Racconti politici/Il Dottor Ceralacca

Il Dottor Ceralacca

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Il Diplomatico di Gorgonzola Due Spie

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Il Dottor Ceralacca.


I.

«L'epoca delle elezioni si approssima — diceva Clementina al marito — e sarebbe omai tempo di risolvere!... Vuoi, o non vuoi essere deputato?»

— Volere! è presto detto!... Sicuro... che... se la nazione... se la patria...

— La nazione, la patria non c'entrano per nulla in queste faccende. Bisogna fare da sè! Bisogna darsi d'attorno... preparare il terreno....

— Hai detto?...

— Preparare il terreno... agitarsi... parlare... scrivere... farsi conoscere....

— Farmi conoscere! Chi non conosce Onofrio Bartolami fabbricatore di ceralacca in Borgo Spesso, e proprietario di tre case in Milano?

— La ceralacca... le tre case.... Sappiamo!... lo sanno tutti!... Ma ora si tratta ben d'altro... Ora bisogna che tu ti dia a conoscere... per quello che non sei....

— Hai detto?...

— Sicuramente!... Come fanno tutti. Non c'è altro modo per ottenere dei voti, per farsi eleggere...

— Darmi a conoscere per quello che non sono?.... Ciò non mi sembra facile... Quando un uomo ha già acquistato tanto credito, tanta riputazione nel fabbricare la ceralacca... [p. 188 modifica]

— Nulla di più naturale che questo uomo possegga dei talenti... dei talenti di un ordine più elevato.. Vediamo un po'!... Tu sei uno dei primi negozianti...

— Il primo!

— Col tuo commercio ti sei considerevolmente arricchito!

— Fra mobili ed immobili, un capitale di ottocentomila franchi....

— Ci vuole della intelligenza, ci vogliono delle cognizioni per primeggiare in un ramo qualsiasi di industria. Gli sciocchi non sanno condurre gli affari; e quand'uno arricchisce nel commercio, vuol dire ch'egli possiede molto criterio amministrativo.

— Hai detto?...

— Ho detto una cosa, della quale non sono pienamente convinta. Ma ora non si tratta della mia opinione individuale; io ti giudico come dovranno giudicarti le persone che non ti conoscono, per esempio, i nostri elettori... Dunque... come ti dicevo, tu sei un industriale illuminato; tu possiedi in grado superlativo il talento dell'amministrazione. Non si domanda di meglio. Ho inteso dire che, alle nuove elezioni, si mandaranno al Parlamento degli uomini pratici, degli uomini di cifre. Di avvocati, di poeti, nessuno vuol più saperne...

— Clementina: che vuol dire?... Da qualche tempo tu parli toscano...

— Qualche frase... qualche parola... Come fare? Al negozio ne vengono di tutte le nazioni... e bisogna farsi intendere... D'altronde, se tu riesci ad essere deputato, noi dovremo traslocarci a Firenze....

— A Firenze!

— Questa idea, se non mi inganno, ti preocupa seriamente...

— Hai detto?...

— Mi sembra che l'idea di lasciare Milano e di trasferirti alla nuova capitale del regno, non ti sorrida gran fatto...

— A dirti il vero, Clementina, questa è l'unica causa delle mie inquietudini... Ah! se in Parlamento si potesse dirle giù alla buona, come si pa [p. 189 modifica]rla da noi, in meneghino, io ti giuro Clementina.... ti giuro.... Hanno avuto un gran torto di portare la capitale a Firenze.... Poichè ad ogni costo si voleva andar via da Torino, bisognava fare un gran colpo di Stato, e piantarsi a Milano per sempre.... come è desiderio di tutti!....

— Ma tu, anima mia, ti scaldi senza ragione.... A Milano, a Torino, dovechessia, un deputato del Parlamento deve necessariamente parlare l'italiano.

— Tò! io credeva che alla camera di Torino si parlasse piemontese!

— Via! parliamo sul serio, Onofrio! e sopratutto decidiamoci! Se vogliamo preparare il terreno, se vogliamo assicurarci l'elezione, non ci resta tempo da perdere.

— Sentiamo!

— Bisogna incominciare come tutti cominciano.... Collocarci in una posizione elevata, dove tutti ci veggano, ci riconoscano e possano giudicarci!

— Hai detto?...

— Cosa hanno fatto Venosta, Allievi, Tenca, Jacini, per diventare deputati o ministri? Hanno istituito un giornale. Un giornale è il veicolo più sicuro e più spedito per arrivare alla camera.

— Clementina: questa sera tu hai delle ispirazioni luminose!... Vuoi che io te lo dica? il pensiero di istituire un giornale mi è già passato per la testa più di una volta!... Solamente io non ho mai avuto il coraggio di comunicarlo ad alcuno, neanche a te, Clementinuccia!... Mi pareva... so io? che tu dovessi ridere. Eppure io sentiva in me qualche cosa, qualche cosa che mi diceva: animo, Bartolami! fa vedere ciò che sai fare! Ti giuro. Clementina, che se io sapessi scrivere tutto quello che penso... Ma questo è il punto difficile... Nel mio cervello c'è tanto materiale da empire otto Perseveranze ogni mattina; ma poi, quando piglio la penna per mettere in carta le mie idee, allora, sia timor panico, sia il diavolo che mi porti, non sono capace di trovare la prima parola; e così, dopo molte ore di lambicco, quasi sempre finisco coll'addormentarmi! [p. 190 modifica]

— (Imbecille!)

— Hai detto?...

— Nulla!... Ma mi pare...

— Che cosa?

— Mi pare, amico mio, che per istituire un giornale non ci sia bisogno di saper scrivere... come tu dici... Tu possiedi un capitale di circa ottocento mila franchi — per un foglio quotidiano, sul fare del Pungolo, basterebbero ventimila lire! Quanto al resto, è questione di carta e di collaborazione.

— Tu sei molto istruita, Clementina! Vediamo un poco... Tu hai pronunziata una parola molto lunga, che io non credo di avere abbastanza capita... Che cosa si intende per collaborazione?

— Mi spiego in due parole. Collaborazione è un nome collettivo, nel quale si comprendono quei pochi o molti individui che suppliscono al proprietario od al direttore del giornale nelle funzioni che questi non vuole o non sa disimpegnare. Riportiamoci al caso nostro. Tu istituisci un giornale; apri un uffizio, paghi le spese e l'impianto, la carta, la stampa, che so io... Naturalmente, avendo fornito i capitali, tu diventi proprietario assoluto del foglio, direttore, redattore in capo, gerente responsabile, ciò che meglio ti piace. Non volendo, o non potendo occuparti dei piccoli dettagli, prendi al tuo stipendio uno o più collaboratori che sappiano scrivere...

— Sotto mia dettatura, ben inteso...

— O meglio, di loro talento...

— No! preferisco dettare... Te l'ho già detto, Clementina!... Ho in testa dei materiali! e credo che, dettando, mi sarà più facile di esprimere le mie idee...

— Una volta che tu sii proprietario e redattore in capo, potrai fare ciò che meglio ti accomoda. Senza dettare, c'è un altro modo anche più facile per riempire le colonne di un giornale — si scrive colla forbice.

— Hai detto?...

— Eh! non saresti il primo... Ve ne sono a centinaia dei giornalisti, che sentendo una decisa avversione alla penna, hanno adottato il sistema di scrivere colla forbice! [p. 191 modifica]

— Clementina!!!... Io non capisco troppo cosa tu voglia dire con queste parole: scrivere colla forbice... Se si trattasse di tagliare i panni addosso al municipio.... Tu devi aver ragione, Clementina!... Io sono nato fatto per maneggiare la forbice.

— Dunque?...

— Hai detto?...

— Ci decidiamo?

— Clementina!...

— Che c'è?...

— Tu non hai pensato....

— A che cosa?

— Alla cosa più importante... al titolo del nostro giornale...

— Del nostro giornale!... tu dunque saresti disposto?...

