Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 19. Matrimonj

§. 19. Matrimonj

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§. XIX.

Matrimonj.

D
Agli amori pell’ordinario non si passa ai matrimonj. Si suol cangiare. Quello che amoreggiò con una, sposa un’altra. Ciò dipende alle volte o dalla sua propria volontà, o da quella della famiglia, poichè in alcuni luoghi si stabiliscono i matrimonj, senza che gli Sposi futuri si abbiano mai veduti, se non al momento di adempier le sacre cerimonie, e bisogna confessare, che pel rispetto che ànno i Morlacchi ai proprj Genitori, perdono sovente la propria pace, e chi antepone questa al rispetto [p. 140 modifica]Paterno, si crede corrotto da’ vizj stranieri, e porge motivo di mormorare ai Nazionali. Ma quest’antica severità è moderata di molto in alcuni luoghi della Morlacchia. Si vedono i futuri Sposi, e se si piaciono scambievolmente, i rispettivi parenti delle famiglie stabiliscono il contratto. Ma pria di stabilirlo, vi vogliono tutte le formalità ordinarie, consuete a praticarsi in tali incontri, per non degenerare dal costume de’ loro buoni vecchi. Sogliono prendersi esatte informazioni da’ parenti dello Sposo dell’indole della fanciulla, delle doti materne della stessa, cioè s’è Donna di casa, se in abbondanza avea del latte per i proprj figli, ed altre tali cose. In somma nel modo, che taluno cerca di accoppiar degli animali di buona razza, per aver de’ parti di miglior qualità, così sono i Morlacchi nella unione de’ matrimonj. E come credono, che le figlie debbano imitar le Madri, succede, che alle volte per i difetti della Madre non si mariti una figlia di vaglia, e si mariti un’altra, alli cui diffetti suppliscono le doti Materne. Si uniscono dopo un serio esame i parenti, e gli amici dello Sposo futuro, che si chiamano Proszci, ricercatori, e portando seco abbondanti provigioni da mangiare, e bere vanno a casa della fanciulla, dai parenti della quale per naturale legge di Ospitalità vengono accettati, nè si dice la ragione, perchè sieno venuti insino a tanto, che non si finisce a cenare1, e sembra, che vogliano significar con ciò, [p. 141 modifica]che senza la ispirazione di Bacco non mai ben si stabilisce il contratto matrimoniale ad usanza degli antichi Romani, che ne’ banchetti trattavano delle cose Divine, e pertanto le più serie.2 Finita la cena il più rispettabile de’ Proszci, premessa la cerimonia „se il destino avrà stabilito“ dice, ch’e’ vorebbe contraer amicizia colla casa, da cui è ospitalmente, e con amore accolto, e questa sarebbe di formar il matrimonio tra uno della sua famiglia, e la fanciulla, che viene ad essere figlia, o in qualche modo parente a quello, da chi ella si richiede. Risponde il Capo di famiglia ad una tal richiesta ai Proszci tutti: „andate a casa; lasciateci esaminare, e tornerete a udir la decisione un altro giorno,“ che viene fissato. In questo frattempo esaminano i parenti della fanciulla lo stato dello Sposo, di cui talotta vanno a visitar la casa. Il Fortis dice „che in qualche paese, la giovane stessa va a visitar la casa, e la famiglia dello Sposo propostole, prima di pronunciar un sì definitivo.“ Che la cosa sia così, io non vorrei assicurare, ma s’ella è, non sarà poi vero ciò, che al Fortis scappò dalla penna, che non si suol badare alle circostanze di chi chiede [p. 142 modifica]la fanciulla.3 Ei però non esaminò le contraddizioni: trascrisse solamente le relazioni altrui, e forse anche in fretta.

