Serdica o Antiochia?

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Serdica o Antiochia? Intestazione 18 marzo 2018 75% Numismatica

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SERDICA O ANTIOCHIA?




Dopo lunghe e pazienti indagini sulla monetazione dell’imperatore Claudio Gotico, io pubblicai nel Vol. XVI della Numismatische Zeitschrift di Vienna, Annata 1884, un articolo: «Le Zecche imperiali durante il regno di Claudio Gotico, e le loro emissioni», nel quale articolo esposi i motivi che rendono verosimile, per quell’epoca, l’esistenza delle 6 zecche imperiali di Tarragona, Roma, Siscia, Serdica, Cizico e Antiochia.

Il sig. Emilio Lépaulle, in un articolo comparso nella Revue Numismatique di Parigi, III trimestre 1888 e I trimestre 1889, sotto il titolo: «La Monnaie Romaine», parla molto favorevolmente del mio lavoro suddetto, ma impugna l’esistenza della zecca di Serdica, e vuol dimostrare, basandosi sulle monete siriache di Gallieno battute in Antiochia, che anche quelle di Claudio da me attribuite a Serdica non possono essere state coniate che in Antiochia.

Siccome lo scopo ch’io mi prefiggo non è che di servire alla scienza, sono ben lieto che il sig. Lépaulle abbia sottoposto il mio lavoro ad una critica, da cui, mediante il vicendevole scambio delle osservazioni e delle esperienze fatte, può scaturire la luce sui punti controversi; e spero di poter provare, nel séguito di questo articolo, la giustezza della mia attribuzione alla zecca di Serdica, confutando gli argomenti del sig. Lépaulle, il quale vorrebbe assegnare quelle monete di Claudio alla zecca di Antiochia.

Prima però di entrare in questa discussione, non voglio ommettere di accennare che nei vent’anni dacché mi occupo di questo [p. 538 modifica]ricerche, non mi sono circoscritto alle mie osservazioni ed esperienze personali, ma ben ho proceduto di conserva coi miei amici numismatici, i signori specialisti Teodoro Rohde (Aureliano e Severina), Giuseppe von Kolb (Tacito e Floriano), Dr. Alessandro Missong (Probo), e Francesco Trau (da Caro a Costantino I), e che soltanto per mezzo dello scambio di tutte le nostre osservazioni ed esperienze era possibile di rintracciare quali fossero le zecche imperiali allora in attività, ciò che sarebbe stato assai probabilmente inattuabile da parte di un solo cioè senza la più vasta cognizione delle monete dell’antecessore e del successore di ciascun imperatore.

Senza diffondermi a far risaltare i meriti del Dr. Missong, rapito troppo presto agli studi, e conosciuto anche fuor di patria come valente numismatico e profondo pensatore, e del suo premorto amico von Kolb, le cui ricerche sono ormai fatti acquisiti alla scienza, mi limito a far notare che, nella mia attribuzione delle monete di Claudio alle varie zecche, mi trovavo in perfetto accordo con quegli scienziati.

Quest’accordo non va inteso soltanto in senso teorico, ma risulta invece a prima vista dal vastissimo materiale monetario adunato da ciascuno di noi tre, nel qual materiale si può leggere come in un libro.

Da esso ci balza agli occhi evidente la connessione delle monete di ciascuna zecca, secondo l’ordine cronologico degl’imperatori; e ciò non soltanto nella particolarità che i rovesci dell’ultima emissione di ciascun imperatore sono per lo più eguali a quelli della prima emissione del suo successore, ma anche in questo, che, oltre le stesse caratteristiche nella forma delle lettere e nello stile delle monete di tali emissioni, qualcosa della somiglianza del ritratto si trasmette dall’antecessore al successore.

Tutto il complesso, mercè il modo perfetto in cui era sistemata la coniazione, che evidentemente veniva sorvegliata dalla direzione centrale, forma per così dire una catena tanto regolare che non è possibile di toglierne o di aggiungervi a capriccio un anello, senza che ciò non si vegga subito.

A quel modo che un provetto pittore, appena col gettare lo sguardo su di un quadro, riconoscerà a quale scuola e a qual [p. 539 modifica]tempo esso appartenga, e sarà anzi talvolta in grado d’indicarne immediatamente l’autore, così l’occhio sperimentato dello specialista è in grado talora di distinguere istantaneamente a quale zecca appartengano le monete della sua specialità, e ciò solo dal carattere della leggenda e dell’effigie imperiale, senza bisogno di vederne il rovescio od i segni di zecca.

È questione di pratica; e chiunque volesse aggruppare le monete di questi imperatori, zecca per zecca, e distribuite per emissioni, secondo il nostro sistema, se ne renderebbe tosto ragione.

Già da dieci anni io raccoglievo monete, e, fra quelle ormai numerose di Claudio, mi trovavo di possedere due pezzi che non sapevo a qual zecca assegnare, cioè la minerva avg con spqr all’esergo (Fig. 6), proveniente dalla Collezione Gréau, e la romae aeternae (Fig. 15), proveniente dalla Collezione Elberling.

Il genere di lavoro, e la forma delle lettere di queste monete, corrispondevano così perfettamente a quelli delle monete coniate in Cizico, che per me non v’era dubbio alcuno che esse non fossero uscite dalle stesse mani; la circostanza che vi si riscontrava il spqr, che così di frequente si trova sulle monete di Cizico, non poteva che confermarmi in questa mia opinione; eppure non potevo decidermi ad attribuire a Cizico queste due monete che non si adattavano a nessuna delle emissioni di quella zecca.

Quand’ecco che, nel 1880, ricevo con mia non poca sorpresa ma con tanto maggior gioia, dal sig. Lambros di Atene, una certa quantità di monete di Claudio, provenienti da un ripostiglio scoperto a Smirne, e appartenenti per la maggior parte alla zecca di Cizico, alle quali erano frammiste altre monete che formavano una serie completa colle mie due segnate minerva avg e romae aeternae.

Su queste monete non si riscontrava soltanto generalmente il spqr all’esergo, ma anche, su diversi esemplari, quella stessa segnatura, consistente in uno, due o tre punti, che si riscontra nelle monete di Cizico.

Fui così in grado di poter procedere su larga scala all’esame ed al confronto di queste monete con quelle battute a Cizico, [p. 540 modifica]giovandomi anche delle impronte favoritemi da vari Gabinetti e raccolte private; e giunsi a persuadermi che positivamente quelle monete dovevano appartenere ad una zecca sconosciuta, quantunque l’enigmatica rassomiglianza delle loro caratteristiche con quelle della moneta imperiale coniata a Cizico sembrasse opporsi a quest’ipotesi.

Ancor maggiore fu la mia sorpresa, allorché venni a conoscere per mezzo d’impronte quelle monete di Gallieno, provenienti dallo stesso ripostiglio, che il sig. Lépaulle aveva avute dal sig. Lambros, poiché al primo sguardo mi persuasi, a motivo dei rovesci, che queste monete di Gallieno e le mie di Claudio dovevano essere uscite dalla medesima zecca.

Che questa non potesse essere Cizico, era cosa per me evidente, giacche di tal città abbiamo la moneta corrente provinciale battuta sotto Gallieno, anzi persino sotto Claudio, ciò che dimostra che la coniazione di tal moneta continuava anche sotto questi imperatori, talché è fuor d’ogni verosimiglianza che già sotto Gallieno vi funzionasse una zecca per le monete imperiali.

Nel mio articolo sulle Zecche imperiali sotto Claudio II ho rilevato minutamente le caratteristiche delle monete d’ogni singola zecca; non è dunque il caso che io qui ne parli più a lungo, e soltanto vi ritornerò sopra fuggevolmente da ultimo, per rettificare alcune osservazioni del sig. Lépaulle.

Tuttavia, prima d’ogni cosa devo combattere l’asserzione del sig. Lépaulle, che le monete di Claudio da me attribuite alla zecca di Serdica, non siano state coniate quivi, ma bensì in Antiochia di Siria; io proverò invece, basandomi sulle monete, che tanto queste monete di Claudio, quanto quelle analoghe di Gallieno che per evitare frequenti ripetizioni chiamerò della serie spqr, non possono assolutamente essere state coniate in Antiochia, e che quindi, per necessaria conseguenza, appartengono ad un’altra zecca, tuttora da determinarsi.

Se perciò, in séguito, io collocherò in Serdica questa zecca ancora sconosciuta, esporrò anche i motivi che militano appunto per l’esistenza di quella zecca in tale località.

Per quanto concerne il luogo, si tratta, ne convengo, di una ipotesi» poiché mancano per ciò le prove positive, ma [p. 541 modifica]sinchè altri non sia in grado di dimostrare appunto oon prove positive il contrario, bisogna accontentarsi dei criteri di probabilità.

Ora, per fornire la prova promessa che la serie spqr di Claudio non può essere stata coniata in Antiochia, e necessario anzitutto di sottoporre ad attento esame le cosidette monete siriache di Gallieno.

Cohen nel vol. IV, prima ediz., pag. 348, nota 7a e 8a indica come battute in Siria tutte quelle monete di Gallieno che recano all’esergo c vi pp, vii c, p xv, spqr oppure un ramo, e quelle inoltre che hanno nel rovescio due figure stanti.

