Scola della Patienza/Parte terza/Capitolo IV
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CAP. IV.
Come le Afflittioni s’hanno da sopportare con ringratiamento.
Habbiamo detto, che tutte le cose s’hanno da sopportare Patientemente, allegramente, costantemente. A questi aggiungiamo un’altro quarto modo, che è con ringratiamento overo gratamente. Ma per qual cagione s’habbia da ringratiare per le calamità, che sono ingratissimi beneficj, hora l’andaremo dichiarando.
§. 1.
Sogliono ancora talvolta alcuni Padri serij insegnar ai lor figliuoli, che dopo d’esser da loro stati castigati, bacino la verga; Così ancora nelle scuole quei discepoli, che sono di maggior aspettatione, e di miglior natura, ringratiano il maestro quando sono battuti. Come se dicessero, Signor Maestro io non hò a male d’esser stato castigato, hò meritato il castigo, e hò molto a caro d’esser così a cuore al mio Maestro, e ch’ei non habbia affatto perduta la speranza de’ fatti miei. E di che mi voglio sdegnare? E’ officio del Maestro a castigere li scolari, quando peccano, perche a questo modo vanno con più riseruo. O che buona natura, ma rara, che a questo modo riceve i castighi! Così conviene, che noi ci diportiamo con ogni patienza, e longanimità, ringratiando allegramente Dio Padre d’haverci fatti degni d’ammetterci ad esser partecipi della sorte dei Santi. In omni patienza, e longanimitate, cum gaudio gratias agentes Deo, qus dignos nos fecit in partem sortis Sanctorum.1 Ma questa è la parte, e la sorte dei Santi. Patire molte cose, e ringratiarne Iddio, che li faccia degni di tanto honore.
Per persuadere questo istesso a tutti i Christiani efficacemente, s’affaticò tanto la Divina eloquenza di S. Gio. Chrisostomo. Di gratia sentite, com’egli parla. Haec est (dice egli) voluntas Dei, semper gratias agere: hoc est animae sapienter institutae. Passus es aliquid mali? Si velis, non est malum; gratias age Deo, et malum in bonum transmutasti. Dic tu quoque quemadmodum Iob: Sit nomen Domini benedictum in saecula. Quid enim tale, quaeso passus es? Incubuit morbus? At nihil novum est, corpus enim mortale nobis est, et pati natum. Sed pecuniarum inopia? Verum, et hac acquiri possunt, & amitti, et hic tantum manent. Sed ab inimicis insidiae, & calumniae? Sed nos in his iniuriam non patimur, sed illi faciunt. Paccavit enim non qui male passus est, sed qui male fecit.2 Questa è la volontà di Dio, render fempre gratie: Questa è proprio d’un’anima saviamente ammaestrata. Hai patito qualche male? Se tù vuoi, non è male: ringratiane Dio, e hai mutato il male in bene. Di ancor tù, come disse Giob; Sia per sempre benedetto il nome di Dio. Poiche che cosa alla fine hai tù patito? Ti è forsi venuta qualche infermità? Mà questa non è cosa nuova, poiche noi habbiamo un corpo mortale, e il patire ci è connaturale. Hai forse scarsezza di denari? Ma questi ancora, e si possono acquistare, e perdere, e durano solamente di quà. O pure patisci tù qualche insidia ò qualche calunnia da’ tuoi nemici? Mà noi in queste cose non patiamo ingiuria alcuna, ma si bene quelli, che la fanno. Poiche hà peccato non colui, che hà patito il male mà chi l’ha fatto.
Per qualsivoglia male adunque tù patisca, ringratiane Dio e si mutarà il male in bene. Non ci sdegniamo dunque nelle tentationi; come dice il medesimo Santo Gio. Chrisostomo, ne ci angustiamo, ne ci turbiamo. Perche Giob ferì più gravemente il Demonio, quando da lui spogliato, ne ringratiò Dio, che quando distribuì la sua robba ai poveri. Perche è molto maggior cosa, che essendo uno privato di tutte le cose, sopporti ciò generosamente, e con ringratiarne Dio; che essendo ricco, far molte limosine, come accadde a questo huomo Santo.
