorio Amedeo lo riseppe, e dolutosi dolcemente colla moglie e col padre della poca fede che aveano avuta in lui, die al padre Giovanni piena sicurtà dello stare.
Una volta la principessa dolevasi d’un grave disgusto datole dal padre Monod e protestava di non volergli perdonare. Il confessore, dopo d’aver cercato inutilmente di rammorbidarla, vedendola ostinata, trasse dalla cintura il crocifìsso e le disse risolutamente: o deponesse ai piedi di Gesù l’affronto ricevuto, o si cercasse un altro confessore. Madama Reale pianse e perdonò.
Il padre Giovanni della Croce morì il 27 di decembre del 1633 con grande opinione di santità. Due anni dopo essendo fracido il muro contro al quale era stato sepolto, e dovendosi distruggere, il corpo fu trovato intero, coi soli abiti infraciditi. Onde si prese consiglio di rivestirlo di nuovo e d’esporlo due giorni in chiesa per soddisfare alla divozione di Madama Reale e del popolo.8
Ma nel 1640 ardendo la guerra intestina, la chiesa ed il convento furono distrutti ed il sepolcro di Giovanni della Croce andò smarrito.9 I Carmelitani si trasferirono allora in una casa del generale delle poste, Gonteri, vicina a San Pier del Gallo; e poi di nuovo nella casa dello spedale de’ Santi Maurizio e Lazzaro, finche ebbero nel 1642 assegnamento di sito nel luogo in cui di presente si trovano ed in cui, non ostanti le frequenti liberalità de’ principi ed i sussidii privati, durarono molti anni a finir l’edifìzio del convento e della chiesa.
La prima pietra della chiesa fu posta il 9 giugno 1642 da Madama Cristina, chiamata ampollosamente nell’iscrizione di grandi regi figlia, sorella, moglie, madre e zia; la cui magnificenza per altro fu più che regia, avendo alzato il tempio ed il convento di San Francesco di Paola, in seguito ad un voto fatto per aver prole; la chiesa e il convento di Santa Teresa, la chiesa e il monastero di Santa Cristina, e costrutto l’altar maggiore, ed ornato di marmi il presbitero e la cappella delle Umiliate nella chiesa de’ Ss. Martiri per ispirito di devozione e di grandezza.10
La chiesa era finita nel 1674, poichè trovo esservisi già seppelliti religiosi. Ad ornarla contribuirono i marmi della vicina porta Marmorea che fu demolita. La parte del convento che guardava a ponente e che ora è convertita in dogana, erasi costrutta a spese di privati, ciascun de’ quali avea edificata una cella che ne portava il nome, a perenne memoria del benefìcio.
Due uomini insigni che molto contribuirono in quei primi tempi ad accrescere stima e splendore all’ordine de’ Carmelilani Scalzi in questa città furono il padre Andrea Costaguta ed il venerabile padre Alessandro Valperga.
Il primo fu consigliere e teologo di Carlo Emmanuele ii; perito anche d’architettura, egli fu che die il disegno della vigna di Madama Reale, e verosimilmente egli pur fu che architettò la chiesa di Santa Teresa, sebbene nelle memorie del convento se ne chiami autore il padre Valperga, che forse non fece che soprantendere ai lavori.
Comunque sia il Valperga era scudiere di Margarita di Savoia duchessa di Mantova e poi viceregina di Portogallo, quando a un tratto lasciati i vaissimi onori cortigianeschi vestì l’abito religioso nell’eremo di Lisbona; in breve, compiuti gli studi, cominciò a predicare con molla facondia e con molto frutto nell’idioma di quelli nazione.
Chiamato a Torino ricusò costantemente le mitre che gli furono offerte, e fu principal cagione delle tante limosine con cui la pietà de’ fedeli sovvenne ai bisogni del suo convento. Ebbe parte principale nella direzione del monastero di Santa Cristina; e perciò merito principale nella perfezione di vita che vi rilusse. Fra le sue penitenti più chiare per santità di costumi vuoisi annoverare Margarita Roero, vedova d’Amedeo contedi Masino, che pigliò l’abito in quel monastero e si chiamò suor Isabella della Croce.
