Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro I/Capo III

Capo III – Università e altre pubbliche Scuole e Seminari

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Capo III – Università e altre pubbliche Scuole e Seminari
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[p. 156 modifica]Capo III. Università ed altre pubbliche Scuole e Seminarti. I. Fra’ molti frutti che dalla magnificenza de’ principi e de’ signori italiani raccolser le lettere in (questo secolo tanto ad esse glorioso, non fu l ultimo quello di veder fiorire sempre più lietamente l’ antiche università, e sorgerne altre nuove, emulatrici del loro nome, e tutte procacciarsi a gara l’onore di avere sulle lor cattedre i più celebri professori che allor vivessero. I tumulti e le vicende a cui ne' primi anni del secolo xvi fu soggetta l’Italia, furono ad alcune di esse cagione di molto danno, e alcune ancora si vider costrette per lungo tempo a tacere, finchè venissero tempi migliori. Ma non sì tosto cominciarono le nostre contrade a respirare un’aria più libera e più serena, che presto si videro tutte le università risorgere a ì [p. 157 modifica]PRIMO l5"f nuova vita, e pel favore de loro principi e de’ lor magistrati acquistar fama ancor maggiore di quella di cui in tempi più lieti aveano goduto. Ne vedremo le pruove nel decorso di questa Storia, ove avrem sovente occasione di ragionare dei’ professori ad esse invitati degli ampii stipendii loro proferti, della gara delle università per avere i più rinomati tra essi, e delle numerose schiere di stranieri d’ogni nazione che movean da’ loro paesi ad udirli. Qui frattanto facciamoci a ricercare generalmente qual fosse lo stato loro e quali le lor vicende. II. L’ università di Bologna non ebbe mai in questo secolo alcuna delle vicende alle quali l abbiam veduta soggetta ne’ precedenti. La protezione de’ romani pontefici, da’ quali ella fu onorata di molti e ragguardevoli privilegi, e il zelo de’ suoi magistrati la renderono sempre più illustre e gloriosa. I dottissimi uomini che ad essa furon chiamati, trasser colà gran numero di scolari; e il solo Romolo Amaseo, quando Padova nel 1525 sel lasciò fuggir di mano, fu seguito a Bologna da tutti quanti erano gli stranieri che sotto di lui apprendevano l’ eloquenza (V. Bembo, Lett, famigl. l. 3, Op. t. 3, p. 118). Abbiamo nelle Poesie del Casio la descrizione di una solenne disputa che ivi tenne nell’ anno medesimo un certo Niccolò fiorentino giureconsulto, la quale ci dà una magnifica idea del gran numero d uomini dotti che trovavansi allora in Bologna; perciocchè vi veggiam nominati, oltre più altri, Giammaria Cattaneo, Galasso Ariosto, Francesco Molza, [p. 158 modifica]

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Giulio Camillo, Atilonio Brocasdo, Romolo Amaseo, Giambatista Fio, Achille Bocchi, Lazzaro Buonamici, Carlo Gualteruzzi, Girolamo Previdelli, Agostino Beroo (Libro intitolato Bellona), tutti celebri per sapere e per opere da lor pubblicate. Di molti altri professori che ivi tennero scuola, e il cui nome sarà sempre glorioso fra letterati, farem menzione a suo luogo. Ad accrescer lustro sempre maggiore giovò non poco tra gli altri l impegno di Lodovico Boccadiferro nobile bolognese, e professore di filosofia: La felice memoria del Boccadiferro, scrive il Falloppia ad Ulisse Aldrovandi, non attendeva ad altro che alla grandezza di questo studio, in guisa, che egli fece condurre il Corte, l Alciato; e fevvi quello studio così honorato infino al 45, che al mondo non fu mai veduto il più honorato (V. Fantuzzi1 C’ita di Ulisse Aldrov. p. 206). Ma questa università non avea ancora sede degna della sua fama. La magnifica fabbrica che ancor al presente si vede, fu cominciata nel 1562, ed essa si dovette in gran parte a S. Carlo Borromeo legato allor di Bologna, della cui magnificenza assai dovrem dire in questo capo medesimo, e al vescovo di Narni Pier Donato Cesi allora governatore e poi cardinale, Io rimetto chi ha desiderio di vederne la descrizione all Alidosi (Istruz. delle cose notab. di Bol p. 160), e invece riporterò qui il bello ed eloquente elogio che il Sigonio allor professore in Bologna fece al suddetto cardinale Cesi, sì per gli abbellimenti d'ogni maniera da lui proccurati a quella città, sì principalmente per quel maestoso edifizio [p. 159 modifica]PRIMO l5o che per opera ili esso orasi in pochi anni condotto a fine. Itaque, così egli scrive offerendogli la sua opera sulla Repubblica degli Ateniesi, in communibus laudum virtutumque tuarum praeconiis, alii quidem acqui tu ti s, alii prudentiae, alii moderationis, alii benignitatis tuae magnitudinem praedicant, (alii, ut cujusque animus atque judicium est, publica opera per te. prope infinita curata magna consensione concelebrant; nempe fluvios coercitos, aquas inductas, vias direct as, /ora constructa, scholas instauratas, regiam multis et magnis in partibus perpolitam, et reliqua ejusmodi memorantes, i/iine ta «mu tanta et tam multa hoc quadriennio perfecisti, quanta et quam multa ne omnes quidem, 17/n' /mio «r/11 prue ¡iterimi, omnibus ante saeculis cogitatione sua taciti designarunt Ego vero cum haec omnia cum caeteris eximia, atque omni laude et commemoratione dignissima judico, tum perpetuam istam curam, quam tu in hac restituenda atque ornanda omnium antiquissima Accademia posuisti, omnibus aeternae tuae gloriae monumentis ac laudi. bus anteporlo. Admiror autem non ipsam solum in studiosa j noeti tu te undique in hanc urbe allicienda industriam, sed etiam in eadem retinenda, fovenda, et salii tari bus ad virtutem capessendam legibus adstringenda prudentiam. Nam quid de magnifico ipso ac prope divino scholarum opere dicam? quo celeritate incredibili, diligentia singulari ad exitum fastigiumque magna cimi admi catione perdue to, cum oninem antiquorum in simili genere gloriam superasti, turn postcris s'ix ullam post ai mas mille [p. 160 modifica]

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laudis ejusmodi spem reliquisti I diversi collegi fondati in questo secolo stesso in Bologna son pruova del numeroso concorso clic a quella università si faceva, e fra essi son degni di special ricordanza quello eretto nel iò.ji dal cardinale Bonifazio Ferreri per la sua nazion piemontese, il Collegio Montalto istituito dal pontef Sisto V, e quello degli Ungheri fondato nel 1537, de' quali e di altri collegi si posson vedere più copiose notizie presso il sopraccitato Alidosi (l. c. p. 24, ec.). III. Varie furono, e or più or meno felici le vicende di quella di Padova. La lega di Cambray, che pose a sì gran cimento la Repubblica veneta, costrinse i magistrati a rivolgere ad uso troppo più necessario il denaro che a mantenere i professori soleva impiegarsi. Quindi dal 1509) fino al t 517 fra 'l continuo rumor dell armi ammutoliron le scienze, e le scuole rimaser deserte. Ma non sì tosto cessata quell impetuosa procella, trovossi la Repubblica in pace, che si volse tosto il pensiero a riaprire l università. Padova inviò a tal fine suoi ambasciadori a Venezia j e il senato ne secondò di buon animo le richieste, ordinando che s’invitassero da ogni parte i più celebri professori, e destinando a soprantendere col titolo di Riformatori allo Studio tre patrizii veneti, Giorgio Pisani, Marino Giorgi e Antonio Giustiniani (Facciolati, Fasti Gj rnn. patav. pars 3, p. 1). E si vider presto non pochi dottissimi uomini salir quelle cattedre e rendere a quella università l'antico suo lustro, e insiem fin dal 1519) diedesi cominci amento alla nuova fabbrica della [p. 161 modifica]PRiMO »Gl medesima (ib. p. 3). Molto ella dovette al Bembo, che recatosi verso il tempo medesimo a Padova, ove si trattenne poscia più anni, giovò non poco ad avvivare il fervor negli studi, e ad accrescer nuova fama a quelle scuole. Alcune delle sue Lettere famigliari ci mostrano qual fosse il zelo e la premura che per esse egli avea, all’occasione singolarmente che avendo un certo Giovanni Spagnuolo, che ivi leggeva filosofia con molto nome, chiesto accrescimento di stipendio, e non volendo i Riformatori accordarglielo, ei minacciava di andarsene altrove: Alla vostra lettera, scriv egli al Rannusio nell’ottobre del 1525 (Lett famigL t. 2, l. 3; Op. t 3, p. 118), per la qual mi date contezza che M. Marin Giorgio e M. Francesco Bragadino Riformatori dello Studio di Padova non voglion sentir per niente che si dia accrescimento di duecento fiorini allo Spagnuolo, non ho risposto prima, che già veggo che opera et oleum perit. Solo dirò or questo, che M. Marino ha voluto guastar questo bello ed onorato Studio, di cui egli è guardiano, e gli è molto ben venuto fatto il pensiero.... Siate sicuro che questo povero Studio quest’ anno quanto alle arti non arà quattro Scolari, oltra quelli del nostro dominio, che vi ci staranno mal loro grado, e sarà l ultimo di tutti gli Studi. Me ni lui interest; se non in quanto essendo io di cotesta patria mi duole veder le cose, che sono d’alcun momento all’ onor pubblico, andare per questa via molto lontano da quello che si dee desiderare e procacciare... Questi sono giudici di M. Marin Giorgio, che pare appunto che porti Tiradoschi, Voi X. n [p. 162 modifica]LIBRO odio a tutti quelli che 0anno le belle e buone U'tterc, o che le vogliono apparare e sapere E questo anno passato lasciò partir di qua M. Ilo mulo (Àinaseo), il quale era più necessario, che Lettor che ci fosse, ed hallosi lasciato