Giunto il giorno stabilito, i Proszci, come prima ben provigionati, vanno alla casa della fanciulla, che loro fa lume con una scheggia di sapino, mentre cenano, e dopo ch’essi ànno cenato, e che ognuno per rito antico à bevuto tre volte, si presenta dal Capo di essi alla fanciulla stessa un bicchiere di vino, cui se riceve, è segno, che i suoi parenti sono già disposti di cederla, ed allora il Proszac le dà un pomo, piantandovi in esso un Zecchino in oro. La fanciulla consegna il pomo al Padre, od al fratello, che per la cessione della figlia, o sorella, cominciano ad apprezzarla co’ Proszci. Il prezzo di una fanciulla suol consistere in Zecchini dieci, o dodici, e più, o meno a tenore della ricchezza dello Sposo. Questo soldo viene impiegato per formar i regali da distribuirsi, come vedremo, l’ultimo giorno delle Nozze agli Svatti. Di dote non si contratta fra’ Morlacchi, poichè essi cercano solamente le Mogli, nè per l’avidità dell’oro, (dicono essi) vogliamo acquistar il Demonio in casa, o Padroni, sopra se. Se mai succedesse, che vi fossero due, o tre pretendenti di una fanciulla, e che il Padre la pro[p. 143 modifica]metesse ad uno contro suo genio, ella stabilisce di fuggirsene con l’altro, che più le piace, e quindi ànno origine i ratti, e forse ne’ tempi rimoti i duelli de’ pretendenti, quali s’erano Conti, o Bani facevano nascere anche una zuffa tra i loro seguaci di corte, quando fosse vero ciò, che leggesi nelle canzoni, da non molto tempo compilate del Padre F. Andrea Cadcibc Miossich da Makarska, che nelle cose le più serie, ed esattamente Istoriche avrei rimorso di citarlo. Ma pare, ch’egli si sia adattato al costume del suo ceto, che nelle cose Istoriche vi mescola sempre il meraviglioso, ed incredibile. Nullaostante riportiamo una delle sue canzoni in proposito di zuffe, che succedevano tra i pretendenti di una fanciulla, che sarà più acconcia a questo luogo, che quella, che riportò il Fortis, cui oltre le risa de’ fanciulli per la sua poca verisimiglianza, anch’esatissima non proverebbe, se non se i giochi, che usavano anticamente gli Slavi ne’ tempi Nuzziali. La canzone, che io tradussi dall’Illirico darà luogo ad una digressione. Ò procurato d’incontrar il sentimento dell’Autore, ma non sono stato intieramente attaccato alle parole.

     Giunto era il tempo, quando dar dovea
     Giorgio Castrioto sua Sorella a Sposo
     Topich, dell’Albania Ban, ed Eroe:
     Da gran Signor fe’ preparar le nozze,
     E gran Signori alle sue nozze invita,
     E Bani, e Conti d’Albania più scielti.
     „ Tutto è compiuto ormai: Al gran convitto
     „ Già s’incammina ognun: Fra l’allegrezza
     „ Alternando de’ balli, e canti insieme,
     „ Si passa il tempo. “ Ma allorchè Bacco ai Svatti
     Di suo furore riscaldò li petti

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     Fra due de’ Bani contenzion feroce
     Ecco si accende: Un Zaccaria nomavasi,
     Dell’altro il nome è Dugagin Alessio.
     Eravi il Bano Dusmanichio detto4
     Che figlia avea di gran bellezza, e brio
     Elena detta, che di Greca al paro
     Di risse fu cagion. Il Dugagino
     Diceva, Elena è mia: Passato è l’anno,
     Da che mi si promise ella in sposa;
     Ma scorron tre anni, Zaccaria rispose,
     Da che la chiesi, e che fissai contratto.
     Se poi ti opponi amico: Sciabla in mano,
     E decida il valor la nostra rissa.
     Così dicendo sul destriero salta,
     Ed esce armato in sul campo incontro
     Al suo rivale: Il Dugagin lo siegue.
     Ma quando incontro ferosi i Campioni
     Con lancie in mano, Zaccaria ne scaglia
     Un colpo al suo rival, e già voleva
     Con sua Sciabla troncargli il capo ancora,
     Se il Ban Castrioto, e ’l Vragnanino Conte
     Al suo furore non l’avesser tolto.
     Ma ecco poi zuffa ben più orrenda, e fiera
     I seguaci de’ Bani, ognun pel suo
     Contrastando, restaro in cento morti.
     Restò ferito Vragnanino il Conte,
     E Giorgio Vladinichio, i quai frammezzo
     Eransi posti, per ridurli in pace.