Mà un subito, e repentino incendio fù quello, che ti levò tutta la robba, e ti saccheggiò la casa? Ricordati di quelle cose, che accadero a Giob. Ringratiane il Signore, che poteva prohibirlo, e non lo fece; e ne riceverai tanta mercede, quanta n’haveresti havuta, se tutte quelle cose havessi dato a’ poveri. Et affermando di nuovo questo istesso, dice così: Parem habebis mercedem cum eo, qui pecunias suas pauperibus largitus est si amissis illis gratias egeris, et cum ad divinatores ire potueris, sustinueris illas magis non recipere, quam illas hoc pacto recipere.3 Haverai una mercede come quello, che ha dato i suoi dinari a i poveri, se dopo d’haverli perduti, ne ringratiarai Iddio; e potendo ricorrere da gl’indovini sopportarai più tosto di non haverli, che ricuperarli a quel modo.
Ma sei tù forsi povero, ò ti ritrovi oppresso dalla fame, e circondato da infiniti pericoli? Ricordati di Lazaro, che combatteva con la poverta, con la privatione di tutte le cose, e con altre infinite molestie è questo dopo l’acquisto di tanta virtù. Ricordati de gl’Apostoli, i quali pativano continuamente fame, sete, e nudità. Ricordati de i Profeti, e de gl’altri giusti, e li troverai tutti essere non de ricchi, e di quei, che stanno allegramente, ma sì bene de tribolati, bisognosi, e angustiati. Considerando queste cose fra te stesso ringratiane con grande allegrezza, e diligenza il Signore, d’haverti di ciò fatto partecipe: perche se non havesse grandemente amato quei Santi non haverebbe permesso, che havessero patito così gran cose: Nulli gratiarum actioni par bonum; Hoc maximum est sacrificium, haec oblatio perfecta.4 Non vi è bene alcuno, che s’agguagli al rendimento di grazie. Questo è il più gran sacrificio, che si possa fare, e questa è una perfettisima oblatione). E perciò S. Paolo dice: In omnibus gratias agite: haec est enim voluntas Dei.5 Ringratiate Dio in ogni cosa; perche questa è la sua volontà.
Quei trè giovanetti Hebrei condennati alla fornace di Babilonia, nell’istesse fiamme, come se fussero stati in un lautissimo banchetto, stavano rendendo gratie a Dio. Perche, come dice Daniele: Quasi ex uno ore laudabant, et glorificabant, et benedicebant Deum in fornace, dicentes: Benedictus es Domine Deus patrum nostrorum, et laudabilis, et superexaltatus on saecula. Et benedictum nomen gloriae tuae Sanctum, et laudabilis, et superexaltatum in omnibus saeculis.6 Come con una sol bocca lodavano, glorificavano, e benedicevano Dio nella fornace, dicendo: Benedetto sete voi Signor Iddio de’ Padri nostri, e laudabile, e superessaltato per sempre. Et benedetto è il Santo nome della gloria vostra, e laudabile, e inalzato in tutti i secoli. Quindi è che quell’infocata prigione servì loro di un’agiatissimo Palazzo; quel fumo horrendo, di un’aria fresca, e serena; quelle fiamme, di delicatissimi vestimenti. E quelle catene, in vece di collane d’oro, e di gemmati, e ricchissimi monili.
Note
- ↑ [p. 715 modifica]Coloss.c. 1. 11.
- ↑ [p. 715 modifica]Chrys. to. 5. ho 68.
- ↑ [p. 715 modifica]Id. to. 4. in I ad Thessal. c. 3. ho 3. post med.
- ↑ [p. 715 modifica]Id. eod. to. hom. 1. post. med. et to. 1. hom. 5. de patient Iob.
- ↑ [p. 715 modifica]1. Thess. cap. 5. 18.
- ↑ [p. 715 modifica]Dan. c. 3. 52.
§. 2.
