Storia di Torino (vol 2)/Libro II/Capo III

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Capo Terzo


San Gregorio (ora San Rocco) e la Madonna delle Grazie. — Confraternita di San Rocco. — Sua fondazione. — Rifa la cappella delle Grazie, suo primo oratorio, e la chiesa di San Gregorio. — Soppressione della parrocchia nel 1662. Suo ristabilimento nel 1663. Costruzione della chiesa di San Rocco nel 1667. — Morti abbandonati. Claudina Bouvier. — Un uomo apostolico. — Giuseppe Tasso. — Doti instituite da Anna Spittalier Ayres. — Arco della Volta rossa. — Volta rossa. — Mercato del grano. — Via de’ Panierai. Quando aperta.


Procedendo innanzi nel cammin nostro, vediamo addensarsi le antiche memorie per questi luoghi, che sempre furono il centro, e come il cuor di Torino.

E prima noteremo che la metà circa della via di Dora Grossa, in faccia alla strada d’Italia, era occupata dal cimitero della chiesa parrocchiale di San Gregorio, la quale s’alzava al nord della chiesa presente di San Rocco, quasi in faccia alla torre. Lungo [p. 173 modifica]il lato settentrionale di San Gregorio erasi da Bartolomeo Papa costrutta nel 1574 la cappella di Nostra Signora delle Grazie, la quale facea corpo colla chiesa, non essendone divisa che per cancelli di ferro. Il patronato d’essa cappella passò dai Papa nei Molari, e poi nei Broglia, e finalmente, ma solo in parte, nei padri della Compagnia di Gesù.

Innanzi alla chiesa di San Gregorio stendevasi una piazzetta. Al canto di questa chiesa, presso la torre, adunavasi il parlamento generale del popolo per capi di casa (In conclone admasata in angulo Sancti Gregorii).

Poichè, convien rammentare che lasciavano un assai vasto spazio da un lato il Palazzo del Comune che formava verso la strada un angolo rientrante, e l’aperta per cui dalla via di Dora Grossa s’andava sulla piazza del mercato (dell’Erbe), e dall’altro la casa di prospetto a San Gregorio, che non s’avanzava tanto com’ora verso levante.

La chiesa di San Gregorio avea, nel 1584, settecento parrocchiani, e non ne capiva duecento. Aveva un solo altare, picciola e scura sagrestia, ed era malissimo fornita di sacri arredi.

La sua restaurazione, la presente bellezza della chiesa di San Rocco, che fu surrogata a San Gregorio, e ne serba il titolo parrocchiale, è dovuta alla confraternita di San Rocco.

Una cappella dedicata a San Rocco già s’innalzava [p. 174 modifica]in principio del secolo xvi presso alle fontane di Sta Barbara, le frequenti pestilenze da cui Torino era contaminata avendone introdotto il culto; e presso a quella cappella s’edificava verso il 1522 uno spedale o lazzaretto per gli appestati.

De’ Disciplinanti di San Rocco stabiliti ad ufficiare in quella cappella si ha memoria del 1520.1

Ma sembra che nelle guerre da cui fu travagliato il Piemonte per oltre a ventanni, nella lunga occupazione francese, tal divozione andasse smarrita; solo risapendosi che nella chiesa di San Paolo i disciplinanti di Sta Croce aveano dedicato un altare a quel santo.

Nel 1598, tra le paure dell’imminente contagio, rinacque la già quasi spenta divozione a S. Rocco. Gio. Giacomo Rapini, a nome d’altre pie persone, espose all’arcivescovo Carlo Broglia il desiderio di formare una confraternita di Disciplinanti sotto l’invocazione di S. Rocco, con facoltà d’uffiziare la cappella della Madonna delle Grazie, secondo la concessione che ne faceva uno dei confratelli, Pietro Francesco Broglia, gentiluomo di bocca di S. A. e patrono d’essa cappella. L’arcivescovo eresse la confraternita per decreto del 7 di settembre di quell’anno. Il 19 dello stesso mese il Senato approvava similmente siffatta erezione.

La pestilenza travagliò crudelmente la città di Torino negli anni 1599 e 1600. Riavutasi appena da [p. 175 modifica]quel flagello, i Disciplinanti di San Rocco s’accordarono col rettore di San Gregorio nel 1602 e con Pietro Francesco Broglia nel 1604, per ampliare il loro angusto oratorio. Secondo i patti, rifabbricarono sul disegno di Carlo Castellamonte, e l’oratorio e la chiesa, e condussero come due chiesuole una accanto all’altra, aventi una facciata comune con due porte; l’una, che rispondeva all’altar delle Grazie, avea sopra di se una nicchia colla statua di S. Rocco; l’altra, che rispondeva all’altar di S. Gregorio, aveva una simile nicchia colla statua d’esso santo. Compiuta quell’opera, cominciò a prevalere l’oratorio alla chiesa, perchè quello più orrevole, questa più negletta. Per nuovo accordo col parroco, il SS. Sacramento fu custodito nel tabernacolo delle Grazie o di San Rocco, del quale e il cappellano de’ Disciplinanti e il parroco avean la chiave.