Narrasi del padre Valperga che, mentre il marchese Tana facea costrurre di fini marmi il maestoso altar maggiore (stato ai dì nostri distrutto e rifatto), egli salì un giorno sul ponte più alto; e schiodandosi una tavola precipitò da tanta altezza sul suolo, senza il menomo danno. Nel 1680 fu eletto defìnitor generale dell’ordine; ma in breve rinunciò non solo a quella carica, ma ad ogni voce attiva e passiva, e volle viver per sé solo e per le sue monache di Santa Cristina ed apparecchiarsi alla morte.11
Chiari furono altresì per bontà di costumi, per prudenza, per dottrina molli altri Carmelitani Scalzi di questa casa Torinese. Enrico Provana di Leynì, di 14 anni e mezzo pigliò l’abito di Carmelitano scalzo coll’aiuto d’una fede di battesimo alterata da chi sapeva che con tal mezzo si potrebbe più tardi far dichiarar nulla la professione. Ma il fervoroso giovanetto, saputo ch’egli era libero e che poteva tornarsene a casa sua, rinnovò invece con gran costanza la professione. Studiò a Torino, Bologna e Roma, poi di soli 24 anni fu professore di filosofia e teologia a Malta, dove molto l’adoperarono in gravi incumbenze il gran maestro ed i cavalieri. Carlo Emmanuele ii lo chiamò per suo teologo e molto si giovò della sua dottrina e prudenza in segreti maneggi. Andò voce a Roma che il padre Provana appoggiasse i sensi della Camera contra l’immunità ecclesiastica, onde giunse l’ordine a’superiori d’allontanarlo da Torino. Ma il duca ne fece così risentita dimostrazione col nunzio che l’ordine fu rivocato. Anzi il nunzio medesimo, avuta personale conoscenza del Provana, imparò ad amarlo e stimarlo. Fu priore del convento di Torino e provinciale, e poi vescovo di Nizza nel 1671. Morì il 27 novembre del 1706.
Il padre Andrea della Concezione (Biava) di Traversella, fondò il convento di San Giuseppe di Albagna, e morì il 26 giugno 1706, mentre dal castello di Masino era portato infermo al convento di Albagna.
Giovanni Vincenzo Rolfo, di una famiglia di contadini presso al Mondovì, si rendette Carmelitano Scalzo Laico col nome di fra Pietro Antonio di Santo Stefano. Fu grande esempio d’amor di Dio, d’umiltà, di carità, di pazienza. Morì a Torino con universale opinione di santità, il 4 novembre 1710. Accorse il popolo con tanta frequenza, che i superiori furono obbligati a chiuder la chiesa e ad aspettar le due di notte per fargli la sepoltura. Ma anche allora la calca fu tale che i religiosi non poterono difendere il morto corpo, sicchè con divota violenza non fossero tagliati a pezzi l’abito e i capelli e rubati come cara reliquia d’un uomo, la cui morte era preziosa nel cospetto di Dio.12
Fra Angelo Francesco di Santa Teresa era figliuolo di Francesco Villioti di Mondovì, medico e scrittore. Di quindici anni vestì l’abito de’ Carmelitani Scalzi. Nato nell’anno santo 1650, nell’anno santo 1675 partì da Roma per le missioni del Malabar; nell’anno santo 1700 fu nominato vescovo di Metopoli13 e vicario apostolico. Scrisse un catechismo nell’idioma malabarico, patì persecuzioni e carcere dagli Olandesi e morì a Verapoli il 17 ottobre 1712. Nelle lettere della sacra congregazione di Propaganda mirabili cose si narrano di questo prelato: dicendosi che conobbe la morte della madre nel momento medesimo in cui accadeva a Mondovi nel 1682; che prenunzio la propria un anno prima che seguisse; che al momento del suo felice passaggio si sentì un’occulta armonia, si vide uno splendor subitaneo; che il corpo rimase flessibile e con un odor soavissimo, e che continuò così molti anni nel sepolcro, sul quale non pochi invocavano con frutto la sua intercession presso Dio.14
Il padre Pietro d’Alcantara (della famiglia Gagna di Cherasco), nato nel 1689, vestì nel 1706 l’abito de’ Carmelitani Scalzi a Mondovì; fu a Torino agli sludii e poi a Roma nel Seminario di S. Pancrazio. Fatto il voto di rendersi missionario, partì per l’India sul finir del 1717, e tanto si segnalò colle predicazioni e coll’esempio, che nel 1728 fu fatto vescovo Arepolitano e vicario apostolico del Mogol. Morì nell’isola di Bombayna il 3 novembre del 1744.15
Cesare Giordini, torinese, chiamato in religione fra Costanzo di S. Ludovico, nato nel 1642, vestì l’abito religioso nel 1671, fu arcivescovo di Sassari nel 1727 e morì il 19 novembre 1729.
