Storia di Torino (vol 2)/Libro V/Capo II
Questo testo è completo. |
◄ | Libro V - Capo I | Libro V - Capo III | ► |
Capo Secondo
Nella seconda isola a sinistra, andando sempre da ponente a levante, è la chiesa parrocchiale di Santa Maria di Piazza, una delle più antiche di Torino in quanto al titolo ed al sito.
Nel 1568 n’era parroco don Ameoto, quando fu visitata dai vescovo Giovanni di Rivalta. Le suppellettili di questa chiesa, povera come tutte le chiese di Torino non affidate ai regolari, consistevano allora in sei candelieri di ferro, un forzieretto d’avorio, dove si riponeva l’Eucaristia, un calice d’argento, due paramentali ed otto tovaglie, oltre ai messali ed agli antifonarii indispensabili.1
Nel 1543 n’era curato D. Lupo; egli ne fe’ cessione ai Carmelitani, i quali dopo la distruzione di San Sebastiano, presso porta Marmorea, stavano da qualche anno in San Benigno, vicino al palazzo di Città. Pare che da principio i Carmelitani non si mostrassero molto solleciti intorno a questa chiesa, poichè nella visita dell’arcivescovo Cesare Cibo, nel 1551, è scritto che non vi si conservava il santo sacramento dell’Eucaristia. Ma le guerre interminabili, la serpeggiante e lussureggiante eresia, la depravazion de’ costumi erano a quel tempo causa di molti mali.
Nel 1584 monsignor Peruzzi, vescovo di Sarcina, vi trovò quattordici Carmelitani, di cui dieci sacerdoti, l’altar maggiore ornato d’un bellissimo quadro, e nove altri altari, che in chiesa così picciola come era Santa Maria, non so come potessero convenientemente collocarsi. Nel 1658 il conte Teodoro Roero di Sciolze donava all’altar maggiore un palliolto d’argento massiccio.
Sul principio del secolo xvii il convento di Santa Maria di Piazza, essendo ridotto ad una total fiacchezza di disciplina, accese lo zelo delle serenissime infanti Maria e Caterina di Savoia, a procurarne con ogni potere la riforma, nel che ebbero poderoso aiutatore il padre Bolla, priore, e il padre Stracci, generale dell’ordine. Levati da quel convento quelli che, usati nel disordine, mal solferivano il rigore delle nuove regole, e popolato quel chiostro di religiosi di provata virtù, si vide nuovamente a fiorire di esempi e d’opere salutari.2
Questa riforma fu cominciata l’anno 1633, e primo capo e padre di essa è detto nel Libro de’ morti il padre maestro de Virana di Cherasco, chiamato in religione padre Domenico di Santa Maria. Questi ebbe i principali uffizi dell’ordine; fu priore del convento e provinciale; e confessore d’Emmanuele Filiberto, principe di Carignano, che essendo fin dalla nascila sordo e muto, fu educato con tanto magistero e sì gran felicita dal padre Hamirez in lspagna, che non solo apprese a leggere e a scrivere, ma fu capace di comprendere e seguitare i pensieri più astratti, e di trar sommo profìtto dalle lezioni dello storico Tesauro, suo precettore.
Il padre Domenico di Santa Maria morì addì 27 d’aprile del 1665; all’indomani fu portato alla sepoltura non senza lacrime, e posto disteso sopra l’altare che s’alzava fra le tombe de’ frati per segno di grande affetto e di gran divozione.
Poco tempo dopo, addì 8 gennaio dell’anno seguente, lo seguitò nel sepolcro un altro gran promotore della riforma, il padre Ursmaro di S. Rocco. Questi, nato in Piccardia, avea fatta professione in Fiandra. Venuto poi a Torino, fu deputato confessore de’ forestieri, ed ebbe a suo carico tutta la guarnigione nel tempo delle guerre civili. Fu più di vent’anni curato, restaurò la chiesa, la ingentilì di pitture, l’arricchì di suppellettili, tra cui otto candelieri d’argento per parare l’altar maggiore. Egli inoltre fu che fece costrurre la sepoltura dei padri.