Nel 1620, nato il desiderio d’aver qualche insigne reliquia di S. Rocco, spedirono i Disciplinanti alla città d’Arles il canonico Ludovico Lamberti, rettore di Scarnafìgi, con alcuni confratelli, non senza essersi prima procacciato, per l’intercessione della giovane principessa di Piemonte, una commendatizia del re di Francia per quell’arcivescovo.

Tornarono i messaggi col dono del femore della coscia sinistra, e lo riposero nella chiesa di San Carlo nel borgo nuovo, pur allora costrutta, donde il 21 di giugno fu con solenne processione, ed intervento [p. 176 modifica]della Reale Famiglia e dei Magistrali, recala dall’arcivescovo nell’oratorio dedicalo al nome del Santo.

Questa reliquia fu dapprima riposta in una teca di cristallo donata da Madama Reale Maria Cristina. Con maggiore munificenza Madama Reale Maria Giovanna Battista nel 1722 le surrogò una cassa d’argento lavorata sui disegni di Filippo Juvara, del peso d’oncie mille e trentotto. Nel 1662 desiderando il governo di agevolare ai preti della Missione, poco prima introdotti, i mezzi di adempiere i fini del santo loro instituto, e scorgendo quanto fosse angusta la chiesa di San Gregorio, procurò che abolita quella parrocchia, se ne dispensasse la dote ai Missionarii, scompartendone la giurisdizione fra le vicine parrocchie. Ma la confraternita di San Rocco, assumendosi il carico di costituir novella dote alla parrocchia di San Gregorio, ne ottenne, per bolla dell’undici settembre 1663, il ristabilimento ed il patronato. Ne a ciò conlenta, la compagnia avvisava fino dal 1667 di convertire le due chiese in una sola più capace e più bella. Ebbe per quest’utile scopo consiglio ed aiuto da un illustre suo confratello il presidente Gian Francesco Bellezia; onde, acquistale alcune case verso il meriggio, a breve distanza dal silo in cui erano le due chiesuole binale, costrusse sui disegni di Francesco Lanfranchi la chiesa che di presente si vede. Sul finir di dicembre del 1668, la chiesa era costruita ed in parte coperta, e vedeansi [p. 177 modifica]già levate sui loro piedestalli le otto grandi colonne di cui s’adorna. Verso il 1691 s’alzò la cupola. Nel 1725 fu recato a maggior altezza il campanile. Venti anni dopo scolpivasi la balaustra dell’altar maggiore, secondo il disegno dell’ingegnere Morari. Nel 1755 costruivasi sui disegni dell’architetto Bernardo Vittone l’altar maggiore, ricco di marmi di Valdieri, di Susa, di Frabosa, di San Martino, e d’alabastro di Busca.2

Quando i Disciplinanti s’accinsero a ricostrurre la chiesa di San Gregorio, i Gesuiti, compatroni della cappella delle Grazie, permisero che la medesima si riducesse ad usi profani, sì veramente che i Disciplinanti un’altra ne rifacessero nella nuova chiesa. A quest’obbligo soddisfecero i confratelli molto sottilmente, ponendo un piccolo altare della Madonna delle Grazie nel coro.

Sono da notarsi in questa chiesa il battistero, scolpito in legno da Ignazio Perucca, e la cappelletta che gli sta di fronte della Vergine Addolorata, adorna di scolture in legno di Stefano Maria Clemente.

La facciata di San Rocco fu aggiunta nel 1780 con aiuti dati dalla munificenza di Vittorio Amedeo iii, come appare dall’iscrizione che vi si legge.3