— C'è dubbio?... tu non mi avevi mai compreso, Clementina! Un giornale! È il mio desiderio, il mio sogno da due anni... Solamente io non credeva che si potesse... Ah! tu mi hai data la vita, Clementina. La forbice, la collaborazione... Quali idee!... Ma ora — parlami sinceramente, Clementina — come, dove, quando mai sei venuta in cognizione?... E perchè non mi hai detto prima d'ora?...

— Dieci, dodici giorni fa, io non sapeva nulla di queste istorie del giornalismo... Per caso... in bottega... ho sentito parlare fra loro alcuni letterati... Tu sai, in un negozio di ceralacca, vengono necessariamente molti uomini di lettere; e udendoli ragionare di alcuni nuovi giornali che recentemente si istituirono a Milano, sono venuta a cognizione di tutto.

— Clementina! Io sono deciso... sono pronto a sacrificare diecimila franchi per la carta e la stampa — la ceralacca l'abbiamo in casa... Tò! Una idea luminosa!... una vera ispirazione!... Dire che io ci aveva pensato due anni, senza venirne a capo!... Che ti pare, Clementina? Se il nostro giornale si intitolasse la Ceralacca! Questo titolo servirebbe a predisporre la Camera perchè adotti certe mie riforme postali che intendo proporre quando sarò ministro delle finanze. Ah! tu credevi che dormissi sui miei capitali! Dei piani [p. 192 modifica]grandiosi ce ne sono qua dentro!... Figurati che io mi sono prefisso di far passare una legge, per la quale non verrà più accettata nessuna lettera negli uffizi postali del Regno, se non porti quattro suggelli di ceralacca. — Che ti pare? — Che ti pare?

— Stupendo!

— Se il mio progetto venisse votato, noi diverremmo milionari!

— Se riesci ad essere ministro, la maggioranza è per te indubiamente.

— All'opera, Clementina! Ma no!... adagio un poco!... E quella che tu chiamavi...

— La collaborazione?...

— Sicuro! come è lunga questa parola! — come faremo noi per avere prontamente la collaborazione?...

— Oggi, domani, quando vuoi — ci sono tanti scrittori a Milano!

— È vero! che bestia!... Il nostro notaio ne tiene quattordici nel suo uffizio... Potremmo... pregarlo.

— Ma no!... Per fare un giornale, ci vogliono dei letterati!... Permetti che io ti dia un suggerimento.... o meglio ancora, mettiamoci subito all'opera. Prendi un foglietto di carta, Onofrio, e scrivi ciò che io ti detto.

— Sentiamo!...

— Sei pronto?... Si tratta di un avviso che faremo inserire domani nella quarta pagina del Pungolo. — Da bravo! «Si ricerca un giovane...»

— Un giovane?... E tu credi, Clementina, che un uomo di età matura non potrebbe servire?...

— I giovani costano meno, e fanno meglio il servizio. «Si ricerca un giovane bene istruito nelle lettere...»

E di sana morale...

— Mettiamo pure: e di sana morale, per un impiego civile...

Ed onorifero...

Ed onorifero... stipendio da convenirsi... Per le trattative presentarsi allo studio del signor Onofrio Bartolami negoziante di ceralacca....

E giornalista... [p. 193 modifica]

E giornalista... in Borgo Spesso al numero 2844... Basta!

— Hai detto?

— Ho detto che questo avviso inserito nella quarta pagina del Pungolo chiamerà intorno a noi non più tardi di dopo domani, parecchie centinaia di letterati aspiranti alla collaborazione...

— Cento collaboratori! Clementina: non ti pare che una metà basterebbe?

— Anche dieci, anche cinque, anche uno, purchè fosse di quelli... come intendo io!

— Hai detto?...

— Presto! Mandiamo Silvestro all'uffizio degli annunzii! — Lanciamo il gran colpo!... Sono già le dieci, è tempo che io scenda in negozio... A rivederla, signor giornalista, signor deputato!...

— Clementina!... puoi ben chiamarmi ministro.


II.

Dopo il dialogo che abbiamo riferito, i nostri lettori non avranno bisogno di ragguagli molto estesi per conoscere i due protagonisti del nostro racconto.

Clementina è una bella e nerboruta donna di circa trent'anni — il marito ha oltrapassato la cinquantina — un uomo grasso, che porta occhiali e parrucca. — Due coniugi bene assortiti, come ve ne hanno molti. — Da una parte la vitalità esuberante, il fuoco, il sensualismo e l'astuzia. — dall'altra, molto adipe e molta linfa, l'ambizione grottesca di un mezzo idiota, che vorrebbe elevarsi a cariche illustri pel merito de' suoi capitali.

Onofrio Bartolami non è privo di un certo criterio commerciale. Nella sua qualità di fabbricatore e negoziante di ceralacca rappresenterebbe un individuo rispettabile. Senza la rivoluzione del 1859, senza il fermento delle idee politiche e delle ambizioni dissennate, per le quali da sette anni si va travolgendo il criterio pratico delle masse e quello degli individui, il signor Onofrio si sarebbe acquietato nelle agiatezze, nella modesta compiacenza di una prosperità cr [p. 194 modifica]eata da lui. Appena andati i tedeschi, incominciò a politicare come tutti; inesorabile dapprima cogli uomini del governo, si chiamassero Cavour o Rattazzi, più tardi si lasciò vincere dal partito più mite — vide salire degli uomini, che a suo credere valevano meno di lui — indovinò che l'opposizione non è il mezzo più pronto per ottenere delle onorificenze — e leggendo nei giornali che il tipografo Civelli ed il Maglia, due individui della sua condizione, eran stati elevati al rango di cavalieri, in luogo di irritarsi per invidia, non sentì che lo stimolo della emulazione. — Se essi, dunque io — riflettè il Bartolami — e il concetto era logico. — Da quel giorno il negoziante di ceralacca ebbe il cervello in perpetua combustione onde scoprire la via per sorpassare i suoi colleghi di industria divenuti cavalieri; e il dabben uomo a forza di fantasticare, era giunto come vedemmo, a sognare un portafogli di ministro. Per maggiore schiarimento delle scene che ora vanno a succedersi, aggiungeremo due parole sulla erudizione politica e letteraria del dabben uomo. Egli non aveva mai letto alcun libro, e prima del 1859, non aveva mai gettato gli occhi sopra alcun giornale. Cominciò a comperare regolarmente il suo numero del Pungolo ogni sera, quando il più popolare, e diciamolo, il più stuzzicante dei giornaletti milanesi, ebbe iniziata la rubrica del Gazzettino di Città. Due famosi processi, quello del Boggia e l'altro delle sorelle Galavresi, insensibilmente lo avevano condotto a divagare nelle corrispondenze politiche e nei dispacci dell'Agenzia Stefani. La crisi burrascosa della Convenzione, e il fermento delle aspirazioni ministeriali lo indussero, in questi ultimi anni, a leggere da capo a fondo tutto il giornale, compresa la quarta pagina, ch'egli trovava monotona. Ma un altro genere di erudizione si era fatta il signor Onofrio, e ci teneva — l'erudizione storica, acquistata da lui insensibilmente, senza fatica di letture, per mezzo dell'abbonamento al teatro.

Il nostro negoziante di ceralacca aveva la passione dell'opera in musica e della coreografia; da circa vent'anni egli era assiduo ai teatri — Abbonato [p. 195 modifica]perpetuo alla Scala, immancabile alle prime rappresentazioni del Carcano e del Santa Radegonda, egli credeva nei libretti d'opera e nei programmi da ballo, come in altrettanti testi di istoria.

Una sera, udendo un suo vicino di sedia fissa accusare di inverosimiglianza i gamberi del Flik e Flok, ebbe a dirgli con molto sussiego: «eppure, chi conosce la storia non trova nulla di sorprendente in codeste apparizioni: anche alla Canobbiana, in un ballo storico del Rota, furono veduti ballare dei grossi pipistrelli!»