Marc’Antonio Piacentini di S. Sebastiano, nato nel 1713, prese similmente l’abito di cui parliamo a Mondovì nel 1732. Andato a Roma in S. Pancrazio fece il quinto voto di recarsi nelle missioni degli infedeli e fu inviato in Persia nel 1741, dove adoperò con tanto frutto e con tanta soddisfazione de’ suoi superiori, che Benedetto xiv lo creò vescovo di Hispahan16 nel 1751. Nate poi sedizioni in quella città corse pericolo della vita, ma egli ricusava di abbandonare il suo gregge; quando il papa lo chiamò altrove, deputandolo vicario apostolico del Mogol. Mentre s’allestiva a partire morì a Bassora nel 1751. Martire vien detto di pazienza e sì agevole di costumi, che gli stessi eretici lo accompagnarono al sepolcro e ne onorarono la memoria. — Arte preziosa e santa, insegnar coll’esempio agli infedeli ed ai dissidenti che l’intolleranza è vizio proprio di chi si trincera nell’errore, non di chi crede e parla e sparge il vero.
Dalmazzo Vasco di Mondovì, figliuolo del conte Carlo Francesco, nato nel 1675, fuggì dalla casa paterna al convento de’ Carmelitani, e pigliò l’abito nel 1691. Ne furono i genitori adirati e dolenti, ed avuto ricorso a Roma, ottennero che in sito appartato fosse dal Sant’Ufficio esaminata la vocazione di quel giovane. Dopo molte prove, riconosciutosi perseverante, potè il Vasco far la sua professione. Studiò a Torino, fu lettore, e sostenne tutti gli altri più rilevati ufficii dell’ordine. Nel 1727 venne eletto vescovo d’Alba. Resse quella diocesi fino all’anno 1749 in cui morì a’ 31 dicembre. Chiamavasi dopo la professione religiosa Carlo Francesco di S. Giovanni della Croce.
Finalmente uscì da questo convento di S ta Teresa, dopo d’esser stato per molti anni curato, il meritissimo vescovo presente di Cuneo, Monsignor Clemente Manzini di Sassello.
I Carmelitani fanno, come si è detto, risalir l’origine del loro inslituto ai profeti Elia ed Eliseo che chiamano padri loro, il che, come debba sanamente intendersi, ed in quali confini possa essere verosimile, si è già per noi accennalo. Frattanto soggiungeremo che sulla cima del monte Carmelo, presso alla spelonca del profeta Elia eravi un antico convento di Carmelitani che fu distrutto dai Saracini verso il cadere del secolo xiii. Rifabbricarono quei religiosi un altro convento sulla costa del monte sopra ad una meschita chiamata Keder. Nel 1767 i Carmelitani Scalzi che la tenevano, v’ammettevano leggermente giovinotti europei che di là osservavano le donne turche mentre recavansi alla moschea. Giovanni Battista di Sant’Alessio, laico piemontese, si pensò di trar partito dal malcontento che avea desiato ne’ Turchi l’imprudenza de’ suoi frati per farsi dare non solo facoltà, ma precetto di trasferire il convento in altro sito, e precisamente dov’erano le rovine dell’antico presso alla grolla del profeta Elia. N’ebbe gli opportuni decreti da Daer el Omar principe di Galilea, governatore di S. Giovanni d’Acri, e del muftì Assan, figliuolo d’Assan.