E questo è proprio particolarmente d’un amico grato, e che attende alla vera speranza, ringratiare ancora nelle cose aspre, e contrarie glorificare Iddio per ogni cosa, non solamente per i beneficij, che ci fà, mà per li supplicij ancora, che ci manda; perche questo ci fà preparare maggior premio. Poiche ringratiando Iddio delle cose buone, che ti hà dato, hai pagato il debito, ma ringratiandolo per le cose avverse ti hai costituito Dio per debitore. Percioche chi è benificato, e ne rende gratie, paga li debiti; mà chi ha ricevuto qualche male, e ne ringratia Dio, questo s’acquista un credito. E così Dio s’ha ugualmente da lodare quando castiga, come quando perdona. Perche l’un’e l’altro è opra di cura, e di bontà. Bisogna dunque ugualmente lodarlo, e che ponesse Adamo nel Paradiso, e che d’indi lo discacciasse. E ringratiarlo non solamente per il cielo, ma anche per l’Inferno; poiche lo fece, e lo minacciò, per liberarci dal peccato.
Si come dunque osserviamo, e ammiriamo il Medico, non solo quando ci dà da mangiare, ma anche quando ci fa far dieta; non solo quando ci fa uscir di casa a far esercitio, ma anche quando ci tiene chiusi in casa; non solo, quando ci unge, ma anche quando ci punge, e taglia (perche se bene le cose, che si fanno, sono contrarie, vanno però tutte a battere ad un medesimo fine). Così ancora bisogna lodare Iddio per ogni cosa, e tanto più, quanto che questo è Dio, e quello è huomo, e le cose di quelli spesse volte si variano; ma le cose, che fa Dio, son fatte con somma sapienza, e con somma accuratezza. E perciò ancora non solo ringratiamo Dio, se otteniamo ciò, che dimandiamo, ma anche se quello ci sarà negato. Perche quando Iddio ci nega una cosa, non ci è meno Padre, che se ce la concedesse. Poiche noi non sappiamo le cose, che ci sono di giovamento come egli le conosce.
E però ò otteniamo, ò no ciò, che dimandiamo, sempre ne dobbiamo render gratie a Dio. Il rendimento di gratie adunque è un gran tesoro, una gran ricchezza, un bene permanente, e una fortissima armatura. E nelle tribulationi si troverà qualche tregua, se vi sarà il ringratiamento. Poiche ivi sono molte insidie, dove è molta virtù: Ivi è l’invidia, dove è la misericordia. Mà noi habbiamo una buonissima armatura, che può da noi tener lontane tutte le dette macchine, con ringratiar continuamente Dio per tutte queste cose. Perdesti forse il tuo dinaro? Se tù ne ringratierai Iddio, ti hai guadagnato l’anima, e hai trovato maggiori ricchezze guadagnandoti più la benevolenza di Dio.2
Nè altrimente dice S. Agostino: Sic sunt boni, et mali, quomodo si duo vasa sint plena, et unum habeat putredinem, aliud aromata pretiosa cum uno ventilabro ventilata. Illud vas ubi fuerint aromata, odorem desiderabilem: aliud autem faetorem intolerabilem reddit. Ita simul boni, atque mali indiscrete quidem turbati, sed alto Dei iudicio separati. Quoties aliqua tribulatio in mundum venerit, qui boni sunt, velut vasa Sancta gratias agunt Deo, qui eos castigare dignatur: illi verò,qui sunt superbi, luxuriosi, cupidi, blasphemant, et murmurant contra Dei, dicentes: O Deus, quid tanti mali fecimus, ut talia patiamur? Vnde saepe sit, ut infelices isti amore huius vitae obligati, nec istam tenere possint, et illam sempiternam, de qua fugiet dolor, et gemitus, amittant: Et quod peius est nec ista mala praesentia possunt evadere, et ad illa, quae aeterna mala sunt, eorum crimina eos faciunt pervenire. 