Queste ultime monete appartengono generalmente a quella stessa zecca siriaca che più tardi cadde in potere di Macriano e di Quieto, e ci provano, a motivo delle lettere c p lic che vi si riscontrano nella leggenda del diritto, che in quella zecca si lavorò soltanto durante il regno comune di Gallieno e di Valeriano; esse non cadono quindi nella cerchia del presente studio.

Le monete di quest’imperatore, che recano all’esergo c vi pp, vii c, p xv1, spqr oppure un ramo, hanno sempre, intorno alla testa del sovrano, la semplice leggenda gallienvs avg; esse non furono quindi coniate che allorché egli era rimasto solo ed unico dominatore; gli è soltanto di queste monete che noi vogliamo occuparci.

Tutte queste monete hanno innegabilmente comuni fra loro molte caratteristiche, nello stile, e nella foggia delle lettere, specialmente del G, che presenta spesso una forma arricciata, б, dimodoché si sarebbe facilmente tentati di assegnarlo tutte alla seconda zecca siriaca (Antiochia).

Il sig. Lépaulle al contrario, dalla detta serie di monete che comprende gli anni dal 266 al 268, vorrebbe dedurre la prova [p. 542 modifica]che esse tutte appartengono alla zecca di Antiochia; viene poi all’erronea conseguenza che la moneta di Gallieno col rovescio p m tr p xvi2 che ha nel rovescio spqr, appartenga ai primi due mesi dell’anno 268, e giunge poi, come si vedrà in séguito, all’altrettanto ardita quanto falsa conclusione, che il spqr sia l’unica sigla3 che si riscontri sulle monete di Claudio battute in Antiochia.

Ora, confrontando attentamente tutte queste monete di Gallieno fra loro, si rileva che presentano tuttavia piccole differenze, specialmente nella forma delle lettere.

Se noi consideriamo le monete segnate p xv e vii c, che indubbiamente appartengono alla zecca di Antiochia, ci colpisce anzitutto la forma relativamente rigida delle lettere, in ispecie nel rovescio.

Questa caratteristica, come pure lo stile delle monete, rimangono costanti in questa zecca, come vedremo in séguito, sino alla fine del regno di Gallieno, e si trasmettono tali e quali anche alle monete battute da Claudio.

Le serie invece che hanno c vi pp, im ramo, oppure spqr all’esergo, si comportano diversamente.

[p. 543 modifica]Su queste serie vediamo non di rado l’effigie imperiale rappresentata anche a sinistra, le lettere della leggenda sono alquanto più piccole ed eleganti, e la lettera A, specialmente nelle leggende dei rovesci, si modifica successivamente sino ad assumere la forma Λ (senza barra trasversale) oppure (colle aste riunite in alto da un tratto orizzontale).

E più specialmente sulle monete con spqr, le quali, come vedremo più in là, appartengono all’ultima emissione, la lettera G, che nel diritto delle monete offre ancora frequentemente la forma arricciata, riassume di solito nel rovescio la forma regolare4.

Per dimostrare che le monete di Gallieno contrassegnate con c vi pp, un ramo, oppure spqr, non possono appartenere ad Antiochia, esamineremo partitamente la serie di Gallieno con spqr.

Su queste monete si trovano, fra gli altri, i seguenti rovesci: aeqvitas avg — fortvna avg – minerva avg — providentia avg — salvs avg — venvs avg – victoria avg — virtvti avg.

Tutti questi rovesci con spqr, ed oltre a ciò identici nel modo di rappresentazione, nello stile, e nella forma delle lettere, li troviamo anche sulle monete di Claudio colla stessa caratteristica dell’A che talvolta assume la forma ; non vi si trova più, invece, la forma arricciata del G, che, come abbiamo accennato, è già divenuta più rara sui rovesci analoghi delle monete di Gallieno.

Queste monete di Claudio (Fig. 3-15) hanno per solito, sotto il busto dell’imperatore, uno, due o tre punti (., .., ...), sono state quindi coniate in 3 officine.

[p. 544 modifica]Ma siccome il signor Lépaulle non ammette che questi punti siano segni di zecca, sono costretto a fare una digressione per confutarlo.

Secondo la sua opinione, questi punti non possono avere il significato di segni di zecca, «perchè prima di Costantino i segni di zecca non si mettevano mai fuorché sul rovescio»5.

Come prova, egli cita una moneta di Erennio Etrusco, della sua raccolta, che ha quattro punti sotto il busto, mentre ai tempi di quell’imperatore non vi era zecca né a Serdica né a Cizico.

Io non posso accontentarmi di questa prova, poiché, se anche Erennio non ha coniato in Serdica o in Cizico, — ciò che nessuno vorrà sostenere, — non rimane tuttavia per questo escluso che egli, oltreché in Roma, non abbia coniato in un’altra zecca, le cui monete, per distinguerle da quelle della zecca romana, venissero contrassegnate per mezzo di punti.

Vedremo tosto se questi punti, come sostiene in seguito il sig. Lépaulle, abbiano qualche altro significato a noi sconosciuto, come a lui pare «per la straordinaria rarità delle monete così segnate», o se non sia piuttosto rispondente al vero la nostra interpretazione, secondo la quale essi dovrebbero essere considerati come segni di zecca.

Il Gabinetto Numismatico del Museo Francisco-Carolino in Linz possiede un eerto numero di antoniniani, provenienti dalla Collezione già Kolb, i quali vanno da Etruscilla a Volusiano, e sono segnati, parte sotto l’effigie imperiale, parte nell’esergo del rovescio, con punti o cifre.

Questa serie, senza poter pretendere di essere completa, offre tuttavia materiale sufficiente per poterne dedurre con fondamento di ragione lo scopo dei segni ., .., ..., .... oppure IV, — VI, VII oppure erroneamente IIV, che si riscontrano su tali monete.

Senza dubbio ci deve essere stato anche il V; e siccome sarebbe stato difficile di afferrare prontamente una segnatura [p. 545 modifica]composta di più che quattro punti, si saranno adottate le cifre dalla 5° officina in su. È anche possibile che alla 5° officina fosse riservata la coniazione dell’oro.

Ecco la serie di queste monete:

Etruscilla. sotto
il busto
nell'esergo
del rovescio
SAECVLVM NOVVM d. Coh. 14 . . .
VBERITAS AVG d. Coh. 15 . .

Erennio Etrusco.
6 AEQVITAS AVG d. Coh. 2 . .

Ostiliano.
PVDICITIA d. Coh. 24 IIV
6 PVDICITIA d. Coh. 24 .
6 ROMAE AETERNAE d. Coh. 25 . . . .
6 SAECVLVM NOVVM d. Coh. 30 . . . .
VBERITAS AVG d. Coh. 37 . . . .

Treboniano Gallo.
ADVENTVS AVG d. Coh. 4 VII VII
PAX AVGVS   Coh. – . . . .
SAECVLVM NOVVM d. Coh. 59 . . . .
SAECVLVM NOVVM d. Coh. 61 . . . ?7
VBERITAS AVG d. Coh. 67 . . . . . .
      »       » »     » VI VI
      »       » »     » IIV IIV
VICTORIA AVG d. Coh. 2a ed. 126. . . . . . . . .

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Volusiano.
ADVENTVS AVG Coh. 3 . . .
ADVENTVS AVG d. Coh. 3 . . . . . .
PAX AVGVS d. Coh. 42 . . . . . .
  »       » »     » VII
  »       » d. Coh. 2a ed. 80 . . . .
ROMAE AETERNAE d. Coh. 66 . . . .
      »       » d. Coh. 67 . .
SAECVLVM NOVVM d. Coh. 2a ed. 115 . . .
VBERITAS AVG d. Coh. 73 . . . . . . . .
      »       » »     » . . . . . .
VICTORIA AVG d. Coh. 2a ed. 126 . . . .
      »       » »     » VII V-II

Anche Cohen ne conosce abbastanza di queste monete imperiali con simili segnature; esse non sono dunque così «straordinariamente rare» come ritiene il sig. Lépaulle.

Dalle dette segnature possiamo ricavare invece questa doppia conclusione:

1° che esse sono veri segni di zecca;

2° che le monete così segnate non appartengono alla zecca di Roma, ma bensì ad un’altra zecca.

Per ciò che concerne più specialmente questi segni, sulle monete di Etruscilla, di Erennio Etrusco e di Ostiliano noi non li troviamo mai altrove che sotto l’effigie imperiale; invece, sulle monete di Treboniano Gallo e di Volusiano li troviamo, talora egualmente sotto l’effigie, talora soltanto nel rovescio, talora su entrambi i lati della moneta; e per l’appunto la circostanza che questi segni si trovano anche sul rovescio della moneta, circostanza su cui. si basa il sig. Lépaulle per dar loro il valore di sigle, — starebbe a mio vantaggio, quantunque a quei tempi, in cui non era ancora così frequente la segnatura delle monete, non si possa parlare di una vera e propria costumanza di segnarle soltanto sul rovescio. È quindi fuor di dubbio che si voleva distinguere con un contrassegno queste monete da quelle coniate in Roma; e, poiché esse rappresentano un sistema basato sulla decina, per analogia con [p. 547 modifica]ciò che risulta dalla monetazione degl’imperatori successivi bisogna logicamente concludere che tali segni sono da considerarsi come sigle delle officine di una zecca tuttora sconosciuta.