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Le zuffe, che anticamente succedevano fra varj pretendenti di una fanciulla, erano quasi tutte accompagnate da queste, o simili circostanze.

Stabilito il contratto del Matrimonio fra i Proszci, ed i parenti della fanciulla, si determina il giorno, in cui lo Sposo deve andar a prenderla. Si unisce una comitiva di amici, e parenti, quali tutti sono invitati dallo Sposo, e si chiamano col nome di Svatti. Molti di questi Svatti ànno nomi particolari. I Parvinzci, che sono due, tre, o quattro, secondo la nobiltà de’ matrimonj sono quelli, che precedono la comitiva cantando. Il Bariactar, ch’è sempre uno solo5 tiene sopra una lancia una bandiera di seta, che va sventolando. Lo Stari Svat, ed il Kum Compare, sono i due testimonj del matrimonio conchiuso a’ piedi dell’altare, e questi non si scielgono mai dal parentado dello Sposo, come dice il Fortis.6 Uno, o due Diveri sono i fratelli dello Sposo, ed in mancanza di questi, i più propinqui di sangue si scielgono per Diveri, che servono la giovane. In alcuni luoghi si usano le Jenghie, due Donne del parentado, che fanno le veci dei Diveri, se anche [p. 146 modifica]vi fossero essi. Gli Stachieli (che sono uno, o due) sono i Voivode della brigata. Il Zaus, che porta una mazza in mano è il maestro di cerimonie, e tiene la marcia ordinata. Esso va cantando per istrada ad alta voce in segno di allegrezza: Breberi Delio, Davori, Dobra Srichia Gospodo Svattovi.7 Alcuno di essi più licenzioso degli altri, ed i guidoncelli di strada specialmente vedendo gli Svatti, soglion gridare Jara Jara Pico, che il Fortis prende per nomi di antiche Deità propizie. Io credo ben, se non vi fosse stata la Deità Pico, ch’è una delle cause trovate dalla prima per la produzion del genere umano, tutta la generazione, operando la Natura nel modo, ch’ella opera presentemente, sarebbe finita col nostro primo Padre. Se poi peravventura si verificasse, che i Morlacchi abbiano adorata Pico, come Deità; ella sarebbe un’altra Deità abominevole in aggiunta di tante, che ànno avuto, di cui la spiegazione nel senso, che la si prende oggidì fra noi, non si può dare, che ne’ libri d’illeciti piaceri. Ma giacchè sappiamo, che degli uomini ànno adorato de’ gatti, e [p. 147 modifica]de’ porri, come Deità,8 ci si diminuirà lo stupore, che i Morlacchi nel loro primiero stato di Natura abbiano preso per Divinità ciò, in cui la ragione ancora bambola per così dire riponeva il maggior bene, e la maggior felicità. Il Giuvegbia, o sia Mladoxegna, ch’è lo Sposo (per distinguersi dagli altri) legandosi la coda vicino alla coppa, la lascia poi sciolta, in vece di farla in treccia. Quelli, che fan uffizio di portar buracchie, o sia otri pieni di vino alla compagnia per viaggio, ed anche a Tavola, sono chiamati col nome di Buklie, e ne’ ricchi Sponsali vi sono degli Svatti sopranumerarj, che non ànno ispezione alcuna. O gli Svatti vanno a prendere la Sposa novella in poca distanza, o più miglia lontano dalla casa dello Sposo. Nel primo caso vanno a piedi, e le formalità ancora sono un po’ diverse. Nel secondo caso tutti montano a cavallo, e s’inviano verso la casa della fanciulla, ove tutta la compagnia degli Svatti pranza prima di condur in Chiesa la fanciulla stessa che pranza a parte co’ due Diveri, e lo Stachiel. Il Domachin, o sia Capo di casa della fanciulla, non sapendo le cariche degli Svatti, che arrivano da es[p. 148 modifica]so lui, scieglie uno, il quale s’informa dallo stari-Svat delle dignità, che gli Svatti stessi coprono. La Persona scielta a questo uffizio si chiama Dolibassa. Di quest’onore non sogliono essere decorati, che i perfetti, e più volte sperimentati Bevoni. Tocca al Dolibassa a far le Zdravizce agli Svatti, vale a dire i brindisi. Premessa sempre la cerimonia religiosa alla prosperità della S. Fede, de’ SS. Protettori, ed il rito antico alla salute di tutta la compagnia, di tutti gli amici presenti, e lontani, e fatto il brindisi allo stari-Svat, comincia il Dolibassa a far le seguenti interrogazioni o stari Svatte, o draghi Bratte? o vecchio Svate, o caro fratello?„ A ciò risponde lo stari Svat. Eccomi, amico mio. Il Dolibassa allora, lo interroga chi sono i Parvinzci, e quali i Zaçionizci, vale a dire quali sono quelli, che precedono la compagnia, e quali que’, che la chiudono? Informatosi di ciò, fa loro otto, o dieci brindisi consecutivi con un bicchiere, con cui ordinariamente si suol bevere.9 I Parvinzci, ed i Zacionizci sono in debito di bere ciascuno tanti bicchieri di vino, quanti brindisi à fatto il Dolibassa, cui lice di beverne un pocolino per ogni bicchiere, per mantenersi sincero, e per poter resistere a far i brindisi a tutti gli Svatti. Ma se i Parvinzci, ed i Zacionizci, non posson ber tutto il vino, che viene loro dato; o che lo stari-svat li dimanda in grazia al Dolibassa, o ch’essi se ne fuggono dalla brigata, e lo stesso si dica di tutti gli altri della compagnia, che dopo picciol intervallo, tor[p. 149 modifica]nano al loro posto, col rossore di non aver adempiuto il proprio dovere.10 Sì fanno i brindisi anche scambievolmente gli Svatti tra loro, e viene più stimato chi sa ber più vino, senza ubbriacarsi: ma tutti vogliono poter resistere, e per non restar gli uni inferiori di merito agli altri, gli uni bevono più degli altri, e ne nasce, che diventano ubbriachi quasi tutti. Perchè non succedessero questi disordini, un Medico meglio di ogni altro saprebbe sciogliere questo problema, da insegnarsi a’ Morlacchi: Data la forza del vino, e la robustezza del temperamento, trovar quanto vino si può bere, senza ubbriacarsi. Allora senza berne una goccia, potrebbono essere noti i più valorosi, ma ciò non saprebbe buon grado a’ Morlacchi.