tornila' Bolognesi, che sel conoscono, ed hannolo ben caro, ec. E che questo non fosse zelo sol di parole, ben diello a vedere il Bembo, offrendosi pronto in altra sua lettera a Marco Minio a cedere allo Spagnuolo cento fiorini su que trecento che il Consiglio de Dieci pagavagli ogni anno per l’incarico addossatogli di scriver la Storia della Repubblica ivi, l 5. p. 138). Ma la morte dello Spagnuolo frattanto accaduta (Facciol. l. c p. 274) troncò la contesa (*). Qualche disturbo dovette qyesta università sostenere nel i52~ per le fazionate le risse che si svegliarono fra 1 Bresciani e i Vicentini. Ne troviam menzione nelle Lettere di Lucilio Maggi bresciano, detto Lucilio Filalteo, il quale si duole che la fazione de1 Vicentini fosse sì ardita e sediziosa, che i Bresciani non poteano aver pace (Pìùlalth. Epist. p. 28). Ed egli dovette in fatti sul finir di quell’ anno ritirarsi a Bologna, c fu anche (*) Il sig. aliate L unpillas (Saggio^ par. 2, p. 175) ha qui rilevato con ragione l’equivoco da me preso nel credere Giovanni Mantesdoca morto nell’an 1525, mentre ciò non accadde che nell’an 1532. Per ciò poi che appartiene allo sdegnarsi che egli fa meco, perchè io l’ho chiamato un certo Giovanni Spagnuolo, e alle altre cose ch’ ei dice a questo proposito, io chiederei di gittare troppo inutilmente il tempo, se mi trattenessi a ragionare di tali puerilità ed inezie. [p. 163 modifica]»•RIMO costretto a difendersi dall’accusa di essere stato un de capi delle sedizioni ivi eccitate. Ciò non ostante tra il 1530 e’l 1535 era quello Studio fiorente assai e rinomato; e Aonio Paleario I scrivendo verso quel tempo a Cincio Frigepani, ed esortandolo a venirsene a Padova, ove egli era, gli parla di quella università, come della i più celebre che allora fosse: Poetae, Oratores, Philosophi non ignobiles Patavii habitant; et l sapidi tia in unam urbem commigravit, veluti in aliquam domum, ubi Pallas omnes artes docet; neque ullus locus est, ubi melius tua illa inexhausta legendi et audiendi aviditas exsatiari possit. Così il Paleario (l. 1, ep. 8). Eravi in fatti grande concorso ancor di stranieri e di oltramontani; e come raccogliam da una lettera di Stanislao Orichovio a Paolo Rannusio scritta nel 1549, ogni anno fin dalla Russia Bianca mandavansi molti giovani di raro ingegno in Padova, i quali tornando poscia alla lor patria, vi conducevan seco l’amor delle lettere, e la gentilezza delle maniere, sicchè, com egli afferma, quella provincia cominciava già a rendersi piacevole e mite, e ad esser molto inclinata alla letteratura greca e latina (Epist cl. Viror. Venet. 1568, p. 65). Le Poesie latine di molti Tedeschi per la partenza da Padova di Giorgio Purkirker che ivi avea finiti i suoi studi, stampate nella stessa città nel 1564, ci mostrano che grande era il lor numero \ e di questo concorso abbiamo un’altra pruova presso il Facciolati, il quale narra che l anno stesso trovaronsi in Padova fino a’ 200 Tedeschi che studiavano la giurisprudenza (l. c. p. 17), [p. 164 modifica]>64 LIBRO e ce ne fa ancor fede il Faloppia in una sua lettera dell an 1558 all’Aldrovandi, scrivendogli: Il numero de Scolari è molto grande, massimamente degli Artisti: vi sono di molti nobili SS. et di continuo ne vengono {l ita di Li Aldrov. p 201). In questa stessa lettera nondimeno egli si duole c lic molte cattedre si lascin vote, e più apertamente in un’altra del 1561: Questi Signori non sono più innanimiti punto a questa historia o philosophia vera et certa delle piante et metalli Non hanno denari, nè vogliono ritrovarne per lo Studio, di modo ch io avvanzo parecchi fiorini di bollette scorse, et guai a chi loro adimandasse 400 scudi per questa lettura (di storia naturale), della quale non sono informati, nè mai si lascieranno informare, estimando che altra lettura non sia al mondo salvo quelle che si usano qua (ivi, p. 212, ec.). Anche al Bonfadio che allor trovavasi in Padova, pareva che fin dal 1543 quella università fosse alquanto decaduta. Lo Studio di Padova, scrive egli al co. Fortunato Martinengo (Bonfad. Lett. p. (63), è più presto debile che altrimenti. Jeri i due. primi Leggisti fecero parole alle scuole: L Oradino mentì l Ausuino; i A usuino diede a lui un gran pugno; non so che seguirà. « Ma dopo la metà del secolo sembra che questa università salisse a grandissima fama presso le lontane nazioni. Ne è pruova la lettera dedicatoria con cui Jacopo Zabarella, di cui diremo a suo luogo, offrì nel 1578 la sua Logica a Stefano re di Polonia, da cui egli stesso era stato con promessa di larghi premii invitato a [p. 165 modifica]primo 1(35 passar professore in Cracovia j ma egli non avea voluto mancare all’impegno che colla Repubblica veneta avea contratto., Or ecco di qual nome le università italiane, e quella di Padova singolarmente, godevano in quel regno: Quii ni cnim, gli dic egli, ab urbe regia longe absens in ultimis Regni tui finibus bellum gore re s, ad omnia fere Italiae gjmnasia, cui Patavina ni prac serti ni, nuncios misisti. qui litcrafos vi ras omniumque disciplinarum professores Cracoviam magnis propositis praemiis tuo nomine advocarent. Quamvis enim in illa nobilissima urbe Gymnasium vetustissimum adhuc floreat in quo viri, ut audio, eruditissimi omnes liberales disciplinas magna cum laude prnfitentar 7 eo tamen tu non consentus, simulatque regnum inisti, novam Academiam accersitis ex Italia doctoribus extruere constituisti ». Così veggiamo questa università da diversi scrittori e in diversi tempi rappresentarcisi in diverse maniere; il che ci mostra ch ella era comunemente in ottimo e lieto stato, ma soggetta insieme a quelle vicende e esposta a que lamenti a cui tutte le università sono esposte, o per l'incostanza dei tempi, o pe difetti, o pe capricci degli uomini. Il.Facciolati ci ha data la serie di tutti i rettori così dei' giuristi come degli artisti, a’ quali fu in questo secolo affidata la cura di quello Studio. E tra’ primi son degni di special ricordanza il co. Giorgio Paleocappo dell'isola di Candia, che l'anno 1 f>44 fece che si riformassero gli Statuti di essa, e che con provide leggi se ne accrescesse il concorso che sembrava diminuirsi Facciol, l. cit. [p. 166 modifica]i6(> ' j.iiiro p. io); Ferdinando I)adda milanese die noi1 anno i545 andoSsene a Venezia con singolare magnificenza a congratularsi col nuovo doge Francesco Donati, e nell’anno seguente rallegrò gli scolari e Padova tutta con magnifiche feste (ib. p. 11); Agostino Mozzi bergamasco, che nel 1558 pubblicò novecento proposizioni che tutta abbracciavano la giurisprudenza, e gran parte innoltre della teologia, della filosofia e della matematica, e per sei giorni di seguito pubblicamente le sostenne nella cattedrale con grande stupore degli ascoltanti (ib. p. 14) > Giambalista Florio udinese, che nell’anno stesso, compito il suo magistrato, fu sulle spalle degli scolari riportato alla sua casa; ed essendo morto Tanno seguente, fu onorato di solennissime esequie (ib.); Carlo Federigo da Ossa Sassone, che nel 1565 profuse per sostenere splendidamente la carica sino a quattordicimila scudi «foro (ih. p. 27). E ciò basti aver accennato intorno allo stato dell’ università di Padova in questo secolo. Delle leggi in diversi tempi pel regolamento della medesima promulgate, de’ diversi collegi ivi istituiti, e di altre cose ad essa attinenti, ognun può vedere un minuto ragguaglio nell opera più volte accennata del Facciolati, che a questi tempi comincia ad esser più esatta e più copiosa. IV. Benchè le leggi delle Repubblica anche in questo secolo rinnovate, affin di render più popolose le scuole di Padova, vietassero di tenerle altrove, ciò però doveasi intendere solamente riguardo alle scienze maggiori; che quanto alla letteratura greca e latina eranvene [p. 167 modifica]Pii IMO lG'7 professori in più altre città, come avremo non rare volte occasion di osservare. E Venezia principalmente ebbe professori di molto nome, come Battista Egoazio, Pietro Alcionio, Vittore Fausto e più altri. Anzi da una lettera di Paolo Manuzio del 1553, scritta a Jacopo Griffoli, si raccoglie che in quell’anno si era fatto decreto di condurre tre professori di belle lettere, che in tre diversi sestieri della città tenessero pubblica scuola collo stipendio di 200 annui ducati (Lettere volg. p. $47). Una lettera di Apostolo Zeno al marchese Giuseppe Gravisi ci fa conoscere che questo erudito cavaliere avea formata la serie dei’ professori di belle lettere, che in Capodistria aveano pubblicamente insegnato dal 1468 fino al 1540 tra’ quali si annoverano Rafaello Zovenzoni da Trieste, che fu ancora buon poeta latino, Francesco Zambeccari bolognese, Cristoforo Muzio padre del celebre Girolamo, e morto nel 1524, Marcantonio Crineo, Palladio Fosco da noi nominato altre volte, Ambrogio Febeo, Bernardino Donato e Giovanni Giustiniani (Zeno, Lett. l. 3, p. 44*)• E lo stesso potremmo dire di altre città, se non volessimo fuggire il pericolo di ripeter più volte le stesse cose. V. Le guerre, dalle quali al principio di questo secolo agitata fu la Tosc;jìa, e in cui gran parte ancora ebbe Pisa, furon di non legger danno a quella università (a). La serie delle (a) L‘ università di Pisa può finalmente vantarsi di avere una Storia degna del suo nome. Monsig Angelo Fabro ni, dopo avere colle sue Vite degl Italiani [p. 168 modifica]lG8 LlllRO funeste vicende a cui essa fu sottoposta, è stata minutamente descritta dal