Che se poi, a poco a poco, invalse l’uso di mettere questo sigle su entrambi i lati della moneta, lo si fece probabilmente allo scopo di facilitare il riconoscimento della moneta stessa.

Se consideriamo poi anche le monete degl’imperatori susseguenti, Valeriano e Gallieno, incominciando da una moneta della mia raccolta, abbiamo:

Valeriano.
(Fig. 1).
sotto
il busto
nell'esergo
del rovescio
RESTITVT ORIENTIS
e invece:
d. Coh. 120 . .
Gallieno.
RESTITVT ORIENTIS Coh. 490 .
ORIENS AVG8 Coh. 379 var. .
VICTORIA AVG d. Coh. 594 . .

Le due ultime monete si conservano nel Gabinetto Imperiale di Vienna.

Già da queste poche monete, la cui segnatura eguale, coll’alternarsi così caratteristico nella collocazione delle sigle, corrisponde perfettamente alla segnatura che si osserva sulle monete degl’imperatori che abbiamo nominati più sopra, possiamo dedurre l’attinenza che tutte queste monete hanno fra loro, vale a dire la loro comune ed indubbia pertinenza ad una medesima zecca, quantunque manchino le susseguenti sigle ..., ...., VI, VII, il che potrebbe anche dipendere da una riduzione delle officine.

Già Kolb, nel suo articolo: « Le leggende ellenizzanti sugli [p. 548 modifica]antoniniani di Ostiliano», comparso nella Num. Zeitschrift di Vienna Annata 1879, aveva espresso l’opinione che le monete di quest’imperatore nelle quali la leggenda del diritto vien letta abitualmente c oval (oppure ovl) ostil mes covintvs caesar9 non fossero di fabbrica romana, ma forse di fabbrica siriaca; e in generale le segnature di cui parliamo non si riscontrano che su quelle monete che hanno nel diritto la suddetta leggenda, in cui anche la parola caesar è spesso sostituita da avg10.

Fra le monete di Treboniano Gallo, invece, quelle segnato nel modo che si è detto, hanno sempre nel diritto la leggenda imp c c vib rteb gallvs avg oppure p f avg, e fra quelle di Volusiano non corrispondono che ai diritti colla leggenda imp c oppure cv af gal vend volvsiano avg.

Anche le monete così segnate di Valeriano e Gallieno hanno sempre nel diritto la leggenda che comincia con imp c p lic.

Ma c’è un’altra particolarità che abbiamo notata sulle monete dei due imperatori teste accennati: il rovescio rappresenta sempre due figure stanti.

Se Cohen non ci avvertisse già11, basandosi in ciò sulle erudite indagini del Conte di Salis, che quelle monete di Gallieno le quali hanno nel rovescio due figure stanti, dimostrano di uscire per l’appunto da quella zecca in cui coniarono Macriano e Quieto, la mia moneta di Macriano, di cui do l’immagine alla Fig. 2, potrebbe fornire la prova irrefutabile che le conclusioni del Conte di Salis corrispondono al vero, poiché anch’essa, a motivo dei 4 punti che si trovano sotto il busto dell’imperatore, accenna ad una fabbrica comune, cioè a quella stessa fabbrica siriaca dalla quale uscirono le monete di tutti gl’imperatori che abbiamo ricordati, fabbrica che cadde poi in potere di Macriano.

[p. 549 modifica]Allorché io scrissi la mia memoria sulle Zecche imperiali di Claudio II, in parte non conoscevo ancora alcune di queste circostanze, e in parte le trascurai; a me infatti era bastato di chiarire che sotto Claudio si segnavano le monete in tutte le altre fabbriche, per poterne dedurre con sicurezza che le zecche di Serdica e di Cizico non potevano esserne escluse, e che quindi questi punti che si riscontrano sulle monete sono da considerarsi come segni di zecca, come del resto vengono considerati in generale da noi specialisti.

La singolarità che, a differenza dalle altre zecche, in queste due la segnatura si trova nel diritto della moneta, si spiega da sé, pel fatto che le lettere spqr nell’esergo del rovescio occupavano tutto il posto che di solito le era riservato.

Ma la segnatura per mezzo di punti sotto il busto dell’imperatore, sulle monete della serie spqr, era già in uso sotto Gallieno, poiché sporadicamente la si riscontra sulle monete di quest’imperatore che hanno all’esergo le lettere spqr oppure un ramo12.

È quindi fuor d’ogni dubbio che le monete di Claudio delle quali parliamo devono appartenere alla stessa zecca da cui sono uscite le analoghe monete di Gallieno della serie spqr e quelle con c vi p p oppure un ramo nell’esergo.

Queste monete adunque, che, come si è detto, furono coniate soltanto in tre officine, non possono già più appartenere ad Antiochia, pel motivo che, sotto Claudio, ad Antiochia si coniava in 8 officine, le quali segnavano colle lettere greche α, β, γ, δ, є, ϛ, ζ, η.

Se anche, come si dimostrerà in seguito, le monete di Claudio della serie spqr appartengono soltanto all’anno 268 ed anzi alla prima ed unica emissione, e quelle invece della serie siriaca segnate con A sino ad H, alla seconda od ultima emissione di Antiochia, non si deve tuttavia concluderne che sotto Claudio possa aver avuto luogo per avventura un mutamento nel modo [p. 550 modifica]di segnare le moneta ed un ampliamento della zecca di Antiochia, da 8 ad 8 officine, poiché le due serie di questo imperatore si allontanano talmente l’una dall’altra per le loro caratteristiche, da escludere affatto l’idea che possano uscire da una medesima zecca (Fig. 8 a 15 e Fig. 19 a 28).

Inoltre, le monete della prima emissione di Antiochia esistono già. Esse, come quelle delle altre zecche, non recano ancor segnatura, hanno la lettera A sempre di forma regolare, il G spesso arricciato, e presentano precisamente quelle stesse dimensioni e quella stessa rigidità nella scrittura che si osservano sulle monete di Gallieno colle date p xv e vii c, colle quali hanno pure interamente comune lo stile.

Queste monete di Gallieno, recando l’indicazione del VII consolato, appartengono senz’altro all’ultima emissione siriaca, e da ciò si deduce indiscutibilmente che, da Gallieno sino a Claudio, nella zecca di Antiochia non si immutò nulla nel carattere e nello stile del lavoro, e che quindi la serie spqr, che in parte è essenzialmente diversa nelle caratteristiche e nella segnatura, non può appartenere alla medesima zecca.

All’egual risultato si arriva, se si confronta il carattere delle rappresentazioni, — per es. dell’Aequitas, — sulle monete di Claudio della zecca d’Antiochia e su quelle della serie spqr.

Sulle monete siriache, le quali presentano in generale una maggior uniformità di lavoro, si veggono distintamente tre o quattro foglie che spuntano dalla cornucopia dell’Aequitas (Fig. 19 a 22), mentre esse mancano sulle analoghe monete della serie spqr (Fig. 8 e 4), tanto di Gallieno quanto di Claudio.

Inoltre, su quest’ultime monete, la Dea è rappresentata ora più grande, ora più piccola, mentre sulle monete siriache di Claudio è sempre dell’ugual grandezza e separa in due parti la leggenda, aeqvit — as avg, dividendola costantemente fra le lettere t ed a13.

[p. 551 modifica]Anche l’effigie dell’imperatore, nelle due serie monetarie, è così spiccatamente diversa, da doverne inferire che provengono da due differenti zecche.

Se poi si considera che la serie siriaca di Gallieno colle date p xv oppure vii c appartiene all’ultima emissione di Antiochia, ma che anche la serie spqr di Gallieno costituisce un’ultima emissione, perchè i suoi rovesci si trasmettono direttamente a Claudio, si dovrà conchiuderne con piena sicurezza (ammesso che due ultime emissioni, tanto più essendo così differenti fra loro nello stile, nelle leggende, nelle segnature, non possono in verun modo appartenere alla medesima zecca), che la serie spqr di Gallieno, e per conseguenza anche la serio analoga di Claudio, non possono essere uscite dalla zecca di Antiochia ma da un’altra zecca ancora da determinarsi.

Incidentalmente si noti che vi sono anche monete di Gallieno non datate, di entrambe queste zecche; tali monete sono fuori del campo del presente studio, ma si potrebbero certo dividere anch’esse secondo la zecca, quando si avesse a disposizione un materiale sufficiente e si volesse occcuparsene di proposito.

Ora ci si affaccia la questione: in qual zecca furono coniate le monete di Gallieno della serie spqr, e come mai si spiega che esse abbiano tanto comuni le caratteristiche colle monete battute in Antiochia da quell’imperatore (le quali hanno pur caratteristiche così singolari), da essere state sinora considerate come siriache, cioè come battute in Antiochia?

Già da principio si è detto che le monete di Claudio delle quali ci occupiamo, e quelle coniate in Cizico, sono indubbiamente lavoro della stessa mano, poiché sulle une e sulle altre vediamo le identiche caratteristiche nello stile e nella scrittura, l’identico sistema di segnatura per mezzo di uno, due o tre punti; ed anche il spqr, dapprincipio già su qualche moneta della prima emissione di Cizico, poi addirittura frequentemente nell’emissione successiva.

