Storia di Torino (vol 2)/Libro II/Capo IV
Questo testo è completo. |
◄ | Libro II - Capo III | Libro II - Capo V | ► |
Capo Quarto
Raccontano adunque le antiche memorie che nel 1453 essendosi dato il sacco alla terra d’Exilles nella valle d’Oulx, che allora apparteneva al Delfìnato, si trovò un soldato così sacrilego, che entralo in chiesa, die’ di mano al ciborio che racchiudeva l’ostia consecrata, e affardellatolo con altre robe in una valigia, quella pose sur un mulo e si mise in viaggio per alla volta della Lombardia. Pervenuto a Torino il ladro col mulo, e giunto allato alla chiesa di San Silvestro, la bestia incespicò e cadde; e per quanto fosse tirata e picchiata, non potè rialzarsi. Rottasi frattanto la valigia, apparve il sacro vaso coll’ostia, la quale subitamente si levò in alto, cinta di bei fulgori, e tanto vi rimase che il vescovo Ludovico di Romagnano venne processionalmente col clero, e la ricevette nell’aureo calice che umilmente le protendeva.
Di questo fatto con tutte le circostanze narrate non risulta, ch’io sappia, da documenti contemporanei che forse esistevano ai tempi del Pingone. Ma che un miracolo seguisse in occasione che fu rinvenuta l’ostia sacrosanta, lo dichiara un documento del 1454 conservato nell’archivio della metropolitana, in cui si dice che Tommaso Solero di Rivarolo donò ai Canonici un grosso cero perchè ardesse innanzi all’ostia miracolosamente trovata;1 e che essendo travagliato dalla podagra, dopo d’aver udito la messa a quell’altare subitamente risanò. E v’hanno ancora due provvisioni del Capitolo della metropolitana del 1455 e del 1459 relative al tabernacolo in cui si dovea riporre l’ostia miracolosa.2
Nell’archivio della confraternita dello Spirito Santo (docum., categ. 1, vol. 1) si conserva una relazione del miracolo di carattere del secolo xvi, che si dice ritrovata in un libro di bergamina, il quale è scritto per mano del Rev. padre don Gio. Gallesia et citadino anticho de Turino con molte altre historie antiche.
Siffatta narrazione è di data posteriore alla riedificazione del Duomo Torinese, di cui fa parola (1493); ma abbonda in particolari, e citai nomi di molti che furono testimonii oculari del miracolo. Questa carta è all’incirca la medesima che si conserva nell’archivio di città coll’autentica del notaio Tommaso Valle, e che fu pubblicata dal Semeria.3
Una prima cappella assai vaga in commemorazione del miracolo fu edificata nel sito medesimo in cui era accaduto, l’anno 1523, essendo il mondo ottenebrato dalle guerre e dalle pestilenze. Ne murò l’edifizio maestro Matteo di San Michele da Milano.
In seguito poi ad un voto fatto nella peste del 1598, la città fondò nel 1607 la bella chiesetta che di presente si vede sui disegni del celebre Ascanio Vittozzi, stata poi nel secolo scorso, troppo forse arricchita di dorature e d’altri ornamenti dal conte Benedetto Alfieri, in occasione della terza festa secolare.
La tavola dell’altar maggiore è di Bartolomeo Caravoglia, Piemontese, scuoiare del Guerrino, debole coloritore, ma buonissimo disegnatore ed assai riputato fra i dipintori del seicento. Nella sagrestia sono da vedersi due quadri di Domenico Oliviero, Torinese, ne’ quali miransi espressi in piccole figure i successi del miracolo. E nolo quanto vaglia questo pittore, il quale fattosi a studiare i quadri fiamminghi de’ quali sopra ogni altra è ricca questa Reale Galleria, si appressò mirabilmente ai migliori e li superò per la bellezza e facilita del comporre i suoi gruppi, agguagliandoli forse nel forte colorire e nel tocco risentito e franco, ma non nella lucentezza e nella fusion decolori.