3 I buoni, & i tristi (dice questo Santo) sono a punto come se fussero due vasi pieni, uno di marcia l’altro di pretiosi aromi; e l’un’e l’altro esposto al medesimo vento. Quel vaso dove sono gl’aromi manda un’odore desiderabile, mà l’altro una puzza intollerabile. Così i buoni, e i tristi vengono tutti insieme senza veruna differenza turbati, e afflitti, ma per alto giuditio di Dio separati. Quante volte viene qualche tribulatione nel mondo; quei, che son buoni, a guisa di tanti vasi Santi, ne ringratiano Dio, che si degni di castigargli: Ma quei, che sono superbi, lussuriosi, e avari, biastemano, e mormorano contra Dio, dicend: O Dio, e, che gran male habbiamo noi fatto per patire sì gran cose? Onde spesso avviene, che questi poveracci legati dall’amore a questa vita, ne possino ritener questa, e perdino quell’altra sempiterna, dove non sarà ne dolore, ne pianto alcuno: E quel ch’è peggio, non possono scappare da questi mali presenti, e i lor peccati li conducono a i mali eterni. Adunque, come dice San Gregorio, si ha d’avvertire a quei, che tanto temono i flagelli, che se desiderano veramente di non haver male alcuno temino assai, e si spaventino de gli eterni supplicij. Admonendi sunt qui flagella metuunt, ut si malis veraciter carere desiderant, aeterna supplicia perhorrescant.4
Raccontano l’historie de gl’antichi SS. Padri, che si ritrovò una volta uno fra di loro, che senza veruna sua colpa venne in odio, e a noia a tutti quanti gl’altri. Non vi era più alcuno, che lo ricevesse, niuno più lo salutava, niuno gl’imprestava nè libro nè pane; e dopo i soliti travagli niuno l’invitava più a casa sua. Egli però (nel che era degnissimo di lode) in tutte queste cose ringratiava Dio. Occorse poi un giorno, che ritornando questo pover’huomo da mietere alla casa, non vi trovò niente di pane. Hor che doveva fare in questo caso questo poverello? Dai compagni non ne poteva sperare niente: doveva forse aspettare, che gli fusse mandato il pane dal Cielo? Si, perche di lassù appunto gli fù mandata la sua provisione; poiche subito si sentì picchiare alla porta da uno, che gli conduceva un Camelo caricato di pane. Quando il buon Romito vide questa liberalissima providenza di Dio verso di lui, risoluto tutto in lagrime così disse: adunque ò mio amantissimo Iddio io sono indegno di patir più penuria per voi? E dall’hora in poi, gl’altri ancora se gli mostrarono più benigni, e come dice lo Scrittore di quella historia, repausebant eum, lo lasciavano riposare, e amorevolmente l’accoglievano.
Note
§. 3.
Questa è la mente di S. Paolo il quale ci essortava così: Gratias agantes semper pro omnibus. Ringratiando sempre Dio per ogni cosa. Il che considerando S. Girolamo dice: Pro beneficijs gratias agere, vel Idolatra, ac Iudaei norunt; pro calamitatibus, ac supplicijs soli Christiani. Il ringratiare Iddio per i beneficij è cosa, che la sanno fare anche gl’idolatri, e i Giudei; ma il ringratiarlo per le calamità, e per i castighi lo sanno fare solamente i Christiani. Per tanto conforme all’Apostolo in tutti i nostri pericoli, e miserie diciamo sempre: Sia benedetto Dio. Questo è un’animo di Christiano.
Della qual cosa tratta benssimo il libretto dell’imitatione di Christo nel c. 50 del terzo lib. di maniera, ch’io son di parere, che il detto capitolo, ò parte di esso si debba leggere ogni giorno da quei, che sono in qualsivoglia modo afflitti, mesti, e tribolati. Donde noi ancora a proposito nostro pigliamo queste quattro parole, che seguono: Gratias tibi ago, Domine Deus, quia non pepercisti malis meis, sed attrivisti me verberibus amaris, infligens dolores, et immittens angustias, foris et intus. Disciplina tua super me, et virga tua ipsa me docebit.1 Io vi ringratio Signor Iddio mio, che non mi havete perdonato, quando hò fatto male, ma mi havete castigato severamente, facendomi sentire dolori grandi, e mettendomi in grand’angustie, dentro, e fuori, la vostra disciplina sia sopra di me, e la vostra verga sarà quella, che mi insegnarà.
