Racconti politici/Due Spie
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Due Spie.
CAPITOLO I.
In qual modo un uomo dotto e brutto può essere scambiato per una spia.
In sul finire del luglio 1860, pranzavano tranquillamente all'albergo
del Leon d'Oro in Lecco il signor Domenico Zannadio geologo e il
naturalista professor di botanica signor Candido Frigerio.
— Io parto quest'oggi per Bellano, diceva il primo.
— Benone! rispondeva l'altro. Viaggeremo in compagnia fino a Varenna, dove io scenderò dall'omnibus per tragittare a Menaggio. Intendo percorrere la valle di Porlezza e i gioghi che la fiancheggiano. La natura di quel suolo mi sembra propizia alle mie ricerche. Voi sapete ch'io vado in traccia dell'Elleboro giallo macolato, per provare al chiarissimo professore signor Gian Giacomo Mazzoldi da Imola, che quell'arbusto cresce appunto nei paesi montuosi della Lombardia, ciò che l'onorevole scienziato pretenderebbe contestare coll'ultima sua dissertazione: De Helleboro et aliis vegetalibus veneficis provinciæ Comensis.
Queste parole furono pronunziate a voce bassa, ma il nome del Mazzoldi[1] ferì l'orecchio d'un i ndividuo che pranzava tutto solo a poca distanza dai due professori. Lo sconosciuto levò il muso dal piatto, e girando uno sguardo sospettoso sui due che parlavano: — che razza di animali esotici sono codesti? brontolò fra denti; mi hanno l'aria di preti travestiti...
Il signor Domenico Zannadio e il signor Frigerio hanno infatti un esteriore poco simpatico. Il primo è un uomo alla antica; capelli corti, barba rasa, soprabito nero e lungo, cravatta bianca e scomposta. L'altro, più giovane di età, più elegante nel vestito, sortì dalla natura certi occhi grossi, sporgenti, injettati di sangue, che mettono ribrezzo a vederli. Le accurate indagini scientifiche, la faticosa esplorazione dei petali e dei pistilli, obbligano il signor Frigerio a portar gli occhiali, due grandi occhialoni inforcati sul naso, che danno alla fisonomia dello scienziato una espressione feroce.
— Godo che vi tratteniate sulle rive del lago, riprende lo Zannadio; così qualche volta potremo trovarci assieme a ragionare di scienza.... Anch'io sono venuto su questi monti per ragioni scientifiche.... per iscoprire nuovi dati a conferma delle mie teorie sulla formazione del globo. Avete letta l'ultima mia Memoria sugli Strati antidiluviani?
— L'ho letta ed ammirata...
— Se le ricerche ch'io sto per fare mi riescono a bene, fra pochi anni il sistema di Humboldt verrà riputato un delirio di una grande intelligenza.
A questo punto della conversazione, l'individuo che siede a poca distanza dai due scienziati, esce dal cortile, e poco dopo ricomparisce dietro la finestra che domina la tavola in compagnia d'un nuovo personaggio.
— Humboldt era mio amico strettissimo, ripiglia il signor Zannadio; ho intrapreso espressamente il viaggio di Praga per andarlo a visitare or son dieci anni... E in quella occasione ebbi l'onore di stringere amicizia coi signori Elitpazter, Zambadenzer e Cropztastroffer di Vienna ed altri colleghi tedeschi coi quali sono tuttavia in carteggio.
— I tedeschi la sanno più lunga di noi in fatto di scienze naturali...
— Più logici e più profondi... Essi finiranno per abbattere i vecchi sistemi, a dispetto dei nostri dottrinarii, che si ostinano nelle loro pazze teorie...
— Convengo pienamente con voi... Anch'io nutro una vera adorazione pei tedeschi e pel loro genio profondo...
I due esploratori che, dal vano della finestra, raccolgono le sparse sillabe dello strano colloquio, schizzano fuoco dagli occhi e versano bava dalla bocca come due cani idrofobi. In udir le parole proferite dal signor Frigerio: i tedeschi valgon meglio di noi, uno degli esploratori dà di piglio ad una marmitta per lanciarla nel mezzo della tavola..
— Prudenza! gli dice il compagno... Bisogna procedere con legalità... Cercare di coglierli sul fatto, poi farli imprigionare o meglio appiccare!
— Io ti dico che costoro debbono esser due gesuiti mandati dal Lamoricière[2] per arruolare volontari!...
— Li credo piuttosto due tedeschi venuti ad esplorare le montagne...
— L'un d'essi ha nominato il Mazzoldi... Scommetto che il più giovane, quel dagli occhiali, è il famigerato Perego, redattore del Giornale di Verona[3].
— Io direi che sarebbe bene avvertire le Autorità...
— Ovvero chiamare la Guardia Nazionale, e far circondare l'albergo.
— S'io non dovessi partire a momenti coll'omnibus per recarmi a Menaggio, ti giuro ch'io li servirei daddovero, quei due capi da forca!...
Mentre dietro la finestra ha luogo il furioso dialogo, il conduttore dell'omnibus si avvicina ai due scienziati per avvertirli che è tempo di partire... Il signor Zanadio e il signor Frigerio, saldato il conto coll'oste, si avviano conversando verso il secondo cortile per prender posto nella carrozza.
CAPITOLO II.
Nell'Omnibus.
I due interlocutori della finestra si stringono la mano e si separano.
Quel d'essi che deve recarsi a Menaggio, tien dietro agli scienziati
come un segugio che fiuti la preda, come un gatto che lasci liberi i
topolini per ghermirli e straziarli. L'altro, prima che l'omnibus
sia partito, corre al caffè delle Colonne, e tutto affannato riporta
a quanti lo vogliono ascoltare gli strani discorsi uditi all'albergo
del Leon d'Oro. La istoria delle due spie in meno di due minuti si
propaga nella borgata. Nel punto in cui l'omnibus sta per partire, il
cortile dell'albergo si riempie di curiosi.
Beati gli uomini di scienza! Distratti dalle meditazioni e dai calcoli, sedotti dalle ipotesi vaghe e indeterminate onde si edificano i loro sistemi, essi attraversano il mondo sulle ali della immaginazione, ignari dei pericoli che li circondano! I signori Zannadio e Frigerio montano sull'omnibus, si abbandonano beatamente colla persona sui cuscini elastici — l'uno meditando la ipotesi degli strati antidiluviani, l'altro fiutando ellebori colla fantasia, mentre una popolazione irata e fremente li fulmina di anatemi, e cento occhi da basilisco lanciano contro essi il veleno dell'odio e del disprezzo!
Guai se l'omnibus tardasse d'un minuto a partire! Il fremito dell'ira popolare è giunto all'ultima crisi... Quattro popolani stanno per avventarsi agli sportelli e afferrar per la coda del soprabito il signor Zannadio... Presto, conduttore! Una sferzata ai cavalli! Salvate due luminari della scienza, la cui morte prematura cagionerebbe infiniti disastri! Guai per l'umanità, se l'elleboro giallo crescesse ignorato sulle montagne della Valtellina! Guai per le generazioni future, se il signor Zannadio non giungesse a scoprire da quanti secoli venne in capo a Domeneddio di formare questa immensa palla che si chiama l'universo!
La Provvidenza ispirò il postiglione; mentre i quattro energumeni stavano per compiere il sanguinario disegno, i cavalli presero la corsa, e l'omnibus uscì rapidamente dal cortile.
I nostri lettori non ignorano come fra i viaggiatori partiti alla volta di Varenna si trovasse il giovanotto, che primo aveva posto orecchio al colloquio reazionario dei due scienziati. Era questi un tal Galliano Gallina, sartore di Menaggio, notissimo nel suo paese nativo pel suo entusiasmo patriotico. Ragazzo d'ottimo cuore, ma di ingegno cortissimo e di nessuna dottrina, non sognava che perfidie e macchinazioni infernali tramate dai nemici d'Italia a danno del proprio paese. Egli credeva in buona fede che all'Austria, più di ogni altra sciagura, dolesse la perdita di Menaggio; ch'ella avrebbe ceduta la Venezia a patto di riavere quell'angolo di paradiso. Il povero figliuolo, in tutti gli stranieri che recavansi a visitare le rive del Lario, non vedeva che tedeschi o spie dei tedeschi. Imaginate come gli bruciassero le costole sedendo nell'omnibus in mezzo a due sconosciuti ch'egli avea in conto di gesuiti od emissarii dell'Austria.
Dio sa quale orribile tragedia sarebbe avvenuta nell'interno della vettura, ove, a temprare la furia impaziente del Gallina, non fossero intervenute tre persone, che noi chiameremo del bel sesso, quantunque bruttissime.