Domenico Oliviero nacque a Torino nel 1679, ed ebbe per maestro un Bianchi architetto e pittore, il quale si dilettava di quel genere di pitture che si chiamano volgarmente bambocciate. Oliviero si pose ad imitarlo, ma ben presto lo superò; ed i quadri che dipinse rappresentanti feste rusticane, fiere, mercati, ciarlatani, scene della vita campestre, ogni maniera insomma di ragunate di popolo, levarono in fama il nome dell’autore. Onde Vittorio Amedeo ii, il quale molto piacevasi d’ogni sorta di bravura, lo chiamò a se, gli fe’ buon viso e gli die commissioni.
Carlo Emmanuele iii lo trattò con non minore bontà: questo principe molto si dilettava di sentirlo a parlar di pittura e d’intender da lui, come in ogni concorso di popolo ci si ponesse inosservato da un canto, e studiasse minutamente quella varietà di tesle e di espressioni, e d’atteggiamenti e di panni, e la composizione di que’ varii gruppi, e i tanti graziosi contrasti che vi si scorgeano; e come infine con pochi tratti segnasse sopra una carta quel tanto che doveva servir di base agli animati suoi quadri, in cui la natura stessa è ritratta. Il celebre marchese d’Ormea che avea grand’amore per l’arti e finissimo gusto, lo voleva spesso a mensa, lo chiamava amico, e gli commetteva di dipinger per lui sempre quando non dipingesse pel Re.
Claudio Beaumont, capo della Scuola Torinese di pittura, si consigliava coll’Oliviero intorno ai quadri che prendeva a dipingere. In breve era egli tenuto universalmente in gran conto. Non sempre dipinse l’Oliviero scene popolari. Ma dopo avere studiate le opere di Poussin, Lebrun, Coypel prese a trattare soggetti sacri. Alcuni quadri da lui dipinti di questo genere erano alla fine del secolo scorso custoditi con gran gelosia dai minori conventuali di San Francesco. Per la chiesa d’essi frati dipingeva l’Oliviero sceniche rappresentazioni pel Sepolcro del Giovedì Santo, a cui traeva gran folla.
Tardi consentì a pigliare alunni. Il migliore che uscisse dalla sua scuola fu Graneri, ma i suoi quadri non hanno il brio di que’ del maestro, nè un colorito così sugoso e caldo. Sembrano anzi i colori stemperati colla farina. Domenico Oliviero morì nel 1755.4
Sopra l’alta e bella facciata del Corpus Domini leggesi un’ampollosa iscrizione che dice:
HIC VBl PROFVGVM CHRISTI CORPVS
SVBDIALEM SIBI STATIONEM OBITER ELEGIT
AVGVSTVM HOC ET MANSVRVM
KVMINI DOMICILIVM CIVIBVS PERFVGIVM
TAVRINENSIS AVGVSTA
CISALPINOS LTE POPVLOS PEPOPVLANTE TABE
PRO CIVIVM SALVTE DEVOVIT
ANNO MDLXXXXVIII
Questa chiesa venne dapprima ufficiata dai Padri dell’oratorio di S. Filippo che dalla casa che aveano nel borgo di Po, vi si trasferirono nel 1653. Ma non avendovi stanza conveniente per dodici religiosi che erano, tornarono sul finir dell’anno seguente alloro convento fuori e quasi in faccia a Porta Castello. Il 5 di gennaio 1655, la Città convenne con sei preti teologi per le ufficiature d’essa chiesa; e l’arcivescovo, con decreto del 13 di marzo, li eresse in congregazione con obbligo di far vita comune.
Abitò questa congregazione varie case; prima accanto, e poi di prospetto alla chiesa; poi nel Palazzo di Città; quindi innanzi a San Domenico. Finalmente nel 1763 fu allogala nella casella che la Città fe’ murare a questo (ine entro al cortile del Palazzo che sta di fronte alla Basilica dell’ordine Mauriziano.