Se anche, dapprima, sulla maggior parte delle monete della serie spqr, l’effigie dell’imperatore è ancora un’effigie ideale, questa finisce tuttavia col prendere una vera somiglianza di ritratto (Fig. 5, 14 e 16), come la ritroviamo precisamente, [p. 552 modifica]e collo stesso panneggiamento, sulle monete della prima emissione di Cizico (Fig. 16, n, 18), in modo da palesare a prima vista la mano dello stesso artefice.

Da quanto abbiamo esposto sin qui, si deduce con tutta sicurezza la strettissima relazione e la immediata successione delle serie:

spqr di Gallieno;

spqr di Claudio e prima emissione di Cizico dello stesso imperatore.

Ma se si considera la circostanza che la moneta imperiale di Claudio, la quale presenta le identiche caratteristiche della serie spqr dello stesso imperatore, si vede comparire improvvisamente a quest’epoca in Cizico, dove prima non vi era una zecca imperiale, se ne può conchiudere a buon diritto che la zecca da cui questa serie è uscita deve aver cambiato di poeto.

Poiché queste monete di Claudio, come si è detto, appartengono soltanto all’anno 268, il trasporto della zecca a Cizico dovrebbe aver avuto luogo verso la fine dello stesso anno, oppure, al più tardi, sul principio del 269; è chiaro inoltre che vi deve essere stato un grave motivo perchè si ordinasse questo trasporto, per così dire sotto gli occhi delle orde dei Goti, che con forze enormi stavano riuniti sulla sponda sinistra del Danubio, e che da un momento all’altro potevano far irruzione nelle provincie danubiane.

Involontariamente ci si affaccia l’ipotesi che la zecca in questione si trovasse compresa nel probabile teatro della guerra, talché all’aprirsi delle ostilità non si potesse più farvi sicuro assegnamento.

Se consultiamo la carta di tale territorio, vi notiamo subito la città di Serdica (l’odierna Sofia in Bulgaria).

Serdica, come la città più importante della Mesia Superiore, e capitale della Dacia, per la sua situazione sulla grande via degli eserciti si prestava in modo specialissimo ad esser sede di una zecca, ed aveva già avuto zecca sotto gl’imperatori precedenti.

[p. 553 modifica]Potremo quindi ammettere perciò, che Serdica sia la zecca da cui uscirono le serie spqr di Gallieno e di Claudio14.

Quest’ipotesi acquista ancora maggior verosimiglianza, sia dalla brevità del tempo in cui stette in attività questa zecca (sotto Claudio, soltanto nell’anno 268), brevità che si accorda pienamente cogli avvenimenti guerreschi di cui abbiamo parlato, sia, in modo più speciale, dalle monete di Aureliano coll’indicazione serd nell’esergo, le quali documentano in maniera inoppugnabile l’esistenza di una zecca imperiale in Serdica15.

Se anche, finora, si è ritenuto generalmente che questa zecca sia stata fondata sotto Aureliano, perchè appunto sono le sue monete che per la prima volta ci fanno avvertiti dell’esistenza di tal zecca, non è tuttavia escluso che essa abbia già potuto funzionare durante il regno di Gallieno, e che Aureliano, dopo terminata la guerra coi Goti, non abbia fatto che ristabilire la zecca.

In tal caso potremo concluderne logicamente che la zecca di Serdica, – la quale sotto Claudio non battè che per una sola emissione, e, come accadeva anche nelle altre zecche, servendosi in parte dei conii già esistenti e adoperati pei rovesci [p. 554 modifica]del precedente imperatore, — nell’anno 268, prima ancora che scoppiasse la guerra contro i Goti, abbia cessato di coniare e sia stata trasferita nella città fortificata di Cizico, mentre contemporaneamente abbia finito di funzionare la zecca provinciale che quivi esisteva.

Con questa supposizione coincide per l’appunto la circostanza che le monete provinciali battute in Cizico coll’effigie di Claudio sono rarissime, non conoscendosene che due conii diversi, mentre le altre zecche provinciali, come Antiochia di Pisidia e Sagalasso, a giudicarne dalla copia delle monete che ce ne rimangono, dovrebbero senza dubbio aver continuato a coniare anche durante la guerra contro i Goti.

Rimane ora soltanto da indagare come si spieghi il fatto che le monete di Gallieno coniate in Antiochia e quelle coniate in Serdica hanno, in parte, caratteristiche comuni.

La zecca di Serdica dovrebb’essere stata istituita, secondo ogni probabilità, da Gallieno, e più precisamente sotto il suo dominio esclusivo, in sostituzione della zecca siriaca che nel 260 era caduta in potere di Macriano e Quieto, e dalla quale verosimilmente le truppe che stanziavano in Tracia e nell’Asia Minore si fornivano del denaro ad ese necessario, — poiché la segnatura per mezzo di punti, che colà si usava sotto di lui e di suo padre, era pure stata applicata nella nuova zecca sostituitale, forse soltanto dapprincipio per distinguere le monete colle indicazioni di officina, ma non già costantemente come si osserva ancora sotto Claudio.

Gallieno del resto, — prima, o dopo, o nello stesso tempo, — e probabilmente per lo stesso motivo, istituì una zecca imperiale anche in Antiochia di Siria, come ho dimostrato nella mia dissertazione sulle monete di Claudio.

Quale fra queste due zecche sia entrata in attività per la prima, si potrebbe probabilmente stabilirlo, in ispecie per mezzo delle monete datate, ma per giungervi converrebbe avere a propria disposizione un materiale abbondante, ciò che non è il mio caso.

Comunque, la zecca di Serdica coniava già nell’anno 265, come risulta dalla moneta p m tr p xiii c vi p p (Cohen 255 e [p. 555 modifica]256)16, mentre per Antiochia, dopo le monete datate p xv e vii c, la prima data di coniazione che veniamo a conoscere è quella dell’anno 267.

Ma è certo che vi si coniava già nel 264, perchè la moneta di Gallieno colla leggenda p m tr p xii cos v p p (Cohen 452) appartiene indubbiamente, per la forma delle lettere e per lo stile, alla zecca d’Antiochia.

Pare quindi che le caratteristiche eguali delle monete di Gallieno battute in Serdica ed in Antiochia non possano provenire da altro, fuorché dalla circostanza che gli operai di entrambe le fabbriche abbiano lavorato assieme per un certo tempo.

Può darsi tanto che la prima delle due zecche entrata in attività abbia dovuto poi cedere una parte de’ suoi operai all’altra zecca quando questa fu istituita, come anche, — se si considera che Antiochia nel 264 fu saccheggiata e distrutta dai Persiani, nella qual occasione gran parte dei principali edifici rimasero preda delle fiamme e probabilmente fra questi anche la zecca, — può darsi invece che questo avvenimento sia stato appunto la causa per cui gli operai rimasti disoccupati di quella zecca vennero mandati a Serdica, per lavorarvi in unione a quegli operai a produrre il numerario occorrente, e ciò sino alla riattivazione della zecca d’Antiochia.

Ciò è tanto più verosimile, inquantochè l’occasione che avrebbe determinato questo trasloco si accorda benissimo coll’epoca in cui ha principio la serie spqr di Gallieno.

So che il sig. Lépaulle mi vuol combattere anche con argomenti storici, e vuol dimostrare che le nostre supposizioni poggiano su di una base falsa, perchè non concordano colla storia.

Quest’obbiezione si riferisce principalmente alla da me citata seconda distruzione di Antiochia per opera dei Persiani nell’anno 264 ed all’opinione da me sostenuta che, al tempo in [p. 556 modifica]cui Quintillo sali al trono, la zecca d’Antiochia si trovasse già nelle mani di Zenobia, e Vaballato vi coniasse le sue monete.

Io confesso francamente che la storia, quand’è in contraddizione colle monete, non può avere per me un’autorità indiscutibile.

Se già non si può credere ciecamente alle notizie degli storici più antichi, che pure sarebbero stati nelle condizioni più favorevoli per narrarci soltanto la verità, — quantunque anche essi avranno dovuto accontentarsi talvolta di tradizioni orali, — e se non è raro il caso che quelle notizie si trovino fra loro in palese contraddizione, tanto più à difficile che giungano gli storici recenti ad appurare la completa verità, in argomenti così dubbii e dopo tanti secoli, benché non si possa negare che essi appunto, collo studio profondo degli storici antichi, colla coscienziosa ponderazione di tutte le circostanze e con ingegnose combinazioni, procurino con maggiore o minor fortuna, di far la luce nelle molteplici contraddizioni che si riscontrano nella storia.

Tale lavoro, a dir vero, non dà risultati che compensino le molte fatiche, se non quando può essere coadiuvato dalle monete, poiché solo queste, come testimoni parlanti, sono in grado di appianare le contraddizioni e di far trionfare inoppugnabilmente la verità.

Per questo, dopo matura ponderazione, quando dovevo basarmi su date storiche mi sono attenuto al Bernhardt17, le cui acute combinazioni si accordano singolarmente colle monete, in quei casi appunto nei quali vi sarebbero da appianare contraddizioni.

