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nota 361


«di soperchio»1, II 1555 «Spinelloccio di Tavena»2, 18335 «Pietro del Canigiano» (cfr. II 1801 e II 18313, dove non trovo ragione per conservare la forma dello di B accanto alle regolari «il Canigiano, col Canigiano»), II 20828 «di lor detto»3, II 2288 «domandar Giosefo di quello», II 29330 «poco men di disagio», II 30615 «di rimpetto»4;

inI 6114 «in rapportar male»5, I 1126 e 3632 «infra» (cfr. I 1725 «infra mare»), I 15723 2603 e 28929 «in ginocchione» (cfr. I 16832 e 28813); I 26532 «in su l’erba ed in sui fiori»;

che, chéI 2522 «che niuna novella», I 19829 «che da lui si volea», I 20936 «che e di buona aria»6, I 23028 «essi conoscono che»7, I 2338 «questo, che», I 23431 «sí veramente... che io voglio», I 23515 «cosí ti dico.... che», I 25414 «disse alla donna che», I 31032 «e che essi» (suppl. giá da L), I 38813 «conoscendo che», I 40326 «tu puoi vedere che», II 728 «avvenne... che messer Geri»8, II 1519 «dico che»9, II 1219 «ho io alcuna volta detto che», II 14217 «fu sí lungo l’aspettare... che ella» (suppl. da L), II 1698 «ché non vi fummo»10;

    gogna», II 1231 «tanta di grazia», II 14730 «quella poca di bella apparenza», II 15936 «poche di volte». Va rilevato che nella maggior parte di questi casi L sostituí il masch. alquanto, tanto, molto ecc., rammodernando senza accorgersi.

  1. Il passo contiene uno dei soliti esempi di sillessi: il sogg. di «sarebbe stata di soperchio» è infatti alterezza, implicito nelle parole «era altiera» che precedono; non che render possibile questa spiegazione, la vulg., per non aver ripristinato la locuzione avverbiale di soperchio, fu costretta a concordare stata con soperchio creduto sostantivo.
  2. Tavena è il nome del padre.
  3. Del guasto nel passo presente non s’accorse che lo Hecker (op. cit., pp. 53-4), ma per trarne tutt’altra conseguenza. Salta agli occhi che lasciando «aveva lor detto», ossia non presupponendo la caduta del di, si dovrebbe riferire «lor» al solo Bruno, ciò ch’è manifestamente assurdo (Calandrino sino a questo punto del racconto non s’è confidato che con Bruno).
  4. Cfr. I 5816, 2603, 30519, 33225, 33517 ecc.
  5. Cfr. Fanf., I, p. 69, n. 1.
  6. Il guasto apparve evidente anche allo scrittore di L, che correggendo lo aggravò con la sua restituzione spostata («e di buona aria e che valente donna»); in G fu tolta via la seconda e, e la vulg. accolse il passo cosí deformato.
  7. Cfr. Fanf., I, p. 262, n. 4.
  8. La caduta di questa che provocò impensate conseguenze ermeneutiche, perché la vulg. la sostituí col primo dei due che dell’inciso precedente «che che se ne fosse cagione», dando poi al che se ne fosse il valore di che che (cfr. Fanf., II, p. 86, n. 3): tutto per non avere osato metter le mani in L.
  9. Cfr. l’identica formula in I 14323, 27025, II 22023, 2257.
  10. Il Fanf. sembrerebbe aver inteso rettamente (II, p. 268, 11. 3) tutto questo passo, per veritá assai ingarbugliato, e piú ancora senza il ché suppl. da me; esso va riordinato cosí: «e sí ancora per ciò che la contessa intende (per quello che detto ne fosse, ché non vi fummo noi poi) di farvi cavalier bagnato alle sue spese, per ciò che voi siete gentile uomo».