I Disciplinanti di San Rocco furono aggregati all’arciconfraternita di San Rocco di Roma nel 1607; all’arciconfraternita della morte ed orazione di Roma, il cui instituto è di seppellire i cadaveri abbandonali [p. 178 modifica]nel 1668; ed alla confraternita della Dottrina Cristiana nel 1673: e questo pietoso ufficio del seppellire i cadaveri abbandonati l’hanno poi sempre esercitato i confratelli di San Rocco con moltissima carità. Que’ che si rinvengono morti sulle strade o nei fiumi, che non udirono nell’ultim’ora niuna di quelle parole potenti che raddrizzano l’anima al cielo, che non ebber conforto nò d’una lagrima, ne d’un sospiro; che esposti entro alla grata di ferro con un lumicino accanto, furono o non furono riconosciuti, ricevono dai confratelli di San Rocco onorata sepoltura con solenne uffìzio nella loro chiesa. E addì 20 d’agosto del 1804 portavasi in tal guisa il corpo d’una giovane e bella francese d’anni 22, chiamata Claudina Bouvier, trovata nelle acque del Po, il cui caso aveva commosso a grandissima commiserazione tutti i cuori. Era costei nata a Besanzone, e faceva il mestiero di cucitrice a Parigi. Innamorata d’un giovane che lei pure perdutamente amava, avea dato e ricevuto la fede di sposa. Ma ostacoli non preveduti (gli amanti nulla prevedono) impedirono il matrimonio; e fu sì grave il disinganno, che il giovane disperato si tolse la vita. A quell’orrido caso la sgraziata fanciulla si sentì per l’immenso dolore venir meno la ragione. Sperò, fuggendo que’ luoghi, passando a stranio clima, di sottrarsi almeno in parte a quel pensiero, e però venne a Torino. Ma portava la saetta avvelenala nel fianco. [p. 179 modifica]Ne per quanto facesse, poteva allontanar un solo istante quel funesto pensiero che tutta le occupava e intenebrava la mente. Il vacillante lume di sua ragione si spense. Dopo dieci giorni soli, s’alzò una mattina per tempo, ragguagliò per lettera l’ospite sua de’ suoi crudeli delirii, uscì e più non tornò!...

Nel 1638 la confraternita di San Rocco ottenne da Maria Cristina una nomina di morte o galera, la facoltà cioè di liberar dalla pena incorsa un reo che non avesse commesso misfatto di lesa maestà, d’omicidio premeditato o di falsa moneta; privilegio consueto a quei tempi, che vestiva l’aspetto di limosina per le somme che pagavano i banditi alla confraternita da cui chiedean la nomina che dovea salvarli, ma contraria ai buoni ordini della giustizia, e perciò da gran tempo abolita.

La ricchezza di queste confraternite spiegavasi una volta nelle croci d’ebano, di madreperla, d’avorio, di tartaruga, ne’ grandi Crocifìssi, nell’urne e ne’ reliquiarii d’argento, di cui faceano pompa nelle processioni. Ma le miserie degli ultimi anni del secolo xviii inghiottirono ogni cosa; e le ricche opere degli antichi sembrano alla meschinità od alla previdente economia degli odierni concetti malagevoli a rifarsi.

Qui fu parroco soli quattr’anni, e nello scurolo è sepolto, il teologo Giovacchino Giordano, morto il 7 di marzo 1841, vittima della carità, pel tifo [p. 180 modifica]contratto nell’assistere i carcerati da tal morbo colpiti. Era egli nel fior degli anni un raro esempio delle più belle virtù cristiane, delle più elette qualità di sacerdote e di pastore; con sì gentile prontezza offerivasi ad ogni bisogno del prossimo, con sì serena pazienza udivalo, con sì modesto affetto soccorrevalo, con tanta unzione, celando l’autorità, sotto al velo dell’umiltà, ammonivalo, che la sua memoria non cadrà mai dal cuore di chi lo conobbe. Ed io che ebbi questa ventura, e ritrovai in esso l’uomo apostolico fatto secondo il cuore di Dio, glie ne voglio rendere questa testimonianza. E per mostrar meglio qual fosse la sua carità, noterò che in quattr’anni di parrocchia consumò della propria sostanza non meno di lire ottantamila. Succedeva il teologo Giordano in tal ministero all’avvocato Giambattista Giordano, con cui non avea di comune che il nome e la santità de’ costumi, il quale morendo gli pronunziava che l’elezione cadrebbe sopra di lui. E mai confraternita non fece una elezione più fortunata.

Nella chiesa di San Gregorio seppellivasi l’8 di luglio 1627 un forestiero che portava un gran nome, e forse era parente del cantor di Goffredo: il signor Giuseppe Tasso da Bergamo.

Nello scurolo della chiesa di San Rocco giace, oltre ai due parroci già lodati, Anna Catterina Spilallier Ayres, consorella della confraternita, morta nel 1765, la quale legò alla medesima un fondo, i cui [p. 181 modifica]proventi si convertissero in annue doti da distribuirsi a povere fanciulle, con preferenza: 1° alla famiglia Spitallier; 2° alla famiglia Ayres; 3° alle figlie di mercanti cappellai; 4° alle figlie di confratelli di San Rocco che avessero più di dieci anni di professione.