E infervorati i fedeli de’ dintorni alla riedificazione del convento col racconto di una sua visione, o sogno (che non bene la definiva egli stesso), ed avuti ampi sussidii da Abramo Saback, cattolico, ministro principal d’esso principe, dopo d’aver superato non poche difficoltà suscitate da un negoziante francese17 stato licenziato dall’ufficio di procurator del convento, ne fece porre la prima pietra il 15 novembre di detto anno, essendo vicario fra Filippo di Santa Teresa.18 Questo laico piemontese benemerito del Carmelo, pubblicò poi colle stampe a Torino una relazione di que’ santi luoghi.19
Nel novero de’ frati di questo convento segnalati sopra all’ordinario esercizio delle virtù monastiche, ricorderò ancora Giovanni Maria Lubato di Carni (padre Alessio di Sta Maria), morto in questa città il 20 febbraio 1723, autore della vita di Margherita Forni, e di molte opere ascetiche, il cui catalogo si può vedere nella Bibliotheca Carmelitarum.
Ai 3 d’aprile del 1801 i Carmelitani Scalzi vennero dal governo repubblicano congedati. Addì primo di maggio del 1817 ricuperarono una parte del convento, ed in novembre dell’anno medesimo la chiesa che continua ad essere parrocchiale.20
Bella ed ampia è la chiesa di Santa Teresa, alla quale la pietà del cardinale Giambattista Rovero, arcivescovo di Torino, aggiunse nel 1764 una bella facciata a due ordini di colonne, sul disegno dell’architetto Aliberti.
Nel terzo altare a destra la tavola di S. Giovanni della Croce è opera del cav. Giovanni Peruzzini Anconitano, che la segnò; e dipinse altresì i freschi delle pareti laterali.
Nel quarto, Maria Vergine che consegna il Bambino a S. Giuseppe è di mano del cav. Sebastiano Conca, allievo del Solimene, la cui mano era più veloce che corretta; e all’altar maggiore la tavola con Maria SSa., S. Giuseppe ed il fanciullo Gesù nell’atto di scoccar una saetta nel cuore di Santa Teresa, che ebbra di santo amore, viene sostenuta da due angioli, è del Moncalvo.
L’altar maggior era stato costrutto di scelti marmi con raro splendore da Federigo Tana, governator di Torino, con questa iscrizione:
DIVINI AMORIS VICTIMAE
FRIDERICVS TANA
AETERNVM SACRAT
1681.
Arduino Tana, nel 1718 restaurava ed ornava la cappella della Sacra Famiglia.
Tornando dall’altar maggiore, la prima cappella dal lato del vangelo è quella di S. Giuseppe, una delle più splendide che si vedano in Torino, fatta costrurre dal re Carlo Emmanuele iii nel 172521 ad istanza, e per voto di Polissena d’Assia sua seconda moglie, sui disegni del Juvara.
La statua del Santo col Bambino, e le statue della Fede e della Carità sono di Simone Martinez, Siciliano.
Il fresco della vôlta è di Corrado Giaquinto di Molfelta, scolaro del Conca, ma più scorretto di lui nel disegno, di cui sono pure la Fuga in Egitto ed il Transito di S. Giuseppe, grandi tavole che ornano le pareti laterali.
La cappella dell’anime purganti è dipinta a fresco da Tommaso Aldovrandini bolognese, che nel dipinger prospettive, architetture, rabeschi, ornati, si acquistò gran nome. Le figure sono d’Antonio Burini, altresì bolognese, molto mediocre pittore.