Mentre alcuni storici pretendono che i Persiani non si siano impadroniti di Antiochia che una volta sola, e discordano fra loro nell’indicarne l’epoca, anche il sig. Lépaulle è evidentemente persuaso che ciò accadde due volte, vale a dire la prima sulla fine del 258 o sul principio del 259, e la seconda subito dopo la cattura di Valeriano, sulla fine del 259 o sul principio del 260, — ma, su questo punto, si trova in contraddizione [p. 557 modifica]con Bernhardt18 che pone il primo avvenimento nell’anno 255, e per il secondo si riferisce alla Hist. Aug. Gallieni, Cap. X, la quale ci dice con precisione che la vittoria allora riportata da Odenato sui Persiani ebbe luogo sotto il consolato di Gallieno e Saturnino, vale a dire nell’anno 264.

Molti storici tentarono di sciogliere tale questione, ma sempre con poca fortuna. Cerchiamo ora di gettarvi un po’ più di luce mediante le monete.

Abbiamo dimostrato che la serie spqr di Gallieno non è stata coniata in Antiochia, e, dalle caratteristiche comuni a tali monete e a quelle coniate in Antiochia abbiamo dedotto la conclusione che gli operai della zecca di Antiochia devono aver lavorato per un certo tempo in Serdica assieme agli operai di quella zecca.

Ora, la serie spqr coniata in Serdica reca l’indicazione del VI consolato, che durò dall’anno 264 al 266. Le monete di Antiochia, invece, non registrano il VI consolato.

Qui v’è una lacuna, che fa presupporre un’interruzione nel lavoro di quella zecca, e ciò appunto all’epoca in cui Antiochia fu presa per la seconda volta e distrutta dai Persiani.

Consideriamo ora le monete di Gallieno col ramo nell’esergo, le quali ci annunciano la vittoria di Odenato sui Persiani.

Non è egli strano che la zecca di Serdica abbia creduto di dover essa celebrare questa vittoria, e soltanto nel 265, mentre ciò si addiceva anzitutto, e non così tardi, alla zecca di Antiochia?

Anche queste monete adunque, in concordanza coll’epoca indicata, accennano alla distruzione, ed alla conseguente cessazione del lavoro di questa zecca, ciò che conferisce all’opinione di Bernhardt intorno a tale avvenimento una base più sicura di tutte le combinazioni escogitate da quegli storici che avevano tentato sinora di risolvere tale questione.

Nella stessa maniera sosterrò l’opinione che, in base alle monete, mi sono formato intorno ad Antiochia, all’epoca in cui Quintillo ascese al trono. [p. 558 modifica]Bernhardt si fonda sulla notizia, attendibile in massima, di Zosimo19, e dice che già sotto Claudio il dominio di Zenobia si estendeva a tutto l’Oriente sino ad Ancira in Galazia.

Io vado più oltre, e conchiudo che Zenobia, dopo il primo colpo decisivo contro i Goti, cioè verso la fine del regno di Claudio, deve aver tentato di staccarsi da Roma, e deve essersi impadronita di Antiochia, dove ella e Vaballato coniarono moneta20.

So bene che questa è una mia opinione personale, ma tuttavia dimostrerò, per mezzo delle monete, che essa ha un certo fondamento, in ispecie se si tien calcolo della condotta equivoca già mostrata ripetutamente dalla famiglia di Odenato, come pure del fatto che Zenobia si ribellò veramente, più tardi, al tempo di Aureliano, — e che quindi vi deve essere, anche qui, una lacuna nella storia.

Vediamo adunque come si comportino le monete, di fronte alla mia opinione, ed in quale inesplicabile contraddizione si trovino colla storia.

Per quanto il sig. Lépaulle non voglia ammettere che le monete di Claudio di conio siriaco, colla segnatura da a ad h, siano state battute in Antiochia21, egli in ciò si trova in contraddizione non soltanto con me ma colla maggioranza dei numismatici. Senza dovermi riferire all’autorità di Rollin22, o alle osservazioni del Dott. Sallet sulla sorprendente rassomiglianza che v’è tra l’effigie d’una moneta di Claudio, del R. Gabinetto di Berlino, ed i denari di Vaballato con Aureliano23, basterà ch’io accenni alle caratteristiche comuni che [p. 559 modifica]la scrittura di queste monete presenta colla scrittura di quelle monete di Gallieno che portano le date di regno vii c e p xv, e in ispecie al G di forma arricciata, б, poiché nessuno vorrà supporre che questa forma di lettera, oltre che nelle due zecche di Serdica e d’Antiochia dove l’abbiamo riscontrata, fosse usata in un’altra zecca ancora.

I dubbi del sig. Lépaulle dovrebbero con ciò essere dissipati.

Queste monete di Claudio, adunque, nella prima emissione, — come ho dimostrato nel mio articolo sulle Zecche imperiali durante il regno di Claudio, — non hanno segnatura.

Nella seconda emissione, come si è detto, recano le sigle α sino ad η. In questa emissione si trova interpolata una moneta colla Vittoria, la sola moneta di tal genere che io conosca di questa zecca (Fig. 28); siccome essa non ha ancora segnatura, non può essere stata coniata che sul principio della seconda emissione, e quindi non può riferirsi che alla vittoria sugli Alemanni24.

La mancanza di un’ulteriore emissione, come pure la circostanza che di questa zecca non si hanno monete ricordanti la vittoria, quali furono coniate in tutte le zecche dopo la vittoria sui Goti, dimostrano chiaramente che vi fu un’interruzione nel lavoro di questa zecca.

Si potrebbe forse sollevare l’obbiezione che la serie segnata potrebbe essere stata l’ultima, ciò che non spiega ancora la mancanza delle monete coll’accenno alla vittoria.

Ma anche questa obbiezione non regge, perchè anche quivi, dopo l’ultima emissione, si sarebbero dovute coniare, come accadde in tutte le altre zecche, le monete della consecratio di Claudio.

E, non soltanto, mancano affatto queste, ma anche quelle di Quintillo come successore di Claudio.

Anche se si volesse ammettere che la notizia dell’assunzione di Quintillo al trono potesse esser giunta colà troppo tardi [p. 560 modifica]perchè (attesa la breve durata del suo regno) vi fosse tempo da coniare monete col suo nome, non si può concedere che la notizia della morte di Claudio abbia tardato tanto da giustificare la mancanza delle monete della sua consecratio.

Ma anche la notizia dell’assunzione di Quintillo al trono dev’essere pervenuta in Antiochia ancor molto tempo prima della di lui morte, giacché egli non regnò soltanto 17 giorni come asserisce la maggior parte degli storici, — essendo ciò contraddetto dalla quantità relativamente notevole delle monete uscite dalla zecca di Roma, che ci restano di lui25, le quali ebbero persino una seconda emissione, come dimostrerò altrove.

Se poi vi si aggiungono le numerose monete di consacrazione, in onore di Claudio, che furono coniate anch’esse durante il regno di Quintillo; se si considera che di quest’imperatore abbiamo monete anche di zecche più remote, come Tarragona, Siscia, e persino della stessa Cizico26; se si riflette, infine, al tempo considerevole che era necessario per comunicare le relative disposizioni a queste zecche e per apparecchiare i differenti conii ooll’effigie del nuovo sovrano e per le monete di consacrazione, se ne può conchiudere con tutta sicurezza che Quintillo deve aver regnato più a lungo.

E infatti Zosimo27 parla di alcuni mesi, e merita quindi, in accordo colle monete, molto maggior fiducia degli altri autori, [p. 561 modifica]il cui merito, su questo punto, si riduce ad aver trascritto ciò che dice Trebellio Pollione.

Possiamo adunque ammettere, con fondamento di ragione, che Quintillo abbia regnato 2 mesi, tempo sufficiente per far pervenire alla zecca di Antiochia le istruzioni per la coniazione delle monete del nuovo imperatore.

Anche sotto il regno susseguente di Aureliano, la zecca di Antiochia rimane ancora per qualche tempo inattiva, poiché, a detta di Rohde, mancano le monete del I periodo di quest’imperatore; non è che nel II periodo che vediamo comparire le monete di Vaballato con Aureliano, segnate anch’esse di nuovo con lettere greche, come sotto Claudio, ma colle officine aumentate da 9 a 10.

Ma queste monete non sono antoniniani, come si vede già dalla testa laureata di Vaballato; esse sono anche di modulo alquanto minore dei veri antoniniani di Vaballato col titolo di Augusto.

Se il mio amico Rohde assegna gli antoniniani di Vaballato a Tripoli, — unico punto questo, su cui i nostri pareri discordano, — egli è condotto a tale attribuzione dalla circostanza che sulle monete della zecca di Antiochia non si riscontra la stella, che figura invece nel campo delle monete di quest’imperatore.

Questa conclusione non mi sembra tuttavia ineccepibile, poiché la stella non si può menomamente considerare come distintivo di una data zecca, dal momento che la troviamo nelle seguenti zecche e sotto i seguenti imperatori:

in Tarragona, sotto Aureliano e Probo;
in Lione, sotto Tacito e Floriano;
in Siscia, sotto Gallieno, Claudio, Aureliano, Tacito e Probo;
in Serdica, sotto Aureliano, Tacito, Floriano e Probo;
in Tripoli, sotto Aureliano e Probo;
in Tiro? sotto Tacito;

vale a dire nella maggior parte delle zecche, ma non sotto tutti gl’imperatori; sotto Quintillo manca assolutamente.