Il 12 di giugno 1696 essendo giunto al convento di Santa Maria di Piazza il padre don Giovanni Feixoo di Villalobos, generale de’ Carmelitani, il mastro di cerimonie venne a pigliarlo, secondo lo stile, con una carrozza di corte senza livrea, e lo condusse all’udienza del duca. All’indomani il controllore di cucina del duca gli mandò il solito regalo di viveri, ed egli donò al principe ed alla corte un gran numero di corone e medaglie divote.3
Passati i Carmelitani nel 1729 al nuovo convento, verso porta Susina, ia chiesa squallida, rovinosa, spogliata d’ogni suppellettile, fu commessa al teologo Gian Andrea Picco di Coazze, che I’ avea vinta al concorso, e ne pigliò possesso in giugno del 1731. Questo curato, svegliando in cuore de’ suoi parrocchiani gli slimoli di devozione e di zelo per la casa di Dio, raccolse copiose limosine, e potè nel 1751 rifabbricar la chiesa secondo un vago disegno dell’architetto Bernardo Vittone.
La tavola dell’Assunta all’altar maggiore è di Pietro Gualla da Casal Monferrato, il quale essendo ragionevole pittor di ritratti, passò con un ardire assai maggior delle forze ad imprese più grandi. Gli angioli ed i puttini che si vedono attorno a questo quadro sono d’Ignazio Perrucca.
Si venera in questa chiesa una imagine della Madonna delle Grazie, una delle tante che si vogliono dipinte da S. Luca, la quale fu portata da Napoli nel 1550 da Gaspare Capris, vescovo d’Asti, ed oratore di Carlo ni, duca di Savoia, a papa Pio iv.4
Furono sepolti in questa chiesa molti uomini distinti delle famiglie Roero, Losa, Capris, Sandigliano, Provana, Pastoris, Ripa, Ternengo, Trabucco, Piscina.
Nel 1656 vi fu deposto Maurizio Filippa, conte di Martiniana, primo presidente della R. Camera de’ conti. Addì 6 settembre del 1659 vi fu recata dai palazzo che abitava nella parrocchia di San Martiniano donna Margarita di Savoia, moglie di Francesco Filippo de’ principi d’Este, marchese eli Lanzo e di S. Martino. Il 4 di settembre 1666 fu deposto nel sepolcro de’ religiosi D. Paolo Ternengo, abate di S. Benigno. A’ 22 gennaio del 1667 vi fu portato in deposito il presidente Gaspare Graneri, padre de’ poveri (così il libro), fondatore dell’eremo di Lanzo, dove più tardi fu trasferito.5
Quasi di fronte alla chiesa di Santa Maria è il nobile palazzo de’ conti Capris di Cigliè, antica famiglia torinese; architettura del Planteri. Procedendo innanzi per questa medesima via, troviamo la casa della compagnia di S. Paolo, allato alla quale, nella prima meta del secolo xvii, aprivasi lo spedai maggiore di S. Giovanni.