sig. Fabbrueci più altre volte da me lodalo (Calog Jia.cc. t. 51, p. i, ec.), c io perciò sarò pago di farne un sol cenno. Dappoi die Pisa tornò nel t5(X) in potere de1 Fiorentini, questi pensarono a far risorgere lo Studio ornai distrutto e disciolto, e l’anno i5i5 furon nominati cinque patrizi fiorentini, a! quali ne fu affidato l’incarico; e alle loro sollecitudini aggiuntasi la liberalità di Leon X, che per cinque anni assegnò all’ università tremila ducati annui sui beni ecclesiaillustri per lettere, e con quelle di Cosimo e di Lorenzo de Medici, recata sì gran luce alla storia della letteratura italiana, ci ha dato ora di fresco il primo tomo della Storia dell’ Università di l’isa scritto con molta erudizione e colla consueta sua eleganza. In esso ei non giunge che a tempi del duca Cosimo I, e pochi anni perciò comprendo del secolo xvi «li cui io scrivo. Mi verrà nondimeno opportuna occasione di valermene talvolta nel decorso di questo tomo, ragionando di alcuni de’ professori che ivi insegnarono. Mi spiace solo che questa pregevolissima Storia troppo tardi al mio bisogno abbia veduta la luce, sicchè io non ho potuto valermene ne’ precedenti tomi di questa Storia; ove io avrei singolarmente con piacer rammentato il bel d«> cumento, il qual dimostra che sin dagli ultimi anni del secolo xii esisteva Studio pubblico in Pisa. facendosi in esso menzione del Bidello degli scolari pisani, i quali perciò dovean formare un corpo distinto, come anche nelle università moderne è costume, Io desidero che l’esempio dell'università di Pisa sia dalle altre imitato, giacchè ci convien confessare che, trattane la bolognese, la cui Storia è stata sol cominciata, e aspetta tuttora la continuazione, le altre non hanno ancora avuti scrittori tali delle loro vicende, che si possan leggere con piacere e con frutto. [p. 169 modifica]PRIMO l(X) siici, e poscia per altri cinque la riscossion delle decime fino alla somma di cinquemila ducati, avea già essa cominciato a divenir di nuovo famosa, e ad allettare molti stranieri a frequentarne le scuole. Ma la peste da cui fu quella città travagliata l’an 1525, la cessazione de’ sussidj pontifìcii dopo il prescritto decennio, e la guerra che di nuovo si accese in Toscana tra i Medici e i Fiorentini, condusser di nuovo lo Studio a un quasi totale abbandono (a). A Cosimo I dovette Pisa il vantaggio di veder finalmente riaperta la sua università, c di rimirarla in poco tempo salita a più alto grado d’onore, che non avesse mai ottenuto. Questo gran principe, benché non ancora ben fermo sul nuovo trono, e circondato continuamente da possenli nimici, non solo volle che f anno 15.{3 si riaprisse quel pubblico Studio, e che da ogni parte vi fossero invitati con ampi stipendi i più celebri Erofessori, ma fondò ancora un collegio detto i Sapienza, in cui quaranta giovani de’ suoi Stati dovessero per sei anni essere mantenuti agli studi, e senza alcuna spesa ricevere i consueti gradi d’onore (Fabbrucci N. Bacc. t.6, (a) È sommamente onorevole ai’ Pisani il decreto con cui unitisi insieme nel 1536 alcuni cittadini stabilirono su loro beni un fondo, con cui, mentre la lor patria giaceva dalle passate calamità abbattuta ed oppressa, potessero ad altri Studj mantenersi alcuni giovani che tornando poi alla patria le fossero di giovamento col lor sapere e co lor consigli (Dal Borgo, Diplom. p. 428$ Tempesti, Discorso dell Istor. letter, pis. p. 102, ec.; Fabbroni, p. \o\). ~ / [p. 170 modifica]

  • 7° LIBRO

P 1 > ec- j Bianchini, Ragionane de gran Duclii di Toscana j p. 5, ec). Alle premure e alla magnificenza di Cosimo corrispose il zelo di Filippo del Migliore, a cui singolarmente affidò il sovrano la cura di quella università. Uomo assai dotto ed amico di tutti gli eruditi di quell’età, raccolse da ogni parte quanti ne potè avere de’ più illustri, e si videro ivi in pochi anni adunati i più chiari ingegni d’Italia. de’ quali dovremo in seguito ragionare (Fasti consol. dell Accad. Fior. p. 11, 110 Notizie dell Accad. Fior. p. 40 ec.). L’esempio di Cosimo fu imitato dai’ principi che gli succederono, e singolarmente da Ferdinando I, il quale non solo tra gl'italiani trascelse e invitò all’università di Pisa i più dotti, ma fece ancora, benchè invano, le più ampie proferte a Giusto Lipsio, che godea allora la fama d'uomo eruditissimo, perchè colà si recasse, e un nuovo collegio innoltre vi aggiunse che dal suo nome fu detto Collegio Ferdinando, ove a spese delle diverse città dello Stato fossero mantenuti più altri giovani j e finalmente fece ivi ampliare ed arricchire l’orto botanico già cominciato da Cosimo I (Bianchini, l. c. p. 55, ec.) Nè fu sola nella Toscana l’università di Pisa, in cui per la magnificenza de’ Medici si avesse dagli studiosi ogni agio a coltivare le scienze. Firenze ancora e Siena, come aveano avuto in addietro, così continuarono ancora in questo secolo ad avere le loro università. E quanto alla prima, qual fosse la premura de' Fiorentini nell'invitare alle lor cattedre gli uomini principalmente più celebri nell amena letteratura, ccl [p. 171 modifica]rniMO i • mostra f offerta da essi fatta a Cristoforo Longolio di oltre a 300 zecchini annui, e della loro cittadinanza, quando ei venisse a tenere scuola in Firenze di belle lettere (Longol. Epist. l. 2, p. 289, 291, ed. lugdun. 1542). Ei non vi venne, ma più altri dottissimi professori vi furono in questo secolo, fra’ quali il solo Pier Vettori basta a rendere quella università immortale. Quella di Siena, che per le lunghe guerre da questa città sostenute era ormai vicina a disciogliersi, fu sostenuta e avvivata da Cosimo I (Bianchini, l. c. p. 10), da Francesco I che nel 1583 accrebbe il numero e gli stipendii de professori (ivi p.>36)j e più ancora da Ferdinando I, il quale, fatta riformare quella università nel 1590, volle che fino a 35 fosser le cattedre nelle quali le scienze tutte e le arti s’insegnassero, e le accordò privilegi ed onori per cui essa potè in qualche modo gareggiare colle altre università più famose (ivi, p. 58). Aggiugniam per ultimo un bell' elogio che delle pubbliche scuole di Lucca fa Ortensio Landi, che di colà passò nell'an 1534, e che dopo aver dette gran lodi di quella città e di (quella Repubblica, così dice di esse: Nusquam vidi tantam adhiberi curam, quo boarum artium studia floreant. Undique, si sit opus accersuntur amplo stipendio. qui juventutem et bonis moribus imbuant, et optimis artibus instituant. Accessi enim saepius ad vestros Pi'ofessores, ncque certe potui, ut nihil dissimulem, non ex animo invidere vestrae juventuti, quae tam studiose discit, et tam egregie in slitui tur: fovtunatos illos, bona si sua norint. \ [p. 172 modifica]•7^ LIBRO E nomina fra essi Battista Pio e Gherardo Diceo (Forcian. Quaest. p. 2, ec.). VI. Io vorrei potermi stendere alquanto nel ragionare dell'università di Pavia, la quale, a dir vero, in ciò ch è sceltezza e valore de professori, non fu inferiore ad alcun altra: e ne vedremo le pruove nel trattar che di essi faremo ne’ due libri seguenti. Ma intorno ad essa sì poche son le notizie che ne troviamo negli scrittori di que' tempi, e sì poco n’ è stato scritto da’ più recenti, che non ci è possibile il darne alcun distinto ragguaglio. Grande è la serie de documenti che nell’ archivio di essa conservansi, indicati nell’Elenco altre volte accennato dall avv Parodi. Ma essi per lo più versano intorno ad alcune leggi pubblicate pel regolamento della università, alle promozioni, alle condotte, a congedi de professori, al tempo c albore in cui debbonsi tener le scuole, e soprattutto a un certo onorario de’ Capponi, che ad ogni tratto si nomina, cose tutte che non ci danno idea dello stato in cui quella università si trovasse. Solo da alcuni di essi veggiamo che così i re di Francia, finchè fu loro soggetta quella città, come que’ di Spagna, poichè passò al loro dominio, e in amendue l epoche il senato di Milano, ebber gran cura di sostenerne ed accrescerne il nome, singolarmente co molti ed onorevoli privilegi da lor conceduti agli scolari non meno che a’ professori. Ma vi fu qualche tempo ne primi anni del secolo, in cui la guerra avendo esausto l erario, il danno ne cadde ancora sui' professori: Marlianus, scrivea nel dicembre del i5aa [p. 173 modifica]PRIflO j-3 Andrea Alciati a Francesco Calvi (Marq. Gudii Epist. p. 96), qui Senatui praesidet et Gymnasii Papiensis tutelam sustinet, ultro operam suam mihi obtulit, ut grandi stipendio profitear. Sed in praesentia id fieri non posse ait, propter summam aeris penuriam, qua Dux noster opprimitur. E nel febbraio dell anno seguente (ib. p. 98): Ego in ea Ac.adernia pro/iteri nolim, quod sciam in praesentia non esse, quod Doctoribus detur; omnia absumunt milites, nec praeter bona verba habet Dux, quod togae praestet. Il maggior lustro però, ch essa in questo secolo ricevesse, le venne dal pontefice S. Pio V e dal cardinale S. Carlo Borromeo. Amendue aveano ivi ne’ lor primi anni atteso agli studi j e amendue si mostrarono grati al frutto che tratto ne aveano, non solo coll’onorare quella università della lor protezione e del loro favore, ma colla erezione di due magnifici e ben dotati collegi che sono tuttora due de’ più ragguardevoli ornamenti di quella città e di quello Studio, e amendue ritengon tuttora il nome dei’ loro fondatori.. VII. Ciò che nel capo precedente si è detto della magnificenza de duchi di Ferrara nel fomentare gli studi, ci