Il lato posteriore dell'omnibus, per beneficio della provvidenza, era dunque occupato da tre donne, la signora Caterina Menafuoco di Bellano e le sue figliuole maggiorenni Rosalba e Cornelia. Mamma Caterina è una donna di sessant'anni, già grassa più del bisogno, la quale spera ingrassare del doppio quando avrà maritate le due lunghe zitellone, ch'ella conduce tutti i sabati al mercato di Lecco per solleticare la concupiscenza di qualche mercante di granaglie. Rosalba e Cornelia hanno ciascuna una dote di franchi trentamila; ma questo accessorio, che forse potrebbe eccitare la sensualità di qualche spiantato, non colma le tante lacune dei due lunghi carcami. Non è a dire con qual'arte, con quali strattagemmi in gegnosi mamma Caterina si adoperi a smerciare le sue creature; ugual destrezza per parte dei giovani scapoli a scansare il pericolo. La cacciata degli Austriaci, la liberazione d'Italia ha rianimate le speranze della signora Menafuoco. Rosalba e Cornelia acquistarono nuove attrattive da una immensa coccarda a fiorami bianchi, rossi e verdi, che portano sul petto e che dissimula in parte le naturali lacune. Rosalba e Cornelia hanno abbracciate in politica le opinioni dell'unico giornale che leggono. Mamma Caterina e le sue figliuole, si informano alla politica del Pungolo; perciò si svegliano ogni mattina con opinioni perfettamente opposte a quelle del giorno precedente.
Basti questo sbozzo di fisonomie e di caratteri — procediamo nel racconto.
Il cacciatore non vede che lepri e beccaccia, l'astronomo non vede che pianeti, il mineralogista non vede che sassi. — Mamma Caterina non vede che mariti per le sue figliuole.
Rosalba e Cornelia, appena entrate nella vettura, cominciarono a dardeggiare coll'occhio i due scienziati. — La signora Menafuoco, per trovare un pretesto di conversazione, si pose gli occhiali, e volgendosi a Rosalba: — Ebbene? incominciò: cosa dice il nostro Pungolo quest'oggi? L'hai tu indosso il Pungolo?...
— Il Pungolo! risponde Rosalba portando una mano sul petto e torcendo le luci verso il signor Frigerio; il Pungolo... mi pare d'averlo... qui...
— Fuori dunque cotesto Pungolo! e leggimi qualche cosa... di nuovo...
— Lo sai... mamma, che io non amo di leggere a voce alta cose di argomento patrio... e sopra tutto quando si tratti delle nostre vittorie della Sicilia...
— Poverina! Sicuramente! la è proprio così! Queste mie ragazze sono tanto sensibili, che ogni qual volta prendono in mano quel benedetto Pungolo, perdono la testa, cadono in svenimento e non se ne fa più nulla! Sono ragazze! E il nome di Garibaldi ha per esse un un certo fascino!... Basta! Cornelia... mi saprà forse dare così in succinto le notizie della giornata... Rosalba... cedi il Pungolo a tua sorella... e vediamo se anche lei cade in sven imento!
Cornelia stende la mano per prendere il Pungolo, e preme leggermente col braccio il ginocchio del signor Frigerio, il quale, tutto assorto nelle sue meditazioni sugli ellebori, non s'accorge della amorosa pressione. Frattanto il Gallina, facendo due occhi da ossesso, vorrebbe prevenire le donne del pericolo cui sono esposte parlando di politica in presenza di due emissarii dell'Austria[4].
— Noi abbiamo vinto, dice Cornelia dopo aver percorso rapidamente il giornale. — Decisamente abbiamo vinto a Milazzo... Noi ci siamo battuti da leoni; il nemico, atterrito dal nostro impeto, si rintanò nella fortezza... Signor Gallina... la prego di stendere francamente le sue gambe a sinistra.... Ella ci ha dato un calcio nel piede, che schiettamente parlando, non ci ha recato il maggior piacere...
— Le chieggo perdono, signora Cornelia, risponde il sartore di Menaggio accennando colla coda dell'occhio ai due scienziati; ma prevedendo certe... eventualità... che potrebbero nascere, io credo bene... che... in questo momento... si debba parlar d'altro che di politica...
La signora Menafuoco, senza far caso dello strano avvertimento, ripiglia la conversazione:
— Io... per me poi... non sono tanto sensibile al Pungolo come le mie figliuole!... Lo leggo, lo studio alla sera in letto... poi mi addormento... e buona notte! Ma esse... queste benedette creature... non la finiscono più... quando l'hanno in mano! Se Giulay potesse tornare in questi paesi, io credo che la nostra casa sarebbe la prima ad essere bruciata... tante ne hanno dette queste figliuole contro... Ahi! signor Gallina! Ma lei non vuol tenerle al fermo quelle sue gambe! Mi ha posto il calcagno sul dito mignolo... e le giuro che non mi ha fatto piacere.
Il Gallina straluna di nuovo gli occhi, ed accennando ai due scienziati che fino a quel punto non hanno aperto bocca, risponde alla signora Menafuoco: «Se bramate sapere di qual modo tratterebbe Giulay le vostre figliuole... qui vi hanno persone, che potrebbero.., forse...
Le occhiate, i calci, le allusioni del Gallina sono troppo significanti perchè le signore Menafuoco non si mettano in sospetto. Cornelia, che stava per tentare una seconda dimostrazione di simpatia sulle gambe del signor Frigerio, ritira prudentemente la punta dello stivaletto. Rosalba, torcendo gli occhi maligni verso l'altro scienziato, si fa ardita a dirigergli la parola per conoscere com'egli la pensi in fatto di politica:
— Se il signore brama leggere il Pungolo...
— Io? leggere il Pungolo!... risponde il geologo riscuotendosi dalle sue meditazioni... Le sono di cuore obbligato... Sventuratamente non ho mai potuto abituarmi a leggere in vettura... E poi... le confesso che la politica del Pungolo non mi va troppo a sangue.
— Lo credo! mormora il Gallina.
— Forse ella preferirà i giornali dell'opposizione....
— Amo i giornali che ragionano, che seguono un principio determinato, che mirano ad uno scopo fisso...
— Come ad esempio l'Armonia, la Sferza, il Campanile, soggiunge il Gallina digrignando i denti...
— A quanto pare, prosegue la signora Menafuoco, ella non è troppo partigiano del Ministero... Francamente parlando, ella non ha tutti i torti... Noi ammiriamo il conte Cavour, ma le nostre simpatie sono per Garibaldi. Ambedue sono onesti... come noi; ambedue vogliono l'Italia... come noi. Noi saremo con essi finchè essi sono colla nazione... e con noi... Finchè essi procederanno francamente, lealmente, onestamente, coll'Italia: noi francamente, lealmente, onestamente, procederemo con essi..... In caso diverso — lo diciamo apertamente — noi onestamente li combatteremo.
Per sottrarsi al tormento d'una politica troppa sonora, il signor Zannadio cava di tasca un portafogli e vi scrive alcune cifre. Mentre il Gallina, levando il capo sopra le spalle dello scienziato, sembra cogli occhi assorbire lo scritto, Cornelia crede bene di tentare un colloquio col signor Frigerio:
— È la prima volta che il signore si reca in questi paesi?
— Sì... signora.
— Va forse a Bellano?
— No... signora.
— A Chiavenna?
— No... signora.
— A Menaggio?
— Sì... sì, signora.
— Per villeggiare?
— No, signora.
— Cornelietta, interrompe la signora Menafuoco madre, appoggiando le mani sovra i ginocchi come una regina del teatro Fossati; io ti proibisco assolutamente di parlare con persone, le quali, oltre ad essere di sesso diverso, non sono da noi conosciute, e quindi possono avere in politica delle opinioni contrarie alle nostre.
— Io non credo... balbetta il geologo imbarazzato;... io non credo aver offeso questa signorina...
— Basta!... non facciamo polemiche... Noi non dubitiamo ch'ella appartenga come noi alla classe degli onesti... Tutti i partiti sono onesti, quando onestamente, lealmente, francamente abbracciati... Vi hanno però circostanze, nelle quali da parte nostra sarebbe debolezza il transigere... Francamente lo diciamo: noi rispettiamo la di lei onestà, ma saremo sempre colla nazione!
Il signor Frigerio, non comprendendo parola di questa eloquente conclusione, chinò il capo rassegnato, e riprese tranquillamente il corso delle sue meditazioni. La madre Menafuoco spiegò il Pungolo capovolto e finse di leggere. Il Gallina si incaricò di ripetere mentalmente le parole latine scritte dallo Zannadio nel portafoglio, per farle tradurre a Menaggio da un antico professore di lingua tedesca. Le due sorelle dignitosamente si tacquero.
A Varenna l'omnibus fece sosta.... I due scienziati scesero dalla vettura, l'uno per tragittare a Menaggio, l'altro per proseguire a piedi la via fino a Bellano. Lì Gallina, prima di uscire dall'omnibus, ebbe colle signore Menafuoco un breve dialogo:
— Avete capito...?
— Eh! non siamo oche!
— Sapete cosa ha scritto nel portafogli quel gesuitone dalla cravatta bianca?...
— Ebbene...?
— Tre parole in tedesco... Quousque tandem abutere!... Io me lo farò tradurre a Menaggio...
— Avete visto come il più giovane divenne rosso quando si è parlato di Cavour!
— E l'altro... non ha tremato al solo nome di Garibaldi?
— E tutti e due non si sono guardati, quando io ho parlato delle transazioni?
— Basta! io vi prometto, o signorine, che a Menaggio l'uno sarà servito a dovere!
— Dell'altro, che viene a Bellano, ci incarichiamo noi!
— Bisogna farlo morire a fuoco lento!
— Contate sulla nostra lealtà, sulla nostra franchezza...
— Sono due tedeschi!