Dopo tali premesse, procediamo nel nostro racconto.


III.

Clementina, dopo la scena che abbiamo riferita, discese nella bottega, e quivi, con molte cautele, si fece a scrivere la lettera seguente:

 «Adorato Rodolfo!

«L'affare del giornale è combinato. Onofrio metterà a nostra disposizione i capitali necessari. Tu volevi partire da Milano, ingrato! Volevi lasciarmi... dopo tante promesse... dopo tante dichiarazioni di amore!... E tutto ciò, perchè qui non trovavi modo di far brillare il tuo ingegno... Egoista! Tu posponevi l'amore all'interesse... all'ambizione... Basta!... Ho pensato io. Nella quarta pagina del Pungolo vedrai domani sera un avviso col quale si fa ricerca di un giovane istruito, per un impiego. Questo impiego è la redazione del giornale di mio marito. Il numero dei concorrenti sarà grande; ti prego dunque di prevenirli — sii sollecito. Dopo domani, presentati allo studio verso le otto del mattino; credo non ti sarà difficile metterti d'accordo con Onofrio — d'altronde, ci sarò anch'io! Prudenza nelle parole, negli sguardi! Tu sei giovane, Rodolfo — e mio marito patisce l'ombrìa. Procura di solleticarlo nell'amor proprio.... Ci vuole un po' di pazienza anche da parte tua — io ne ho avuta tanta! Non badare se egli vien fuori con delle sciocchezze... Sulle prime non bisogna contraria [p. 196 modifica]rlo — poi, gradatamente, col tempo, riusciremo a tutto. Pensa al tuo avvenire, al mio... alla felicità che ci aspetta. Vederci ogni giorno! trovarci assieme!... Rodolfo!... Noi stabiliremo l'ufficio del giornale in un grande magazzeno attiguo al negozio della ceralacca... Mio Dio!.. È questo un sogno? È questa una realtà?... Tutto dipende da te... Rodolfo... Io dubito ancora che quanto mi andavi dicendo sulle difficoltà di istituire un giornale in Milano non fosse che un pretesto per andartene... Se un tal dubbio si cangiasse in certezza, io morirei di dolore — Rodolfo! io ti amo sempre... Dopo domani... a otto ore del mattino... siamo intesi! Io ti aspetto colla morte nel cuore...

                                                        La tua C...»

La lettera fu suggellata con ceralacca color di rosa, e quindi spedita immediatamente al domicilio di Rodolfo Barcheggia, per mezzo di Silvestro, garzone di bottega e segretario intimo della signora.


IV.

Rodolfo Barcheggia è un letterato come ce ne hanno mille in Italia, ma si distingue dalla maggioranza per una certa floridezza di volto, per una certa energia muscolare, che è privilegio rarissimo negli individui della sua specie. — I letterati, in Italia, e segnatamente a Milano, sono magri e brutti.

Ha venticinque anni — capigliatura folta e assai bene acconciata — naso pronunziatissimo e un bel paio di mustacchi. Venne a Milano in sul finire del 1863 — come tanti altri — per vendere letteratura e far debiti. — Fu ammesso alla collaborazione di parecchi giornali politici. Sventuratamente, erano giornali mal predestinati; quello che ebbe più lunga vita durò una settimana. Dopo tali esperienze, era ben naturale che il nostro Rodolfo prendesse in avversione una città sì poco favorevole ai suoi prodotti letterari. Nelle intermittenze frequentissime della sua carriera giornalistica, il Barcheggia si atteggiava a martire, fremeva, inveiva nei caffè e nelle trattorie contr [p. 197 modifica]o la stampa corrotta; ma ogni sera, prima di coricarsi, batteva il pugno sulla tavola esclamando: Perdio! che non si trovi alcuno, il quale sia disposto a corrompermi! — E c'era della ingiustizia ne' suoi sdegni, ne' suoi rancori contro Milano! Egli aveva trovato nella città nostra degli ospiti cortesi — un oste republicano, che gli forniva il pranzo ogni giorno, a conto della futura repubblica — e un sarto dabbene, che supponendo di aver a fare con un futuro ministro, lo vestiva in anticipazione.

Ma la repubblica e il portafogli si facevano aspettare. Il nostro amico Barcheggia cominciava a sentire gli imbarazzi della aspettativa — ed era deciso a cercare un campo più vergine dove seminare il suo genio disconosciuto. Di questa deliberazione — come è facile indovinare — non avea fatto parola ad alcuno, eccetto a lei sola, alla donna che tuttavia lo teneva invischiato a Milano colla... ceralacca.

La lettera di Clementina fa consegnata a Rodolfo mentre questi usciva dal caffè Lavezzari, dopo una furiosa declamazione contro i giornalisti venduti. In quella sua arringa estemporanea, declamata nell'applauso di tutta la sala, il Barcheggia aveva protestato di esser pronto a morire di fame piuttosto che sacrificare la propria indipendenza di libero scrittore.

E noi, in luogo di riferire le impressioni che la lettera di Clementina produsse nel giovane letterato, sorvoleremo allo spazio di quarantotto ore, per vederne immediatamente l'effetto.


V.

Quella mattina il signor Onofrio Bartolami si levò di buon'ora, e la moglie con lui.

— Io credo che i concorrenti non si faranno aspettare — disse il negoziante di ceralacca — bisogna prepararsi a riceverli... Tu sarai presente, Clementina... Diffido di me stesso... È la prima volta che abbiamo da fare con della gente letterata, e non vorrei sfigurare... Cognizioni ne abbiamo molte... ma tu sai, Clementina.... si tratta di parlare toscano.... ed io.... sventuratamente. [p. 198 modifica]... non ho mai voluto esercitarmi a questa lingua....

— Non aver paura... Saremo in due... Che serve il prendersi soggezione? Se provi qualche difficoltà a parlare il toscano, ricorri prontamente al tuo meneghino... e ciò farà dell'effetto.

— Attenzione, Clementina!... Mi pare che abbiano suonato.... Mancano venti minuti a otto ore.... Cominciamo per tempo!

Silvestro bussò leggermente all'uscio della camera.

— Signor Onofrio, c'è là fuori un giovinotto che desidera parlarvi...

— Il suo nome? — domandò Clementina ansiosamente.

— Telesforo Riga.... ed è venuto per quel tale avviso del Pungolo.

— Fallo entrare nel gabinetto — rispose il Bartolami — fra due minuti saremo a' suoi ordini.

— Telesforo Riga! — mormorò Clementina — in guardia, marito mio!.. Troppo di buon'ora... I primi a concorrere sono quasi sempre i peggiori...

— Giudicheremo! disse il Bartolami sbuffando.

Il fabbricatore di ceralacca era in preda ad un affanno convulso.

Poco dopo, i due coniugi Bartolami entrarono nella sala, dove un giovine di bell'aspetto, ma alquanto scucito negli abiti, stava attendendo.

Il Bartolami si era messo l'abito di gala e la cravatta bianca. Clementina portava un elegante peignoir di mattino, che disegnava perfettamente i contorni pronunziati della sua bella persona.

Il giovine fece un inchino alla signora: poi, volgendosi al Bartolami che a sua volta si profondeva in inchini per darsi il tempo di meditare un complimento in lingua italiana, gli porse una lettera.

Il Bartolami sedette gravemente, si pose gli occhiali, e dopo aver letto:

— Ella dunque, disse al giovane, ella dunque aspirerebbe all'impiego di collaudatore?....

— Si tratterebbe — entrò a dire Clementina — di collaborare ad un giornaletto sul far del Pungol [p. 199 modifica]o, che uscirebbe ai primi del prossimo gennaio sotto la direzione di mio marito... qui presente!... Crede ella di poter assumere la responsabilità.... della pubblicazione?....

