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novella settima 235

paura della soprastante morte pensoso che di speranza di futura salute; e quasi in guisa di confortatore, col piacere de’ prigionieri, a lui se n’entrò, e postosi con lui a sedere, gli disse: — Aldobrandino, io sono un tuo amico a te mandato da Dio per la tua salute, al quale per la tua innocenza è di te venuta pietá: e per ciò, se a reverenza di lui un piccol dono che io ti domanderò conceder mi vuogli, senza alcun fallo avanti che doman sia sera, dove tu la sentenza della morte attendi, quella della tua assoluzione udirai. — A cui Aldobrandin rispose: — Valente uomo, poi che tu della mia salute se’ sollecito, come che io non ti conosca né mi ricordi di mai piú averti veduto, amico déi essere come tu di’. E nel vero il peccato per lo quale uom dice che io debbo essere a morte giudicato, io nol commisi giá mai; assai degli altri ho giá fatti, li quali forse a questo condotto m’hanno. Ma cosí ti dico a reverenza di Dio, che, se egli ha al presente misericordia di me, ogni gran cosa, non che una piccola, farei volentieri, non che io promettessi; e però quello che ti piace addomanda, ché senza fallo, ove egli avvenga che io scampi, io lo serverò fermamente. — Il pellegrino allora disse: — Quello che io voglio niuna altra cosa è se non che tu perdoni a’ quattro fratelli di Tedaldo l’averti a questo punto condotto, te credendo nella morte del lor fratello esser colpevole, ed ábbigli per fratelli e per amici dove essi di questo ti domandin perdono. — A cui Aldobrandin rispose: — Non sa quanto dolce cosa si sia la vendetta né con quanto ardor si disideri se non chi riceve l’offese; ma tuttavia, acciò che Iddio alla mia salute intenda, volentieri loro perdonerò ed ora loro perdono: e se io quinci esco vivo e scampo, in ciò fare quella maniera terrò che a grado ti fia. — Questo piacque al pellegrino, e senza volergli dire altro, sommamente il pregò che di buon cuore stesse, ché per certo che avanti che il seguente giorno finisse egli udirebbe novella certissima della sua salute. E da lui partitosi, se n’andò alla signoria, ed in segreto ad un cavaliere che quella tenea, disse cosí: — Signor mio, ciascun dée volentier faticarsi in fare che la veritá delle cose si conosca, e massimamente coloro che