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chiusa 265

un giovanetto fiero,
sé nobil reputando e valoroso,
e presa tienmi e con falso pensiero
divenuto è geloso:
laond’io, lassa! quasi mi dispero,
conoscendo per vero,
per ben di molti al mondo
venuta, da uno essere occupata.
     Io maladico quella mia sventura,
quando, per mutar vesta,
sí dissi mai: sí bella nella oscura
mi vidi giá e lieta, dove in questa
io meno vita dura,
vie men che prima reputata onesta;
o dolorosa festa,
morta foss’io avanti
che io t’avessi in tal caso provata!
     O caro amante, del qual prima fui,
piú che altra contenta,
che or nel ciel se’ davanti a Colui
che ne creò, deh! pietoso diventa
di me, che per altrui
te obliar non posso; fa’ ch’io senta
che quella fiamma spenta
non sia che per me t’arse,
e costá sú m’impetra la tornata.


Qui fece fine la Lauretta alla sua canzone, nella quale notata da tutti, diversamente da diversi fu intesa: ed ebbevi di quegli che intender vollono alla melanese, che fosse meglio un buon porco che una bella tosa; altri furono di piú sublime e migliore e piú vero intelletto, del quale al presente recitar non accade. Il re, dopo questa, in su l’erba ed in sui fiori avendo fatti molti doppieri accendere, ne fece piú altre cantare infino che giá ogni stella a cader cominciò che salía; per che, ora parendogli da dormire, comandò che con la buona notte ciascuno alla sua camera si tornasse.