— In verità.... io non sapeva.... io non credeva.... Il signor Civelli mi aveva fatto sperare che presentandomi alla signoria vostra con una sua lettera commendatizia, avrei potuto, nella mia qualità di colorista, impiegarmi alla fabbricazione della ceralacca....

— Ah! ah!.... la ceralacca!.... Sicuramente... Ma vi è ceralacca e ceralacca!.... Bisogna distinguere.... Ora si tratterebbe della ceralacca politica, che è quanto dire un giornale della sera... il giornale che devo far io... previa la mano d'opera di qualche collaudatore... o meglio collaboratore... come direbbe nostra moglie.

— Se si tratta di un giornale... mi spiace, signore... di averla incomodata inutilmente... Il cavaliere Civelli mi aveva incoraggiato a presentarmi... essendo anch'egli molto lontano dai supporre....

— Ebbene, giovanotto — andate a dire al cavaliere Civelli.... andategli a dire che Onofrio Bartolami.... Ma no.... no, giovanotto! Non gli state a dir nulla.... Già, fa lo stesso!... Fra pochi giorni le cantonate di Milano parleranno a chi non vuol intendere.... e vedremo!... ci sarà da ridere per tutti.

Il giovane fece un inchino, ed usci dalla sala come trasognato.

— Ho preso coraggio! disse Onofrio alla moglie — finchè si ha da fare con gente che parla come noi il meneghino....

— Ti raccomando di far bene attenzione nel pronunziare la parola: collaboratore!...

— Una parola che ho trovato un po' lunga fino dal primo giorno che l'ho intesa proferire... Attenzione! Hanno suonato!

Clementina gettò uno sguardo alla pendola. La sfera segnava le otto — doveva esser lui...

Mentre il signor Onofrio prendeva un atteggiamento da redattore in capo, Silvestro si affacciò alla porta della sala, annunziando il signor Rodolfo Barcheggia [p. 200 modifica], uomo di lettere.

Il volto di Clementina si animò di un roseo più vivace. Un'occhiata rapida e significante espresse al giovane tutta la gioia, tutta la riconoscenza della donna innamorata.

Rodolfo, come avesse da fare con persone affatto nuove per lui, si inchinò all'uno ed all'altra — e volgendosi al fabbricatore di ceralacca: — signore, gli disse, io ardisco presentarmi a lei dietro un invito che lessi casualmente ier sera nella quarta pagina del Pungolo. — Io mi terrò fortunatissimo di impiegare i miei scarsi talenti al servizio di una persona intelligente, operosa ed onesta, quale è universalmente riputato il signor Onofrio Bartolami... Perdoni se ho ardito disturbarla ad ora così mattutina — ma il dubbio che altri mi prevenisse... la brama ardentissima di occuparmi presso di lei, mi ha fatto sorpassare alle convenienze; sono venuto, come direbbe un poeta, sull'ali del desio, sulle penne dei venti!

Rodolfo parlava l'italiano con affettazione, facendo spiccare le consonanti come un comico del teatro Fossati. Il povero Bartolami, a udire quelle doppie erre mordenti come lime, quelle doppie esse che parevano il fischio di una locomotiva, non ebbe più coraggio di parlare. Si volse a Clementina con un'occhiata supplichevole, la quale pareva dire: Aiutami! parla tu in vece mia! — Ma quella aveva le sue buone ragioni per affettare la più scrupolosa riserva.

Alla fine, dopo lunga esitazione, come uomo che riveli un misfatto, il signor Onofrio, coll'accento italiano che per lui era possibile, riuscì a proferire alcune parole.

— Si tratterebbe di impiantare un giornale!...

— Quotidiano? ebdomadario?.... Io propenderei all'ebdomadario — interruppe Rodolfo col suo fare da giornalista consumato.

— Avete detto?...

— Io vi chiedeva se sia nella intenzione vostra di istituire un giornale ebdomadario... o non piuttosto...

— No!... non... piuttosto... Ecco!... Al titolo ci ho già pensato io... Quello che voi proponete è troppo lungo... e da noi, a Milano, le parole lunghe non piacciono... Io [p. 201 modifica]avrei stabilito di intitolarlo La Ceralacca.

— Un titolo abbastanza originale... e... se vogliamo, per chi sa intendere... abbastanza espressivo... Non è facile, come si crede, trovar un buon titolo, un titolo che interessi, che stuzzichi la curiosità del pubblico e riepiloghi tutto un programma. Ah! noi siamo pratici del mestiere! Io credo aver indovinato gli alti intendimenti politici che si celano sotto la bizzarria del vostro titolo! Voi siete un repubblicano... come lo sono io... come tutti coloro...

— No! io non sono... repubblicano.... al contrario.... io l'ho a morte con tutti quelli che parlano di repubblica. Conosciamo la storia!... Vittore Pisani... i due Foscari... Marino Falliero... che so io?...

Rodolfo Barcheggia fece un sorrisetto tutto miele — e avvicinandosi al Bartolami per stringergli la mano — via! non mettiamoci in allarme per una facezia! gli disse. Noi siamo perfettamente d'accordo nelle massime — soltanto mi è piaciuto prevenire la signoria vostra che la ceralacca potrebbe suscitare degli equivoci, e far intravedere del rosso, del fiammante, là dove si vuol mettere il candore e il frigido della neve.

— Voi dunque... sareste di parere... che avessimo a scegliere un altro titolo?

— Io non oso dar consigli ad una persona tanto illuminata e tanto colta...

— Avete detto?!...

— Signore: prima che esca il giornale, avremo tempo di riflettere al titolo... Ora, innanzi tutto, mi converrebbe sapere quali sarebbero, nel caso vi degniate prevalervi dell'opera mia, le mie attribuzioni nella collaborazione del vostro giornale. Nella vostra qualità di proprietario e redattore in capo, voi vi incaricherete dell'articolo di fondo.

— Già!... ben inteso!... L'articolo di fondo... Che ti pare, Clementina?...

— Amico mio, risponde la donna con un sorriso pieno di affabilità e di malizia — badiamo di non aggravarci troppo! L'articolo di fondo, se non mi inganno...

— È quello che si stampa nella prima colonna — soggiunge il Barcheggia inchinandosi alla signora. [p. 202 modifica]

— Ah!... nella prima colonna! osserva il Bartolami crollando il capo. E si chiama articolo di fondo!.... Voi altri... o per dir meglio... noi altri giornalisti abbiamo certi modi di esprimerci... Basta!... Articolo di fondo, articolo di mezzo, per me fa lo stesso... Mia moglie ha detto bene... non vorrei aggravarmi troppo...

— In tal caso — riprende il giornalista — è meglio che il signore rinunzii per sempre all'articolo di fondo, e invece, come usano in Francia e in Inghilterra i redattori in capo dei grandi giornali, si occupi esclusivamente della polemica. Non c'è scampo... L'articolo di fondo esige un travaglio quotidiano...

— Dev'essere un lavoro difficile... e noioso... — interrompe la moglie del Bartolami strizzando a Rodolfo un'occhiatina significante...

— Al contrario... deliziosissimo — risponde il giornalista a voce sommessa.

— Avete detto?...

— Ho detto... che trattandosi di esonerare la signoria vostra di un incarico piuttosto grave, io sarei pronto a fare le vostre veci... tutti i giorni — Mi permetta, signor Bartolami, di parlarle sinceramente, col cuore in mano. La redazione di un giornale è un peso grave, fastidioso, opprimente... Io parlo contro il mio interesse... Ma poichè ella è posta in una condizione tanto fortunata da poter sostenere le spese di una buona e valorosa collaborazione, faccia a modo mio... Lasci a noi... a noi poveri operai del pensiero, a noi martiri della intelligenza, a noi aratori della penna, tutte le torture del nobile e travagliatissimo ministero.... A lei le compiacenze della gloria, gli onori, i titoli, i lauri, le cariche supreme dello Stato, tutte infine quelle fortune che o tosto o tardi sorridono agli uomini di genio, agli illustratori della patria. Il genio, che per sè stesso è nulla, col denaro diviene una leva onnipotente. I tempi sono oltremodo propizii agli uomini di mente e di borsa. — Noi sotto... ella sopra! Noi qui... a sudare sulla carta... ella al Parlamento... al Senato... al Ministero... fors'anche... Ah!... noi benediremo le nostre vigilie, e il sovvenire degli spasimi lunghi, delle immani fatiche, ci aleggierà come tepida olezzan [p. 203 modifica]te auretta intorno al capo il giorno in cui potremo dire: il Bartolami, quell'uomo degno, quell'uomo grande, ha ottenuto la gloriosa corona che gli spettava — e ciò — perdonate un leggiero fremito di orgoglio che è della umana natura! — e ciò — se non in tutto... almeno in parte.. fu opera nostra!