Del resto, il significato della stella, che si trova già di frequente sulle monete imperiali antecedenti, non è stato ancora [p. 562 modifica]spiegato; la circostanza che essa appare temporaneamente e poi scompare di nuovo, lascerebbe supporre che si connetta col riprodursi di un dato avvenimento, — forse colla comparsa delle comete, trentacinque delle quali vennero osservate dall’anno 200 al 299 d. C.; — poiché in questo spazio di tempo, e cioè da Caracalla a Diocleziano, troviamo 18 imperatori sulle cui monete si riscontra la stella nel campo, e alcuni fra essi, come Aureliano, Tacito, Probo, ecc., sotto il cui regno questa particolarità si osserva in varie zecche.

Ma con questo non pretendo punto di aver dato una spiegazione sicura del significato della stella.

Per me, al contrario, avrebbe avuto maggior peso la circostanza che nelle leggende aєqvitas avg, vєnvs avg e ivєnvs avg (degenerazione barbarica del conio ivventvs avg di Claudio), la lettera E ha sempre la forma Є28.

Sinora si è ritenuto che gli antoniniani di Vaballato siano stati coniati in Antiochia, e infatti le caratteristiche della leggenda del diritto, la rappresentazione del busto imperiale e la rassomiglianza del ritratto colle monete di Claudio battuto in Antiochia29, parlano in favore della provenienza da una zecca comune, ciò che vien confermato inoltre dalle monete di Vaballato: aєqvitas avg, victoria avg, ivєnvs avg, che riproducono i conii di Claudio per questa fabbrica.

Anzi, persino la segnatura per mezzo di lettere greche, la quale era in uso sotto Claudio, venne pure usata sotto Vaballato, come ci dimostrano la moneta aeternitas avg del Museo Lavy colla sigla α e quella del Capitolo di S. Floriano, lovi statori, colla sigla ϛ nell’esergo.

[p. 563 modifica]Ponderando tutte queste circostanze, trovo perfettamente fondata l’opinione sin qui ammessa che gli antoniniani di Vaballato siano stati coniati in Antiochia, e perde quindi importanza la particolarità che, sotto di lui, la lettera E viene sostituita dalla Є, ciò che può essere stato effetto di un ordine speciale.

Riassumiamo ora tutte le osservazioni fatte:

1° La zecca di Antiochia, verso la fine del regno di Claudio, interrompe la sua attività, come è dimostrato dalla mancanza delle monete per le vittorie e delle monete di consacrazione.
2° Non esistono monete di Quintillo di questa zecca.
3° Anche di Aureliano, pel primo periodo di questo imperatore, non si conoscono monete d’Antiochia.

Non ostante adunque la assai recisa asserzione del sig. Lépaulle, che nella zecca di Antiochia si continuò a coniare senza interruzione30, tale zecca rimase inoperosa per lo spazio di almeno quattro o cinque mesi, senza che un avvenimento storico ce ne fornisca la spiegazione.

Invece vediamo comparire gli antoniniani di Vaballato, i quali per le loro caratteristiche accennano alla zecca di Antiochia.

Queste monete danno a Vaballato, sino allora luogotenente di Claudio, il titolo d’Augusto.

Nella pregevolissima memoria del Dott. Sallet: «I Principi di Palmira», si indica l’anno 271 come quello in cui Vaballato assunse il titolo d’Augusto, e ciò in seguito alla rivolta di Vaballato e Zenobia contro Aureliano.

Ancora nello stesso anno, entrambi furono vinti e condotti prigionieri.

Senza bisogno di ulteriori dimostrazioni, questa supposizione [p. 564 modifica]è affatto naturale, poiché a Vaballato, prima di quell’epoca, non era stato conferito il titolo d’Augusto, e soltanto la ribellione avrebbe potuto indurlo ad assumere tal titolo da sé.

Ma la prolungata inoperosità della zecca d’Antiochia ci fa supporre qualche avvenimento, in forza del quale si sia dovuto sospendere la coniazione delle monete imperiali.

Diversamente, col breve spazio di circa un semestre (poiché già nella seconda metà del 271, Vaballato fu preso prigioniero), mal si potrebbe spiegare come gli sia stato possibile, trovandosi egli, ora in fuga, ora in lotta coi Romani31, di coniare monete, e neppure, — dato che egli, come opina il sig. Rohde, si sia servito della zecca di Tripoli, — come egli, in tempi così burrascosi, abbia potuto trovar agio di riattivare questa zecca, la quale certamente era rimasta da molto tempo inoperosa, di far eseguire i conii per il diritto ed il rovescio delle monete, e finalmente di farle coniare; coll’avvertenza, anzi, di apporvi la segnatura, che evidentemente non serviva fuorché al controllo, e, come si rileva dalla moneta iovi statori segnata con un ϛ, accenna a non meno di sei officine.

Tutte queste considerazioni mi inducono a concludere che Vaballato, sin dagli ultimi tempi del regno di Claudio, sapendo che l’esercito romano era impegnato nell’inseguire le orde sbaragliate dei Goti, o forse in seguito ad una falsa notizia, debba aver usurpato il titolo d’Augusto, ed abbia coniato ad Antiochia monete in nome proprio.

Ma in tal caso, i suoi antoniniani non furono coniati soltanto dopo la sua ribellione nell’anno 271, ma già durante il regno di Quintillo, e la coniazione di essi continuò per qualche tempo anche sotto lo stesso Aureliano, ciò che spiega anche la mancanza delle monete di Antiochia del primo periodo di quest’imperatore.

Ammettendo questa conclusione, bisognerebbe presupporre, come ho detto dapprincipio, che Zenobia e Vaballato si fossero già ribellati sin dal tempo di Claudio.

Se ora consideriamo che Aureliano, subito dopo la sua assunzione [p. 565 modifica]al trono, mosse contro alle orde dei Goti che avevano fatto irmzione nella Pannonia» e dopo averle vinte dovette rivolgersi senz’altro verso l’Italia, per combattere gli Alemanni che la devastavano, e che quindi per allora non poteva attendere a ciò che accadesse nella parte orientale dell’Impero, dobbiamo ammettere che il riconoscimento fatto da parte sua, nel 270, di Vaballato come Vir consularis, Rex, Imperator, Dux Romanorum, si accorda perfettamente colla saggia avvedutezza di Aureliano, il quale in un momento in cui era chiamato altrove da più gravi interessi, per tal maniera si accomodava amichevolmente con Vaballato, e, almeno agli occhi del mondo, si assicurava il possesso della Siria col richiedere che la propria effigie figurasse sulle monete insieme a quella di Vaballato.

Poiché soltanto così si può spiegare come Aureliano, imperatore romano, si potesse abbassare all’umiliante posizione di lasciar mettere la sua effigie sul rovescio delle monete, invece che sul diritto. Ciò si deve considerare come una concessione che si fece a Vaballato perchè non si poteva altrimenti.

Vaballato invece deve aver tenuto calcolo della situazione diversa che gli veniva fatta sotto il nuovo imperatore, e deve aver preferito all’aperta ribellione il temperamento offertogli del dominio in comune.

Che le relazioni amichevoli fra i due sovrani fossero forzate e nulla più, lo dimostra la breve loro durata, — la ribellione di Vaballato e di Zenobia, ribellione che scoppiò già nell’anno susseguente.

Qui noi vediamo, basandoci sulle monete, la luminosa conferma dall’asserzione surriferita di Bernhardt, che già al tempo di Claudio tutta la parte orientale dell’Impero, sino ad Ancira in Galazia, si trovasse in potere di Zenobia; e se Trebellio Pollione non ne fa parola, può darsi ch’egli ignorasse gli avvenimenti svoltisi nella Siria durante la guerra combattuta da Claudio contro i Goti; e così si spiega come anche gli storici posteriori non ne sappiano e non ne abbian potuto saper nulla.

Ma i fenomeni singolari che le monete ci offrono, e che sono troppo strani per non meritare un attento esame, mi hanno condotto alla conclusione che, già sotto il regno di [p. 566 modifica]Claudio, Vaballato debba aver tentato di ribellarsi; e che quindi, anche, al tempo in cui Quintillo salì al trono, la Siria dovea trovarsi staccata dall’Impero; — lascio agli storici il compito di colmare, in modo forse migliore, e in base alle osservazioni cui danno adito le monete, la lacuna che certamente esiste nella storia.

Ora procederò, come dissi dapprincipio, a rettificare alcuni errori in cui è caduto il sig. Lépaulle nel dare l’elenco delle zecche di Claudio e delle loro sigle.

Anzitutto devo osservare, che può essere facilmente fonte di errori il sistema seguito dal sig. Lépaulle, di citare soltanto alcune fra le sigle che io ho assegnato a ciascuna zecca, e di trascurare le altre.

Incidentalmente bisogna notare che la segnatura delle monete nelle zecche non incomincia a vedersi usata in modo generale che nella seconda metà dell’anno 269, in cui tutte le monete sono fornite di sigle, mentre sino a quell’epoca ne andavano comunemente prive.