Racconta un famoso Predicatore Dominicano,2 che un’huomo molto dotto, ed erudito dimandò ad una Vergine molto Santa, un breve modo di viver santamente. Et havendo ella ristretto ogni cosa in dieci documenti. Et assegnandoli per quinto il seguente, così diceva: Tantis doloribus, et angoribus nemo afficiatur, quin gratias pro ijs agat, seque indignum his iudicet, et poenas maiores, ac duplicatas petat. Non vi sia alcuno così travagliato, e afflitto, che delle sue tribulationi, e affanni non ne renda molte gratie a Dio, e, che non se ne stimi indegno; e sempre ne dimandi a Dio de’ maggiori, e raddoppiati ancora. Il che essa osservò in fatti. Hor perche noi ancora non imitiamo una cosa così degna d’esser imitata?
Mostriamo questo con un essempio. Vi sarà uno, che tutta una notte s’haverà sentito romper miseramente il petto da una crudele tosse; contando tutt l’hore, e tutti i quarti senza poter già mai chiuder gl’occhi, ne dormir niente. Costui farebbe una gran cosa, se ardisse dire à Dio: Signor Iddio datemi vi prego, una tosse più gagliarda, che mi travagli più, che non fà questa; poiche io hò meritato cose molto maggiori, e più crudeli. Vi sarà un’altro, che patira dolor di testa, e sarà travagliato dello stomaco, ò patirà di dolori artetici, dolor di pietra, ò di podagra; e che con tutto ciò non faccia altro, che dire: Signore radddoppiatemi il dolore insieme, e la Patienza. Quis est hic, et laudabimus eum? Ditemi un poco chi è quello, che faccia questa cosa? Vi sarà poi un’altro, che sarà stato molto bene burlato, e disprezzato da tre, ò quattro. Ma che costui dica: O Signor mio Giesù Christo, che tante volte foste per me burlato, e disprezzato, mandatemi pur contra de gl’altri, che mi burlino, mi disprezzino, e mi carichino d’ingiurie, perche di queste cose io son degno. Vi è forsi alcuno, che preghi Iddio a questo modo? Io per me non dubito niente, che ve ne sia qualcuno, ma che se ne stia nascosto, e secretamente si consoli con la patienza. Ne vi mancheranno di quei, che orino in questo modo: O mio amantissimo Iddio io non patisco solamente una Croce, ma molte, e diverse: mà io vi prego, Signore, che mi facciate patire cose più grandi, e m’accresciate i travagli; perche sò molto bene, che m’accrescerete insieme la patienza. Per hora vi ringratio di questi, che mi date, e me ne tengo indegno di patire alcuna cosa per voi Dio mio.
Habbiamo noi forse pregato fin’hora in questo modo, e habbiamo da pregar così per l’avvenire? O Christiani miei, ci pensiamo talvolta d’haver qualche poco di santità dopo d’haver recitato queste, ò quelle orationcelle; mà ò quanto siamo ancor lontani dalla vera patienza? Quì dobbiamo mostrarci d’essere huomini, quì giganti. Esercitiamoci in queste cose, poiche nessuno vi pensa, nessuno le loda se non solamente Iddio, che vede i cuori; a cui fra tutti gl’istrumenti due sono quei, che più gli piacciono, cioè il tamburo, e l’organo: il tamburo d’un spirito contribolato, e l’organo di lode, e di ringratiamento. Il suono del tamburo è questo, ch’io sento, quanto mi scotta questa tribolatione! Mà non m’abbandonate Dio mio, datemi patienza, ò patientissimo Giesù. E questo tamburo suona molto bene, e supera qualsivoglia delicatissima musica. L’organo di lode rende soavissimi concenti. S. Giacomo, che dal supplicio, che patì fù chiamato l’Interciso, fù un perfettissimo organista, e sopportò una crudelissima morte con esser tagliato a membro a membro, e ogni volta, che gli era tagliato ò un dito ò la giuntura di qualsivoglia altro membro, fù sempre sentito a dire: Deo gratias, Sia sempre ringratiato Dio.