Rodolfo Barcheggia aveva parlato con tal enfasi, che i suoi denti sodi e compatti avevano più volte oscillato sotto la vibrazione delle consonanti.

L'effetto ch'egli produsse fu immediato, e, affrettiamoci a dirlo, superiore ad ogni aspettativa.

Il Bartolami sudava e piangeva.

Si provò a parlare — ma la voce gli venne meno.

Si levò in piedi, strinse la mano al giovine; e appena fa in grado di articolare qualche parola:

— Noi... non saremo ingrati... — gli disse — se arriveremo... dove dobbiamo arrivare... Frattanto vi prendo al mio servizio... Voi sarete il primo... e forse l'unico collaboratore della Ceralacca... Siate moderato nelle pretese... Fatemi il preventivo... Io debbo uscire per affari d'interesse.... e tornerò fra un paio d'ore.... Intendetevi con Clementina — quello che farete sarà per ben fatto!

Il Bartolami strinse nuovamente la mano del giovine, e poi, dopo aver salutata la moglie con un'occhiata significante, uscì dalla sala più tronfio che mai.

Il buon uomo si sentiva ministro.


VI.

— Ebbene!

Questa parola fu esclamata da Clementina con eloquentissimo accento.

— Egli ha detto di fare un preventivo! rispose Rodolfo sorridendo.

Il giovine stese la mano, e Clementina si slanciò nelle sue braccia.

Noi non amiamo intrattenerci su tali episodii amorosi — sono troppo comuni, e i nostri lettori di venti o trent'anni potrebbero darci lezione nel crearli non meno che nel descrive [p. 204 modifica]rli.

Questo solo diremo, che il preventivo fu steso ed approvato da ambe le parti con pieno consenso e con reciproca soddisfazione.

Frattanto, mentre Rodolfo e Clementina stipulavano a tutto loro agio i patti della collaborazione, l'anticamera si era popolata di gente. Erano letterati e giornalisti della specie nomade, di quelli che ad ogni annunzio di nuovo giornale accorrono agli uffizii di Redazione per offrire un tributo spontaneo dei loro talenti.

Telesforo Riga, uscendo dal Bartolami, aveva commesso la indiscrezione di narrare ad alcuni suoi amici del caffè dell'Europa la scena occorsagli quella mattina col fabbricatore di ceralacca.

Quel racconto comico e burlesco aveva fatto ridere la piccola comitiva, ma alcuni letterati che sedevano a poca distanza intorno ad un tavolino, n'erano rimasti impressionati più seriamente.

In meno di un quarto d'ora, tutti quei letterati erano usciti dal caffè, e senza che l'uno sapesse dell'altro, si erano avviati alla contrada di Borgo Spesso, all'indirizzo del negoziante di ceralacca.

A dieci ore tutta la Boemia letteraria di Milano sapeva del nuovo giornale, e gli aspiranti alla collaborazione muovevano isolati e taciturni verso la casa del Bartolami, portando ciascuno un lauto corredo di manoscritti o di opuscoli stampati.

Trattenuti nella anticamera dall'accorto Silvestro — il quale era uso ad assecondare i desideri ed i capricci della signora meglio che non obbedisse agli ordini del padrone — quegli irritabili e gelosi confratelli d'arte avevano dovuto necessariamente rivelarsi l'uno all'altro.

Capi ameni, del resto, giovialoni, pieni di spirito come gente in bolletta, avevano ingannato quelle lunghe ore di attesa con uno scambio di facezie edite ed inedite, con degli epigrammi più insolenti che arguti, diretti, la massima parte, contro l'istitutore del nuovo giornale.

Non vi era alcuno il quale non convenisse il Bartolami essere un grande imbecille; ma tutti, nel [p. 205 modifica]fondo del cuore, vagheggiavano la gloria di vedersi ammessi nel di lui uffizio di redazione.

Verso mezzogiorno, il signor Bartolami ritornò alla propria abitazione.

Nell'anticamera egli ebbe quasi paura. C'erano fra quei giornalisti delle figure, se non sinistre, poco rassicuranti: delle faccie lunghe e sparute; dei vestiarii molto equivoci, delle scarpe rosse e fameliche che mostravano i denti.

Il Bartolami interrogò il servitore con una occhiata piena di stupore e di sospetto.

— Sono tutti giornalisti... letterati, rispose Silvestro — tutta gente venuta per quell'avviso del Pungolo!

— Ah!... sta bene!... mi congratulo!... Signori: abbiano la pazienza di aspettare qualche minuto.

Così parlando, il Bartolami attraversò l'anticamera ed entrò nella sala.

Rodolfo Barcheggia era intento a scrivere. Clementina, seduta a qualche distanza da lui, trapuntava un canevaccio, e pareva tutta assorta nel lavoro.

— Ebbene? ci siamo messi d'accordo? Abbiamo concluso?

Clementina, col suo fare più indifferente, affermò colla testa. — Il giornalista, levando la faccia dal foglio, rispose che il contratto era steso, non mancare che l'approvazione e la firma del redattore in capo.

Bartolami lesse rapidamente la scrittura, e parve soddisfatto. Nondimeno pose in campo qualche obiezione sul titolo del giornale. In luogo di chiamarlo La Ceralacca come egli avrebbe desiderato, lo si voleva intitolare l'Unione Patriottica.

— Questo titolo l'ho scelto io, rispose prontamente Clementina. — La Ceralacca e l'Unione presso a poco hanno il medesimo significato. Ho creduto che, trattandosi di un giornale serio, di un giornale ministeriale, il secondo titolo valesse meglio del primo. — Onofrio: pensiamo all'avvenire! Noi ci mettiamo per una via dove avremo a combattere la malignità e l'invidia. Se ti avvenisse di farti eleggere deputato, mi par già di sentirli! — ti chiamerebbe il deputato della Ceralacca.... Mio Dio!... Si fa tanto presto a diventare ridicoli per una pa [p. 206 modifica]rola!...

Il Bartolami si lasciò persuadere — e tosto, senz'altre parole, le convenzioni furono segnate dall'una parte e dall'altra — Il nostro fabbricatore di ceralacca si obbligava a fornire immediatamente la somma di cinquemila lire per le prime spese di impianto, istituendo l'Ufficio del nuovo periodico in un locale al piano terreno della propria abitazione, in prossimità del negozio. E poichè in un articolo del contratto era pattuito che si avesse a rinforzare la collaborazione con uno o più scrittori liberamente eletti dal redattore in capo, il Bartolami ordinò a Silvestro di spalancare le porte: — onde tutti quei tipi svariatissimi del genio giornalistico si precipitarono nella sala per esporsi alla rassegna.


VII.

Attenzione: signori e signore!

La rassegna è interessante — Essa vi dirà come si fabbricano certe riputazioni letterarie, come si scrivano certi articoli, di qual pasta si formi il ripieno di certi giornali altrettanto stupidi che bricconi, i quali riescono qualche volta a farsi ammirare dalle masse idiote, od a farsi temere da quegli istessi che più il disprezzano.