Nel 1779 la Città permise che la Congregazione de’ preti teologi del Corpus Domini fosse aggregata in perpetuo alla collegiata della Santissima Trinità stabilita Un dal secolo xi nella cappella di questo nome nella cattedrale.
A questa congregazione appartennero monsignor Evasio Agodino, professore di teologia e poi vescovo d’Aosta; il canonico Clemente Pino, fondatore d’una conversazione letteraria in cui esercilavansi ai dì nostri ne’ buoni studi molti giovani di liete speranze; ed il già lodato canonico Giuseppe Cottolengo.
Prima la cappella, poi la chiesa del Corpus Domini si fabbricarono attigue, e con interna comunicazione colla chiesa di San Silvestro, che si vuole, ma senza prova ne laudevole indizio, fosse stato anticamente un tempio di Diana.
San Silvestro era chiesa parrocchiale. Nel 1332 la famiglia de’ Sili dichiarava averne ab antico il padronato. Avea nel 1584 dugencinquanta parrocchiani. L’oratorio del Corpo del Signore avendo comunicazione colla chiesa, la sacra eucaristia veniva conservata nell’oratorio in tabernacolo elegantissimo, ed innanzi al medesimo ardeano perpetuamente tre lampadi. Tra l’oratorio e la chiesa trovavasi il cimitero.
Nell’anno santo 1575 delle tante confraternite che prima erano in Torino, non ne rimanevan che due; l’una del Santo Nome di Gesù in San Martiniano, l’altra, ed era la più antica, di Santa Croce.
A’ 3 di marzo di quell’anno, due confratelli del Gesù, Gasparo De Rossi dottor di leggi, e Marc’Antonio Spana mercatante, deliberarono insieme con Bernardino Vidotto, musico, d’indirizzare la formazione d’una nuova compagnia sotto l’invocazione dello Spirito Santo.
Ottenuta dal Senato licenza di congregarsi in presenza del Vicario della città, e dall’arcivescovo Gerolamo della Rovere, facoltà di tenere adunanza nella chiesa di San Silvestro, molti cittadini concorsero cercando di far parte della nuova compagnia, fra i quali il notaio Gabriele Demagislris, segretario della Santa Inquisizione, che venne eletto priore. Per convenzione del 15 d’aprile, il prete Giacomo Canavero, curato di San Silvestro, ammise in perpetuo la compagnia alla celebrazione de’ divini uffici, lodi, canti ed orazioni consuete nella sua chiesa; con facoltà di far monumenti e sepolture a loro piacere; e perchè non v’era altro sito da far l’oràtorio, cedette alla compagnia la propria camera posta dietro l’altar maggiore, con patto che la compagnia gli fabbricasse altra camera ugualmente comoda sopra le botteghe vicino al canto della strada.
A’ 16 d’aprile la compagnia avea già convertita la camera anzidetta in una speeic di coro; cantava con gran pompa in musica la Salve Regina (era giorno di sabbato). E all’indomani dava principio col Te Deum e eoll’ufficio dello Spirito Santo a’ suoi spirituali esercizi.
Capo ed anima ad instituire la confraternita dello Spirito Santo era stato, come abbiam veduto, quel Gaspare De Rossi dottor di leggi, stato più volte priore della compagnia di San Martiniano.
Pure quando si venne a trarre gli ufficiali, per un effetto forse di quella gelosia che fa tanti ingrati, a De Rossi non toccò il menomo ufficio. Non essendo poi il notaio Demagistris, dopo la nomina di priore, mai più comparso, ed avendo invece il De Rossi continuato a procurare con tutto buon animo gli interessi della compagnia, la medesima finalmente a’ 17 d’aprile, dismesso il Demagistris, gli surrogò nel priorato il De Rossi.
A’ 24 e 25 d’aprile pigliarono que’ nuovi disciplinanti risoluzione di vestir il sacco di color bianco con due medaglioni dipinti, uno sul petto, l’altro dietro le spalle, in cui venisse raffigurato il celeste Spirito in forma di colomba cinta di raggi, col motto: Spiritus Saneti adsit nobis gratta.