può persuader facilmente che l’università di quella lor capitale fu in questo secolo una delle più rinomate. In fatti da un documento accennato dal! Borsetti (Hist. Gymn. ferrar, t. 1, p. 139) raccogliesi che al principio di esso fra gli altri stranieri eranvi non pochi Inglesi, sicchè essi nel corpo della università formavano una distinta nazione. Le lunghe ed ostinate guerre, dalle quali il duca Alfonso I VII. Di quella i Vairara. [p. 174 modifica]‘7 Ì LIBRO iti travagliato, lo costrinsero suo malgrado a sminuire il numero dei’ professori j ina non sì tosto ei cominciò a respirare alquanto, che tosto rivolse l’ animo a far risorgere più gloriosa di prima quella università, e pubblicò a tal fine l editto che dal suddetto scrittore si riferisce (ib. p. 61). E ad esso sembra alludere il Calcagnini!, ove dice: Hanc ut facile commodeque possimus nobis comparare, magnanimus atque lue ictus Prìnceps Alphonsus fluctuantibus licet rebus Italiae "gymnasium florentissimus et dottissimo rum Uomini un joecuudissimum aperuit (Encom. Artium liberal. Op. p. 555). La tranquillità di cui comunemente godettero quegli Stati al tempo di Ercole Il, fu felice alle scienze e alle arti; e l università di Ferrara fu a quei’ tempi piena di valentissimi professori, e frequentata da scolari di ogni nazione in gran numero. Anzi la guerra che ardeva nelle vicine provincie, fece che da ogni parte colà occorresser coloro che cercavano a’ loro studi un sicuro ricovero: Nos hic hoc anno, scrivea nel 1556 Bartolommeo Ricci ad Aonio Paleario (Op. t. 2, p. 418), ex Patavina pestilentia, belloque Etrusco, atque ad Montium pedem, ut ajunt, frequentissimum ac nobilissimum cum auditorum tum etiam doctorum sumus gymnasium habituri. Ma fanno seguente anche il duca Ercole II fu costretto a prender l armi in difesa del pontef Paolo IV, e questo armamento costrinse i professori a tacere, e il danaro loro dovuto fu rivolto agli usi di guerra (ib. p. 71), 2$r]). Come questa però ebbe nell anno medesimo e principio e [p. 175 modifica]fine, così non è a dubitare che la università non fosse tosto riaperta. E certo così negli ultimi anni del detto duca, come a tempi di Alfonso II di lui successore, fu sempre quella università al par d’ ogni altra fiorente, e appena v’ ebbe uom celebre per sapere, che non venisse a farne pompa da quelle cattedre. Vili. L1 università di Torino fondata al principio del secolo precedente, come a suo luogo si è detto, e trasportata poscia più volte ora ad uno or ad altro luogo per cagione delle guerre, non avea ancor sede ferma e sicura. Più infelice ancora fu la condizione di essa nei primi sessant’ anni di questo secolo 7 quando que sovrani costretti a star lungi da’ loro Stati, dovean prima pensare a riacquistarli, che a far in essi fiorire le lettere e le arti. Ella ebbe nondimeno l onore al principio di questo secolo di conferire la laurea teologica al celebre Erasmo, che venendo in Italia nel 1506, volle ivi prendere quell onorevol grado. Così ci assicura Beato Renano e nella Vita di Erasmo e nella dedicatoria da lui fatta delle Opere del medesimo a Carlo V nel 1540; e lo stesso confermasi dal Pingone, che ne fissa ancora il giorno a 4 di settembre, e ne accenna in pruova gli archivii e le note della città e del collegio de’ teologi (Augusta Taurinorum. ad an. 1506); i quai monumenti però ora più non si trovano, come mi ha avvertito l altre volte lodato sig baron Vernazza (’). Quando il grande (*) Erano già sotto il torchio queste pagine, quando il sig. baroli Ve ma zza, a cui tante volte nel decorso [p. 176 modifica]‘yU LIBRO Emanuel Filiberlo neutro finalmente nel i5tv4 nel possesso di lutti i suoi Stati, trovò un1 ombra, per così dire, di università, ciie allora di questo tomo io mi son confessato debitore di rare e pellegrine notizie, mi ha da Torino trasmessa copia di moltissimi documenti da lui di fresco trovati nell’archivio di quella città. Havvi tra essi la nota dei’ laureati nell università di Torino dal 14f)7 ^uo al i5n, e dal 1543 fino al 1.*>(>{? c da questa siamo sempre più accertati che Erasmo ivi ebbe l’onor della laurea, trovandosi in essa inserito il suo nome: R. D. Erasmus Roterodamus Ord. S. Augustini Monasterii vulgo dicti de Stazen in Dioc. Trajcciens. in J io I Lindi a in Siterà Theologia 4 Septcmhri 1 k>6. Avvi ancora il diploma con cui il duca Emanuel Filiberto fondò l’università in Mondovì, segnato in Vercelli gli 8 dicembre del 1560, del fiorire della quale, oltre le pruove da me già citate, un’ altra ne ahbiamo nelle Prefazioni del Menochio a’ suoi Comentarii in omnes praecipuas recuperandae possessionis constitutiones stampati in Mondovì nel 1565, ov egli allora leggeva; nelle quali nomina con grandi elogi Annone Cra vetta, Francesco Vimercati, Giovanni Argenterio e Giambattista Giraldi che ivi erano professori, e Antonio Goveano fatto poc’anzi consigliere del duca, e bernardino Paterno passato a Padova. Molti atti innoltre vi si conservano concernenti la lite che si accese fra la città di Mondovì e quella di Torino, quando questa rientrò sotto il dominio del duca Emanuel Filiberto. Pretese questa allora, che fosse di sua ragione l’onore di avere una pubblica università, e produsse testimonianze e pruove in gran numero, che, trattone qualche breve intervallo di tempo, sempre era ivi stata, benchè or più, or meno fiorente, l università degli studi; il che di fatto comprovasi e dalla serie de laureati da me citata e da quella dei professori di diversi anni, che nello stesso archivio conservasi, e dalle molte deposizioni de’ testimonii che vi si recitano distesamente ^ e la lite durò dal 1563 fino al 1566, nel qual frattempo per ordin sovrano or furon sospese tutte le [p. 177 modifica]PRIMO I r'j risedeva in Mondovì. Benchè l erario dopo sì lunghe guerre fosse quasi del tutto esausto, ei nondimeno aveva anche in addietro rivolto il pensiero ad avvivare i troppo languenti studi, e nella stessa città (prima ancor che Torino gli fosse renduto) volle che molti celebri professori invitati da ogni parte dTlalia tenesse»* pubblica scuola. Di questo riaprimento dell’ università di Mondovì parla Giovanni Tosi, che allor vivea, nella Vita di Emanuel Filiberto, dicendo (l. 2, p. 170, ed. Mediol. 1601) che coll offerta di ampii stipendii egli allettò molti de più dotti uomini in ogni sorta di scienze a fissar la lor sede in quella città; e che a quelli de’ suoi sudditi che in altre università insegnavano, comandò che a lui ne venissero. E racconta il Tosi di se medesimo, ch essendo egli in quel tempo andato alla corte di Emanuel Filiberto, per trattare di gravi affari a nome del governatore di Milano, e avendo in nome di esso pregato quel principe a permettere ad Aimone Cravetta da Savigliano famoso cattedre, or fu ad umendue le città permesso di aprir pubblica scuola; finché a1 22 d’ottobre del 1566 fu ordinato elio in Moudovì più non si tenesse scuola di sacre lettere e di ragion canonica e civile e delle arti, e che i lettori dovewer passare a Torino, ed ivi a' 3 di novembre cominciare le scuole. Non cessaion però «lei tutto le gare, e nel i58f a’ 29 di dicembre convenne far nuovo ordine, che non si leggesse in Mondovi nè istillila nè logica, nè verun’altra scienza, «li cui fosse scuola in Torino, con una penale di cento scudi si ai professori, che agli scolari, i «piali a tal legge contravvenissero. TinAJioscui, Voi X. 12 [p. 178 modifica]l'jS L1BHO giureconsulto di trattenersi ancora ad insegnare in Pavia, il duca risposegli sorridendo, ch’ egli avea per le città del re Filippo e pe’ loro vantaggi quella premura medesima che avea per le sue \ die conveniva perciò, che le cose fossero uguali da una parte e dall altra; e che quindi il Cravetta tanti anni leggesse in Mondo vi, quanti già aveane letti in Pavia. Soggiunge poi il Tosi i nomi di molti dei’ più illustri professori che colà allor si recarono, cioè tra1 teologi Giacopino Malefossi e Giannambrogio Barbavara; tra’ giureconsulti, oltre il Cravetta, Antonio Govea portoghese, Giovanni Manuzio francese e Guido Panciroli j tra1 filosoli e medici, Francesco Vimercati, Marcantonio Capra, Giovanni Argenterio e più altri tra matematici, Francesco dell'Ottonaio e Giambattista Benedetti, e finalmente Giambattista Giraldi oratore e poeta, per la fama de quali quella università divenne in breve una delle più rinomate, e vi concorse in poco tempo gran numero d uomini celebri per sapere (a). Di essa abbiamo ancora menzione nelle Lettere dal suddetto Giraldi scritte a Pier Vettori; in una delle quali gli scrive che Emanuel Filiberto avealo colà condotto colfannuo stipendio di 400 scudi d’ oro, e che ivi egli trovavasi assai lieto del nuovo suo stato (EpistadP. Trict. t. 1,p. 101). Questa lettera è segnata in Mondovì a 22 di (a) De’ professori chiamali alla università di Parigi la prendi elogi il Giraldi qui mentovato in un capitolo diretto e unito a? suoi Hecntomiiuti, ne1 quali di ciascheduno di essi ilislintameulc lagiuua. [p. 179 modifica]PRIMO 179 giugno del 1554* Ma certamente vi è errore nell’ anno, e deesi leggere i5(>4, nel qual anno appunto è scritta la lettera con cui il Vettori gli risponde (Vie torti E pi st. I. 5, p. j 22). Aggiugne nella stessa lettera il Giraldi, che Arnoldo Arlenio celebre libraio, udito avendo per fama della università ivi apertasi, colà si era recato per esercitar la sua arte, del che diremo di nuovo e più a lungo nel parlare della propagazion della stampa. Quando poscia Emanuel Filiberto ricuperò la capitale de’ suoi Stati, ad essa volle che si trasferisse l’università ancora con dispiacere de’cittadini di Mondovi, a’ quali però lasciò il duca alcune cattedre, per non privargli interamente di quel vantaggio di cui aveano finallora goduto. Questo trasporto dal Tosi sembra assegnarsi allo stesso an 1562, in cui egli rientrò in possesso di quella città (Lcitp. 