Terminato il pranzo, quando già tutta la compagnia è bene all’ordine di ubbriachezza, tolto che il Zaus comincia gridare, Azur, Azur, Bigna,11 lo stari-svat comanda alla comitiva di montar a cavallo. I parenti della giovane a cavallo anch’essi, vanno ad accompagnare gli Svatti per qualche tratto di cammino. Lo Sposo s’invia cogli Svatti, ma dopo poco viaggio, unitamente al compare se ne torna addietro, e va a baciarsi colla Suocera, che già lo aspetta in casa vicino alla soglia della porta, cui l’uso [p. 150 modifica]non permette di oltrepassare. La Suocera avvolge dopo il bacio una Marama attorno il collo dello Sposo, che da parte sua corrisponde con mezzo Zecchino, e più, o meno secondo le circostanze, e poi con fretta assieme col Compare sen va a raggiugnere l’abbandonata compagnia. Alle volte lo Sposo usa far de’ piccioli regali al fratello della fanciulla, e s’è ricco a tutti della famiglia. La sorella poi della Sposa, o la più propinqua siede sopra la cassa dotate al punto, che sono per partire gli Svatti, ed il seksançia,12 che va a prender la cassa stessa, e di cui l’uffizio è di custodirla dona qualche summa di denaro a chi le siede sopra, di cui viene risarcito dallo Sposo. Prima che i parenti della Sposa si distacchino dagli Svatti, e che accompagnati già li ànno per [p. 151 modifica]un miglio in circa, il Zaus fa cenno, che si fermino tutti13 e si torna far un piccolo pranzo in istrada. Dopo ciò gli Svatti, che devono essere bene allegri, cantando all’usanza natia, e fra gli spari di pistola conducono la Sposa velata alla Chiesa, ed in vece di essere bene armati, come dice il Fortis,14 per rispignere qualunque aggressione, o imboscata,15 che tendesse a turbare la festa, non v’è uno che spari la pistola con entro una palla di piombo, [p. 152 modifica]e se anche lo fossero armati, per tutt’altra ragione lo sarebbono, che per questa, che adduce il Fortis. Compiute le sacre cerimonie16 per cui al Sacerdote si dà una Marama dalla Sposa; una boccia da libbra di vino, una focaccia, ed un quarto di Castrato arrosto dallo Sposo, usanza comunissima una volta ed in parte ancora a tutto il paese Russo, tornano montar a cavallo gli Svatti, e s’inviano verso la casa [p. 153 modifica]dello Sposo. Ivi vengono accettati da un’altra compagnia de’ parenti, e amici, cui portan nuova dell’arrivo della Sposa i Parvinzci.17 Lo Starescina, o sia Capo di casa va incontro alla Nuora, cui pria, che scenda da cavallo si presenta un fanciullino di casa da accarrezzarsi, o se non v’è, tolto ad imprestito dai vicini. In alcuni luoghi il fanciullino, ma comunemente la Suocera, od in mancanza, qualche altra Donna di parentado nel tempo stesso le presenta un vaglio pieno di noci, pomi, mandorle18 e simili cose, ch’ella deve gettare sopra la casa, e [p. 154 modifica]sopra gli Svatti. Scendendo ella poi di cavallo, prima di entrar in casa, bacia la soglia della porta, ed è condotta a parte della compagnia da uno, o due Diveri, co’ quali soli cena, senza lo Stachiel, che perde il diritto. Frattanto