A’ 12 di maggio del medesimo anno 1575 si fe’ la proposta di ricever donne. In gennaio dell’anno seguente si compilarono gli statuti.5 La confraternita dello Spirito Santo fu poi aggregata nel 1579 all’arciconfraternita del gonfalone di Santa Maria maggiore di Roma; nel 1586 all’arciconfraternita di Santo Spirito de’ Napolitani; nel 1589 all’arciconfraternita de’ Catecumeni, e nei 1634 all’arciconfraternita delle Sacre Stimmate nella medesima città; ed è da notare che quest’ultima ne’ suoi atti e nelle sue lettere chiamò sempre la compagnia Torinese col nome di confraternita della Passione di Nostro Signore, senzadio appaia per qual ragione così la denominasse.
Addì 4 novembre del 1610 la confraternita dello Spirito Santo fu confermata da papa Paolo v, il quale per crescerne la divozione ed eccitar vie maggiormente l’umiltà del cuore, die’ podestà ai fratelli di mutar l’abito bianco in un sacco di tela cruda del colore dell’abito de’ Cappuccini e colla corda che i medesimi usano.6
In obbedienza ai precetti del papa, vestì allora la confraternita un sacco di color cinericcio, onde nel 1675 correndo la festa secolare, con gran pompa celebrata, della sua fondazione, un poeta che ebbe la prudente modestia di rimanersi incognito, cantava:
Se a voi come a suoi figli Dalli sovrani giri oggi discese |
Ora le ceneri si son convertite in carboni; e parmi che i confratelli dovrebbero, lasciato il color nero proprio della confraternita della Misericordia, tornare al lionato o al cinericcio che usavano nel secolo xvii, consigliato in seguito ad un pensiero di cristiana umiltà per bocca di un papa.
Dopo la meta del medesimo secolo xvii la confraternita dello Spirito Santo ottenne figliazione o fratellanza da varii ordini religiosi, Cisterciensi Riformati, Minori Conventuali, Eremiti di Sant’Agostino della congregazione di Lombardia, Carmelitani Scalzi, Cappuccini con partecipazione a tutte le opere buone che in esse religioni si praticavano: messe, uffizi, preghiere, meditazioni, pie lagrime, letture, obbedienze, astinenze, discipline, digiuni, macerazioni, missioni anche tra gli infedeli.8
Addì 10 giugno del 1629 Carlo Emmanuele i volendo aver riguardo alle spese che la confraternita sopportava nel far ammaestrare i Catecumeni, e la molta cura che avea dell’altar di San Carlo, di patronato d’esso duca, le concedette la nomina d’un bandito di forca o galera, eccettuati i colpevoli di lesa maestà divina ed umana, d’assassinio, omicidio volontario o falsa testimonianza. I proposti dalla confraternita doveano intendersi non solo esenti da pena, ma restituiti ne’ beni, onori, stato, grado e grazia del principe. Per questa concessione derogava ogni legge in contrario, ed anche le derogatorie delle derogatorie. Vanità inerente all’uomo credere di poter far cosa che duri in perpetuo, d’incatenare colla propria volontà la volontà de’ posteri. Vanita che ogni giorno viene contraddetta dal fatto. Finalmente, siccome quel privilegio doveva interinarsi dal Senato, comandava il duca che non dovesse aspettarsi altra dichiarazione della sua volontà, e che quelle patenti servissero di prima, seconda, terza e perentoria giussione. Era il caso di dire col Fabro, che siffatte clausole, quanto più precise ed insolite, tanto son più sospette; che quella volontà che con artifìziose parole si studia di far comparire ben consapevole di ciò che fa, dà invece indizio d’essere aggirata e tratta in errore; che in tal caso è dovere del magistrato d’esaminare con maggior diligenza il provvedimento, e di far le debite rimostranze se non s’accorda colla giustizia o col ben dello Stato. Il Senato allora interinò il privilegio; ma nel 1645 essendosi supplicata Madama Reale Cristina della confermazione del medesimo, quella principessa aggiunse alle antiche eccezioni i reati di falsa moneta, i colpevoli di misfatti non graziabili, i condannati in pena pecuniaria, e tutti quelli che già fosser caduti nelle forze della giustizia; ed il Senato eccettuò ancora i rei di ribellione alla giustizia, e restrinse l’esercizio del dritto di nomina ai banditi della città e del territorio di Torino. Fino dai primi tempi poichè fu fondata la confraternita dello Spirito Santo, di cui facean parte uomini notabili per nascita, per dignità, per ricchezze, si dedicava essa al pietoso ufficio di soccorrere ed ammaestrare i Catecumeni.