Nel 1563 il partito degli Ugonotti aveva in Francia il sopravvènto, e i banditori delle nuove dottrine cercavano con ogni potere di propagarle in Piemonte, quando per conservare in Torino illibata la fede dei loro padri, e per dedicarsi all’esercizio delle opere buone, insieme s’accolsero sette cittadini di vario stato, ma unanimi in tale santa risoluzione, i cui nomi meritano di venir rinfrescati nella memoria degli uomini. Erano Gian Antonio Albosco, avvocato, principal autore della introduzione de’ Gesuiti in questa città, del quale abbiam già fatta parola; Pietro della Rossa, capitano; Battista Gambera, canonico; Nicolò Orsino, causidico; Benedetto Valle, mercante; Nicolino Bossio, sarto; e Ludovico Nasi, libraio. Ordinossi T eletto drappello nella casa dell’Albosco, sotto al titolo di Compagnia della fede cattolica. Addì 25 di gennaio di quell’anno cominciarono pertanto a radunarsi ne’ chiostri di San Domenico, e nella sala capitolare, avendo per direttore il padre fra Pietro da Quinziano, de’ predicatori; ed essendo quello il giorno della conversione di S. Paolo, lo scelsero a protettore. E perchè tornava loro meglio di aver casa ed oratorio proprio, tolsero ben presto a pigione una casa del priorato di Rivalta, vicino a San Benedetto, ed ottennero facoltà d’ufficiar quella chiesa, dove poi comparirono, come abbiam detto, per la prima volta i Gesuiti; più tardi ebbero oratorio presso la chiesa de’ Gesuiti, finchè acquistarono la casa ov’è stabilito il Monte di Pietà, e dove tuttora hanno stanza.
Nel 1566 Nicolino Bossio fu deputato dalla compagnia a Roma, a papa Pio v, onde ottenere conferma de’ loro statuti e varii privilegi e grazie spirituali. E, facendo una lettera del senato amplissima testimonianza delle loro sante opere, agevole fu la consecuzione di quanto desideravano.
Prodigiosi possono chiamarsi i frutti che portò questo pio instituto; perchè non solo ottenne il primitivo suo scopo di mantenere in Torino l’unità e la purità della fede, mercè le scuole, i collegi,6 le prediche, le missioni de’ padri della Compagnia di Gesù, e gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio; non solo raccese il tepido zelo del maggior numero de’ cittadini nel culto di Dio e nelle opere di carità, coll’instituzione della compagnia dell’Annunziata e di quella delle Umiliate, il cui povero abito spesso vestirono principesse dell’augusta Casa regnante; ma restituì nel 1579 il Monte di Pietà già fondato fin dal 1519, e poi caduto nelle lunghe guerre di quel secolo; fondò nel 1593 la casa del Soccorso delle vergini pericolanti; ordinò regolati sussidii ai poveri vergognosi; instituì l’ufficio pio che consiste in messe quotidiane, in dotar vergini, vestir povere figlie, ricoverare quelle che vengono alla santa fede; in tutte le quali pietosissime instituzioni, egregia, e sopra ogni dire maravigliosa fu l’opera e il consiglio del padre Leonardo Magnano, della Compagnia di Gesù, direttore spirituale de’ Paolini. Questi inoltre potentemente concorsero a stabilire l’Albergo di Virtù e lo Spedale di Carità, e il deposito delle Convertite, dette le Perracchine dalla dama che prima le raccolse e n’ebbe il governo nel 1683; ed il nuovo ricovero delle Convertite ora mutato in prigione di donne, e detto popolarmente Le forzate; dimodochè per quante vie la carità può discendere a benefizio de’ nostri simili, a ricercarne ed a sanarne le piaghe, per tante si può dir quasi che siasi dalla Compagnia di S. Paolo con prudentissime regole praticala.7
La Casa del Soccorso e il Deposito di S. Paolo sono divenute, coll’andar del tempo, due buone case d’educazione per oneste fanciulle, e la compagnia di S. Paolo prosegue a governarle; se non che nella prima furono teste introdotte le dame del Sacro Cuore; nella seconda continuano governatrici e maestre deputate dalla compagnia.
L’oratorio di S. Paolo è notevole per varie pitture di qualche pregio. La tavola che è sopra l’altare rappresenta la Conversione di S. Paolo, ed è lavoro d’Alessandro Ardente, pittore del secolo xvi, non si sa bene se pisano o lucchese. De’ quadri che sono attorno alle pareti, quattro sono del Caravoglia, uno d’Andrea Pozzi, l’altro di Federigo Zuccheri, confratello della compagnia, due di monsù Delfino, uno di Pietro Paolo Raggi, genovese.