si mettono sedere à mensa da una parte gli Svatti, e dall’altra i parenti, e gli amici, che li aspettarono a casa per far loro accoglienza. È usanza, che tutti quelli, che concorrono a queste Feste Nuzziali, che si chiamano Pirovi, e non già zdravizce19 mandano esorbitanti provi[p. 155 modifica]gioni per parte loro allo sposo. Non è già, che lo sposo anche da per se solo non fornisca abbondantemente de’ cibi la Tavola per tutta la comitiva, anzi se l’entrata non è andata bene, non v’è alcuno, che si ammogli, e a un di presso i Morlacchi sono del parere di quel Poeta, che „senza Cerere, e Bacco, Venere si raffredda.“ Il soverchio apparecchio per queste Feste Nuzziali potrebbe saziare una compagnia sei volte maggiore, e ciò si fa specialmente ad oggetto, che tutti i passeggieri vengono invitati, e per tutto il tempo delle Nozze ora gli uni, ed ora gli altri mangiano, e giorno, e notte per così dire. Fra le piattanze che i Morlacchi sanno preparare, le più stimate sono i polli fritti alla loro usanza20 e le Torte, non già di latte, e farina, che sono detestabili a qualche palato. Si mangia di ogni sorte di vivande, le più preziose, che si possono trovare ne’ loro Villaggi, e che sono le più alla moda fra loro. Il Fortis affidato alla testimonianza di San [p. 156 modifica]Girolamo21 ed a quella di Tomco Marnavich22 asserisce con somma franchezza, che i Morlacchi di raro, o forse mai non mangian del vitello. Ma doveva osservare, che ciò, che succedeva ai tempi di San Girolamo, e di Tomco Marnavich, ora più non succede, voglio dire i costumi si sono cangiati, ed i Morlacchi mangian più tosto vitello, che carne di Bue.23 Terminata la cena, ove secondo il solito strabocchevolmente si à mangiato, e bevuto, i due Diveri accompagnano la Sposa all’appartamento matrimoniale, che suol essere un camerino fatto a bella posta. Lo Sposo dopo essersi congedato, e presa la benedizione dal Padre, se lo à, o da parenti in caso diverso, viene accompagnato dal Kum alla [p. 157 modifica]stanza del riposo. I due Diveri allora se ne partono, e resta il Kum in sino a tanto, che gli Sposi scambievolmente si ànno sciolte le fascie. Dopo ciò il Kum li abbandona, e dà uno sparo di pistola in segno di aver condotti gli Sposi a letto, che finiscono di spogliarsi dopo la sua partenza. Mi ricordo di aver una volta io detto per ischerzo ad un Italiano, che il Kum deve spogliare la Sposa novella, ed à il privilegio di dormisene seco lei per la prima notte. Egli mi dimandò subito, come si può divenir Compare di un Morlacco: ma pensandovi un po’ seriamente, si accorse, che io lo corbellava. Mi viene meraviglia da ciò, che il Fortis, che io credo assai più ingegnoso, si abbia lasciato persuadere, che il Kum scioglie la cintola alla giovane, che una volta la spogliava tutta, e che adesso è solamente ammiratore degli Sposi, che si spogliano; ed immaginariamente vi aggiugne ancora che „se lo Sposo trova qualche facilità non aspettata (quando sia bastevolmente smaliziato per avvedersene) la Festa è turbata.“24