180). Ma le Lettere del Giraldi ci mostrano ch’esso non era ancora seguito nel 1564, nè nel seguente; e in fatti il Pingone lo differisce fino al 1566 (Augusta Taurinor. ad h. a.). In tal maniera ritornata finalmente l’università di Torino all'antica sua sede, dalla protezione e dalla magnificenza di Emanuel Filiberto, e poscia degli altri duchi che gli succederono, ricevette ornamento c lustro sempre maggiore; e benchè inferiore a molte nella’ antichità dell’ origine, non fu loro inferiore in autorità ed in fama. IX. Abbiamo veduto nel tomo precedente (t. 6, par. 1), che Alessandro VI intraprese, la nuova e magnifica fabbrica dell’università di Roma; e alla testimonianza che allora uc [p. 180 modifica]1^0 LIBRO abbiam recata di Andrea Fulvio, si può aggiugnere quella di Paolo Cortese, il quale scriveva nel tempo stesso che’ essa si andava innalzando, e loda il consiglio di quel pontefice che avea finalmente assegnata alle scienze una sede degna di esse, destinando a tal fine il denaro che ricavavasi da tributi degli Ebrei (De Carrii naia tu, /- a, p. 104). Alla magnificenza di Alessandro nel fabbricare si aggiunse poi quella di Leon X nell’ invitare i più eruditi tra’ professori a salir quelle cattedre. Agostino Nifo, Girolamo Bottigella, Giano Parrasio, Basilio Calcondila, Marco Musuro e più altri dottissimi uomini furono a tal fine da lui chiamati a Roma, e poscia con ampissime ricompense premiati delle loro fatiche. Promulgò Leone ancor molte leggi pel migliore regolamento di quelle scuole, che si accennano dal più volte lodato P. Caraffa (De Gymn. rom. t. 1, p. i<)8), e in tal maniera ottenne ch’esse uguagliassero il nome delle università più famose: Sa fi a fiuper, dice egli in una sua Bolla del 1514 » citata dal suddetto scrittore (ib. p. 201), ad Srtmtììiuf1 Pontificati un divina providen ti a cani assumpti fuissemus, • et restitutis in pristinis juribus dilectis filiis populo Romano, inter alia ver tigni Gjrmnasii Romani multis ante annis ad alios usus distractum eisdem restituissemus, ut Urbs Roma ita in re litteraria sic ut in ceteris rebus totius orbis Caput esset, procurai vimus, accersitis ex diversis locis ad profitendum in Gymnasio praedicto viris in omni doctrinarum genere praeclarissimis, quo factum est, ut precedenti anno Pontificatus nostri [p. 181 modifica]PRIMO | B t primo Itilis stmlentium numerus ad eandem Urbem confluxerit, ut in Gj mnasium Romanum inter omnia alia totius Italiae principatum facile obtenturum videatur. I tempi di Clemente VII furono troppo fatali a Roma non men che alle scienze; e perciò vidersi allora per più anni deserte le cattedre e mutoli i prò* fossori. Sotto Paolo III risorse l' università romana, e sostenuta da lui non meno che da romani pontefici che gli vennero appresso, fu onorata da molti egregi professori, accresciuta di fabbriche, e distinta con molti ragguardevoli privilegi. Sisto V singolarmente ad essa ancor fece parte di quella regia magnificenza di cui diè sì gran pruove nel suo pontificato; perciocchè e scontò il debito di ventimila'scudi da essa contratto, e deputò una congregazione di cardinali ad averne più special cura, e stese ed ampliò molto le fabbriche ad essa da’ prede* cessori suoi destinate; delle quali cose ognun può vedere un più distinto racconto presso il sopraccitato scrittore. Altre università erano allo stesso tempo nello Stato ecclesiastico. Paolo III l'an 1540 una nuova ne fondò in Macerata, della cui erezione abbiam la Bolla nel Bollario romano. Di essa parla Dionigi Attanagli in una sua lettera a Giovanni Carga, scritta a’ 26 di agosto del 1559), in cui dopo aver dette gran lodi del clima, delle fabbriche, degli abitanti di quella città, così aggiugne: Lo Studio non ha ancora molto grido et concorso, per esser quasi ne' suoi primi principii, ma se la pace durerà, non dubito che in breve tempo non si faccia [p. 182 modifica]182 LIBRO grande et famoso (Lettere di diversi, t. 3, Im., Aido, i564) (flf È probabil però, che questa nuova università ricevesse non leggier danno da un altra che non lungi da essa aprì il pontef Sisto V. L’an 1303 avea Bonifacio VIII fondato uno Studio generale in Fermo, come a suo luogo si è detto (t 5, par. 1), il quale poscia per le consuete vicende era venuto meno. Or Sisto V nel 1585 con sua bolla lo rinnovò; ed è agevole a conoscere che due università vicine doveano vicendevolmente opporsi a’ lor felici progressi. Durava frattanto quella ancor di Perugia, la quale abbiam veduto ch era stata in gran fiore ne' secoli precedenti. Egli è ben vero che una lettera di Aonio Paleario ci potrebbe far credere ch’ essa in questo secolo fosse decaduta di molto; perciocchè egli scrive di averla abbandonata, perchè tutta spirava rozzezza e barbarie (l. 1, ep 9). Forse però il Paleario volle con ciò dir solamente che quella università era comunemente rivolta a’ gravi studi della giurisprudenza, i quali al Paleario oratore e poeta sembravan per avventura barbari e incolti. Ed è certo ch’essa ancora fu oggetto della premura e del zelo de’ romani pontefici; perciocchè Gregorio XIII rilasciò ad essa più censi di cui era debitrice alla Camera, e reca(<7) Questa università divenne allora sì celebre, die, come ha osservato il eli aliate Secassi (Vita del Mazzoni, p. 88), il celebre Giulio Poggiano volendo esortare e istruire il Graiiani allor giovinetto a scegliere un luogo opportuno agli studi, potè dirgli che, se voleva a lui credere, avrebbe anteposta Macerala, qual era allora, non solo a Padova, ma anche a Parigi. [p. 183 modifica]PRIMO |83 tosi a visitarla personalmente, animò que giovani allo studio, e diede opportuni soccorsi di denaro per la fabbrica delle scuole (Maffei, Ann. di Greg. XIII, t. 1, p. 61, 62), e inoltre abbiamo nel Bollario alcune nuove leggi che a renderla sempre più celebre promulgò Clemente VIII nel 1593; il che ci mostra ch’essa era ancora e per frequenza di scolari e per valore di professori assai rinomata. XI. Riguardo a quella di Napoli, il Giannone stesso confessa (Stor. civ. di Nap. l. 34, c. 8, 1), che nel decorso di questo secolo per la lontananza de sovrani, e per le diverse vicende a cui quella città fu soggetta, si sostenne languidamente. Nondimeno non le mancò mai un giusto numero di professori, tra’ quali ne veggiamo alcuni assai celebri per dottrina. La loro serie si può vedere nella Storia dello Studio di Napoli del sig Giangiuseppe Origlia (t 2, p. 1, ec.), e noi ne nomineremo parecchi nel decorso di questo tomo. Ma non mancò a quel regno chi saggiamente pensasse a far sempre più fiorire gli studi. Ferrante Sanseverino principe di Salerno era amatore insieme e protettore de’ buoni studi, e del coltivarli ch egli facea, abbiamo in pruova alcune leggiadre Rime che si leggon tra quelle di Laura Terracina. Della sua munificenza nel fomentarli abbiamo la testimonianza di Bernardo Tasso, a cui egli fu liberale di larghi 'stipendii!, come di lui parlando vedremo. Or egli formò l idea di riaprire in Salerno lo Studio clic era vi una volta sì celebre, singolarmente pel valor de’ suoi medici. Tra le Lettere del suddetto [p. 184 modifica]xn. Profeuori intigni <l»ianuti alle univemù. 134 LIBRO Bernardo due ne abbiamo da lui scritte in nome del principe al Cardinal Trivulzi legato di Bologna, nelle quali caldamente il prega a perd mettere a Giannangelo Papio salernitano, uno de’ più celebri giureconsulti di quella età, di venirsene a tenere scuola in Salerno (t 1 lett. 2j)4 ì 7 Corniti.), e una al mede^ simo Papio, in cui lo invita alla lettura della mattina nel detto Studio, ricordandogli ch' ei dee ad ogni altro luogo antiporre la patria (ivi) lett. 295). In altra lettera lo stesso Tasso fa menzione di Messer Matteo Macigni condotto alla lettura di Filosofia nello Studio di Salerno dal Principe mio Signore (ivi, lett. 122). Ma è probabile che le sinistre vicende a cui il Sanseverino fu sottoposto, quando abbandonato il partito di Cesare per seguir quello del re di Francia, e dichiarato perciò ribelle, fu costretto ad andarsene esule da’ suoi Stati, fosse a questo Studio cagione o di rovina o di gravissimo danno. XII. Tal fu lo stato delle università italiane nel secolo xvi. Ma oltre esse in più altre città, benchè non avessero università compite, ossia Studio generale di tutte le scienze, furono nondimeno professori assai valorosi singolarmente nell'amena letteratura. Così vedremo nel seguito di questa Storia che Genova ebbe Jacopo Bonfadio e Giampiero Maffei, Parma: e Sabbioneta, come si è detto, Mario Zizzoli: Modena, Francesco Porto, Carlo Sigonio e più altri: Reggio, Sebastiano Corrado: Imola e Serravalle nella Marca Trivigiana, Giannantonio Flaminio: Brindisi, Quinto Mario Corrado: Vicenza, Giano [p. 185 modifica]PRIMO i85 Parrasio; e lo stesso dicasi di più altre. La copia ch’ era in Italia d’ uomini assai dotti nelle lingue greca e latina, facea che le città quasi tutte potessero provvedersi di opportuni maestri, e quindi il genio della letteratura andavasi sempre più dilatando, e produceva frutti sempre