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196 libro secondo

derogatorie. Vanità inerente all’uomo credere di poter far cosa che duri in perpetuo, d’incatenare colla propria volontà la volontà de’ posteri. Vanita che ogni giorno viene contraddetta dal fatto. Finalmente, siccome quel privilegio doveva interinarsi dal Senato, comandava il duca che non dovesse aspettarsi altra dichiarazione della sua volontà, e che quelle patenti servissero di prima, seconda, terza e perentoria giussione. Era il caso di dire col Fabro, che siffatte clausole, quanto più precise ed insolite, tanto son più sospette; che quella volontà che con artifìziose parole si studia di far comparire ben consapevole di ciò che fa, dà invece indizio d’essere aggirata e tratta in errore; che in tal caso è dovere del magistrato d’esaminare con maggior diligenza il provvedimento, e di far le debite rimostranze se non s’accorda colla giustizia o col ben dello Stato. Il Senato allora interinò il privilegio; ma nel 1645 essendosi supplicata Madama Reale Cristina della confermazione del medesimo, quella principessa aggiunse alle antiche eccezioni i reati di falsa moneta, i colpevoli di misfatti non graziabili, i condannati in pena pecuniaria, e tutti quelli che già fosser caduti nelle forze della giustizia; ed il Senato eccettuò ancora i rei di ribellione alla giustizia, e restrinse l’esercizio del dritto di nomina ai banditi della città e del territorio di Torino.