Ma ritornatosene il Kum, ed i due Diveri, che accompagnarono gli Sposi, al luogo dell’assemblea, gli Svatti tutti fra’ muggiti, ed urli, si approssimano al focolare, e con le molle, o con altro facendo curiose contenzioni fra essi, cominciano a sbarattare il foco. Il Domachin per acquietarli, porta loro della Rakia, o sia acqua vite, e fichi. Se non si trovano contenti, prendono il Kum, che ressistendo di soccombere alla spesa, cui viene tassato dalla compagnia, lo pongono sopra un carretto, ed accendonvi [p. 158 modifica]sotto un poco di paglia, ma ancor esso gli acquieta con fichi, e Rakia.25

Il giorno seguente (se pur ai tempi di nozze v’è differenza da giorno a notte) tosto, che si fan vedere i crepuscoli del mattino, il Diver26 porta il cioccolatte in letto agli Sposi, che consiste in una schiacciata di frumento, un pollo, ed una Boccia da libra di vino, per corroborare gli spossati stomaci. La Sposa, che ben più volentieri se ne starebbe in letto ancora, subito si alza, ed il Diver la conduce alla compagnia già svegliata. Ella deve baciare allora prima il Suocero, se lo à, o chi fa le sue veci, poi il Kum, in seguito lo Stari-Svat, e tutti gli astanti se fossero mille. Pettina i più giovani degli Svatti, ed intreccia loro nella coda un cordoncino di seta, ricamato di oro, o di qualche altra cosa a capriccio, verso le due estremità. Dippoi dà l’acqua alle mani di tutti, che dopo esserlesi ben lavate, gettano nel catino delle monete, che sono gl’incerti della Sposa, e così si fa tutte le mattine, finchè [p. 159 modifica]durano le Nozze.27 Ella deve anche la sera far lo stesso uffizio ai piedi degli Svatti, dopo averli scalzi. Non saprei decidere da chi le Spose Morlacche abbiano appresa questa usanza. Il Diver mentre la Sposa scalza gli Svatti, riceve le opanke28 le ripone in un sacco. Se alcuno, molti degli Svatti trovano il modo di rubar le opanke, senza che la Sposa, e’l Diver si accorgano, l’uso costringe questi due riscattarli con piccola summa di denaro, che determina la compagnia. Se le Spose non ànno avuto in consegnazione le opanke dagli Svatti, e che possano far loro la burla di rubarle, godono lo stesso privilegio di essere pagate, prima di restituirle. Non si premia già il latrocinio, ma il modo, con cui si eseguisce. Per questa ragione anche i Legislatori Greci premiavano l’accortezza ne’ ladri, detestando però il furto, come ognun sa, ch’è ben versato nella Storia.