Hebbe in questo modo per maestro Giob, il quale ogni volta, che gl’era portata qualche mala nuova, di nuovo ancora egli ne ringratiava Dio. Venne uno, che gli diede nuova, che gli erano stati menati via da i Sabei tutti i bovi, con tutti gl’altri suoi giumenti, alla quale nuova Giob non disse altro, se non. Sit nomen Domini benedictum. Sia benedetto il nome del Signore: Venne un altro, e dissegli: È venuto fuoco dal cielo, e hà consumato tutte le mandre delle pecore: A cui Giob di nuovo: Sit nomen Domini benedictum. sia benedetto il nome del Signore. Venne il terzo con dirli: son venuti i Caldei, e s’han pigliato tutti i cammelli. E Giob con grandissima costanza: Sit nomen Domini benedictum. Venne un’altro, e gli disse, che era rovinata la casa, e haveva colto sotto tutti i suoi figliuoli; e Giob come prima: Sit nomen Domini benedictum: sicut Domino placuit, ita factum est. Et eccovi un’organo di lode, e un’eccellentissimo organista, che lodandolo l’istesso Iddio, dice di lui: Numquid considerasti servum meum Iob, quod non sit ei similis in terra?3 Hai tù considerato bene il mio servo Giob, e come non vi è al mondo un’altro par suo?
Note
§. 4.
Le carni, che si mettono nello stipo per arrostire, sono fra di loro molto differenti. Perche se si hà d’arrostire un cappone, ò qualche altro pollo magro, secco, e senza succo, egli è necessario, che il cuoco il vada continuamente ungendo con strutto, ò altra cosa simile, e con tutto ciò vi sarà da fare assai, che la vivanda non riesca secca come un’osso, ò pure come paglia, ò legno; ma se si haverà da arrostire un paparo, ò una gallina grassa, ò un buon cappone, ò una vitella mongana, ò qualche buon porcello, ò gallo d’India, non bisognerà ungerli troppo con altri grassi liquori, perche a ciascuno basta il proprio, e ve n’avanza ancora. E queste sono vivande signorili, e degne della tavola di qualsivoglia galant’huomo. Così a punto quegl’huomini, che non sono mai stati nel grasso dello spirito, che non hanno ne animo, ne senso, e sono senza alcuna divotione, e senz’alcun fervore; se sono posti al fuoco dell’afflittione, e dei travagli: Ahi, che arido, e secco arrosto fanno! Questi tali sono bene unti di fuori col grasso della consolatione, ma è loro di pochissimo giovamento perche piangono, e si lamentano inconsolabilmente. Manca loro il grasso del buono spirito, e ungili pure di fuori quanto tù vuoi, che non li farai più grassi: Cerca pure con ogni possibil modo di consolarli, che non potrai mai fare tanto, che habbiano un poco di patienza. Mà quei, che hanno appreso altamente i precetti della patienza, e che si sono dati tutti in potere della divina volontà; quando sentono il fuoco della calamità, all’hora più che mai mostrano il grasso della lor divotione, stanno sempre saldi, e senza alcun timore consolano se stessi, e gl’altri; e si sottomettono a fare, ed esercitarsi nelle cose più vili, e basse; rendono gratie per l’afflittioni, che hanno, e ne dimandano più; E a questo modo si vanno ungendo come col proprio grasso. Questi sì che si apparecchiano per quel grande, e real banchetto, al quale si fà quel bell’invito: Ecce prandium meum paravi, tauri mei et altilia occisa sunt, et omnia parata; venite ad nuptias. Ecco, che io v’hò apparecchiato il mio convito già i miei vitelli, e i miei pollami sono uccisi, e ogni cosa è all’ordine venite pur tutti alle nozze.
E si come è migliore l’odore della carne arrostita, che della bollita, così quel rendimento di grazie, che viene da coloro, che sono come arrostiti da qualche longo dolore, e affanno, è molto più pretioso, che non è quello di coloro, che patiscono poco, e, che navigano come in un mare placido, e tranquillo.