— Due gesuiti!
— Due esploratori!
— Due spie!!!
CAPITOLO III.
Una serva rivoluzionaria.
All'indomani, sullo spuntare del giorno, il Gallina col maniscalco
ed il sergente furiere della Guardia Nazionale, uscirono da Menaggio
per recarsi ad una casicciuola poco discosta dal paese, ove la sera
precedente avea preso alloggio il professore di scienze naturali signor
Candido Frigerio, il supposto emissario dell'Austria.
— Compagni! diceva il Gallina; qui bisogna dar prova di abilità politica — bisogna condurre la faccenda in tal guisa che dal male nasca il bene. Noi ci serviremo di questo istromento del dispotismo per giovare alla causa italiana, per rassicurare le sorti del nostro paese.
— Bravo! benone! ben parlato! soggiungeva il maniscalco. Colui è venuto per spiare ciò che si fa da noi a Menaggio — noi profitteremo di lui per sapere ciò che fanno a Vienna i nostri nemici. Che te ne pare, sergente?
— Per ora fate voi! Quando ci sia bisogno di metter sull'armi la Guardia Nazionale, non avrete che a parlare.
— Prima di tutto troviamo un pretesto per entrar nella casa...
— Io conosco la Checchina, la fattora... Una italianona! una liberalona, che nel quarantotto, quando i tedeschi sono tornati, ha mangiato il naso ad un caporale tirolese che voleva baciarla per forza...
— Credi tu che sia bene metterla al fatto:...?
— Forse sì, e forse no... Vedremo qual vento tiri.... Ma eccoci alla tana del lupo...
— La Checchina è sulla porta!...
— Prudenza e circospezione!
— Io direi che il Gallina si facesse avanti, e che noi rimanessimo a rispettosa distanza per non eccitare sospetti...
— No! è meglio procedere assieme, e prender l'aria di gente che va al passeggio.
— Buon giorno, Checchina! sì di buon'ora levata? Che si fa di bello?...
— La nostra Checcotta! sempre più bella! sempre più fresca!... Dacchè i tedeschi hanno sgombrato il paese, sei ringiovanita di dieci anni!
— Voi sapete bene quale amore io portassi ai tedeschi! risponde la buona donna tutta lieta de' complimenti ricevuti. Ho fatto anch'io la mia parte da buona italiana! Vi giuro che se mi capitasse ancora nelle unghie un di quei cani, io lo acconcerei per lo feste! Basta! ora non c'è più questo pericolo...
— Almeno.... così si crede...
— Come? che volete dire con quel vostro si crede?
— Checchina mia, risponde il sartore con aria di mistero; io certamente non temo che si abbiano a rinnovare per noi le disgrazie del quarantotto..... ma in quanto a tedeschi... o, voglio dire... tedescanti..... c'è sempre pericolo di incontrarne anche nei nostri paesi. L'aria non è ancor del tutto purgata!
— Sicuramente! soggiungono ad una voce il maniscalco ed il furiere; il nostro Gallina dice benissimo... L'aria non è ancora purgata!...
— Ma noi la purgheremo!...
— Dice benissimo il nostro Gallina.... Noi la purgheremo!
— E presto!
— E subito!
— E senza chieder permesso a' superiori!
In profferire tali parole, i tre sozii si ricambiano occhiate misteriose e terribili...
— Ma voi mi fate paura! esclama la Checchina... C'è forse qualche nube per l'aria? Avete forse letto nelle gazzette qualche brutta notizia?... Per l'amor di Dio... ditemi qualche cosa... anche a me... Che la Beata Vergine ci salvi da nuove disgrazie!
— Pur troppo c'è una nube per l'aria! ripiglia il Gallina, dopo aver consultato i suoi compagni con un'occhiata significante. E la nube non è lontana... anzi è vicinissima... anzi sta sopra questa casa... Senti, Checchina.... (E a questo punto il sartore chiese di nuovo ai compagni uno sguardo di approvazione). Noi dobbiamo comunicarti un grande segreto... un segreto di Stato... ma innanzi tutto devi giurare che di quanto siamo per dirti, non ripeterai parola ad anima vivente.
— Io? parlare io?... ma vi pare?... nè anche se mi strappassero la lingua colle tenaglie...
— Ebbene, sappi adunque... Ma prima di tutto, siamo noi soli...? Non v'è alcuno in tua casa che possa udire i nostri discorsi?
— Voi sapete che questa casa è rimasta disabitata, dacchè il signor conte si è traslocato a Torino. Jeri sera è giunto qui da Milano un forastiero, pel quale pochi giorni sono il ragioniere del conte mi avea scritto di metter all'ordine l'appartamento del secondo piano...
— E tu lo conosci quel forastiero?
— Non so altro di lui se non ch'egli si chiama il signor Frigerio...
— E ignori cosa è venuto a fare in questi paesi...?
— Io non so nulla... io...
— Lo sappiamo noi...! Dorme egli ancora...?
— No! è uscito di casa prima dell'alba.
— Diamine! egli non perde il suo tempo! E cosa ti ha detto nell'uscire?
— Ha detto — aspettate — ha detto che non tornerebbe prima delle nove stassera... che io non mi dessi la pena di rifargli il letto e di ripulirgli la camera.... Egli desidera che nessuno metta piede nella sua stanza...
— Il malandrino ha prese tutte le precauzioni! Ebbene: senti Checchina — bisogna che tu ci conduca in quella camera...
— Oh! questo poi... non è possibile...!
— Ma sai tu cosa è venuto a fare a Menaggio il signor Frigerio?... Sai tu che razza di serpente s'è introdotto nella tua abitazione? Nientemeno che una spia... dei tedeschi, un famigerato emissario dei gesuiti!
— Misericordia! esclama la Checchina portando le mani alla cuffia... Una spia nella mia casa! un tedesco! un gesuita!... Vi giuro per tutti i miei poveri morti, che jeri a sera quando l'ho veduto entrare, ho sentita una scossa, come se alcuno mi avesse dato un gran pugno nello stomaco... Adesso capisco perchè la gatta non gli è corsa incontro a carezzargli le gambe come suol fare a quanti vengono in casa!... Già... anche il nostro ragioniere gli è un altro bel mobile.... un tedescone marcio, che quando vien fuori a rivedere i conti, ne ha sempre di nuove per tormentare noi povera gente!... Ed è lui che ci ha regalato quel bell'inquilino!... Venite pure, figliuoli; le chiavi dell'appartamento sono a vostra disposizione... E se non basta, apriremo anche le valigie di questo bel forastiero... e apriremo le lettere! Quando si tratta di dare addosso a tedeschi od a spie... eccomi qui in carne ed ossa... col cuore, colle unghie... e coi denti! Cani! Assassini! Mostri!... Ed hanno proprio a capitare nella mia casa!... Su! da bravi, figliuoli!... Venite con me, e agite come se foste padroni!
Preceduti e animati da Checchina, i tre sozii salgono rapidamente le scale, precipitano nella camera dello scienziato, e in un minuto aprono gli armadii, capovolgono i mobili, rovesciano le casse, mettono ogni cosa in iscompiglio. Cerca di qua, fruga di là... le camicie, le mutande, i fazzoletti volano alla soffitta... Il sergente foriere, il solo dei saccheggiatori che sappia leggere lo scritto, si impadronisce del portafoglio e divora coll'occhio le cifre.
— Gallina!
— Che è?
Tutti circondano il sergente.
— Non v'è più dubbio!... ecco il corpo del delitto!...
— Leggi.. foriere!...
— Le sono annotazioni laconiche...
— Ah! mostro! interrompe la Checchina mettendosi le mani sui fianchi. — Laconiche!... Che razza di parole hanno questi tedeschi!
Il sergente non senza difficoltà riesce a leggere una quindicina di vocaboli incomprensibili per lui e per quanti gli stanno d'attorno, vocaboli tecnici della scienza, di cui basta il suono per far rabbrividire gli ascoltatori.
— Basta! basta! non voglio sentirne altro! grida la Checchina turandosi lo orecchie... e correndo per la camera come una ossessa.
— Qui sotto c'è qualche trama infernale! soggiunge il maniscalco.
— La patria è in pericolo!
— Facciamo appello alla Guardia Nazionale!
— Figliuoli, dice il Gallina con solennità. — Figliuoli! qui bisogna metterci una mano al cuore e un'altra al cervello...! Dinanzi alle nuove scoperte che abbiamo fatte, dinanzi a questi documenti scellerati che Iddio ha messo in nostra mano onde sventare le trame del despotismo, esitare sarebbe stoltezza, debolezza il retrocedere... il silenzio sarebbe delitto... l'indulgenza complicità... Però non conviene dimenticare che noi viviamo in paese libero e governato da leggi civili..... Forza e prudenza! Energia e legalità! Rigore e giustizia.... sieno le nostre divise.
— Bravo!!!
— Raccogliamo adunque tutte le prove materiali del delitto, e armati dei preziosi documenti, convochiamo le autorità del paese, e formuliamo legalmente l'accusa!
— Bravo!!!
— A me pare che questo portafoglio contenga tanto che basti per far appiccare lo scellerato...
— E se non basta il portafoglio, aggiunge la Checchina, prendetevi anche questo fazzoletto giallo segnato di cifre nere... Il mostro lo teneva nascosto nelle tasche del paletot.