più lieti, come ben si raccoglie dal si gran numero di eleganti scrittori in ogni sorta di lettere e di scienze che a questi tempi furo 11 tra noi. XIII. Ciò non ostante, non pareva ancor provveduto abbastanza alla educazione de’ fanciulli, oggetto troppo importante ad ogni ben regolato governo, per non dover ad esso rivolgere le più premurose sollecitudini. I pubblici professori non poteansi avere senza assegnar loro lauti stipendii; nè tutte le città poteano sostenere sì grave spesa. Molti di essi innoltre, dopo avere, per qualche tempo occupata la cattedra, se veniva loro proferta miglior condizione e più copiosa mercede, abbandonavan tosto e scuola e scolari, per correre ove un maggior guadagno aspettavali. A ciò aggiugneasi che al sapere de professori non sempre si univa in essi l' impegno di formar valorosi discepoli; e che alcuni paghi soltanto o di ar* ricchirsi, o dir far pompa del loro ingegno, poco curavansi di ciò che avvenisse de' loro allievi. Per ultimo accadeva talvolta che insiem co precetti della letteratura i professori inspiravano nell’animo de loro scolari o coll esempio della lor vita, o co’ famigliari loro ragionamenti, massime e consigli di tal natura, che al buon costume e alla religione ne veniva non [p. 186 modifica]l8G LIBRO leggier danno. Di tulio ciò abbialo veduto piò pruovc ne’ secoli precedenti, e alcune ancora ce ne offrirà questo di cui scriviamo. I principi e i magistrati vedeano cotali incomodi; ma era troppo difficile il trovare ad essi un opportuno ed efficace rimedio. Quando una società d uomini religiosi, che a questi tempi si formò nella Chiesa, parve che tutti riunisse in sè que’ vantaggi che all’ educazion de giovani erano necessarii. Perciocchè facendo essa special professione di lettere, e non ammettendo tra’ suoi chi non sembrasse per esse ben disposto dalla natura, poteasi sperare fondatamente che se ne potessero trarre non pochi atti alle cattedre; e questi avvezzi a vita frugale e stretti dalle leggi a cui spontaneamente eransi assoggettati, nè esigevano ricchi stipendi, nè erano dal lor privato interesse inviati a cambiar sovente dimora. Quindi lo spirito di Religione, e diciamo ancor, se si vuole, lo spirito stesso di Corpo, essendo il motivo e la regola del loro operare, ne avveniva ch’essi tanto più si credesser felici, quanto maggior frutto traessero dalle loro fatiche; che perciò non perdonassero a diligenza e a mezzo alcuno per rendere i giovani loro affidati utili alla Chiesa, allo Stato, alle lettere; che si recassero vicendevole ajuto, e al mancar dell’ uno sottentrasse tantosto l’altro col medesimo impegno; che di niuna cosa temessero maggiormente, che di esser ripresi di negligenza nell’adempimento de’ lor doveri: e che tutte le loro forze e i loro talenti consecrassero volentieri a formare gli animi giovanili alla pietà c [p. 187 modifica]primo iSy alle scienze. Un corpo d'uomini raccolto e formato per tal maniera, non è maraviglia che rivolgesse a sè gli occhi di tutti, e che fosse tosto richiesto e adoperato a tal fine in ogni parte d Italia. Ognun vede ch' io parlo della Compagnia di Gesù, che fondata da S. Ignazio di Lojola, e approvata fanno i54° Paolo III, tra molti oggetti abbracciò ancora, anzi in modo particolare e con nuovo esempio si consacrò a quello d’ istruir la gioventù nelle scuole. L’argomento di questa Storia non mi permette di passar sotto silenzio i contrassegni di amore e di stima ch essa in questo secolo ricevette da' principi italiani che l introdussero ne’ loro Stati, e le affidarono i loro sudditi, perchè ne ricevessero l educazione. Ma a sfuggire ogni sospetto di prevenzion favorevole, di cui potrei essere per avventura accusato, io non entrerò qui nè a raccontare minutamente la fondazione di ogni collegio, nè a difendere il metodo da Gesuiti nelle pubbliche scuole introdotto, nè a tessere un affettato elogio degli uomini dotti che son da esse usciti. Dirò sol brevemente di alcune delle principali città a cui furon chiamati, scegliendo quelle scuole singolarmente che dovettero la lor fondazione a’ sovrani d’Italia. Anzi in ciò fare io non varrommi giammai di scrittori Gesuiti, che potrebbon esser creduti troppo parziali, ma sol di stranieri, le testimonianze dei quali, se saranno lor favorevoli, ridonderanno in onore di que’ sovrani medesimi che di un tal mezzo si valsero a vantaggio de’ loro Stati; e io verrò con ciò ancora a mostrare quanto debba agli stessi principi l’italiana letteratura. [p. 188 modifica]«88 LIBRO XIV. E dee nominarsi prima crocili aìlro il »Collegio romano, non perchè esso l’osso il primo i in origine, che innanzi ad esso più altri già se n’erano aperti, e singolarmente que di Messina e di Palermo, per opera del vicerè Giovanni Vega, e della vicereina Eleonora di lui moglie; ma perchè la liberalità e il favore de" romani pontefici, cioè di Giulio III, di Pio IV e singolarmente di Gregorio XIII, il renderono in fama e in dignità superiore agli altri. Io non farò menzione delle Bolle de’ romani pontefici, nelle quali si parla di esso con singolari encomii. Ma mi sia lecito almeno di recare il giudizio che ne formò un uomo assai dotto, cioè Aldo Manunzio il giovane, il quale pubblicando Tanno i5G3 le Storie di Sallustio, al Collegio romano le dedicò con sua lettera, in cui dopo aver detto il piacere che avea Tanno precedente provato nel veder Roma e tanti pregevoli monumenti d antichità, così prosiegue: Sed ncque, marmorei/m alluni acneumve siimilacrum, ncque septem colli uni aspectus, neque augusta illa Capitolii facies, tantam animo meo jucunditatem ad ni i ra tio ne ni ve attutit, quantam Collegii vestri dignitas et ordo, in quo nihil ad inanem voluptatem, aut ad brevem usum, omnia vidi ad aeternum gloriae fructum, ad certam animoriim salutoni insti tuta ltaque concurstis ad vos majores fiunt, nec dubitandum videtur, cum vobis in ista tam nobili disciplina non honor aut quaestiis, quorum rerum spe muti toruni solet excitari industria, sed divina tantum praemia proposita sint, quin haec ante, paucos annos a summo viro Ignatio Lojola [p. 189 modifica]PRIMO 189 inducía bene merendi consuetudo et perpetua futura sit, et uberiores non in hac modo Civita te, veruni in imiverso terrarum orbe fructus ferat. Quae est enim Civi tas, quae gens, quae natio sanctissimis Christi legibus addicta, quae non probet maxime vestrum institurum, quae vos non recipiat, atque adeo non accersat cui erlidien da ni juventutem, ad mores conformandos, ad Religionem propagandam ? Quindi dopo più altre lodi ch’io tralascio, tornando alle scuole, continua: Quae cum ipse mecum cogito, et cum liae.c intueor, quae in urbe Roma sedulo quisque vestrum interpretandis optimis libri s, ex cep tis dumtaxat, qui ad jus civile aut ' ad medendi rationem pertinent cohortando monendo, vigilando pro communi emolumento praestat, deberi vobis judico a bonis viris omnia, nec ullam esse tan /ani laudem, quae cum vesta s (oliata mcritis non longe inferior esse vide a tur. Dovremo altrove parlare di alcuni che nel decorso di questo secolo ivi insegnaron con lode; e qui accennerò solamente uno non Italiano, ch era professor d’eloquenza in quell’anno medesimo in cui Aldo seri vea le cose poc’anzi rif’eriLe, cioè il celebre Pietro Perpiniano natio del regno di Valenza in Ispagna, le cui Operazioni per la soda eloquenza e per la rara eleganza con cui sono scritte, si leggono ancor con piacere e con frutto, e che morto poi in età immatura tre soli anni appresso, meritò di essere onorato con grandi elogi da’ più dotti uomini di quel tempo, e singolarmente da Paolo Manuzio (l. 8, ep. iy). [p. 190 modifica]19° LIBRO XV. I Medici e gli Estensi, che nell onorare della lor protezione le lettere ottennero in questo secolo sì gran nome, ne dieder pruova anche coll’introdurre nelle capitali de’ loro Stati questa nuova religione. Il collegio di Firenze detto di S. Giovannino dovette la sua fondazione nel 1551 alla gran duchessa Leonora di Toledo moglie di Cosimo I, il qual pure colla sua liberalità v'ebbe parte, e innoltre a molti nobili e ad altri di quella città, fra’ quali Bartolommeo Ammanati scultore ed architetto assai rinomato, e Laura Battiferra di lui consorte, donna celebre pel suo valore nell'italiana poesia, fecero al nuovo collegio liberal donazione di tutte le loro sostanze. Leopoldo del Migliore (Firenze Illustr. p. 189, ec.) e il Baldinucci (Notizie dei' Profess. scc. 4, por, 2, p. 1, ec.) ne parlano assai lungamente, e nel parlarne si stendon tanto sulle lodi di que’ Religiosi, ch’io non potrei senza traccia d’affettazione inserirne qui il racconto. Accennerò solamente l onorevole testimonianza che lor rendette il suddetto duca, quando trattandosi nel 1555 d’introdurli nel regno di Francia, e trovandosi a ciò fare contrasti gravissimi, il fondatorS. Ignazio bramò che i principi, i magistrati, le università degli Studii dichiarassero intorno ad essi il proprio lor sentimento. L’attestato di questo sovrano è stato dato alla luce da Leopoldo del Migliore (l. c. p. 196), e in esso egli dichiara: Religiosos Clericos Societatis de nomine Jesu nuncupatae proximis annis in Ducali nostra Civi Ulte Fior. receptos in spirituali bus exercitiis [p. 191 modifica]PRIMO lyt Divina officia celebrandi, Confessiones audiendi, Verbum Divinum praedicandi, juventutis Orthodoxae fidei et literarum elementi a inslruendae, ac honestae conversationis exemplo ita versori, tios et subditos nostros ejns socictatis, corunn/ue, 17«/ o/j/o7 mos diversantur, minime hactenus. poenituerit, et in dies uberiora speremus. Nella stessa occasione fece a que’ religiosi conoscer Tumore che per essi nutriva il duca di Ferrara Ercole II. Perciocchè per dare ad essi un attestato ancor più solenne, ordinò che tutta l’università di Ferrara si radunasse e che dichiarasse intorno a medesimi il suo sentimento. Esso si può vedere presso il Borsetti (Hist Gymn. Jerr. t 1, p. 202), e io mi astengo dal riportare il decreto medesimo e le cose che a questa occasione aggiunse il suddetto scrittore, perchè non sembri che’ io vada sollecitamente in traccia di elogi e di panegirici. Il collegio di Ferrara avea avuto cominciamento nell’anno stesso che quel di Firenze: e il medesimo duca ne avea in certo modo gittato i fondamenti coll’assegnar dal suo erario 200 annui scudi a mantenimento di que’ religiosi Rodi, Ann. di Ferr. mss. ad h. an.)