Nel 1652 il padre Francesco Maria Bianchi, inquisitor di Torino, propose al cardinale Francesco Adriano Ceva, suo zio, d’aiutar l’erezione d’un ospizio in questa città per quelle povere persone eretiche, le quali giornalmente si presentavano al Santo Ufficio per abiurar l’eresia e farsi cattoliche. Il pio cardinale gradì quel pensiero, e die a tal fine una somma. Il Bianchi ricercò la confraternita dello Spirito Santo, onde volesse incaricarsi di fondar con quei danari una casa, in cui ricevere, nudrire, ammaestrare gli infedeli e gli eretici desiderosi di venir alla fede cattolica. La compagnia accettò con piacere l’incarico; comprò una casa attigua alla chiesa, e vi aprì l’ospizio.
Nel 1656, morto il cardinal Ceva, papa Alessandro vii, a cui piaceva infinitamente quel pio instituto, con suo motu proprio indirizzato a monsignor Fransoni, tesoriere generale, donò all’ospizio dei Catecumeni di Torino tutti i termini delle pensioni sui beneficii e sulle chiese del Piemonte, già goduti dal Ceva, e non esatti, che sarebbero stati perciò devoluti alla Camera Apostolica.
La nostra città è terreno propizio alle opere di beneficenza. Tutte v’allignano. Tutte fioriscono. Nè manca mai la mano pietosa che irrori le pianticelle nate appena, nè l’occhio vigile che le difenda. Onde l’ospizio de’ Catecumeni ricevette eziandio dal presidente Giambatisla Lucerna, da Margherita Perdom Lione, da Ludovico Boggetto e da altri benefattori molti doni e legati.
Nel 1645 la confraternita dello Spirito Santo accompagnò al battesimo Bartolomeo Caillot di Ginevra colla moglie e co’ figliuoli. Questo Caillot serviva due anni prima un ministro della sua setta a Ginevra; essendo infermato gravemente in quella città un mercatante di Varallo, e chiamando confessione, un ministro chiamato Rigat andò per dileggio ad udirla, protestandogli che pigliava sopra di se i suoi peccati. Ed avendogli il moribondo lasciato molto danaro per convertirlo in opere buone, ei se li godeva banchettando cogli amici. Mentre sedeva a mensa, beffandosi del povero cattolico defunto, venne alla porta di casa un guerriero armato di tutto punto sopra un cavallo bianco, e domandò del Rigat. Caillot gli recò l’ambasciata, all’udir la quale il ministro si turbò e non volle discendere. Ma esortandolo i convitati ad andar a veder ciò che lo straniero si volesse, s’affacciò alla porta. L’incognito guerriero appena lo vide, gli domandò s’egli era quel Rigat che aveva udita alcuni giorni prima la confessione d’un cattolico di Varallo; nè potendo il Rigat ciò negare, lo afferrò con ambe le mani e postoselo dinanzi sull’arcione, in un momento disparve, senzadio mai più se ne scoprisse indizio. Si sparse la voce che Rigat fosse stato portato via dal demonio, e fors’era invece una vendetta di qualche cattolico. Il fatto è che Caillot da quel punto abbandonò Ginevra e la setta protestante, e raccontò distesamente a chi fu vago d’udirlo un tale successo.9
Il 12 d’aprile del 1728 entrò nell’ospizio de’ Catecumeni di Torino, desideroso d’abiurar gli errori in cui era stato educato, Gio. Giacomo Rousseau, d’anni sedici.