— E questi fiori disseccati, parimenti di color giallo e nero... che l'infame ha creduto sottrarre alle nostre investigazioni cucendoli sotto la fodera del cappello....
— Buoni anche questi per il processo!...
— Ed ora, figliuoli miei, riprende il Gallina con autorità: mettiamoci d'accordo fra noi, e pensiamo a stabilire il nostro programma. Punto primo: tu, sergente, anderai tosto alla casa del sindaco, e gli chiederai a che ora può darci udienza domani... Tu, maresciallo, ti recherai con quattro o cinque uomini di fiducia a perlustrare lo stradale di Porlezza, e vedrai di informarti d'onde sia passato, con chi abbia parlato, dove abbia pranzato, con quali individui abbia praticato colui! Stenderai, o farai stendere un esatto rapporto, aggiungendo tutti quei documenti che per caso potrai raccogliere... Tu poi Checchina...
— Quello che ho da far io l'ho già stabilito, risponde la serva stralunando gli occhi... Io vi giuro che quel tedescaccio si ricorderà finchè vive della notte che avrà passata in casa mia... Oh! in casa mia poi... comando io!... Ne ho pensato di belle!... Non veggo l'ora che quell'animale ritorni, per cucinarmelo un poco a modo mio!...
— Ebbene! ciascuno al proprio uffizio! Da bravi, figliuoli! Tu, Checchina, bada a non comprometterci con qualche imprudenza... Fa in modo ch'egli non entri in sospetto... Se per caso egli domanda del suo portafogli...
— Gli dirò che il gatto se l'è portato via.
— Viva la nostra Checchina, e morte ai tedeschi!
— Morte alle spie!
— Viva l'Italia libera!
— Viva Menaggio!
I tre sozii escono dalla stanza alternando i viva alle imprecazioni. La Checchina, dopo averli accompagnati fino all'estremità della scala, rientra immediatamente nella camera del forastiero e si atteggia di nanzi al letto come un generale di armata che mediti un piano di battaglia.
La Checchina studiò d'un colpo d'occhio le posizioni, calcolò i mezzi di attacco, concepì il disegno strategico. Un quarto d'ora dopo, tutte le comari del vicinato furono in moto;... tutti gli istrumenti belligeri che può fornire la cucina, tutte le armi dell'arsenale femminino concorsero al grande apparecchio...
Vedremo nel seguente capitolo quanto ingegnosa sia la donna nel tormentare una creatura umana.
CAPITOLO IV.
La notte della spia.
Sono le nove della sera. Piove a dirotta. — La strada è buia ed
allagata. — Il signor Frigerio ritorna dalla sua lunga escursione
portando un fastello di erbaggi raccolti nelle montagne... Oh, se
il mondo sapesse quanti sacrifizii costi ai martiri della scienza lo
scoprire un arbusto, un minerale, un insetto!... Il signor Frigerio,
dopo sedici ore di cammino e di pazienti ricerche, non ha trovato
ancora l'elleboro giallo. Credete voi ch'egli disperi? Domani egli
intende levarsi di buon'ora e inerpicarsi sui gioghi più elevati
dell'Alpi per fare nuove ricerche.
Frattanto un po' di riposo e un po' di sonno gli faranno bene. La scienza non guarentisce l'uomo dalla stanchezza e dal freddo — e il signor Frigerio, oltre all'essere spossato, è tutto fradicio e intirizzito.
Finalmente ecco la casa — la porta è chiusa — picchiamo!
Nessuno risponde.
Picchia di nuovo — muti!
— Son dunque tutti morti in questa casa?... Ohe! la fattora! Checchina! venite ad aprire, ch'io muoio annegato dall'acquazzone!
Scorsi dieci minuti, un lumicino apparisce alla finestra...
— È lei, signor forastiero?
— Son io, Checchina! venite abbasso... e presto, per carità...
La finestra si apre, e la Checchina mette fuori il capo avvolto nella cuffia da notte.
— Io credevo che con questo tempo da inferno ella non tornasse a casa stanotte... Ora vengo subito ad aprire...! Ohimè! il lume s'è smorzato... Dove sono gli zolfanelli? Mi sono scordata di portarli nella camera... Attenda un poco... Bisogna che io scenda in cucina a tastoni!
E la finestra si chiude.
— Anche questa mi doveva capitare! pensa lo scienziato... Ma la povera donna non ci ha colpa... Basta! ne ho già presa tanta d'acqua, che quattro goccie di più non mi faranno male..
Rincantucciato sotto la tettoia, il professore attende con animo rassegnato. Egli pon mente ad ogni rumore che si parta dall'interno della casa. La Checchina è scesa dalle scale — è già entrata nella cucina — ha urtato in un tavolo — una casseruola è caduta dal muro — Due buone bestemmie — Ma dunque il diavolo ci mette la coda! Se il signor Frigerio avesse il dono della doppia vista e potesse scorgere ciò che si passa nella cucina, egli vedrebbe quattro donne sedute sul focolare, che ghignano con gusto diabolico, e ad ogni interiezione d'impazienza ch'egli si lascia sfuggire dal labbro, rispondono; crepa, maledetta spia!
Assaporata questa prima vendetta, la Checchina trovò gli zolfanelli, accese la lampada e corse ad aprire.
— Oh! la perdoni tanto... signor Frigerio...!
— Niente, buona donna! conducetemi presto nella mia camera, e fate, se è possibile, di accendere un po' di fuoco...
— Madonna benedetta! ma dove si va a trovare la legna a quest'ora...? Quel cane di fattore chiude ogni sera il granaio per paura che io consumi qualche fascina...
— Non vi inquietate, Checchina; poichè legna non c'è, legna non mi abbisogna. Mi caccierò fra le coltri... ove, non ne dubito, il sonno mi verrà presto a trovare.
Di tal guisa parlando, il signor Frigerio salì le scale, ed entrò in camera seguito dalla Checchina, la quale, dopo avergli chiesto se d'altro non abbisognasse, augurandogli colla voce la buona notte e col cuore un accidente, fuggì via come avesse l'ali.
Avete mai provata la dolce sensazione che è quella di rientrare nella propria stanza, una stanza tiepida, tranquilla, silenziosa, dopo aver camminato tutto il giorno al sole od alla pioggia? Qual voluttà nell'abbandonarvi sovra i cuscini di un morbido canapè, nello stendere le gambe e le braccia senza soggezione di sorta, a tutto vostro beneplacito! In quel primo sprofondarsi nelle piume della persona stanca, voi sentite un dolce fremito correre per le membra e salire dalle estremità inferiori fino al cervello... Oh! i filosofi hanno ragione di definire il piacere la cessazione della pena...
Il signor Frigerio ha deposti gli erbaggi sulla tavola... e allettato da un'ampia poltrona che gli stende le braccia, vi si abbandona con quell'impeto confidenziale che è tutto proprio delle parti più pesanti e meno pensanti della macchina umana... Ma appena i due corpi elastici vengono a contatto, il professore balza in piedi mettendo uno strillo come se una vipera l'avesse addentato. Sebbene le appendici della schiena sieno dai fisiologi considerate le parti meno sensibili dell'uomo, non è mestieri chiedere al signor Frigerio qual solletico egli provasse nel sentirsi penetrato in quelle regioni elastiche da quattro enormi spilloni.
O decoro della scienza! o gravità professorale! quanto poco ci vuole per compromettervi — Se i membri dell'Istituto, se gli invidi colleghi, se gli scolari dell'Università vedessero il signor Frigerio, le mani aderenti alla parte ferita, agitarsi, saltare e strillare tutto solo nella camera!.... Lo sfortunato professore perderebbe in un punto l'autorità e la fama guadagnata con centoventiquattro opuscoli scientifici. Fortunatamente, il signor Frigerio non può nemmeno imaginare che una mezza dozzina di donne si contendano il diletto di contemplarlo in quella posa grottesca, inviandogli dal buco della serratura una salva di ingiurie e di imprecazioni.
Basta! il dolore fu passeggiero..... La contrazione è cessata — il signor Frigerio distende le membra ed assume più serio contegno... ma in lui non rinasce la fiducia. Tutti i mobili della camera possono nascondere qualche perfido ordigno. Tentando i cuscinetti dell'altre sedie, la mano del signor Frigerio ha sentito altri pungoli.... Queste non le son piante da vegetare naturalmente nella stoppa — pensa lo scienziato — qualcheduno le ha trapiantate qua dentro con perfido disegno. — Domani chiariremo questa faccenda... Ma dov'è il mio portafogli?... dove sono le mie carte? Qualcuno senza dubbio è venuto a manomettere le cose mie! Oh! io non voglio coricarmi se prima..... Misericordia!.... Un sorcio nella mia beretta da notte! Ma no... non è un sorcio... gli è un gatto... Che vedo?... la coda di un gatto cucita alla mia berretta! Ma ciò non è naturale... Checchina! Checchina...! Ehi di là...! Checchina, dico!...
— Un cancro! un accidente! una fistola! rispondono a bassa voce le femmine.
— Checchina! Checchina! grida di nuovo il professore, battendo co' piedi la porta; che egli si accorge esser stata chiusa per di fuori.