? la qual somma fu poscia per liberalità di più altri di molto accresciuta {*). Lo stesso duca Ercole li ebbe non picciola (*) Benché il duca di Ferrara Ercole II contribuisse, alla fondazione del collegio de Gesuiti in quella città, la fondazione però se ne dee propria mente a Maria Frassoni finalese maritata in Ferrara in Lanfranco Gessi ministro assai caro a quel duca; alla quale perciò fu nella chiesa dei' Gesuiti innalzato in segno di gratitudine un ouurevole muuuiueulu. [p. 192 modifica]lya LIBRO parie nella fondazione del collegio di Modena, che avvenne nel i55a, e a cui pure non poco contribuì il zelo del cardinale Morone vescovo allora di questa città, e di più nobili cittadini. XVI. Quasi al tempo medesimo più altri principi italiani fondarono altri collegi a Religiosi medesimi ne’ loro Stati. Il cardinale Ercole Gonzaga e poscia il duca Guglielmo li condussero a Mantova, e assegnarono ad essi annuali rendite (Donesmondi, Stor. Eccl. di Mant, t. 2, p. 269). Al duca Ottavio Farnese dovettero essi la fondazione de due collegi di Parma nel 1562, e di Piacenza nel 1584 Di questo secondo singolarmente parla a lungo il ch proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 10, p. 218, ec.), e qui ancora io lascerò, pel motivo poc’anzi accennato, di ripetere ciò che quell’erudito scrittore ne dice. Finalmente Emanuel Filiberto duca di Savoia appena rientrò ne suoi Stati, che tre collegi in tre diverse città fondo a Gesuiti, cioè in Mondovì, in Chamberì e in Torino. De due ultimi fa menzione Giovanni Tosi nella Vita da noi altrove accennata di quel gran principe, il quale insieme descrive quanto rapidamente si spargesse a que tempi la Compagnia di Gesù, e qual fosse di essa il concetto degli uomini: Ac sane eo tempore latissime patebant Jesuitarum sodalitates; celebre e rat id nomen, magnaque de illorum tum doctrina tum probitate in Christiana Republica omnium opinio. Atque initia quidem illorum parva, sed incrementa et accessiones maximae. Mi rum est autem, quantum in omni doctrinae eruditionisque genere brevi tempore profece vini J [p. 193 modifica]PRIMO. ig3 (Vit. Emman. Philib. l. 2, p. 212); e siegue poi annoverando alcuni de’ più dotti uomini che a quel tempo erano tra Gesuiti, e dicendo più altre cose in lor lode. Ma alquanto diversamente parlò di loro in quella occasione Giambattista Giraldi che, come si è detto, era allor professor di belle lettere nell università di Torino. Perciocchè avendo il duca concedute a Gesuiti le pubbliche scuole, credette che queste bastassero ad istruire i giovani nell eloquenza e nella poesia, e perciò soppresse nell università quella cattedra, è congedò il Giraldi, facendogli però contare oltre i Lfoo scudi dvoro del suo stipendio, altri 100 pel viaggio. Quindi il Giraldi poco soddisfatto di que nuovi maestri, da quali vedeasi tolta la cattedra, scrivendo a Pier Vettori nel marzo del 15.69: Princeps ille, gli dice, qui Oratoriam ac Poeticam facultatem profiteretur, in Academia sua habere constituit neminem, quod satis esse censuerit Jesuitas nescio quos suo in Collegio hoc muneris cum puerulis ac infantibus obire, qui cum Despauterio quodam barbaro plane auctore molliti in genia obscurissima, ne dicam foedissima, imbuunt barbarie. Me tamen abeuntem praeter annuam 400 aureorum nummum stipem, quam liberaliter exsolvit, centum etiam scutatis aureis donavit (Epist ad. P. Vict. t. 2, p. 36). Io non mi tratterrò a esaminare le accuse che appone a’Gesuiti il Giraldi, giacchè non è mia intenzione il fare apologie. Dirò solo, che la Gramatica del Despauterio era allora la men cattiva che nelle scuole si usasse; e che non è a stupire che que Religiosi ancora se ne valessero, Tiraboschi, Voi. X. i3 [p. 194 modifica]iy4 lìbuo sinché non nc ebbero una migliore. E diverso assai da quel del Giraldi fu il giudizio che di quelle scuole diedero al tempo medesimo altri uomini dotti 5 di alcuni dei’ quali ho recate le parole poc’anzi, di altri assai più potrei ancora recai le, se non mi fossi prefisso di non trattare di questo argomento, se non quanto il fine di questa mia Storia da me necessariamente richiede. Quindi a giustificare in qualche modo l’unanime consentimento dei’ principi italiani di questo secolo nel commettere l’educazione de’ giovani a’ Gesuiti, mi basterà il ricordare il giudizio che delle loro scuole diede uno de’ più dotti scrittori del secolo stesso, il cui nome è ancora e sarà sempre in venerazione presso i saggi estimatori del vero merito, cioè il celebre Bacone da Verulamio, il quale non può cadere in sospetto di giudice o per ignoranza o per parzialità accecato: Quae nobilissima pars priscae disciplinae dic’egli parlando della maniera di educar nelle scuole la gioventù, revocata est aliquatenus quasi postliminio in Jesuitarum Collegiis, quorum cum intueor industri am solerfiamque tam in doctrina excolenda, quam in morbus informandis, illud occurrit, Age si lai de Pharnabazo: Talis cum sis, utinam noster esses (De Augment Scient l. 2, p. 22, ed. Amstel. 1730). E altrove: Ad Paedagogicam quod attinet, brevissimum foret dictu: Consule Scholas Jesuitarum. Nihil enim, quod in usimi venti, bis melius (ib. l. 6, p. 388). E a questo attribuisce egli stesso il vantaggio che alla Chiesa romana avean essi recato: Nuper etiam intueri licet Jesuitas (qui partim studio proprio, [p. 195 modifica]pniMO iy5 nartirn ex aemidatione adversanonim literis strenue incubuerunt) quantum subsidii viriumqua 1U triturine Sedi reparandae et stabiliendae attulerint (ib. L 11 P\. XVII. Potrei qui aggiugnere similmente molte altre città alle quali o da pubblici magistrati, o da’ vescovi, o dai’ primarj cittadini furono a questo fine medesimo chiamati i Gesuiti j e ciò gioverebbe a provare sempre più chiaramente qual fosse in questo secolo l’uni versile impegno di tutta l'Italia, per avere nelle pubbliche loro scuole tali maestri da' quali si potesse sperare alla lor gioventù la più opportuna educazione. Ma a non trattenermi troppo oltre su questo argomento, conchiuderò accennando soltanto la sollecitudine e la magnificenza con cui in ciò adoperassi S. Carlo Borromeo, valendomi a tal fine dell'autorevolissima Vita che ne scrisse il Guissano, di cui ho tra le mani l'edizione romana del 1610. Egli narra dapprima l’introdurli che il Santo fece in Milano nel 1563, e il concedere che poscia lor fece la chiesa di S. Fedele, che da lui stesso fu ancora magnificamente rifabbricata (l. 2, c. 7). Quindi ragiona del Collegio detto di Brera ad essi pure assegnato, e de' beni di cui per mantenerlo fece lor dono: Ne di tte il possesso, dic’egli (l. 3, c. 1), alli detti Padri con autorità Apostolica alli 4 di Ottobre 15"a, dandosi principio a questo celebre Collegio, con obbligo che i Padri insegnassero ancora C\ ramatica et Humanità pubblicamente, oltre alli studi maggiori, massime a figliuoli poveri. Nel che non solo mostrò grandissima carità verso XVII. E (la S. (jf* lo Borro»« u. [p. 196 modifica]196 LIBRO la Città e patria sua, ma diede insieme occasione alli Padri di servire a Dio altamente, ajutando i suoi poveri.... Certo che l'erettione di questo Collegio fu una delle giovevoli imprese y di egli facesse, havendo dato tal ajuto al suo Clero per la comodità delle Scuole d ogni Scienza, che sbandita quella primiera e generale ignoranza, si sono poi visti, e si veggono tanti Letterati, che si può comodamente provvedere alle Chiese Collegiate di buoni Teologi, conforme al decreto del Sacro Concilio 'Tridentino, e conferirsi le Prepositure et i beneficii Curati a soggetti tali, che siano anche degni di Vescovadi, e finalmente si può prevalere la Chiesa di molti homini eruditi et dotti per tutti i bisogni et occorrenze. Nè solamente la Chiesa di Milano ha sentito questo beneficio, ma insieme ancora quelle della Provincia, et altre più lontane, perciocchè con una sì bella commodità di Studio pubblico vengono dalle Città vicine e lontane molti Ecclesiastici e Laici a finire il corso de loro studi, come si fa in Roma nel Collegio Gregoriano. Questo collegio fu sempre carissimo al santo cardinale, e dieci giorni soli prima della sua morte, cioè a'2 5 di ottobre del 1584, scrisse al pontef Gregorio XIII, caldamente pregandolo ad accrescerne in qualche modo l’entrate non ancora bastanti al gran numero de Religiosi che nelle pubbliche scuole vi s impiegava. La qual lettera, accennata già dall'eruditissimo sig. dott Baldassare Oltrocchi prefetto (della biblioteca Ambrosiana nelle sue belle annotazioni alla versione latina