L’abiura ebbe luogo il 21. Il battesimo condizionale gli fu amministrato due giorni dopo, essendo padrino Giuseppe Andrea Ferrero, e madrina Francesca Maria Rocca.10
E cosa notissima che Gian Giacomo Rousseau non tu mai nè cattolico, nè protestante, perchè i sensi e l’imaginazione tennero sempre in servitù quell’altero intelletto.
La confraternita di cui ragioniamo intraprese in diversi tempi lunghi viaggi, sia per appagamento della religiosa sua pietà, sia per segno di sua divozione al principe, alla patria.
In settembre del 1585 andò alla Madonna di Moncrivello in adempimento d’un voto fatto per la salute di Carlo Emmanuele i.
In settembre del 1601 si trasferì supplichevole al santuario di Vico per guadagnar le indulgenze dell’anno santo.
In marzo del 1706, essendo vicino l’assedio della città, facea voto di recarsi a N. S. d’Oropa, quando piacesse a Dio di liberar la capitale dall’assedio, lo Stato dalla guerra. Adempiva tal voto in settembre del 1717, offerendo a quel santuario un ricco paramentale di broccato d’oro su fondo bianco.
Nel 1700 e nel 1725, in seguito ad invito della arciconfraternita delle Sagre stimmate di San Francesco, andò a Roma, passando per Bologna e Loreto, dove offerì un ricco paramentale di broccato d’oro. La prima parte del viaggio sino a Bologna fu per barca. Spendevano i confratelli parte del tempo nel cantare i divini uffizi. Le confraternite de’ paesi posti lungo il Po li salutavano collo sparo de’ mortai, con fuochi artificiati, con luminarie. E venuta la notte, li raccettavano allegramente nelle loro case. Era una festa continua. Pervenuti a Roma, tutti in abito uniforme, cogli scudi d’argento in petto, col sacco nuovo, e non, come spesso accade, scolorito, si faceva loro incontro l’arciconfraternita delle Sagre stimmate di San Francesco in numero di seicento, fra cui molti principi e cavalieri, i quali inginocchiatisi li salutavan dicendo: Ben venuti cari fratelli, la pace sia con voi e San Francesco. Al qual saluto rispondeano i nostri: Sit nomen Domini benedictum. Poi rialzatisi, procedeano su due file i confratelli romani, mettendo in mezzo i fratelli dello Spirito Santo ordinati in una sola fila. Condottili nella loro chiesa a render grazie a Dio, li accompagnavano quindi nell’ospizio; dove in due magnifiche sale coperte d’arazzi lavavano loro i piedi. Fattili di poi passare nel refettorio, li riceveano a lauta mènsa, a cui presiedeva monsignor Giustiniani primicerio. Dopo la cena, li accomodavano di pulitissimi letti. Era la domenica delle Palme. Rimasero in quel cortese ospizio sino al giovedì santo, nel qual giorno ciascuno erasi procurato un albergo a piacer suo. Intanto non mancò l’arciconfraternita romana d’accompagnare la compagnia piemontese alla visita delle basiliche designate per l’acquisto delle indulgenze del santo giubileo. La confraternita dello Spirito Santo, per corrispondere a tante gentilezze, offerì alla chiesa delle Sagre stimmate una lampada d’argento.