Ciò per notizia di coloro che non conoscono il mio articolo sulle Zecche imperiali di Claudio; motivo pel quale, a miglior intelligenza, non mi limiterò qui a soltanto enumerare tutte le sigle di ciascuna zecca, ma aggiungerò anche le caratteristiche principali delle monete in essa confate.


Zecca di Roma: 12 officine.

Sigle: α, β, γ, δ, Є, ϛ , ζ, η, n, x, xi, xii.
Caratteristica principale: La lettera M, p. es. nella parola IMP, è formata sempre da quattro tratti quasi paralleli (/\/\).

Zecca di Tarragona: 3 officine.

Sigle: P, S, T.

Caratteristica principale: Il tondino è di modulo minore ma di maggior spessore. La leggenda è sempre: IMP CLAVDIVS P F AVG, talvolta con interpunzione. [p. 567 modifica]Ho attribuito a questa zecca anche quelle monete di Gallieno che hanno nell’esergo la segnatura mp ms o mt.

Il sig. Lépaulle è di parere contrario, e le attribuisce senza darne nessun motivo, alla zecca di Milano. Certamente, il sig. Feuardent ha già espresso, prima di lui, la medesima opinione, ed essa si presenta assai seducente, perchè le lettere P, S o T sono precedute da quella lettera M, il cui significato tuttavia è tanto più dubbio inquantochè a quell’epoca la segnatura delle monete era ancora nell’infanzia.

Se, come ho notato nel mio articolo sulle Zecche, la peculiare grafia della parola tempo sulle monete secvr tenpo di Gallieno e felic tenpo di Claudio, accenna certamente ad una zecca comune, la contraddizione che la moneta di Gallieno dovrebb’essere coniata a Milano, e quella di Claudio invece a Tarragona, si potrebbe ancora spiegare pel fatto che, dopo l’eventuale cessazione della zecca di Milano, gli operai di questa fossero stati mandati a Tarragona, ma la forma tenpo è troppo contraria alla grafia romana: essa invece, come si può notare anche oggi, accenna piuttosto alla Spagna che all’Italia.

Ciò poi che mi induce ancor più a dubitare che vi fosse una zecca in Milano, è la mancanza delle monete di Aureolo; poiché è noto che questi fu rinchiuso ed assediato in Milano da Gallieno, e, se in città vi fosse stata zecca, certamente vi avrebbe dovuto batter moneta, mentre di lui non ce n’è pervenuta nessuna.

Per questi motivi ho creduto di assegnare a Tarragona e non a Milano le monete di Gallieno segnate mp, ms o mt, le quali palesano di essere uscite dalla stessa zecca che lavorò per Claudio.

Zecca di Siscia: dapprincipio 2 officine.

Sigle: I, II.

Più tardi, 4 officine.

Sigle: P, S, T, Q.

[p. 568 modifica] Caratteristica principale: La lettera V è per lo più tronca in basso, e formata di due aste unite da una barra orizzontale (\ /).

I brevi nastri della corona, a differenza di quelli lunghi che in parte si adattano al collo, hanno sempre la forma e la larghezza delle punte della corona (\/\/).


Il sig. Lépaulle non registra che le sigle p, s, t, q, come per Gallieno. Ma non è lecito di trascurare arbitrariameute le prime sigle I e II: — ricorderò ancora una volta la «catena» cui ho già ripetutamente accennato, perchè appunto queste sigle sono gli anelli di congiunzione con Gallieno, il quale pure non coniò in questa zecca che in due officine, e non in quattro. Pare che il sig. Lépaulle non conosca le monete di Gallieno segnate I e II, — le quali del resto non sono rare, — poichà egli non considera che l’ultima emissione di Claudio, e per questo è caduto nell’abbaglio di assegnare a Biscia le monete di Claudio segnate p, s, t, q, ciò che non gli sarebbe accaduto se avesse posto mente alla caratteristica principale che ho dato per quella zecca.

La serie p, s, t, q di Gallieno esisteva già sotto Valeriano. Un’altra serie di quest’imperatore, colla testa un po’ più piccola, ci dà 6 officine, e reca le sigle p, s, t, q, v, vi, tanto nel campo che nell’esergo.

Entrambe queste serie non presentavano alcun interesse per me, perchè essendo fra le prime serie non offrivano attinenza con Claudio, e perciò non mi curai d’indagare a qual zecca dovessero attribursi; credo tuttavia che l’ultima appartenga a Roma.

Vi è una gran quantità di monete di quest’imperatore, di tal periodo, ed evidentemente doveva esservi allora un arbitrio straordinario nella preparazione dei conii coll’effigie imperiale, senza regole fisse, talché, se non si ha a propria disposizione un copioso materiale, non è impresa da pigliare a gabbo lo sceverare con sicurezza queste monete secondo la zecca.

Soltanto colle ultime emissioni di Gallieno vediamo adottato un sistema meglio definito nella coniazione delle singole [p. 569 modifica]zecche, ciò che sembra essere stato introdotto di pari passo colla segnatura, e si trasmette completamente a Claudio.

A Siscia dunque, come si è già detto, anche sotto Gallieno non abbiamo che due officine. Queste segnavano p e s; ma tale segnatura può aver dato occasione a de’ malintesi, perchè queste sigle appartenevano già ad un’altra zecca. Allora vi si aggiunsero i segni i e ii, ma non si assegnò, in conformità alle lettere, l’i al p ed il ii all’s, ma viceversa, talché ne derivarono le sigle s i (pax avg s | i di Gallieno) e p ii (pietas avg p | ii di Salonina), — ciò che dimostra che le lettere s e p non si dovevano interpretare come distintivi delle officine ma come sigle della zecca (s [iscia] p [annoniae]?).

Presto scomparse il p, che si trova assai raramente (Salonina, — Collez. Vötter), dopo qualche tempo scomparve anche l’s, e, poiché la zecca era indicata a sufficienza dalla moneta stessa, la segnatura si ridusse alle sigle i e ii precisamente come nella prima emissione di Claudio.

Zecca di Serdica: 3 officine.

Sigle: ., .., ..., sotto il busto dell’imperatore.
La caratteristica delle monete di questa zecca fu già esposta ampiamente nel presente articolo.

Zecca di Cizico: 3 officine.

Sigle della zecca: MC.
Sigle delle officine: ., .., ..., sotto il busto dell’imperatore.
Caratteristica principale: La lettera A assume spesso la forma /\ e, specialmente nella 5° emissione, sembra una vera Π greca; la punta della lettera V è, per lo più, visibilmente rivolta a destra, e termina con un tratto allungato, pure a destra ().

Anche qui il sig. Lépaulle non registra che le sigle mc, trascurando le rimanenti. Se non si dovessero considerare che le sigle di zecca, — le quali furono adoperate soltanto [p. 570 modifica]fuggevolmente per indicare la provenienza della moneta, — senza tener calcolo delle segnature d’officina, sarebbe cosa ben ardua il riuscire a classificare e sceverare secondo la zecca le monete non segnate, poiché le sigle di zecca sono rarissime, e per potersi orientare con facilità e sicurezza è necessario anzitutto di avere a propria disposizione un copioso materiale monetario che fornisca un gran numero di dati.

Le sigle mc compaiono nel rovescio, e soltanto sulla monete della I emissione; esse non avevano altro scopo fuorché quello di distinguere le monete segnate con punti, le quali allora si incominciarono a coniare in Cizico, da quelle emesse anteriormente in Serdica.

Il sig. Lépaulle asserisce che in Cizico non vi era una zecca stabile, e che soltanto gli eserciti, nel marciare verso l’Asia, vi coniarono precariamente moneta. Come prova di ciò, egli adduce la circostanza che Probo vi coniò soltanto nel 276.

La zecca di Cizico incomincia a lavorare sotto il regno di Claudio, e più precisamente verso la fine del 268 o il principio del 269, al più tardi. Da quest’epoca, essa continua a coniare sotto Claudio (4 periodi), Quintillo (1 periodo), Aureliano (3 periodi), poi sotto Tacito, e finalmente cessa ad un tratto, per qualche motivo a noi sconosciuto, dopo il I periodo di Claudio.

Da questi sette anni di non interrotta attività, non si può conchiudere altro fuorché precisamente il contrario dell’asserzione del sig. Lépaulle, poiché questa si riferisce appunto soltanto al periodo da Claudio a Probo.


Zecca d'Antiochia: 8 officine.

Sigle: α, β, γ, δ, є, ϛ, ζ, η.
Caratteristica principale: Le monete hanno la stessa segnatura e recano nel diritto la stessa leggenda di quelle di Roma; ma, per la zecca di Soma, le monete con tale leggenda sono sempre segnate nel campo, mentre per la zecca d’Antiochia sono segnate esclusivamente nell’esergo.

[p. 571 modifica] La sigla spqr, che il Big. Lépaulle attribuisce a questa zecca, non esiste.

Le ampliate indagini di questi ultimi anni mi condussero alla persuasione che le monete di Gallieno colla data di regno c vi pp od un ramo nell’esergo, non appartengono ad Antiochia ma bensì a Serdica. Converrà quindi cancellarle dove sono ricordate nella mia illustrazione della zecca d’Antiochia.