La piazza del Palazzo Civico, chiamata anticamente piazza delle Erbe e prima ancora piazza del Mercato, era chiusa verso levante sulla linea della strada delle Fragole da un grand’arco chiamato della Vôlta rossa Questa Vôlta rossa s’internava tra gli edifìzi che sorgevano a destra dell’arco, con andar tortuoso, e giungeva fino alla via di Dora Grossa. Sotto alla medesima aveano privilegio di collocarsi nei giorni di mercato e nella fiera di S. Giorgio i mercatanti di Chieri. Poco oltre innanzi a San Silvestro era la piazza del mercato del grano, dove accadde, secondo la pia tradizione, il miracolo del SS. Sacramento. Al dilà non era aperta la via de’ Panierai, per cui si comunica direttamente colla Piazza Castello, ma conveniva pigliar la strada che move da San Silvestro (Spirito Santo) e sboccava ancora ai nostri tempi tra il palazzo del duca del Genevese e la chiesa di San Lorenzo.4 Nel 1619 Carlo Emmanuele i fece aprire la via de’ Panierai; nel 1722 s’ordinò la demolizione dell’arco della Vôlta rossa che impediva la vista del Palazzo di Città. Nel 1780 si ricostrussero le case della Vôlta rossa, e quell’antico mercato [p. 182 modifica]disparve. Ma quel cortile che ne serba il nome avrà sempre una pietosa memoria. Poichè cola per cura del venerando canonico Giuseppe Cottolengo, di santa memoria, s’allogavano nel 1827 pochi letti in povere camerette per ricevere infermi abbandonati; e si gettavano così i fondamenti di quella piccola Casa della Divina Provvidenza che, trasferita nel tempo del cholera a settentrione della città, s’apre adesso a tutte le specie di calamita e di miseria, non mantenendosi d’altro che di carità.

La piazza dell’Erbe, così bella di proporzioni architettoniche, è disegno del conte Benedetto Alfieri, zio del sommo tragico.

Fu rifatta in esecuzione d’un biglietto regio dell’8 d’ottobre 1756, che ordinò pure il raddrizzamento della strada d’Italia fino alla torre.

Questa picciola ma graziosa piazza, via più vaga apparirà quando s’adorni del monumento che la grata munificenza del Re innalza ad una delle maggiori glorie dell’antica sua stirpe, Amedeo vi, detto il Conte Verde, morto il primo di marzo del 1385. Il gruppo in bronzo ricorderà una delle battaglie che quel gran capitano combattè nel 1366 e 1367 contro ai Turchi in Oriente, a difesa del greco impero, ch’egli solo, colle sole sue forze salvò dall’imminente ruina. Vedesi Amedeo in tutta la forza e la bellezza della prima virilità che appunta il ginocchio al fianco, e cala con tulio l’impeto del suo [p. 183 modifica]braccio un mortai fendente sul capo d’un Turco, il quale, caduto a terra, tenta rialzarsi, appoggiando la destra al suolo, e colla sinistra cerca, ma invano, di ripararsi dal fato che gli sovrasta. Appiè dell’eroe giace un altro Turco, vittima della tremenda sua spada; e come nel primo si vede espresso mirabilmente il sentimento di giovin guerriero che, vedendosi venir addosso la morte, non si smarrisce, non la teme, ma teme l’onta della sconfitta, nè s’arrende, ma fa l’estremo di sua possa e resiste; così nel secondo, il capo spinto all’indietro, i muscoli del volto irrigiditi, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, il petto rialzato, le membra abbandonate lo dimostrano già interamente fatto preda di morte. Tutte le teste sono antiche, son greche, e se Pelagio Palagi ha consentito a vestir di maglia i suoi guerrieri, la maglia non ne occulta, ma ne adombra le perfettissime forme; ed anche gli scudi e gli elmi ritraggono dei tipi greci, sebbene l’esimio scultore, devoto alla verità storica, abbia sulle armature musulmane innestato varie sentenze del Korano. Non v’ha poi parola di laude che superar possa il magistero con cui questo gruppo è composto; talchè si può dire che la principale difficoltà di tali monumenti, che è appunto la sapiente ed armonica distribuzione delle diverse figure, è stata con singolare felicita superata. Questo classico lavoro è eminentemente degno d’una capitale, e d’una capitale italiana.

Note

  1. [p. 188 modifica]Liber consil., fol.34.
  2. [p. 188 modifica]Tutte queste notizie le ho tratte dai documenti originali dell’Archivio della confraternita di S. Rocco.
  3. [p. 188 modifica]

    QVAM S. ROCHI SODALITAS
    VRBIS ET ADVERSVS LVEM PATRONI
    EREXERAT AEDEM
    PARAECIAE IVS ADEPTA CXVII ABHINC ANNIS
    EIQVE DOTE STATVTA
    INTVS ORNARAT
    AVGVSTISSIMI REGIS VICTORIS AMEDEI III
    ACCEDENTE MVNIFICENTIA
    EXTERIVS DECORAVIT
    ANNO MDCCLXXX.


  4. [p. 188 modifica]Via del Cappel verde. Ivi, dove ora è l’albergo delle Tre Picche era il collegio de’ cantori del Duomo.