Noè dopo il Diluvio, in cui restò sommerso tutto il mondo, fece insieme co’i suoi un bellissimo sacrificio per ringratiarne Iddio; poiche pigliati diversi animali, e uccelli d’ogni sorte li offerse al Signore in holocausto: Odoratusque est Dominus odorem suavitatis:3 E gli fù molto accetto questo sacrificio.
Ma pensa un poco di gratia, per quanto tempo, e quanti travagli patisse Noè. Poiche una buona parte dell’età sua (mentre il mondo tutto se ne stava securo dandosi buon tempo) spese con gran stento, e travaglio in fabricar l’Arca. Ch’egli poi fuggisse la morte, questo fù peggio per lui, che se fusse morto cento volte. Percioche, oltre che l’Arca gli servì come di sepoltura per lo spatio di dieci mesi, non si poteva trovare cosa più noiosa, quanto l’esser trattenuto per tanto tempo nel mezo delle lordure di tanti animali. E dopo d’haver passato tante difficoltà hebbe nuova cagione di dolore, intendendo d’essere stato così bruttamente beffato, e schernito dal suo proprio figliuolo: E quello, che per gran beneficio di Dio haveva salvato dal Diluvio, fù poi forzato con la propria bocca a maledirlo. A questo modo accettò Iddio come un gratissimo, e soavissimo odore la costante patienza di Noè, e il rendimento di grazie, che nel tempo delle sue avversità gli fece; e ne lo remunerò con maggiori favori, e più avvantaggiati beneficij.
Note
§. 5.
Si dimanda con fervore finchè s’ottiene quello, che si dimanda, ma render gratie per quello, che si è ottenuto, si fà molto freddamente.
In questa nostra scuola si suole, e deve fare il contrario, perche i discepoli della Patienza quando vedono un calice pieno di amarezza, pregano bene Iddio insieme con Christo, e dicono: Pater, transeat a me calix iste. Signore liberatemi da questo travaglio; ma queste preghiere, siano pur calde quanto si voglino, le temperano con aggiungervi quell’altre parole: Verumtamen non mea, sed tua voluntas fiat. Nondimeno Signor mio, facciasi pure la vostra santa volontà, e non la mia. E così desiderano bene essi d’esser liberati, mà però se ciò piace a Dio. Quando poi ne lo ringratiano, fanno ciò assolutamente senza nessuna riserva, rendendogli affettuosissime grazie, e con la lingua, e col cuore. E non fanno altro che dire: Signore io vi rendo immortali, e infinite grazie, che mi facciate tanto honore, ch’io possa patire qualche cosarella per vostro amore: vi ringratio, che mi teniate nel numero de’ vostri figli: e qual’è quel figliuolo, che ’l Padre nol castighi? Quis sana intelligentia (dice S. Gregorio) de percussione sua ingratus existet, si ipse sine flagello non exit, qui hic sine fine peccato vixit.2 Chi sarà che habbia cervello, che sia ingrato di quello, che patisce se quello, che qui visse senza peccato patì tanto?