Dopo avere inutilmente picchiato un bel pezzo, disperando d'ogni soccorso, il pover'uomo si avvicina al letto, e tremante dalla commozione, dalla stanchezza e dal freddo, prende il partito di coricarsi e di attendere il domani per conoscere l'origine di tanti infortunii...
Già il professore è riuscito a levarsi di dosso gli abiti inzuppati di pioggia — già egli stende una gamba per salire sul letto... quando... nel rimovere le coltri, uno spettacolo strano e terribile gli si presenta allo sguardo, e gli fa rizzare i capelli sulla fronte. Questa volta il professore sentì mancarsi la voce... Egli rimase immobile a bocca aperta, pietrificato dalla sorpresa e dal terrore.
Una ventina di gamberi vivi girovaganti fra le lenzuola, agitavano gli uncini minacciosi, quasi attendessero una vittima da scarnificare; ed altrettante rane, balzando audacemente dal covo, correvano saltellanti su tutti i mobili della camera.
Quando l'uomo è commosso da gravi e straordinarie impressioni, a che gli giova la scienza? L'illustre naturalista, il dotto professore, che per tanti anni ha consumati gli occhi ed il cervello nello studiare tutte le varietà del regno animale, sotto l'influenza della sorpresa e del terrore, scambia i gamberi per scorpioni, i ranocchi per pipistrelli.
Questo errore scientifico non illuse però lunga pezza il signor Frigerio. Allorquando, cessata la violenta commozione, egli fa in grado di riconoscere il proprio errore, con flemma da scienziato raccolse accuratamente gli animaletti raminghi, e ad uno ad uno li pose a sguazzare nel secchio.
Povere bestiuole innocenti! pensava il Frigerio; sarebbe una vera ingiustizia ch'io disfogassi la mia collera con voi... Voi non siete che lo stromento di qualche maligno o di qualche stolto. Ma donde sarà egli uscito questo incognito nemico, questo genio perverso, che si è proposto di farmi passare una sì cattiva notte? A Menaggio non v'è persona che mi conosca... Io non ho mai fatto male ad alcuno... Basta!... spero aver superati i maggiori guai... Domani... la Checchina mi spiegherà questa istoria...
Il professore, vinto dalla stanchezza e dal sonno, si gettò audacemente sul letto; ma appena ebbe spento il lume, sulla opposta parete egli vide comparire una testa da morto fosforescente, e sotto a quella una scritta parimenti di fuoco: Morte al Tedesco!
CAPITOLO V.
Una lettera compromettente.
All'indomani, verso le dieci del mattino, il professore Frigerio non
era ancora uscito dalla camera.
Frattanto il sartore, il sergente, il maniscalco e il sindaco di Menaggio si adunavano a concistoro in una sala terrena per decidere le sorti dello scellerato emissario dell'Austria.
— Figliuoli! diceva il sindaco; le carte e gli al tri documenti che mi avete presentati non sono prove che bastino per farlo arrestare legalmente... Meglio sarebbe sorvegliarlo, seguirlo dappertutto, vedere con chi egli parli, quali relazioni egli abbia... infine aspettare che egli si comprometta e caschi da sè medesimo nel laccio della giustizia...
— Voi altri moderati siete tutti di una pasta! grida il Gallina. Coi vostri riguardi, colle legalità, lascierete allignare la gramigna nel paese, e più tardi non vi sarà modo di estirparla...! Badate che un giorno o l'altro il popolo sovrano perderà la pazienza, e finiremo per farci giustizia da noi!
— Bravo! ben parlato! viva il Gallina! viva il popolo!
— E la faremo finita una volta, prosegue il sarto oratore, coi tepidi, cogli striscianti, e coi perseveranti!...
— Bravo! ben parlato! viva il Pungolo! morte alla Perseveranza!
— Signori! signori! grida la Checchina entrando in sala col viso radiante... Abbiamo nelle mani un'altra prova... Un barcaiuolo ha portata una lettera per il signor Frigerio.... una lettera che viene da.... Bellano...
— Qua! presto! leggiamo!... dice il Gallina, impadronendosi della lettera.
— Badate, figliuoli miei, che nessuno ha il diritto di aprire le lettere altrui, osserva il sindaco. Gallina! tu non aprirai quella lettera! io te lo impongo in nome della legge!
— Che legge d'Egitto! risponde vivamente il Gallina. — Quando la patria è in pericolo, bisogna ricorrere ai mezzi estremi... Io vi ripeto, signor sindaco, che voi altri, colla vostra prudenza, colla vostra moderazione, coi vostri scrupoli... rovinerete l'Italia.
Il Gallina disuggella la lettera, e sebbene egli si trovi molto impacciato nel leggere il manoscritto, con incredibile sforzo riesce a combinare le sillabe:
«Carissimo collega!» Cominciamo bene! avete sentito!... collega!
— Mostri infami! esclama la Checchina schizzando fuoco dagli occhi.
— Questi che scrive dev'essere quella ca rogna che osò pubblicamente chiamarsi l'amico dei tedeschi... Ma leggiamo — no sentiremo di belle...! «Io mi trovo inchiodato nel letto per una contusione...»
— Ah! vedete un po', interrompe la Checchina, vedete un po' che quei di Bellano hanno avuto più giudizio di noi! l'hanno inchiodato nel letto senza tanti riguardi!
Il Gallina, prosegue stentatamente la lettura, facendo le pause a modo suo, e alterando di tal modo il senso dello scritto:
— «Per una contusione prodotta da una pietra, bene! lanciatami ieri da mano ignota mentre io ritornava dalle mie escursioni sulle montagne. Io non mi faccio a narrarvi quante e quali tribolazioni ho dovuto soffrire dacchè giunsi in questo inospitale paese. Vi basti per ora il sapere che la prima notte non ho potuto chiuder occhio, sendo venuti sotto le finestre della mia camera una dozzina di individui a far un rumore d'inferno con trombe, campane ed altri stromenti metallici da cucina. All'indomani uscii di buon'ora per dar principio alle mie ricerche... Carogna!... Ho visitate le montagne, ho studiate le prominenze e gli sbocchi! Già... gli sbocchi per dove han da venire i tedeschi!... Infamone! Vi assicuro che la prima campagna era stata abbastanza fortunata... Mostro!... I dati raccolti furono tali da confermarmi pienamente ne' miei principii (e perdonate s'io dico miei i principi che furono già proclamati da tutti i nostri amici tedeschi...) Ah! Oh! finalmente sarete persuaso, signor sindaco! Non vi pare abbastanza sincera questa confessione?... Vi rimangono ancora dei dubbii? Ora sentiamo il resto...! Io sperava di potere all'indomani intraprendere altre ricerche, quando, tornando a Bellano per una stradicciuola, all'improvviso mi assalì una grandine di sassi, benone! scagliati con tanta furia da persone nascoste dietro un promontorio, che gli è proprio un miracolo se ebbi salva la vita. Va pur là, che non camperai molto!... Non vi parlerò d'altri brutti scherzi che mi vennero fatti da persone che io non conosco... Ma che assai bene conoscono te, o galeotto!... Io temo che qualcuno abbia suscitati contro di me dei sospetti compromettenti, ovvero che male siano state interpretate alcune mie opinioni riguardo alla politica del conte Cavour, ch'io ebbi la imprudenza di esternare colle nostre compagne di viaggio... Ad ogni modo ho deciso di abbandonare questo paese — d'aria cattiva! — e recarmi domenica prossima a Tartavalle, dove potrò fare delle escursioni sui monti della Valsassina. Se non vi spiacesse di recarvi a Bellano domenica, e fare in mia compagnia questo breve viaggetto, ve ne sarei grato oltremodo. Io credo che a Tartavalle vi sarà da far bene anche per voi... Lo credo io! con tanta gente che è fuori... alle acque!! — Chi sa!... quattro occhi veggon meglio di due... Io vi prometto che ogni qual volta vedrò del giallo... L'avete capita, signor sindaco?... del giallo!!!... Ogni qual volta vedrò del giallo, non mancherò di esaminarlo colla speranza di scoprire il vostro elleboro. Rispondetemi subito... Addio collega! buona fortuna! e che Iddio vi guardi dall'esser preso in mala vista dai vostri ospiti!
«ZANNADIO.»
— Signor sindaco! dice il Gallina con tuono autorevole; ella ha udito! ella ha veduto, ella ha toccato con mano!... Ora... l'una delle due: o lei prende la iniziativa — ovvero agirà il popolo...!
Il sindaco si fa cedere la lettera del Gallina, e dopo averla riletta e meditata seriamente: Figliuoli, dice; io voglio che giustizia sia fatta... Non meno di voi io sento odio e ribrezzo per gli scellerati emissarii del despotismo straniero, che si aggirano nel nostro libero paese con criminosi disegni. Questa lettera mi fa supporre che tanto il signor Frigerio come il signor Zannadio sieno due complici scellerati... Bisogna adunque pigliarli tutti e due nella medesima rete, e far in modo che la punizione abbia una certa solennità, onde tutti i nemici d'Italia ne prendano spavento. — Siete voi pronti a secondarmi, figliuoli?...
— Parli, signor sindaco!