Ne’ vasti sotterranei di questa chiesa riposano le ceneri di Madama Reale Cristina stata qui trasferita, come abbiam detto, dalla chiesa delle monache dell’ordine stesso. Vi giacciono pure Margarita Falcombella, moglie del senator Perrachino, fondatrice del Deposito di S. Paolo; monsignor Ignazio della Chiesa, vescovo di Casale, morto nel 1758, autore di molte aggiunte M’Ampia descrizione del Piemonte del suo agnato Francesco Agostino. Ma ora non v’è più indizio del suo sepolcro. Qui aveano ancora sepolcro gentilizio le nobili famiglie Tana (sotto l’altar maggiore), Orsini, della Chiesa di Cinzano, Asinari di Bernezzo, Solaro di Covone e di Breglio, Galeani di Canelli, Alfieri di Magliano. Nella chiesa, sotto al pavimento, nel sito che risponde al busto ed alla iscrizione, è sepolto il cardinale arcivescovo Gianiballista Rovero, morto il 9 di ottobre 1766, e che vi fu recato a notte avanzata la sera del 13.22
Nella cappella della Vergine del Carmine e del Crocifìsso è il sepolcro d’Ambrogio Passetto, protomedico, professore di medicina, morto nel 1684. I genii d’ippocrate e Galeno sono del Tantardini.
Quasi di fronte alla chiesa di Sanla Teresa, nel sito ora occupato dalla casa Donaudi, sul canto della via di S. Maurizio, vedevasi ancora nel principio del secolo xvii una piazzetta che finiva contro al muro della città, e in mezzo alla quale sorgeva la chiesuola di Sant’Eusebio volta verso levante. Era chiesa parrocchiale, di patronato della casa della Rovere, e la sua giurisdizione stendevasi per circa due miglia nel territorio torinese dal lato meridionale.
Nel 1584, tempo della visita di monsignor vescovo di Sarcina, era in pessimo stato e trattavasi di demolirla. Il rettore era un cappellano del Duomo, il quale non vi dicea messa che la domenica. Avea trecento parrocchiani, di cui cento fuor di città. Quando si doveva amministrare il Viatico fuor delle mura, il curato andava a dir messa ad una cappella campestre.
Verso l’angolo sud-est della città alzavasi la chiesa di S. Brizio, che nel 1311 era parrocchiale, e che dopo la metà del secolo xv era aperta ancora, ma compresa nella parrocchia di Sant’Eusebio. Non ne trovo più memoria nel secolo seguente.23
La chiesa di Sant’Eusebio non fu demolita. Nel 1665 n’era rettore il celebre storico Pier Gioffredo. Due anni dopo ne veniva fatta cessione ai padri di S. Filippo, i quali, avuto nel 1675, per dono di Carlo Emmanuele ii, il sito in cui di presente si trovano, e costruttovi l’Oratorio, alienarono la chiesa di Sant’Eusebio alla confraternita di S. Maurizio, che vi rimase fino al 1729, epoca in cui fu unita alla confraternita di Santa Croce.
Note
- ↑ [p. 602 modifica]Torelli, Memorie estratte dagli Archivi dell’arcivescovado di Torino.
- ↑ [p. 602 modifica]Archivio camerale. Registro, Controllo, vol. clxi, fol. 58.
- ↑ [p. 602 modifica]Solfi, Compendio storico, e memorie ms. dell’Archivio di corte.
- ↑ [p. 602 modifica]Fra le iscrizioni di questa chiesa una recentissima, posta allato alla cappella della Natività, è testimonianza d’un grande e giusto dolore, e dice così:
FEDERIGO
MARCHESE VIVALDA DI CASTELLINO
ELETTO GIOVANE D’ANNI XVIII
PIO COSTVMATO GENTILE
PRECORRENDO L’ETA COL GIVDICIO
NON DI PASSEGGERE VAGHEZZE MA D’VTILI STVDI
DI VIRTVOSI ESEMPLI COSTANTEMENTE PIACENDOSI
AI GENITORI CHE DI LVI SI DELIZIAVANO
RENDENDO AMOR PER AMORE
FV DEGNO GLI SI ARBREVIASSE DA DIO IL TERMINE
DEL TERRENO ESIGUO
MANCÒ IL XXI DI FEBBRAIO DEL MDCCCXLVI
E QVI RIPOSA
FILIPPO VIVALDA, ENRICHETTA DI BERNEZZO
PIANGENDO SECONDO L’VMANA MISERIA IL PROPRIO DANNO
POSERO AL FIGLIVOLO DOLCISSIMO
QVESTA MEMORIA - ↑ [p. 603 modifica]Archivio de’ conti Provana di Collegno.