Nel paese d’Arcadia, e quando la medesima più fioriva, non dovea mancar qualche povero pastore che celebrasse l’arrivo della nostra confraternita nella città eterna. E non mancò. Un sonetto che ho sott’occhio ha questa terzina che non è cattiva:
E quinci e quindi di Francesco i figli Mira, e gir atti d’amor concorde e vero, Nè sa chi meglio al genitor somigli. |
Facendomi in ora a discorrere delle varie costruzioni dell’oratorio e della chiesa, noterò che con instromento 20 marzo 1609, soppressa la parrocchia di San Silvestro, s’uni quella chiesa all’altra del Corpus Domini, che si rifabbricò dalla città assai più sontuosa; come s’unì la compagnia del Corpus Domini alla confraternita dello Spirito Santo. E che nel 1610, il giorno di S. Giacomo, Carlo Emmanuele i co’ principi suoi figliuoli pose la prima pietra del novello oratorio da costrursi più ampio e magnifico sui disegni d’Ascanio Vittozzi; avendo il duca dato a questo fine la casa ed il forno del presidente Spatis, con obbligo di serrare il vicolo che univa la strada del Cappel verde con quella de’ Pellicciai. La lapide posta nei fondamenti, in cui il duca è chiamato principe ed imperatore della provincia Subalpina, indica la cerimonia come seguita il 13 di luglio. Chi la troverà di qui a mille anni sarà tratto in inganno. Mentono qualche volta anche i monumenti, nè solo que’ che si pongono ai morti, od ai conquistatori, od ai principi.
Tra l’oratorio e la chiesa del Corpus Domini era la piccola chiesa di San Silvestro, che veniva alquanto negletta.
In febbraio del 1628 i serenissimi principi colle infanti essendovisi recati a perdonanza, una delle infanti fu per cadere dallo scalino dell’altar maggiore, e disse che bisognava provvedere a quella chiesa perchè i confratelli non se ne curavano. Molti religiosi udendo questo l’aveano già domandata, onde la compagnia impaurita fu sollecita di far riformare l’altar maggiore secondo il disegno del signor Carlo Castellamonte. L’anno seguente rifece il campanile.
Intanto nacquero gravi contrasti fra la Città e la compagnia del Corpus Domini da l’una parte, e la confraternita dall’altra, perchè questa pretendeva aver l’uso non solo della chiesa di San Silvestro, ma altresì di quella del Corpus Domini; e la Città non volea concederlo sotto pretesto dell’unione, nè per l’una chiesa, nè per l’altra. Le contese s’accesero, avvelenarono gli animi. Se ne impacciarono l’arcivescovo, il papa inutilmente. Intervenne come mediatore il padre Giovanni di Moncalieri, cappuccino di grand’opinione. Non fu udito.
Nel 1653 il 9 d’ottobre Madama Reale Maria Cristina ebbe la bontà di chiamar le parti avanti di sè, d’udirle per ben qualtr’ore; e all’indomani mandò proponendo per mezzo del gran cancelliere Morozzo, un progetto improntato della sua generosità per la separazione delle due chiese. Si venne ai voti. La confraternita con 138 voti contra 10 contrarii vinse il partito di supplicar Madama Reale di rimetterla ai termini di giustizia. Durò la lite dal 1638 al 1662, nel qual anno al primo di luglio si convennero finalmente le parti intorno alla divisione da farsi, e ciò a mediazione di Petrino Gay, confratello dello
Spirito Santo, e decurione della città di Torino. La maggior parte di San Silvestro rimase alla Città, la quale compensò in danari la confraternita, e chiuse con allo e sodo muro la parte che gli apparteneva secondo il disegno dell’ingegnere Carlo Morello.
Con testamento del 14 gennaio 1763 il confratello Giovanni Battista Bertoldo instituì erede universale la confraternita dello Spirito Santo coll’obbligo di cominciare in termine di due anni la ricostruzione della chiesa. In esecuzione di tale pia volontà vi si pose mano nel 1765 sui disegni dell’architetto Giovanni Battista Ferroggio, il quale lasciando sussistere l’antica struttura, si contentò di variarne l’interna disposizione, e di guernirla di marmi di Valdieri, di rifabbricare Fallar maggiore e la facciata.11
L’antico oratorio avea cinque altari; dietro all’altar maggiore in alto rimase fino ai dì nostri un bel coro ornato di vaghissimi stucchi colla vôlta dipinta. Trattavasi nel 1766 d’aggiungere alla chiesa dello Spirito Santo una elegante facciata sui disegni di Bernardo Vittone; ma venne meno o la volontà, o il danaro.