E però è cosa di buona mente benedire Iddio non solamente nelle cose prospere, ma lodarlo ancora nelle avverse. Se ringratiando Iddio nelle avversità con la patienza te lo renderai propitio, oltre che ti saranno rese le cose, che perdesti con moltiplicato guadagno; ti saranno ancor dati di più gl’eterni gaudij, così dice S. Gregorio: Si in adversis gratias referens Deum tibi patientia feceris esse placabilem, et quae amissa sunt multiplicata redduntur, et super haec gaudia aeterna prestantur.3
Si rendono poi con gran ragione grandissime grazie al Padre per li castighi, e per le correttioni, perche le bastonate, che dà il Padre sono molto migliori de i baci, che dà il nemico. Ad ogn’uno è nota quella voce del nostro Padre celeste: Ego, quem ami, castigo: Io castigo quello, che amo, e flagello tutti i miei figliuoli. Vuoi tù esser uno de’ figliuoli? Apparecchiati ad’esser castigato. Ma che doveranno qui rispondere i buoni figliuoli a così buon Padre? S. Agostino ce lo suggerisce, e dice che s’ha da rispondere così: Et cum blandiris, pater es, et cum caedis pater: blandiris, nes deficiamus; caedis ne pereamus.4 Voi ci siete Padre, Signore, e quando ci accarezzate, e quando ci castigate: Ci accarezzate, perche non veniamo meno, e ci castigate, perche non ci perdiamo. Et aggiunge S. Agostino a nostro proposito istruendoci con gran diligenza: Exaltate Dominum Deum nostrum. Iterum exaltemus eum, quia bonus est. Nam si non vindicet, et deserat, perimus. Igitur, quando bene est, lauda misericordiam, quando male est, lauda Iustitiam. Tu qualis filius es? Quando te Pater emendat, tunc tibi displicet. Non emendaret, nisi tu illi displiceres. At si sic displiceres ut odisset, non ille te emendaret. Gratias age ergo emendatori, ut accipias haereditatem a Deo, qui te emendat.5 Quando aliquos flagellat in terra admonitio est, nondum damnatio. Patiens est super peccatores, non exercens iram, sed expectans poenitentiam.6 Lodate il nostro Signore Iddio; lodiamolo di nuovo, perche è buono. Perche se non ci castiga, e ci lascia andare, siamo spediti. Quando dunque le tue cose van bene, loda la sua misericordia, e quando van male loda la sua giustitia. Tù, che figlio sei? Quando il Padre ti castiga all’hora ti dispiace; ma egli non ti castigarebbe se tù non gli dispiacessi. Che se tù gli dispiacessi tanto, ch’ei perciò ti odiasse; certo, che non ti castigherebbe. Ringratia dunque il tuo Correttore, per haver poi l’heredità da Dio, ch’è quello, che ti corregge. Quando castiga alcuni in questo mondo, questo è avviso, non pena. Egli è assai patiente verso i peccatori, non essercitando l’ira sua, mà si bene aspettandoli a penitenza.
Ma ringratiamo noi forsi Iddio spesse volte per una cosa bassa, e vile, e, che talvolta ancora ci dispiace, solamente perche ne speriamo cose migliori? Perche chi è grato per il primo beneficio s’apparecchia per il secondo. E perciò chi hà sale in zucca, ed è prudente, si mostra grato etiandio per un beneficio poco accetto, per che così discorre fra se stesso: Chi m’hà fatto un beneficio è cosa certa, che me l’ha fatto con buon’animo, e s’io lasciassi di rendergli le dovute gratie, meritarei come ingrato, che non me ne facesse più per l’avvenire. E questo ce lo detta la ragione istessa. Ma il lume superiore alla ragione è questo: Iddio in questo tempo và spargendo denari di ottone, e di piombo; dà corone, ma sono di spine, e sanguinose: ma con che animo fa questo? Per darcele in breve d’oro, e di pretiose gemme.
Perche dunque non rendiamo le dovute gratie al nostro amantissimo Padre, quando ci dà del piombo, e delle spine, che presto s’han da mutare in oro, e in tante pretiose gemme? Accettiamo dunque adesso il piombo, abbracciamo adesso le spine, e per esse ringratiamone Iddio non meno di quello, che faressimo per ricchissimi tesori. Queste sono certissime, e sicurissime caparre d’oro, e di gioie. Qui humiliatus fuerit, erit in gloria, et qui inclinaverit oculos, ipse salvabitur.7 Chi sarà humiliato, starà nella gloria; e chi haverà tenuto bassi gli occhi questi si salvarà.
Note
- ↑ [p. 750 modifica]Petrarch. l. 2. de utraq. fort. dial. 31.
- ↑ [p. 750 modifica]S. Greg. p. 3. past. admon. 13. fin.
- ↑ [p. 750 modifica]Id. t. 4. l. 8. p. 31.
- ↑ [p. 750 modifica]S. Aug. to. 8. in ps. 98. prop. fin.
- ↑ [p. 750 modifica]Id. in psal. 91.
- ↑ [p. 750 modifica]Id. in psal. 98.
- ↑ Iob c. 22. 29.