Tra gli uomini insigni che in gran numero ed in varii tempi furono aggregati alla compagnia di S. Paolo, noterò Antonio Monaco di Ceva, uomo in sapienza, prudenza e virtù morali eminentissimo. Questi, poco dopo la laurea in leggi, ne fu nominato lettore in questa università di Torino. Chiamato poi dalia repubblica di Lucca per auditore di Rota, fu in ufficio due anni; passò quindi alla medesima carica a Firenze, e vi durò tre anni. Da ultimo fu per cinque anni podestà di Bologna. Tornato in Piemonte, fu collaterale e senatore; ebbe due mogli, la prima lo fece padre di due maschi; la seconda, di diciotto tra maschi e femmine. Stampò tre opere: Tractatus de executione in vestibus, il quale fu ristampato più volte. — Epitome ad singulas decisiones Lucenses. — Tractatus de recta feudorum interpretatione. Morì d’anni settanta il 16 giugno 1640, e fu sepolto all’indomani nel sepolcro della congregazione di S. Paolo, nella chiesa de’ Ss. Martiri.8
Poche memorie richiama la lunga strada che muove dalla cittadella sotto nome di via del Gambero, prosegue mutando nomi, e chiamandosi successivamente dei due Bastoni, della Barra di ferro, e della Verna, talvolta per siti di sospetta onestà, e quindi allato al palazzo Carignano s’ingentilisce, s’allarga, e piglia il nome di strada del teatro d’Angennes.
Nella seconda isola a destra dopo la detta piazza è la casa del conte Cesare di Benevello, pittore di molto ingegno e di ricca vena di fantasia, benemerito delle Belle Arti, anche per l’erezione della società che le promuove, e che procura annualmente la pubblica esposizione e la vendita delle opere di pittura e di scoltura che le sono inviate.
In questo secolo in cui l’architettura civile va per lo più penosamente strascinandosi ne’solchi dell’imitazione servile, merita d’esser accennato un concettò pieno di novità di questo mio amico, ed è un tempio a Dio in forma di globo che rappresenta la macchina mondiale, sostenuta da quattro statue colossali degli Evangelisti.
Sulla possibilità o convenevolezza dell’esecuzione, sta agli architetti il dar sentenza. Circa alla poesia del pensiero e delle spiegazioni che ne porge l’autore, dico esservene molta, e non volgare.
Il teatro d’Angennes chiamavasi nel secolo scorso teatro Guglielmone dal nome del suo proprietario, ed era stato ornato e dipinto dal pittore Guglielmo Levra, piemontese. A’ nostri giorni fu restaurato più volte.
Procedendo verso il Po incontrasi poco oltre, a destra, il palazzo de’ marchesi di Breme, architettura del Castelli, ora proprio del marchese Roberto d’Azeglio, autore dell’elegante e molto copiosa Illustrazione della Pinacoteca torinese, il cui fratello Massimo salì come pittore e come scrittore a chiara fama.
Note
- ↑ [p. 581 modifica]Archivio arcivescovile.
- ↑ [p. 581 modifica]Vite già citate di dette serenissime Infanti.
- ↑ [p. 581 modifica]Cerimoniale del conte di Vernone. Archivio di corte.
- ↑ [p. 581 modifica]Raccolta d’iscrizioni patrie. Archivi di corte.
- ↑ [p. 581 modifica]Libro de’ morti della parrocchia di Santa Maria di cui ebbi comunicazione dalla cortesia dello zelantissimo signor curato teologo Boggio.
- ↑ [p. 581 modifica]Il collegio de’ nobili convittori di S.Maurizio. V. Tesauro, Storia della Compagnia di S. Paolo.
- ↑ [p. 581 modifica]Vedi la bella storia già citata del Tesauro, che contiene particolarità degne di molta considerazione. — V. anche Defendente Sacchi, Instituti di beneficenza a Torino.
- ↑ [p. 581 modifica]Libro de’ morti della parrocchia di San Dalmazzo.