Ora ne’ due altari, a destra ed a sinistra, le tavole che rappresentano la Madonna col Bambino, S. Carlo Borromeo ecc., e S. Silvestro che battezza l’imperator Costantino, sono dovute a Mattia Franceschini, una delle nostre mediocrità pittoriche Torinesi.
Nella cappella a mano manca entrando, è il mausoleo del maresciallo Bernardo Ottone, barone di Rhebinder, svedese, cavaliere della Nunziata, che fu più volte priore della confraternita, morto il 12 novembre 1743.
Ora i preti teologi del Corpus Domini ufficiando la loro chiesa civica, esercitano per altro le funzioni parrocchiali nella chiesa dello Spirito Santo.
La colomba misteriosa cinta di raggi, emblema del Santo Spiro che la confraternita portava una volta nelle processioni, era di puro argento e del peso d’oncie quattrocento.
La compagnia dispensa annualmente a povere fanciulle varie doti derivanti da legati di Pietro Francesco Perotti, di Bartolomeo Fauson. e d’altri benefattori.
Note
- ↑ [p. 210 modifica]Cum audivit et intellexit miraculum noviter factum de corpore Christi miraculose reperto.
- ↑ [p. 210 modifica]Nell’Archivio della città, nella guardaroba della quattro chiavi.
- ↑ [p. 210 modifica]Storia della chiesa metropolitana di Torino, pag. 245.
Vi sono tuttavia alcune differenze di compilazione non sostanziali: ed i nomi de’ teslimonii presenti al fatto nel documento dell’Archivio dello Spirito Santo sono così: Petrino de Gorzallo. Vetrino Petrino Daerio-Gaspardino Bursi Miolerio. Martino Bellardi et Georgio Gastaldo. et expectabile Michel Muri, et Johanne Farchignono. Bonifatio de Cassano. Bertholomeo Carravino. et il nobile messer Antonio Marcerio di Milano. et molti altri magnifici cittadini, li quali non so il nome, tutti della presente città di Torino; et in essa chiesa de Santo Giovane si fece un bellissimo tabernacolo, il quale è stato finchè fu edificato il domo rìouo si come al presente si chiama volgarmente.
Qui finisce la narrazione del documento che seguitiamo, la quale nel documento dell’Archivo civico ha qualche linea di più che rammenta la processione e la compagnia inslituite in onore del Santissimo Sacramento. Ma non v’è la nota preziosa che accenna al luogo donde fu tratta la narrazione; nota che aggiunge fede più che l’autentica del notaio Valle, il quale non accerta altro fuorchè d’averla collazionata, senza dire se con altra copia, o coll’originale, e dove si conservi. - ↑ [p. 210 modifica]San Martino, Notizie di Domenico Oliviero. Ozi letlerarii, vol. ii.
- ↑ [p. 210 modifica]Ordinati della confraternita dello Spirito Santo, vol. i.
- ↑ [p. 210 modifica]Documenti, categoria i, voi. i, 94. Nell’Archivio della confraternita.
- ↑ [p. 211 modifica]Ragguaglio della solennissima festa celebrata dalla veneranda confraternita dello Spirito Santo di Torino alli 2 giugno 1675 in occasione dell’anno secolare. Torino, Zappata.
- ↑ [p. 211 modifica]V. le lettere d’aggregazione: Documenti, categoria i, vol. ii.
- ↑ [p. 211 modifica]Documenti, categoria i, vol. v.
- ↑ [p. 211 modifica]Dai registri dell’ospizio.
- ↑ [p. 211 modifica]Documenti, categoria i, vol. v.