— In primo luogo suggellate di nuovo questa lettera; e tu, Checchina, portala al signor Frigerio. Se egli rimane a Menaggio, oggi procederemo immediatamente al di lui arresto; se invece egli acconsente a seguire il compagno, allora, io, tu, Gallina, voi altri tutti, seguiti da un picchetto di Guardia Nazionale, ed anche, per miglior guarentigia, da quattro carabinieri, li andremo ad aspettare a Tartavalle, e così sorprenderemo ad un tempo i due complici infami. — Non vi par egli che questo sia il partito più salutare alla patria?
Il sartore, il maniscalco e il sergente della Guardia Nazionale di Menaggio, sebbene in paese rappresentino il partito dell'opposizione, non hanno però completamente rinunziato al senso comune. La proposta del sindaco viene approvata senza discussione... Stabilito il piano strategico, distribuite le parti, calcolate tutte le eventualità — spetta ora alla Checchina di muovere il primo passo.
Oserà ella presentarsi al signor Frigerio? sfidare i rimbrotti di un inquilino, che ha passata una notte tanto disastrosa? Di qual modo potrà ella scusarsi? Come spiegare e giustificare l'intervento dei gamberi e dei ranocchi? Come dissipare i sospetti ed ammansare i furori di una spia?...
Difficile impresa, dopo quanto è avvenuto il giorno precedente.
Ma che non può amor di patria nel petto... di una serva?... Checchina si fa rendere dal sindaco il portafoglio e le carte del perfido inquilino — Checchina risuggella la lettera con un pezzo di pane biasciato — Checchina si liscia i capelli, si compone le vesti sul petto in guisa da porre in evidenza le naturali dovizie — Checchina vola a compire l'ardito disegno...
Dopo pochi minuti, la scaltra fattora, uscendo dalla camera del signor Frigerio, annunziò ufficialmente al sindaco che il gesuita travestito, l'infame spione dell'Austria, sarebbe partito quel giorno istesso per Bellano, onde recarsi il dì seguente a Tartavalle in compagnia del signor Zannadio.
— Se sapeste a quali sacrifizii ho dovuto sottomettermi, aggiunse la Checchina gravemente, per ispirare un po' di fiducia in quel galeotto e carpirgli il segreto...!
— Sappiamo di che sei capace, rispose il sindaco — la patria terrà conto del tuo eroismo.
CAPITOLO VI.
Tartavalle.
Tartavalle è un paesetto, o per meglio dire un gruppo di case, situato
in una valle, che può sembrare amena e pittoresca a coloro i quali
vanno colà a tentare la cura delle acque per guarire il mal d'occhi.
Nella prima quindicina di agosto lo stabilimento è abbastanza popolato di forestieri, per la più parte infermicci, o sedicenti infermi, fra cui parecchie mogli infelici, parecchie fanciulle avide di marito, parecchi celibatarii nemicissimi del matrimonio, ma altrettanto ghiotti di galanti avventure. Quest'anno si aggiungono parecchi giovani lions, cui la vergogna di non aver partecipato ai disagi ed ai pericoli della guerra di Sicilia, spinse a cercare un rifugio presso lo fonti termali col salvacondotto di un certificato medico.
È giorno di domenica.
Verso lo spuntare del giorno, sulla stradicciuola che dal paesello di Taceno conduce alla fonte, è un andare e venire di gente, un parlare, un chiedersi novelle con con insolita loquacità. Il caffè si apre più presto dell'usato, ed oltre agli avventori ordinari vi si notano figure nuove, figure dal volto rubicondo, dal portamento marziale, giovanotti sul fiore dell'età, che non mostrerebbero tanta predilezione al punch ed al cognac se fossero venuti ad intraprendere la cura delle acque ferruginose. Fra questi è il Gallina, sartore di Menaggio, il quale siede ad un tavolino in compagnia del maniscalco e del sindaco, alternando esclamazioni patriotiche alle frequenti libazioni.
Poco discosti, seduti ad un altro tavolino, due signori di età avanzata, vestiti con somma proprietà, accompagnano di uno sguardo carezzevole tutte le persone che passano dinanzi al caffè, e sorridono in segno di adesione ogni qualvolta il sartore di Menaggio manda un viva all'Italia. I due fratelli Federico e Gian Carlo Albizzotti godono in Tartavalle di molt a popolarità. Intervengono in ogni crocchio, sono a parte di cento piccoli segreti di famiglia. Ad essi le mammine confidano il braccio delle figliuole nelle difficili passeggiate notturne; ad essi l'incarico verecondo di ricomporre le gonnelle delle signore quando montano sugli asini. Mezzani e consiglieri d'amore nelle gioconde brigate dei giovanotti scapoli; faceti e discoli talvolta, più spesso gravi e severi, amabili con tutti e prodighi di cortesie, i due fratelli passano per due tipi di onestà e di saggezza. Se gli Albizzotti partissero oggi da Tartavalle, domani lo stabilimento delle acque si chiuderebbe per mancanza di concorrenti.
Presso i due fratelli, seduto ad un altro tavolino, sta un giovanotto di circa venticinque anni, malato degli occhi, che ad ogni tratto batte il pugno sul tavolo in atto di impazienza. È questi il signor Edmondo Franchetti, da poco laureato in medicina, amato e stimato da quanti lo conoscono per la sua onestà e i suoi sentimenti liberali. La grave malattia, che quasi gli tolse l'uso della vista, doppiamente lo addolora come quella che gli impedisce di seguire Garibaldi nella spedizione di Sicilia. Le gesta gloriose dei suoi antichi commilitoni di Varese e di S. Fermo lo tengono in continua esaltazione. Dover reprimere gl'istinti bellicosi, gl'impetuosi aneliti della propria natura è per lui il maggiore de' tormenti. Uno studente di circa sedici anni, che fu anch'egli fra i combattenti di Varese, ed ora in causa di grave malattia intestinale è condannato all'inazione, sta sempre a lato del giovane medico, servendogli di guida e da moderatore.
Dallo stradale di Bellano scende una processione di gente. Si direbbe che tutti gli abitatori delle borgate e dei villaggi circonvicini si sien dato appuntamento a Tartavalle.
— Oh! la festa sarà completa! grida il Gallina levando il bicchierino. — Quei due signori galeotti faranno la figura che si meritano!
— Oh certo! risponde uno degli Albizzotti sorridendo; questa sarà per essi la valle di Giosafatte...
— Ed io mi incarico della parte di Satanasso! soggiunge il Gallina.
— A che ora credete voi debban giungere quei signori...? domanda uno degli Albizzotti coll'usata morbidezza.
— A mezzogiorno saranno alla cima del pendio... Oh! ma ecco... le signore Menafuoco di Bellano! Esse ci porteranno delle novelle.
Tutti gli occhi si dirigono verso la sommità del promontorio — ed ecco infatti le signore Menafuoco a cavalcioni di tre ciuchi... discendere solennemente nella valle. Cornelia e Rosalba portano ambedue un gran cappello alla calabrese sormontato da grandi pennacchi tricolori, sul petto a guisa di corazza una coccarda a rabeschi col ritratto di Garibaldi nel mezzo; e per giunta una ciarpa parimenti tricolore cucita alla sommità dell'ombrello. Mamma Caterina, dall'alto della sua cavalcatura, saluta i circostanti agitando il Pungolo a guisa di ventaglio.
Sebbene la signora Caterina Menafuoco conduca ogni anno a Tartavalle le sue figliuole nella speranza di poterle maritare a qualcheduno ch'abbia le cateratte, cionnullameno la singolare acconciatura delle tre donne produce la più viva sensazione. I fratelli Albizzotti, dopo essersi ricambiato uno sguardo di maligna ironia, si levano per compiere il loro cerimoniale consueto. Appena le cavalcature si fermano dinanzi al caffè, i due fratelli offrono il braccio alle zitellone per aiutarle a scendere dal ciuco, mentre la Menafuoco madre, rifiutando ogni soccorso, scivola dalla sella gridando: Lasciate pure! — per me non c'è bisogno...! alla mia età non si dà scandalo a nessuno!
Non appena le Menafuoco han posto piede a terra, le persone che dapprima passeggiavano nei viali od erano sparse pei pratelli circostanti, convennero tutte sulla piazzetta del caffè. Le milizie eran pronte — il momento della battaglia già prossimo — non mancava che di scegliere i capitani e distribuire le schiere.
— «Signori e signore! prese a parlare il Gallina dall'alto d'un tavolino — è inutile che io vi rammenti a quale scopo noi ci siamo oggi radunati in questa valle. Trattasi di sorprendere e di punire due iniqui emissarii dell'Austria, due spie patentate, che con audacia incredibile osano aggirarsi fra queste montagne per studiarne gli sbocchi e le vie di più facile accesso, onde ricondurre in Italia l'abborrito straniero!
— Morte alle spie!
— «I due scellerati, con una impudenza..... degna di miglior causa.... abusando della buona fede e della tolleranza del partito moderato, si introdussero nelle due illustri e patriottiche borgate di Bellano e di Menaggio, sperando stabilire colà due centri di reazione. Ma essi trovarono pane pei loro denti... Le trame furono scoverte, sventati gli iniqui disegni. Il sindaco dell'uno e dell'altro comune, la Guardia Nazionale, la nominata Checchina Bernadotti, il furiere e il maniscalco di Menaggio, fecero in tale occasione il loro dovere.... Io dichiaro che i sovrannominati cittadini si resero tutti benemeriti dell'Italia.
