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Questi zingari dalla stampa fanno dire alla gente che i letterati, e i giornalisti sono una massa di... buffoni.


VIII.

Noi saremmo tentati di chiudere la nostra istoria con questa rassegna, perchè con essa è compiuto lo scopo morale del racconto.

Ma il signor Bartolami è entrato nel novero dei giornalisti — e i nostri lettori vorranno vederlo nell'esercizio delle sue funzioni.

Il nuovo giornale, l'Unione patriottica, vide la luce in Milano verso la fine dell'anno. Il giorno in cui apparve il primo numero, Onofrio Bartolami si credette in dovere di uscire di casa coll'occhialino.

Rodolfo Barcheggia non volle imbarazzarsi di molti collaboratori — un ragioniere per dirigere la parte amministrativa, e un ex-sarto per lo stralcio delle notizie politiche, potevano sopperire a tutta la bisogna. A questi impiegati subalterni fu destinato un camerotto al piano terreno, squallido, disadorno, privo di luce. Al redattore un gabinetto appartato, che la moglie del Bartolami fece tapezzare di carta verdognola, e fornire di tutti i mobili indispensabili al conforto della vita. A nessuno era permesso di entrare là dentro, quando il Barcheggia vi si chiudeva per scrivere gli articoli di fondo. Lo stesso Bartolami non lo avrebbe osato.

Erano già usciti quattro numeri del giornale. Una mattina il Bartolami si levò più presto dell'usato. Egli doveva partire per Seregno colla corsa della ferrovia. Nel prender commiato dalla moglie: bada, le disse, di non aspettarmi pel pranzo; vado a Seregno per effettuare un pagamento, nè potrò tornare che a notte avanzata.

Clementina dissimulò la propria gioia con un lungo sbadiglio.

Il Bartolami non usciva mai di casa senza lasciare un promemoria nell'uffizio di redazione. Nella sua qualità di proprietario e gerente responsabile dell'Unione patriottica, egli divideva con Rodolfo il diritto di entrare, quando gli piacesse, nel gabinetto rise