di detta Vita [p. 197 modifica]PRIMO li[j~ stampata i» Milano nel 1751 (p.761), è stata poi non son molti anni, data alla luce (Esame e Risp alle Lett. di S. Carlo, p. 52). Nè in Milano soltanto, ma in più altre città ancora proccurò il Santo, valendosi dell’autorità che gli dava il carattere di visitatore apostolico e la fama della sua santità, proccurò, dissi, che si aprisser collegi, ne quali fosse da’ Gesuiti allevata la gioventù nelle pubbliche scuole; e fra gli altri a lui si dovettero in parte i collegi di Verona, di Brescia, di Genova, di Vercelli, e fuori d’Italia que’ di Friburgo, di Lucerna, di Dilinga ed altri; intorno alle quali cose si posson vedere i monumenti o accennati o prodotti nelle annotazioni poc anzi mentovate. XVIII. A promuovere vie maggiormente gli studi, e quelli in particolar maniera delle persone di Chiesa, giovaron non poco le sagge leggi pubblicate a tal fine nel generale Concilio di Trento. Fra esse la più vantaggiosa fu quella con cui a tutti i vescovi fu istantaneamente raccomandato di aprire ciascheduno • nelle loro diocesi un seminario in cui i giovani cherici potessero più agevolmente venire istruiti nelle scienze proprie del loro stato (sess. 23). Prima ancora di un tal decreto, aveane Roma già dato un memorabile esempio colla fondazione del collegio germanico, progettato da S. Ignazio insieme co’ cardinali Giovanni Morone e Marcello Cervini, che fu poi Marcello II, e approvato dal pontef Giulio III che tosto pose mano all’ esecuzione. Perciocchè raccolti i cardinali nel concistoro, e esposto loro il segnalato vantaggio che ne sarebbe venuto alla Chiesa, [p. 198 modifica]It)8 LIBRO se i giovani di quelle provincie, ch’ erano le più infette dall eresia, venissero a Roma a fornirsi di quel sapere che a combatterla era lor necessario) e quindi tratta fuori una carta già a tal fine disposta, invitò i cardinali a segnare e a sottoscrivere col lor nome quella somma di denaro che ognun di essi era pronto a sborsare ogni anno per sì lodevol disegno e ne diede egli il primo l' esempio promettendo 500 annui scudi. A imitazione di lui tutti i trentatrè cardinali, ch eran presenti, s’impegnarono per quella somma che a ciascun permettevano le proprie sue facoltà, e si venne in tal modo a formare un'annua rendita di 3o(»5 scudi. Quindi il pontefice nel 1552 pubblicò la Bolla della fondazione di quel collegio, di cui volle che S. Ignazio formasse le costituzioni, e a’ suoi discepoli ne commettesse il governo. Ma queste rendite eran troppo dubbiose e soggette a molte vicende; e ne venne in fatti che il collegio germanico trovossi non rade volte a grandi strettezze, e si sarebbe per avventura disciolto, se alcuni cardinali colle lor liberalità non l avessero sostenuto. A sollevarne in qualche modo le angustie fu preso il partito che agli alunni mantenuti interamente dallo stesso collegio più altri se ne aggiugnessero, i quali in esso vivendo a loro proprie spese, rendessero men gravoso il mantenimento degli altri. E questa fu l'origine di que’ che si dicon Convitti, de' quali poi sì gran numero si sparse in breve non sol per l'Italia, ma ancora in altre provincie. Ma ciò non ostante non si potè rimirar quel collegio come stabilito con [p. 199 modifica]PRIMO 199 ¿carezza, clic a’tempi di Gregorio XIII, a cui .¡ustamente si dee il titolo di fondatore e di padre. come fra poco vedremo (’). Frattanto il pontef Pio IV sollecito di animar col suo esempio gli altri vescovi all’ esecuzion del decreto del Concilio di Trento, nel 1563 fondò il seminario romano, la cui direzione volle egli pure che affidata fosse a Religiosi della Compagnia di Gesù, e a questo furon poi trasferiti a’ tempi di Gregorio XIII i convittori che prima si erano aggiunti al collegio germanico (V Cordar, Hist Coll. gcrm.). Y1X. Con uguale sollecitudine, e ancor con maggiore magnificenza si accinse tosto all esecuzione di quel decreto il gran cardinale S. Carlo Borromeo, il quale non un solo, ma sino a otto n eresse, parte in Milano e parte nella diocesi. Fra essi il seminario maggiore e il collegio, elvetico nelle magnifiche loro fabbriche e nelle copiose rendite loro assegnate sono tuttora e saranno un perpetuo monumento dell animo 'veramente grande di questo incomparabile cardinale. Il seminario maggiore fu da lui prima affidato a' Religiosi della Compagnia di Gesù, ma poscia ad istanza di essi ne commise la cura a' Sacerdoti Obblati (V. S. Carol. Vit. cum Not. Oltroch. l. 5, c. 12; l.2, c. 5, 27, ec.), congregazione di dotti e pii ecclesiastici da lui Medesimo istituita, la quale colla

(*) La Storia del collegio germanico è stata scritta in latino colla consueta rara eleganza e con molta esattezza dal celebre sig. Abate Giulio Cordara de’ conti di Calamandrana, e stampata in Roma nel 1770. [p. 200 modifica]200 LIBRO direzione de’ seminarii, colla cristiana e letteraria educazione de giovani cherici, coll' esep cizio di tutti gli apostolici ministerii è stata sempre ed è tuttora di ornamento non meno# che di vantaggio grandissimo alla Chiesa milanese. Da S. Carlo parimente ebbe origine il collegio de’Nobili, a cui egli diede cominciamento nel 1573, e ne diede il regolamento a’ Gesuiti, e poscia, come si è veduto del seminario, alla Congregazione degli Obblati; perchè poscia nel secolo susseguente passasse di nuovo sotto alla direzione de Gesuiti (ih. /3, c. 4). A somiglianza di questi seminarii, molti altri ne furono eretti da’ vescovi italiani, e molti altri convitti ancora ed altre pubbliche scuole si aprirono in diverse città d Italia, e in questo e nel secolo che venne appresso, i quali furono confidati altri agli ecclesiastici, altri alle diverse congregazioni de' Cherici regolari, che in questo secolo stesso aggiunsero nuovo splendore alla Chiesa, e a quelle singolarmente di S.Paolo Decollato, ossia de’ Barnabiti, della congregazion di Somasca, de’ Teatini, dei’ PP delle Scuole Pie; da tutti i quai Corpi sono usciti sempre in addietro ed escono continuamente non pochi dottissimi uomini, altri de’ quali col l’erudite loro opere, altri colla saggia educazione della gioventù, si rendono benemeriti della letteratura. Ma a me non è lecito l andare investigando minutamente ogni cosaci che mi condurrebbe tropp’ oltre, e porrò fine a questo capo coll accennare ciò che in questo genere fece un solo de romani pontefici, il cui nome dovrebbe ancor per ciò solo rimanere glorioso ed eterno presso tutte le straniere nazioni. [p. 201 modifica]PRIMO 201 XV Parlo di Gregorio XIII, il (¡naie ben conoscendo di essere stato sollevato da Dio sulla cattedra di S. Pietro per essere padre e pastore del mondo tutto cristiano, ad ogni parte di esso rivolse la provvida mente, e ad ogni parte fece provare gli effetti della sua paterna beneficenza. Ventitrè furono i collegi da lui parte in Roma, parte in diverse altre città fondati e provveduti di rendite a mantenimento de’ giovani che nella pietà e nelle lettere venissero istruiti. Il collegio germanico e ungarico da lui dotato in maniera che vi potessero esser mantenuti interamente fino a cento giovani di quelle nazioni; un altro per gl" Inglesi, un altro pe’ Greci, un altro pe" Maroniti, tutti da lui confidati a’ Gesuiti, a’ quali ancora rifabbricò con singolare magnificenza e accrebbe di ragguardevoli rendite il collegio romano; il collegio de’ neofiti fondato parimente in Roma, saranno un perpetuo monumento della liberalità e del zelo di questo immortale pontefice. Fuor di Roma poi appena vi ebbe parte del mondo, che non provasse gli effetti della beneficenza di Gregorio XIII. Un collegio in Fulda, uno in Dilinga, uno in Colosvar ossia Claudiopoli nella Transilvania, uno in Gratz nella Stiria, uno in Olmutz, uno in Praga, uno in Vienna, uno in Augusta, uno in Pontamousson per gli Scozzesi, uno in Dovay per gl'inglesi, uno in Bransberga nella Prussia, il collegio illirico in Loreto, tre seminarii nel Giappone, tutti o da lui interamente fondati, oda lui accresciuti o di fabbriche o di rendite, fecer conoscere ai mondo tutto, a qual uso impiegasse [p. 202 modifica]303 LIBRO Gregorio i tesori che i Protestanti (di quell età rinfacciavano alla Chiesa romana. Anche il collegio Elvetico di Milano dovette molto a questo pontefice. Delle quali cose piene sono le storie di tutti que' tempi, e singolarmente si posson vedere gli scrittori della Storia ecclesiastica, il Ciaconio e gli Annali di Gregorio scritti in lingua italiana del P. Gianpietro Ma (Tei della Compagnia di Gesù, il quale con essi volle in qualche modo mostrare la riconoscenza dell' Ordin suo verso di un papa da cui era sempre stato e amato teneramente e largamente beneficato. Io aggiugnerò solamente ciò che dal Possevino si narra (Appar. Sac. V. Grcgnr. XIfì)y citando ancora l'autorità del cardinale Baronio, cioè che oltre le infinite spese da lui profuse nel fondare, nel fabbricare, nel dotare tanti collegi, in soli sovvenimenti da lui fatti a' poveri giovani che in Roma o altrove coltivavan!! gli studi, ei giunse a spendere fino a due milioni di scudi, e un altro milione nel sovvenire alle povere zitelle, perchè potessero trovar marito, o consecrarsi a Dio; il che aggiugne il Possevino di aver udito affermare dal cardinale Guastavillani nipote di Gregorio e tesorier generale. Pontefice veramente degno de’ monumenti di onore che gli furono in diverse parti innalzati, e il cui nome risveglierà sempre l’idea di un sovrano benefico e di un amantissimo padre.