— Approvato!
— «Sgomentati dal minaccioso atteggiamento delle nostre popolazioni, i due nemici di Italia, in luogo di rinunziare ai loro perversi propositi, credettero sottrarsi alla vostra vigilanza mutando paese, e stabilirono recarsi a Tartavalle, luogo oltremodo propizio alle loro obbrobriose macchinazioni.... Oggi.... fra quattro ore... gli scellerati... giungeranno fra noi, per la via di Bellano...!»
— Riceverli a sassate!
— Fucilarli senza misericordia!!!
— Gettarli nella Pioverna!!!
— Arrostirli! squartarli! impiccarli!
— Tale sarebbe il mio parere! grida il Gallina — un esempio di giustizia popolare è più che mai necessario! Morte alle spie!
Un uragano di acclamazioni e di invettive proruppe dalla folla agitata come oceano in tempesta.
In pochi minuti il furore delle masse è infrenabile. Tutti i tavolini del caffè son convertiti in tribune — dieci, dodici oratori parlano ad una volta. — L'uno predica moderazione, un altro inasprisce le ire — questi grida contro i Borboni — quell'altro se la prende col papa e col cardinale Antonelli — chi inveisce contro Lamoricière e i soldati Irlandesi — chi vuol morti gli Svizzeri. Le sorelle Menafuoco, salgono anch'esse sovra una tavola, e improvvisano una allocuzione sullo stile del Pungolo, nella quale, dopo aver enumerati i vari titoli che esse hanno alla benemerenza dell'Italia, si lagnano di non trovare marito.
Fra tanta discordanza di opinioni e di voci, fra tanto strepito di applausi e di fischiate, come si fa ad accontentare le masse? — I momenti sono preziosi. — Le campane di Taceno suonano il mezzogiorno — giusta i calcoli preventivi, le due spie debbon esser discoste da Tartavalle mezz'ora di cammino.
Il sindaco di Menaggio, che appartiene al partito della moderazione, trova finalmente la maniera di stabilire l'accordo. La proposta di eleggere una commissione la quale si incarichi di dirigere il movimento popolare, viene accolta per acclamazione.
Io non oserei guarentire che le elezioni procedessero in tale circostanza cogli scrupoli della legalità. Abbiam veduto parecchi idioti aprirsi le porte del Parlamento a forza di sfacciataggine e di soperchierie — qual meraviglia se i deputati di Tartavalle riescono a farsi eleggere cogli spintoni e gli scappellotti? — Beati i primi che seppero farsi innanzi! Quando la sala dell'Assemblea fu colma, le porte si chiusero, e il popolo sovrano rimase fuori colla piena convinzione di aver eletto i suoi rappresentanti.
La quistione è urgente... I nemici alle porte... Il popolo stipato sotto le finestre attende con impazienza i decreti dell'Assemblea... Nella sala dei deputati, quaranta si sono già iscritti per parlare sulla grande quistione...
— Sapete che abbiamo a fare? dice il signor Franchetti a tre o quattro amici che gli stanno d'intorno. — Mentre quei signori deliberano, io sarei di parere che noi cominciassimo ad agire. Poichè questo sciagurato mal d'occhi mi ha impedito di andare in Sicilia a tirare quattro fucilate contro i Borbonici, voglio almeno prendermi il gusto di menar le unghie sul grugno di una spia...! Partiamo adunque! Meglio essere i primi che gli ultimi! Quando avremo rotto il naso a que' due furfanti... penserà l'Assemblea a decretare i cerotti...
E senz'altro parole, il signor Franchetti, in compagnia di pochi amici, prese la via di Bellano.
CAPITOLO VII.
L'imboscata.
Come l'uomo cammina fidente e sereno, quando abbia l'anima illibata
e la coscienza tranquilla! I signori Frigerio e Zannadio han già
dimenticate le occorse disavventure. Senz'odio e senza sospetto,
essi lasciano i paesi inospitali, dove rischiarono soccombere ad una
persecuzione inesplicabile. L'amore della scienza li guida pel nuovo
cammino. Essi procedono a passo lento, cogli occhi fissi a terra —
l'uno si inchina a raccogliere arbusti, l'altro si riempie le tasche
di ciottoli — quando si arrestano, gli è per considerare i vegetali o
i minerali raccolti, e ricambiarsi qualche utile osservazione.
— Oh! vedete quel giallume! esclamò lo Zannadio, additando al compagno un pratello al di là della siepe... Io scommetto che que' fiori sono gli ellebori gialli che voi andate cercando!...
Il Frigerio spicca salti dalla contentezza... Il pratello non è molto discosto...
I due scienziati si adoperano colle mani e co' piedi per aprire una breccia fra gli arbusti e le spine della siepe. — Dalli! abbatti! taglia! rimuovi! alla fine ogni ostacolo è distrutto... I dotti occipiti sono già sprofondati tra le foglie — le spalle si spingono innanzi — le trippe contendono felicemente coi rami... quando — oh! sorpresa! — una mano prepotente afferra per la coda i due professori, e li trae dalla tana come due sorci sorpresi.
— Cane maledetto! tu non mi sfuggirai, grida il medico Franchetti, tenendo saldo lo Zannadio per le falde del vestito e rotando nell'altra mano un nodoso bastone.
— E tu pure... o birbone! grida il giovane studente, investendo la schiena del dotto naturalista.
I due professori, col capo intricato fra i rami, si contorcono, si dimenano, si difendono alla meglio colle pedate, urlando: al ladro! all'assassino! e invocando soccorso in tutti i toni della paura.
— Volgiti costà, e mostrami il tuo grugno da patibolo! grida il Franchetti allo Zannadio, facendolo girare come un paleo.
Il povero geologo cade a terra ginocchioni, leva le mani in atto di preghiera, poi, riversando le saccoccie del soprabito da cui si rovesciano parecchie dozzine di ciottoli: Signor ladro! dice piangendo; pigliatevi pure tutta quanta la roba... ma lasciatemi la vita... per l'amor di Dio!
Perchè mai il Franchetti si arresta immobile, pietrificato dallo stupore?
Perchè mai il giovanetto, che poco dianzi investiva il signor Frigerio con tanta violenza, non appena questi gli ha rivolta la faccia, dà indietro due passi, e si tira il cappello sugli occhi per la vergogna?
I tre studenti, che furono della partita, abbassano le armi, si levano il cappello, e rimangono nella attitudine di colpevoli colti in fallo.
— Oh perdono! mille volte perdono! prorompe il Franchetti, deponendo il randello, e stendendo la mano al geologo, che giace tuttavia inginocchiato sull'erba... Voi; voi!... mio professore!... Voi... l'amico degli studenti! l'onore dell'Università!... Voi, che io venero e stimo fra tutti gli scienziati d'Italia!... Oh! lo imbecille! lo sciagurato ch'io fui!... Sorgete, non temete di nulla!... A me... a me si aspetta piegare il ginocchio dinanzi a voi... e implorare una parola di indulgenza!...
Lo Zannadio ed il Frigerio si levano in piedi e si guardano l'un l'altro come smemorati, mentre i circostanti colle più entusiastiche dimostrazioni di riverenza e di affetto cercano rassicurarli...
— Ma dunque, perchè ci avete aggredito con tanta furia? perchè quei randelli levati sulle nostre spalle? domanda l'ingenuo Zannadio.
— Per chi mi avevate preso? chiede il Frigerio alla sua volta.
— Signor professore!...
— Signor maestro!...
— Signor ripetitore!...
— Ebbene?... parlate dunque!... A voi, dottor Franchetti... Pronunziatela alfine questa parola, che dev'essere per noi la soluzione dell'enigma!... Noi comprendiamo che qui avvenne un equivoco...
— Oh! sì! un equivoco fatale! risponde il Franchetti. Ed ora che bene ci rifletto, ringrazio la provvidenza di avermi fatta nascere l'ispirazione di venirvi incontro con questi miei colleghi. Se per caso foste caduti nelle mani del popolo... a quest'ora non rimarrebbe di voi neppure una scheggia d'osso... Quei sciagurati vi avrebbero fatti in brani. Volete ch'io ve la dica tonda e schietta, l'orribile parola?... Mentre noi stiamo qui ragionando, laggiù a Tartavalle havvi un'assemblea, un tribunale popolare, che sta deliberando qual genere di martirio vi si debba applicare. Nell'opinione di quei popolani voi siete due spie dell'Austria.
I due professori spalancarono la bocca come due pesci cani feriti.
CAPITOLO VIII.
Le vere spie non sono quelle che ne hanno le apparenze.
Battono le tre pomeridiane — e gli onorevoli membri della Commissione
popolare, che devono decidere le sorti dei due emissarii dell'Austria,
stanno ancora deliberando nel caffè di Tartavalle. Le discussioni
delle Assemblee e dei Parlamenti sono in generale molto utili e
benefiche, quando vi sia tempo da perdere. Se nelle questioni di
urgenza gli oratori riflettessero che i fatti valgon meglio delle
ciance, darebbero prova di grande eloquenza tacendo. Io conosco degli
oratori, che se mai per avventura il fuoco si apprendesse alla Camera,
volontieri morrebbero arrostiti in compagnia degli onorevoli colleghi,
piuttostochè sacrificare un periodo.