- ↑ [p. 603 modifica]Archivio del signor marchese Romagnano di Virle.
- ↑ [p. 603 modifica]Torelli, Memorie dell’Archivio arcivescovile. — Memorie storiche della compagnia del nome di Gesù, mss. già citati.
- ↑ [p. 603 modifica]Memorie del convento, di cui ebbi cortesissima comunicazione dagli egregi padre Priore e padre Curato Revelli.
- ↑ [p. 603 modifica]Parlando d’un novizio della famiglia Prandi, morto a Torino nel 1623 (forse dee dire 1624), il cui corpo in segno della sua incontaminata purità rimase incorrotto; il libro de’ religiosi soggiunge: tamdiu... quamdiu anno 1640 dirutum simul cum conventu tormentorum bellicorum vi globisque ex arce laxatis fuit et sepulcrum ubi comminuta reliqua, pariter omnia cecidere cadavera.
- ↑ [p. 603 modifica]Patenti 28 settembre 1638. Archivi camerali. Controllo, Registro
cxvi, fol. 42. V. pure i Registri xcii, fol. 37; cxxi, 121; cxxx, 105’; cxxxi, 39; cxxxiii, 193’; cxl, 31; cl, 12, ecc.
Ho sbagliato quando, seguitando una Guida infedele, ho detto che l’altar maggiore de’ Ss. Martiri era disegno del Juvara. Vi sono le armi di Cristina, che si vedono pure nel presbitero. - ↑ [p. 603 modifica]Memorie del convento.
- ↑ [p. 603 modifica]Ivi.
- ↑ [p. 603 modifica]Forse Metellopoli o Metropoli, non essendovi titolo vescovile col nome di Metoopoli.
- ↑ [p. 603 modifica]Molte lettere importanti di questo pio prelato, atte ad illustrar la Storia delle missioni, si conservano nell’Archivio di Santa Teresa.
- ↑ [p. 603 modifica]Forse, invece di vescovo Arepolitano, è da leggersi nelle Memorie del convento vescovo Areapolitano, o Jeropolitano, non conoscendosi il titolo vescovile d’Arepolis, laddove cinque ve ne hanno di Hieropoli.
- ↑ [p. 603 modifica]Nel ms. che ho sott’occhio, Liber in quo describuntur nomina omnium religiosorum in hoc conventu (Taur.) defunctorum, è scritto Haspalensis, ma si dee intendere, credo, Hispahanensis, non già Hispalensis che sarebbe Siviglia di Spagna. Diffatto, in altro catalogo in lingua volgare è chiamato vescovo d’Aspaan.
- ↑ [p. 603 modifica]Questo negoziante, chiamato Bonnet, aveva indisposto l’animo dell’ambasciador francese a Costantinopoli, protettore della cristianità in Levante; onde furono necessarii appositi viaggi a quella città per serenarlo, sicchè non ponesse ostacolo al firmano che si domandava al Gran Signore.
- ↑ [p. 603 modifica]Relazione, copie di lettere e scritture spettanti al sacro monte Carmelo. MS. dell’Archivio di Santa Teresa.
- ↑ [p. 604 modifica]Compendio istorico dello stato antico e moderno del Carmelo.
- ↑ [p. 604 modifica]La provincia di S. Maurizio, de’ Carmelitani scalzi, era composta de’ conventi di Mondovì (fondato nel 1621), Torino (1623), Cavallermaggiore (1644), Asti (1646), Nizza (1674), Ivrea (1694). V’erano in questa provincia due monasteri: di Santa Cristina a Torino, ed un altro a Moncalieri, fondato nel 1703, e che tuttora fiorisce.
- ↑ [p. 604 modifica]
DIVO IOSEPH
POLIXENA
EX VOTO
ANNO 1725. - ↑ [p. 604 modifica]Cerimoniale degli arcivescovi.
- ↑ [p. 604 modifica]Archivio arcivescovile.