Nel presente articolo ho fornito le prove per dimostrare che le serie spqr di Gallieno e di Claudio non furono coniate in Antiochia, — come asserisce il sig. Lépaulle, — ma bensì in Serdica; ho poi esposto, basandomi sulle monete, i motivi che m’inducono a dissentire dal sig. Lépaulle, anche su alcuni altri punti; lascio ora ai colleghi numismatici il giudicare, se io sia riuscito a dissipare i dubbi ch’erano stati sollevati.

Linz, 1889.

Andrea Markl.       


(Trad. di S. A.)




[p. Tav. VIII modifica] 

Note

  1. Qui il sig. Lépaulle incorre in un grave errore, perchè chiama sigle monetarie queste leggende abbreviate, le quali non sono altro che date di regno. Cosi pure può esser fonte di errori il citare queste date, non come stanno veramente sulle monete, ma soltanto sommariamente chiamandole marques, come fa il sig. Lépaulle per il vi c ed il xv p.
  2. Questa moneta non si trova in mio possesso, ma appartiene al signor Magg. Ottone Vötter, e non venne letta bene dal sig. Lépaulle, sull’impronta che gliene mandai; infatti egli ne dà la leggenda erronea p m tr p xvii.
  3. Anche le iniziali spqr non sono sigle o lettere monetarie, più che noi siano le date di regno sulle monete; esse formano parte della leggenda. Si può comprendere ora come il sig. Lépaulle dica: Ce sigle spqr est également le seul employé par l’atelier d’Antioche pour les pièces du règne de Claude le Gothique, ma è inconcepibile come mai egli passi sotto silenzio le vere lettere monetarie dall’a all’h con cui sotto Claudio questa zecca segnava le monete, lettere sulle quali io aveva pur attirato la sua attenzione. Tuttavia, questa serie così contrassegnata, esiste; e quindi, se essa non appartiene ad Antiochia, e poiché non può esser assegnata a nessuna delle altre cinque zecche, deve esservi stata in attività sotto Claudio un’altra 7a zecca; e ciononostante il sig. Lépaulle, precisamente come me, non enumera che le sei zecche da me accennate di quest’imperatore. Io non posso che ripetere ciò che ho detto da principio: alla catena formata dalle nostre serie imperiali, non si può togliere od aggiungere arbitrariamente un solo anello, senzachè la lacuna o l’aggiunta non balzi immediamente agli occhi.
  4. Da parte di non specialisti si son fatte delle obbiezioni in proposito; ed è naturale, del resto, che possa sembrare eccessiva l’importanza che gli specialisti danno a cose apparentemente di così piccolo momento, come la forma irregolare d’una lettera; eppure sono particolarità tutt’altro che trascurabili, le quali servono di guida, in ispecie quando si tratta di monete senza segnatura, per chiarire la serie cui appartengono; nello stesso tempo che, appunto come gli altri distintivi caratteristici delle monete, ci provano come in tutto l’ordinamento monetario si seguisse un sistema rigorosamente stabilito, ciò che forse si ignorava prima dora.
  5. La sigla H sotto la testa di Diocleziano (Cohen, 2a ed., n. 94), e le sigle A, H sotto quella di Massimiano Erculeo (Cohen, 2a ed., n. 160, 170, 213),. pare che siano sfuggite al sig. Lépaulle.
  6. 6,0 6,1 6,2 6,3 Riprodotta nel Vol. II, Tav. I, della Numism. Zeitschrift di Vienna, Annata 1879.
  7. In questo specchietto non possono trovar posto che le monete ben conservate, e perciò a quella di Treboniano Gallo, d. Coh. 61, ho messo un punto interrogativo. Anche a Cohen saranno capitate di tali monete malconservate, che non permettevano un accertamento sicuro della indicazione, come gli stesso osserva al n. 58 di Treboniano Gallo oppure anche monete così logore da esserne affatto scomparsi i segni di zecca.
  8. Questa moneta differisce da quella descritta da Cohen, per avere invece del Sole una figura femminile con una corona.
  9. Kolb dimostra che si deve leggere mesc qvintvs, e non mes covintvs.
  10. Nel Cohen (2a ed., vol. V, p. 231, n. 58) è registrata anche una moneta così contrassegnata, colla leggenda affatto romana: c val hostil mes qvintvs caesar, che forma senza dubbio un’eccezione singolare.
  11. Cohen, IV, p. 348, nota 8
  12. Le monete dì Gallieno della Collezione Lépaulle, aeternitas avg con un ramo di palma nell’esergo, e venvs avg spqr, mostrano entrambe chiaramente un punto sotto il busto dell’imperatore.
  13. Fra più di una cinquantina di tali monete coll’Equità, che ho avuto occasiono di vedere e di catalogare durante i molti anni dacchè raccolgo, non ne ho trovato una sola in cui la leggenda fosse divisa in modo diverso.
  14. Lo stesso ripostiglio di Smime, di cui si è detto più sopra, accenna alla zecca di Serdica. All’epoca del trasporto di questa a Cizico, può darsi che anche il possessore di quelle monete, temendo pel proprio avere, abbia riparato al di là dell’Ellesponto, dove si sentiva al sicuro dalle peripezie della guerra. La composizione del ripostiglio sembra avvalorare quest’ipotesi, poiché, ad eccezione di una minima quantità di monete dalla zecca di Roma, il resto apparteneva in parte alla zecca di Sordica, ma, in parte senza confronto maggiore, a quella di Cizico.
  15. L’obbiezione di Lépaulle, che una parte delle monete di Gallieno della serie spqr riveli nelle leggende una tendenza aggressiva verso l’imperatore e le sue disposizioni, e che una tale audacia non avrebbe potuto passare impunita, fuorché al più in Antiochia, e la conclusione ch’egli ne trae, che cioè queste monete non possono essere state coniate in Serdica, perchè la giustizia avrebbe ivi raggiunto prontamente il reo, sono ragioni assai deboli, e che vengono confutate dalla perla di tutte queste monete satiriche, quella ben nota con vbiqve pax, che certamente non è stata coniata in Antiochia.
  16. Vedi nel Vol. XIV della Numism. Zeitschrift di Vienna, Annata 1882, l’articolo: «Sul significato del ramo di palma nell’esergo di alcune monete dell’imperatore Gallieno.»
  17. «Storia politica dell’impero Romano da Valeriano sino all’assunzione di Diocleziano al trono», per Teodoro Bernhardt (Berlino, 1867).
  18. Bernhardt, pag. 37 a 50 e pag. 272 a 276.
  19. Zos., I, 50.
  20. Non ha guari è venuto a mia cognizione un antoniniano di Zenobia, che sarà pubblicato fra breve dal suo possessore.
  21. Egli mi scrive: «Pour moi les pièces de a à h n’appartiennent ni à Antioche ni à Serdica. Je n’ai point de preuves à donner à l’appui de mon opinion, mais ne pouvant accepter celles qu’on me donne, je dois les classifier comme douteuses d’origine.»
  22. Catalogue d’une collection de médailles, etc., III partie. N. 6670-83, 88, 91, 99.
  23. Zeitschrift für Numismatik, Vol. III, pag. 405.
  24. Vedi il mio articolo: «Sul significato delle monete con victoria g. iiii. e victor german di Claudio II», nel Vol. XVI della Num. Zeitschrift di Vienna, Annata 1884.
  25. Di quest’imperatore io posseggo 260 monete coniate in Roma, 60 di Tarragona, 41 di Siscia e 10 dì Cizico, oltre a 21 altri pezzi di fabbrica barbara, che qui però non entrano in considerazione.
  26. Mi spiace veramente di esser costretto a confutare sa tanti punti il sig. Lépaulle, ma devo pur dire che anche la sua asserzione che Quintillo non abbia coniato a Cizico non regge, e mi riesce anzi tanto più inesplicabile inquantochò io gli dimostrai già, col mandargli le impronte delle monete relative, ch’egli si trovava in errore. Si tratta delle monete di Quintillo, con fortvna redvx, fides militvm e iovi conservatori, analoghe per lo stile, per le raffigurazioni, per le leggende del (rovescio e per la segnatura alle monete di Claudio delPaltima emissione di Cizico.
  27. Zos., I, 47.
  28. V. Rohde, «Le monete dell’imperatore Aureliano, ecc».
  29. L’antoniniano di Vaballato, appartenente al Capitolo di S. Floriano, presenta nella testa del sovrano una rassomiglianza completa colla moneta siriaca di Claudio della mia raccolta, N. 2726, Rov. fides avg; ed un’altra moneta siriaca di Claudio, N. 862 della mia raccolta, Rov. aeqvitas avg (che riproduco alla Fig. 21 della Tavola), colpi già da tempo il signor Rohde per la rassomiglianza dell’imperatore colla sua moneta di Vaballato, ivєnvs avg.
  30. Quest’asserzione è già contraddetta, del resto, da ciò che dice altrove lo stesso sig Lépaulle, cioè che Qnintillo ha coniato soltanto in Tarragona, Roma e Siscia, — dunque non in Antiochia I Che, malgrado la lontananza di questa zecca e la breve durata del regno di Quintillo, ’vi fu tempo sufficiente a farle pervenire le istruzioni necessarie per la coniazione delle monete del nuovo imperatore, lo si è già dimostrato ampiamente.
  31. Battaglie di Dafne ed Emesa.