Avanti, signor... Ragno-topo!... Sappiamo! Non è il vostro nome di casato, e meno ancora il vostro nome di battesimo.... Vi chiamate?... Voi potete chiamarvi ciò che volete, ma gli altri vi chiamano Ragno-topo. — Letterato — Troppo giusto! Sapete leggere e scrivere — scrivere come il mio fattore, che finisce tutte le sue lettere con tanti rispeti a tuti della cassa.... Ma no! la vostra ortografia è più esatta: in compenso siete più debole nella grammatica — Come lo sapete? — Ho veduto degli originali di vostra testa. — Gli opuscoli stampati, che vanno in giro col vostro nome, non hanno a che fare colle emanazioni occulte della vostra sapienza. Cosa domandate? — l'onore di scrivere nella Unione Patriottica. — Qual genere? — Tutti i generi son buoni: politica, letteratura, belle arti, mode... — Ecco!... Avrei già pronto il primo cap [p. 207 modifica]itolo di una novella per l'appendice del vostro prima numero... L'ho scritto l'altra notte... dopo aver assistito ad una festa da ballo di famiglia... — Voi lo sentite!... Ebbene quel primo capitolo di novella, da oltre otto anni gira come un mendicante da uno in altro uffizio da giornale, domandando alloggio per una sera negli umili appartamenti del pian terreno. Un mendicante dal muso duro... che cacciato ripicchia alla vostra porta con insistenza perchè lo cacciate di nuovo — un mendicante, che si presenta coi guanti e colla cravattina di raso terso e pulito come un topo, livido come un ragno — i due animaletti che gli prestarono il nome. Chi non ha veduto, chi non ha fiutato quell'esordio di novella? — È però certo che, da otto anni a questa parte, nessun proprietario o redattore di giornale ha osato produrre al pubblico l'insigne capolavoro dal nostro Ragno-topo... E sapete come abbia risposto il Ragno-topo a codesta manifestazione, in verità non troppo lusinghiera, del despotismo giornalistico? — Come risponderà domani ai due redattori della Unione Patriottica i quali probabilmente respingeranno il manoscritto. Il topo correrà dall'uno all'altro estremo di Milano, ficcandosi in tutti i caffè, in tutti i luoghi di convegno, in tatti i gabinetti dov'egli abbia libero accesso — il ragno schizzerà da tutti i pori la sua bava schifosa e venefica, per uccidere, se gli è possibile, il redattore temerario che non volle saperne di lui. I ragno-topi sono terribili — guardatevi dai ragno-topi della letteratura! Essi hanno il genio della loro nullità — non potendo elevarsi, tutta la loro esistenza è impiegata a rimpicciolire chi li sovrasta di due palmi. Se in qualche giornaluzzo inavvertito vi occorre di leggere un'interlinea vigliaccamente mordace contro uno scrittore, contro un giornalista di qualche fama, dite pure: il topo ci ha messo il suo zampino, il ragno ci ha messo la sua bava — E dopo tutto... che giova? Il regno dei topi è nel tombino, e i ragni, esaurita la bava, diseccano sul loro fragile tessuto.

Vediamo quest'altro, il signor... Grattignoni.... Si annunzia poeta, ma in realtà non è che un letterato [p. 208 modifica]il quale non sa scrivere in prosa — Metterebbe in versi l'Orario delle strade ferrate, se un tale assunto non richiedesse troppa originalità di concetti.

L'idea della originalità è uno sgomento per lui — tanto ciò è vero, che egli preferisce di togliere a prestito le sue liriche dai vecchi giornali che hanno fatto il loro tempo anche nelle botteghe dei pizzicagnoli. Egli ha un talento particolare per ridurre a nuovo la roba antica, per improntarla di attualità.

Cappello nuovo e scarpe nuove — questo è il suo segreto per riprodurre nel mondo letterario le cantiche obliate. Due strofe di sua creazione, una alla testa e l'altra ai piedi — eccovi la creatura risorta. Taluni hanno osservato che i suoi cappelli molto spesso mancano di piedi — non importa: basta illudere la maggioranza. — Il Grattignoni è di buona fede — quand'egli è riuscito a copiare un sonetto in buona calligrafia, si persuade molto facilmente di averlo composto. Da qualche tempo il Grattignoni nella retroscena del giornalismo fa della pratica per iscrivere in prosa. Il suo genio rattoppatore, o trasformatore che si voglia, venne usufruttato da due o tre redattori in capo, che di loro capo nulla o ben poco producono. Grattignoni riduce i bons mots parigini in frizzi milanesi, in facezie contemporanee, in spiritelli, in cicalate. Dategli una Cronaca parigina, ed egli pescherà dal naviglio tutti gli annegati della Senna. I suoi versi, come i suoi aneddoti, pubblicati in un giornale di qualche credito, possono sembrare originali agli abbonati di Introbbio o della Valle di Gandino.

Quest'altro ha delle pretese di critico musicale. Offre gratis la sua collaborazione, per ciò solo che, essendo un enfatico dilettante di teatri, ottiene con questo mezzo il favore delle libere entrate.

Non è mai riuscito a pubblicare la sua prima rassegna teatrale — tutti i giornali, che avevano accettato la collaborazione dell'insigne critico, morirono dopo il terzo numero. Contuttociò egli gode l'accesso gratuito alla Scala, al Carcano, al teatro Re, al Fossati, perfino al circolo dei cavalli e al serraglio delle belve feroci, quando a Milano agiscono i cavalli e le [p. 209 modifica]belve. Sui registri dei diversi camerini teatrali egli è iscritto quale appendicista del Momento, della Gente latina, dellEra nuova, del Me ne impippo, dellElettore, del Telegrafo, della Gazzetta popolare e d'altri periodici.

Il nostro insigne appendicista tiene sempre nel portafoglio l'esordio della sua prima appendice, che egli legge agli amici, ai conoscenti, e più spesso agli impresarii ed ai capo-comici, ogni qualvolta egli veda minacciati i suoi diritti all'ingresso libero. Quell'esordio è scritto in stile umoristico, e comincia con questo tratto spiritoso ch'è di ultimo gusto: «Io scrivo, tu scrivi, quegli scrive... noi scriviamo, voi scrivete, coloro scrivono!» È voce che il guardaportone della Scala abbia trovato del sublime in questa facezia!

                                  *
                                 * *

Chi è quel figuro abbottonato, che vorrebbe darsi l'aria di un gran personaggio, e lascia intravedere da' suoi sguardi furbeschi e inquieti il cavaliere di industria? Il sotto-mezzano, il vice-corriere della cronaca criminale, che supplisce ai corrieri ordinarii ogni qualvolta si tratti di processi insignificanti. In tali casi, egli si incarica di riepilogare i fatti e i dibattimenti per passarli sottomano ai redattori del gazzettino. — Gli incriminati, o gli aventi causa si raccomandano a lui per impedire la pubblicità dei processi, per ottenere delle reticenze o delle modificazioni. Il nostro vice corriere ha stabilito una tariffa pe' suoi piccoli servigi. Per venti franchi, egli sostituisce al nome degli incriminati le sole iniziali, per franchi quaranta sopprime anche queste. Mesi sono, al tribunale correzionale si agitava il processo di un tal Bislemacchi.... La madre dell'accusato, una povera donna, temendo che il nome del figlio comparisse disonorato nei Gazzettini di città, si raccomandava piangendo al vice-corriere della stampa. Questi con voce melata le espose i suoi prezzi di tariffa.

— Ebbene! disse la povera madre; domani vi manderò venti franchi perchè mettiate le sole iniziali. — [p. 210 modifica]Benissimo! rispose l'altro; aspetteremo a pubblicare il resoconto... ma badate che domani per le dieci io abbia in casa la somma. — Il mattino seguente la povera donna spediva al vice-corriere tutto il danaro che aveva potuto raccogliere, il quale non ammontava che a dieci franchi meno venti centesimi. Come si fa? La giustizia dev'essere eguale per tutti, pensò il vice-corriere calcolando — per dieci franchi meno venti centesimi non si può sopprimere tutto il nome... Vediamo ciò che si può fare per non uscire dalla legalità. — Quella sera, i diversi Gazzettini riferivano il processo giudiziario nel modo seguente: «Oggi sedeva sul banco degli accusati un tal Bislem.... gravemente indiziato, ecc.» — Il vice-corriere aveva soppresso la seconda metà del nome per dieci franchi ricevuti, e aveva lasciato correre la prima parte con una lettera di giunta la quale rappresentava i venti centesimi mancati.