Ma gli onorevoli di Tartavalle si mostrarono più discreti. Alle tre e mezzo pomeridiane, cioè tre ore dopo l'ingresso dei signori Frigerio e Zannadio, il Gallina aperse le invetriate, e presentossi al balcone per annunziare al popolo le deliberazioni del consiglio.
Ma dove è andato il popolo sovrano? dove sono i militi della Guardia Nazionale? chi ha dispersi gli uomini d'azione, il cui concorso è tanto necessario all'impresa?
Tutti i consiglieri si accavalcano sul balcone, e girano intorno lo sguardo, meravigliati di tanta solitudine.
Quand'ecco, lontano, sulla via di Taceno spunta una processione di popolo preceduta da un drappello di Guardia Nazionale col vessillo spiegato.
Il corteggio discende — la gran cassa della banda musicale desta gli echi delle montagne — voci alte e liete si mescono al suono delle trombe; gli uomini agitano i cappelli, le donne i fazzoletti...
— Che vuol dire tal novità? domanda il Gallina. — Fosse questo un tentativo dei reazionarii...
Ma la folla si appressa... I militi si schierano sotto il balcone; l'esercito si dispone in ordine di battaglia e presenta le armi...
A chi?
— Obbrobrio della nazione! grida il Gallina stendendo i pugni dal parapetto...
I signori Frigerio e Zannadio a cavallo attraversano la piazzetta, e rispondono con inchini ai viva entusiastici della moltitudine...
Un tale avvenimento, che riempie di meraviglia il Gallina e gli altri onorevoli membri della Commissione popolare, non parrà strano ai nostri lettori. Il medico Franchetti e i di lui colleghi, mentre l'assemblea stava deliberando, hanno spiegato al popolo l'equivoco delle spie; e il popolo, persuaso dalla autorevole testimonianza di parecchi milanesi i quali assai bene conoscono il signor Frigerio e il signor Zannadio, si affretta con una dimostrazione di simpatia e di rispetto a compensare i due professori del danno patito.
— In nome della patria, in nome del pubblico decoro, in nome di tutti i miei compaesani di Menaggio, io protesto contro l'illegale manifestazione di una plebe sedotta, fors'anche comprata dall'oro austriaco! grida il Gallina, volgendosi ai membri dell'assemblea.
— E noi tutti protestiamo! rispondono in coro i deputati.
— Siete voi disposti a morire? chiede con enfasi il Gallina agli onorevoli membri. — Siete voi disposti a morire per la salute della patria?...
Gli onorevoli esitano a rispondere. — La interpellanza è troppo compromettente...
— Signori! — io ve lo chiedo per la terza ed ultima volta: siete voi disposti a morire per la salute della patria?
— Io conosco troppo bene i miei doveri di deputato del popolo, risponde uno degli astanti. — Chi rappresenterebbe, chi illuminerebbe, chi governerebbe la nazione, se i deputati morissero?... Vivere è un diritto pel resto degli uomini — per un rappresentante del popolo è dovere!
— Bene! bravo! viva il maestro Gandolla di Bellano! — gridano gli altri deputati, che in questa ispirata risposta riconoscono la propria salvezza.
— E noi permetteremo, risponde il Gallina, che due spie, due emissarii dell'Austria sian portati in trionfo ed acclamati da questa plebaglia vigliacca che ci elesse all'onorevole incarico di rappresentarla?
— No! no! morte alle spie! morte alle spie! urlano in coro i deputati.
— Sì! morte alle spie! ripete il Franchetti precipitando nella sala in compagnia de' suoi colleghi di Università. — Morte alle vere spie, ai veri nemici d'Italia; morte ai don Basilii, che con maschera da liberale vanno pel mondo a far l'ufficio di Satana, a suscitare discordie e a seminare la gramigna nel buon grano. Oggi la provvidenza ci ha fatto discoprire due di cotesti scellerati... e ha posto in nostra mano tali documenti, ch'essi non potranno in verun modo schermirsi dai rigori della legge! — Signor sindaco di Taceno: io rimetto in vostra mano questi fogli, che gli illustri professori Frigerio e Zannadio hanno rinvenuti sulla via di Bellano, e che appartengono ai fratelli Albizzotti, sedicenti sensali di seta.
Così parlando, il Franchetti cavò di tasca un portafogli contenente parecchie carte, e ne fece pubblicamente consegna al sindaco della Comune.
— Come! i fratelli Albizzotti! — quei due signori che stamattina erano al caffè... e facevano tanti brindisi all'Italia... a Vittorio Emanuele... a Garibaldi!
— Erano due infami emissarii del partito austriaco — arruolavano volontarii per l'esercito del papa — raccoglievano denaro per la cassa di San Pietro — tenevano carteggio coi preti dell'Armonia e della Civiltà Cattolica — Infine, come potrete rilevare dalle note preziose che io vi ho presentate, erano venuti a Tartavalle per seminare la reazione...
— Ma gli altri due... que' birbaccioni, che poco dianzi abbiam veduto passare a cavallo fra i viva e le acclamazioni della moltitudine?...
— Sono due illustri Italiani, due professori di scienze naturali, uomini d'ingegno elevato, di nobilissimi sensi, che spesero la vita negli studi e nelle meditazioni — Essi venivano fra queste montagne per investigare i misteri della natura, per risolvere le astruse questioni della formazione del mondo... Ed è appunto di questi innocenti cultori delle scienze che Iddio si è servito per isventare le trame di due birbanti che certo non isfuggiranno al meritato castigo. I fratelli Albizzotti, temendo che i signori Frigerio e Zannadio fossero davvero emissari dell'Austria, e che il loro arresto potesse compromettere qualche segreto di bottega, se la svignarono da Tartavalle poco prima che vi arrivassero i due scienziati — e questi trovarono in sulla via il portafoglio ch'io ebbi l'onore di presentarvi.
Prima che gli onorevoli deputati potessero riaversi dalla sorpresa e convincersi dell'inganno, molto tempo ci volle. Le ciarle, le discussioni, i commenti durarono parecchie ore, con grande rammarico del Franchetti, cui premeva di prender parte al magnifico pranzo ordinato in onore dei due scienziati. Ultimo a persuadersi fu il Gallina; ma quando il dabben figliuolo ebbe esauriti tutti gli argomenti d'opposizione, e trovossi isolato o piuttosto soffocato dal voto concorde delle masse; il Franchetti lo prese per mano, e con dolce violenza lo trasse fuor della sala per condurlo a complimentare i due scienziati.
— Figliuolo mio, diceva il giovine medico all'ingenuo patriota di Menaggio — il mondo molto spesso si inganna ne' suoi giudizii. — Un uomo un po' eccentrico, un po' bizzarro nel vestito — un uomo timido, circospetto, che poco parli, nulla si interessi de' fatti altrui, facilmente vien preso in uggia e guardato di mal occhio. Credilo, Gallina; i veri furfanti non sono coloro che più lo sembrano... Le vere spie, i veri nemici d'Italia difficilmente si danno a conoscere.... Tu li vedrai manierosi, vivaci, brillanti... Li udrai declamare ne' circoli... gridare a voce alta: viva la patria! Viva l'Italia! viva il Re! — Io ho già imparato a diffidare di codesti ciarloni arroganti, impudenti, sfrontati... che la cieca moltitudine adora!... L'esempio degli Albizzotti ti serva di norma per l'avvenire... E se mai ti nasce sospetto che qualche sconosciuto possa essere una spia, guardati dal mettere in allarme le masse, come hai fatto sta volta... Pensa che se io non avessi prevenuti i decreti dell'assemblea, il popolo sovrano avrebbe lapidati a morte due luminari della scienza, due modelli di virtù.
Così parlava con amorevolezza il Franchetti, conducendo il sartore di Menaggio verso l'albergo.
Entrato nella sala, ove i due professori stavano pranzando, il Gallina si presentò per fare le sue scuse. Ma prima ch'egli avesse il tempo di proferire parola, la signora Menafuoco, seguita dalle due figliuole Rosalba e Cornelia, si fece innanzi, e fatto un inchino a destra, un altro a sinistra, parlò in tal guisa ai due scienziati:
«Francamente ci siamo ingannate! noi ritrattiamo esplicitamente quanto abbiamo potuto pensare o dire sul conto di due uomini onesti quali voi siete. Accettate colle mie anche le rettifiche di Rosalba e di Cornelia. Voi siete onesto; le nostre figlie sono oneste..... Noi siamo contente di voi. — La nazione vi offre un banchetto in segno di stima e di riconoscenza. — Noi lo approviamo! — Voi non rifiutate l'offerta della nazione — sta bene! — Signori e signore: pro seguite pure nelle libere esercitazioni dei vostri diritti popolari — mangiate di buon appetito — noi lo permettiamo. — Anzi per riparare ad una involontaria omissione di questo onorevole comitato, noi ci assidiamo con voi al liberale banchetto. Lo abbiamo detto, lo diciamo, e non cesseremo di ripeterlo: In occasioni tanto solenni, noi saremo sempre colla nazione!»
FINE.