Gingillino — bel nome! — un giovanotto di buona famiglia, il quale non volle saperne di fare il suo corso regolare al Ginnasio ed al Liceo — ed è venuto a Milano dalla provincia per iniziarsi alla carriera delle lettere — Le lettere sono un pretesto per lui; un pretesto per carpire danaro al papà, un pretesto per introdursi nelle famiglie a far strage di... fanciulle — egli adora le fanciulle! — Cosa ha scritto? nulla — ma tutti gli elenchi di collaboratori portano il di lui nome. Una volta che il suo nome sia stampato nell'elenco, egli va in giro preconizzando le meraviglie del periodico che sta per uscire, lo raccomanda, gli procaccia degli abbonati. Spedisce al papà cento, duecento copie del programma; questi lo propaga fra i suoi conoscenti, e va tutto in solluchero nel vedere suo figlio nobilmente assiso fra i più celebri campioni del giornalismo.

Ma gli articoli di Gingillino?... Chi li ha veduti? Il giornale fa il suo corso — nasce — vegeta e muore... Non mai un articolo segnato Gingillino. — eppure tutti dicono che egli lavori... che egli scriva... giorno e notte — Si odono dello ragazze esclamare: quel racconto di Gingillino mi ha fatto piangere — [p. 211 modifica]Volete la chiave dell'enigma? — Gingillino si appropria la paternità di tutti gli articoli, di tutti i racconti, di tutte le poesie che vengono in luce senza nome. — È carità, non è vero? — Poichè Gingillino figura nell'elenco dei collaboratori, qual meraviglia che sieno di sua fattura tutte le composizioni anonime che si leggono nel giornale?

Quand'uno loda una poesia, una novella uscita senza nome di autore, Gingillino sorride, abbassa gli occhi, prende un'aria modesta, un fare imbarazzato, come temesse... Che cosa? È troppo trasparente quella modestia...

— Ah! siete voi, signor Gingillino, siete proprio voi l'autore di quella gemma letteraria?... L'avrei indovinato dallo stile, — Inezie! ma... io... — Che serve?... palesatevi francamente. — Ma vi dico.... e d'altronde non c'è poi tanto merito... — Ed ecco di qual modo Gingillino, senza sdruscirsi il cervello, senza consumo di inchiostro e di carta, è riuscito a farsi credere un letterato. Il papà gli scrive molto spesso dalla provincia: «ho veduto il tuo nome anche nel nuovo programma... Bada, figliol mio, di non affaticarti troppo... Va bene la gloria, ma la salute innanzi tutto.»

Largo al factotum dei giornali illustrati! Un mostro di attività — una enciclopedia ambulante — scrive otto articoli il giorno ad argomento fisso!... — Presto! Lo Streppa è arrivato... Mettiamogli dinanzi un disegno, un paesaggio, un ritratto, una figura qualunque. Un giorno lo Streppa aveva in prospettiva sul suo tavolo un Serpente boa, una Lola Montes, le Cataratte del Niagara e la Presa di S. Giovanni d'Acri. Quei disegni reclamavano ciascuno il loro articolo — quegli articoli dovevano essere compiuti e mandati all'Uffizio di Redazione in capo ad un'ora. — Credete voi che il nostro atleta si sgomentasse? Voi non conoscete il suo metodo. Lo Streppa è vecchio del mestiere e può disporre di un ricco e svariato repertorio di articoli proprii ed altrui.

Cinque anni, dieci anni sono, lo Streppa ha scritto un articolo sul Serpente a sonagli; orben [p. 212 modifica]e: con poche varianti, con poche modificazioni, quell'articolo può applicarsi al Serpente boa. A Lola Montes si adatta come un guanto la biografia di Miss Ella — per le Cataratte del Niagara può servire una descrizione del Fiume Latte che altre volte ha descritto le Conche di Paderno; quanto alla Presa di S. Giovanni d'Acri, nulla più facile che il sostituire ad essa l'Assalto di Ancona o di Gaeta, un combattimento, una battaglia qualunque, tolta a prestito dai bullettini delle armate. — Eh! non sono queste le grandi prodezze letterarie, le grandi strategie del nostro collega giornalista. Il direttore del foglio illustrato un bel giorno rileva per poco prezzo tutto un emporio di vecchie incisioni in legno od in rame che sia, per usufruttarle come novità nelle pagine del suo giornale. Di queste incisioni, parecchie non hanno senso; forse l'ebbero un tempo, ma le tradizioni si perdettero collo sbiadirsi delle linee. — Una volta allo Streppa fu mandata una incisione che rappresentava una vasta campagna predominata da un monumento in rovina. Si trattava di dare un nome a quei ruderi antichi e di scrivere in proposito un articolo serio. — Nessuno, meno lo Streppa, avrebbe raccapezzato un concetto da quelle sbiaditure di colonne e di stipiti insignificanti. Ebbene: mezz'ora dopo, il direttore del foglio illustrato riceveva di rimando la incisione e l'articolo; e questo articolo si intitolava: Il cane di Alcibiade.

L'acuto giornalista, nell'esaminare i più intimi particolari del disegno, aveva scoperto un cagnolino quasi impercettibile accovacciato fra due alberi. — Un cane!... Perchè no?... Potrebb'essere il cane di Alcibiade... Io tengo un articolo bello e fatto su questo argomento... Dunque!... — E il direttore del giornale illustrato fu beatissimo di poter usufruttare la sua incisione.

E qui noi finiamo la rassegna, che troppo ci vorrebbe a riprodurre uno per uno i tipi di codesti vanitosi impudenti faccendieri del giornalismo che riflettono la loro vergogna sui coscienziosi, sugli onesti, su tutti quelli che coltivano le lettere con ingegno e con amore, e da quelle decorosamente cavano profitto. [p. 213 modifica]Questi zingari dalla stampa fanno dire alla gente che i letterati, e i giornalisti sono una massa di... buffoni.


VIII.

Noi saremmo tentati di chiudere la nostra istoria con questa rassegna, perchè con essa è compiuto lo scopo morale del racconto.

Ma il signor Bartolami è entrato nel novero dei giornalisti — e i nostri lettori vorranno vederlo nell'esercizio delle sue funzioni.

Il nuovo giornale, l'Unione patriottica, vide la luce in Milano verso la fine dell'anno. Il giorno in cui apparve il primo numero, Onofrio Bartolami si credette in dovere di uscire di casa coll'occhialino.

Rodolfo Barcheggia non volle imbarazzarsi di molti collaboratori — un ragioniere per dirigere la parte amministrativa, e un ex-sarto per lo stralcio delle notizie politiche, potevano sopperire a tutta la bisogna. A questi impiegati subalterni fu destinato un camerotto al piano terreno, squallido, disadorno, privo di luce. Al redattore un gabinetto appartato, che la moglie del Bartolami fece tapezzare di carta verdognola, e fornire di tutti i mobili indispensabili al conforto della vita. A nessuno era permesso di entrare là dentro, quando il Barcheggia vi si chiudeva per scrivere gli articoli di fondo. Lo stesso Bartolami non lo avrebbe osato.

Erano già usciti quattro numeri del giornale. Una mattina il Bartolami si levò più presto dell'usato. Egli doveva partire per Seregno colla corsa della ferrovia. Nel prender commiato dalla moglie: bada, le disse, di non aspettarmi pel pranzo; vado a Seregno per effettuare un pagamento, nè potrò tornare che a notte avanzata.

Clementina dissimulò la propria gioia con un lungo sbadiglio.

Il Bartolami non usciva mai di casa senza lasciare un promemoria nell'uffizio di redazione. Nella sua qualità di proprietario e gerente responsabile dell'Unione patriottica, egli divideva con Rodolfo il diritto di entrare, quando gli piacesse, nel gabinetto rise [p. 214 modifica]rvato. Quella mattina egli vi si intrattenne pochi minuti. Uscito, serrò l'uscio a chiave, e consegnolla a Silvestro perchè la trasmettesse al Barcheggia.

Il giovine letterato entrò nell'uffizio a otto ore — probabilmente egli avea le sue buone ragioni per prevenire tutte le mattine i suoi colleghi di redazione.

Clementina gli corse incontro con volto radiante.

— Onofrio è partito per Seregno.... non tornerà che stassera....

Questa notizia fu accolta dal giornalista con piena soddisfazione.

Silvestro gli consegnò la chiave del gabinetto, e i due amanti avventurosi vi si ricoverarono insieme

   Quali colombe dal desio chiamate.

Provvidenza dei mariti!... Non erano trascorsi dieci minuti dacchè Rodolfo e Clementina si eran chiusi nel gabinetto, quando il Bartolami, con grande sorpresa e terrore di Silvestro, rientrò tutto affannato nella propria abitazione.

— Presto!... la chiave del piccolo studio! gridò il Bartolami al domestico, precipitando nell'uffizio del giornale — Sono là!... Sono là certamente!... Presto dunque, Silvestro! L'abbiamo o non l'abbiamo questa chiave?...

— Ma io... ma lui!...

— Ebbene!... Che cosa vogliono dire questi ma?... Sta a vedere che questo briccone!... Se non li trovo là dentro, giuro, o brigante, che dovrai rendermi conto tu stesso... Io so che erano là... Colle buone, Silvestro! Fuori la chiave.... o ti trascino io stesso pel collare fino al palazzo di Questura.

— Ella sa bene, signor padrone, che anche l'altro ha diritto di avere la chiave.... Io non poteva rifiutarmi... Io devo obbedire puntualmente e ciecamente...

— Dunque... ci voleva tanto?... Il signor Rodolfo è chiuso nel gabinetto... Ehi di là? — grida il Bartolami bussando alla porta — Sono io! aprite!...

Nessuna risposta.

Il servitore, indovinando la terribile posizione dei due che stanno rinchiusi, vorrebbe tentare qualche espediente per torli di imbarazzo. [p. 215 modifica]

— Il signor Rodolfo mi aveva detto di non lasciar entrare nessuno... perchè oggi aveva molto da fare per l'articolo di fondo.

— Eh! mi importa bene a me dell'articolo di fondo?... Là dentro ho lasciato il mio portafoglio contenente il valore di cinquemila franchi... Fra mezz'ora parte il secondo convoglio per Seregno... Aprite, signor Rodolfo! Aprite, vi dico, o ch'io sfondo la porta!....

Così gridando, il Bartolami diede una spinta all'uscio, che essendo male impiantato sui cardini, cedette a quell'urto violento.

Il fabbricatore di ceralacca e il domestico precipitarono insieme nel gabinetto, dove, con infinita meraviglia di ambedue, non trovarono che una donna, Clementina, la quale, senza dar segno di commozione, coll'aria più ingenua del mondo chiese al marito:

— Che vuol dire tutto questo fracasso?

— Vuol dire... Ma tu?... Ma il signore? Sia l'articolo di fondo?...

Il Bartolami guardava la moglie e il servitore, come un uomo cascato dalla luna.

— Che novità son queste? — riprese la imperterrita donna — mi avete tutti e due un certo fare da imbecilli!... Ho voluto un po' vedere come si tenevano lo carte di uffizio... Tu sei troppo di buona fede, Onofrio, e ti lasci condurre alla cieca da questo signor Rodolfo, che in fin dei conti potrebb'essere un briccone, un mangiapane come tanti altri... Avevo detto a Silvestro di non lasciar entrare nessuno.... Ed egli, questa bestia....

— Sicuro! — prosegue il Bartolami — questa bestia non ha capito che si trattava di lui, del signor Rodolfo, e per poco voleva impedirmi...

— Vero scimunito!

— Asino, dico io... Figurati! Mi contava che il signor Rodolfo era entrato qui dentro per scrivere l'articolo di fondo, mentre invece....

— Mentre invece, prosegue Silvestro, il signor Rodolfo giunge in questo momento all'uffizio, ed ha l'onore di inchinarsi ai miei padroni riveritissimi.

Il Barcheggia si presentò diffatti alla porta [p. 216 modifica]del gabinetto, e col suo fare più disinvolto salutò il Bartolami e sua moglie, come se nulla fosse accaduto.

Silvestro che era a parte della tresca, già indovinava il cammino pel quale il giovine era riuscito ad evadersi dal gabinetto; ma il Bartolami avrebbe ignorato eternamente le sue sventure domestiche, se un accidentalità singolare non gli avesse fornito dei gravissimi indizii.

Rodolfo Barcheggia, per sottrarre sè medesimo e la moglie del Bartolami ad una posizione che minacciava di farsi gravissima per entrambi, era sparito pel vano di una finestra che metteva in un angolo buio, dove ordinariamente era esposta la ceralacca a rassodarsi. Piombando in quelle tenebre, il nostro giornalista aveva immerse le estremità posteriori del suo paletot in una caldaja ricolma appunto del rosso bitume, riportando, senza avvedersene, un timbro grandioso e molto appariscente verso i confini più estremi della schiena... Pressato di rientrare nell'uffizio di redazione per dissipare colla sua presenza ogni ombra di sospetto, dopo aver scambiati col Bartolami i più cordiali saluti, Rodolfo commise la fatale imprudenza di volgergli le Spalle per sedersi allo scrittoio...

— Oh vista! Oh stupore! Oh tremenda rivelazione!... Chi vorrà negare la tua provvidenza, o gran Dio dei mariti?... Il Bartolami, appena ebbe scorta quella immensa frittata di ceralacca aderente alle appendici più ignobili del giornalista, per un moto subitaneo di istinto conjugale, alzò gli occhi al finestrino... Fu un lampo di ispirazione, ma un lampo tremendo, fatale. Il volto del Bartolami divenne rosso come il paletot del letterato traditore!

E qui porremo fine alla nostra istoria, perchè non amiamo far piangere i nostri lettori, e d'altra parte riteniamo imprudenza far ridere il pubblico alle spalle di un marito burlato.

L'Unione patriottica sospese immediatamente le sue pubblicazioni. Un breve avviso esposto sulle cantonate delle città invitava i numerosi abbonati a recarsi all'uffizio di Redazione per ritirare il denaro da essi an [p. 217 modifica]ticipato. Dei numerosi abbonati, che in tutti erano sette, uno soltanto aveva sborsato il prezzo dell'associazione — e questi era un dabben uomo del Borgo degli Ortolani, il quale avendo veduto un numero dell'Unione che serviva di involto ad un salame, se n'era invaghito pei suoi grossi caratteri.

— Mi spiace che il giornale sia morto, diceva il dabben uomo al Bartolami, mentre questi gli rendeva il prezzo dell'abbonamento. — Era il miglior giornale che si stampasse a Milano — il solo giornale che si potesse leggere senza occhiali!


IX.

Così nascono, così vivono, così muoiono tutti gli anni una dozzina di giornali.

Quasi tutti derivano dalla medesima origine, come tendono al medesimo scopo:

Un Bartolami, l'idiota ambizioso che fornisce il denaro.

Un Barcheggia, il semiletterato in bolletta, il politicante venale, che solletica l'amor proprio di un ricco imbecille per mungergli i quattrini; e qualche volta una Clementina più o meno avvenente, che si prefigge di dimostrare al marito i vantaggi di una buona ed operosa collaborazione.


FINE.