Giunta l’ora del pranzo la Sposa unitamente al Diver, deposto il segno verginale, ch’è la beretta, a capo semi-scoperto stà in piedi, mentre gli Svatti pranzano, e ad ogni brindisi che fanno, ella deve chinar la testa. È cosa mirabile, che non [p. 160 modifica]gli si sloghino le ossa delle vertebre del collo. V’è una curiosa formula di far i brindisi alle Spose, ed anche gli Svatti fra loro equivocamente dicono le oscenità le più illecite, che l’uso permette in quest’incontri. Così fra’ Romani vi erano de’ fanciulli, che al tempo di Nozze, cantavano de’ versi libertini, e pieni di sale. Dopo che gli Svatti ànno pranzato, e che secondo il solito si sono affratellati con Bacco, la Sposa se ne va a pranzar co’ Diveri; e le Donne del parentado, non che le vicine, che concorrono alle Nozze mangiano ad una Tavola apparecchiata a parte da quella degli uomini, quasi eglino dassero troppa libertà alle Donne, mangiando insieme. Lo stesso si pratica co’ proprj figli di età, non ben matura. Era questo uso inumano, e severo anche fra’ Romani.29 Il dopo pranzo passano alle danze gli Svatti. Intanto un’altra compagnia, che danzava, mentre gli Svatti pranzavano, va a pranzare anch’essa, e così successivamente quasi tutti i giorni interi delle Nozze. Il primo giorno dopo lo Sposalizio si unisce subito dopo pranzo lo Sposo a diversi Svatti, e va per la Villa ammazzando de’ polli d’India, od altro, portandoli seco con violenza a quella famiglia, che non gli contribuì cosa veruna per le Nozze, ed in contracambio della violenza, che usa, dona del vino, che porta negli otri, e de’ pomi alle Nuore le più giovani. Il penultimo giorno delle Nozze, od in un altro a capriccio degli Svatti, si elegge uno, cui la comitiva [p. 161 modifica]dà la carica di Kadì, che diventa Padrone assoluto di tutti gli Svatti. Questo Kadì si fa sedere sopra un carro, tenendo vicino alla bocca un palo di legno, che serve di canna da pippa, ed il camminetto è fatto di una Zucca, ripiena di feci di ogni genere,30 e ciò si fa per avvilire il Kadì perchè termine Turco. Ma il Kadì si elegge una specie di Cancelliere, e col mezzo suo fa venire avanti a se gli Svatti uno ad uno, condannandoli a battiture delle calcagna alla Turca. Tutti gli Svatti però placano l’ira del Kadì a forza de’ regali, o denaro. Lo Sposo pure non va esente dal giudizio del Kadì stesso. L’uso peraltro vuol, ch’ei si metta a correre a tutta possa, e gli Svatti gli danno dietro colle schioppettate, cariche solamente di polvere, ed esso deve fingere di cader a terra morto. La Sposa dolente allora viene a dimandar il Marito in grazia, e mercè il presentuccio di una gallina il Kadì fa il miracolo di farlo risorgere. Ma dopo che tutti gli Svatti ànno supplito alla pena pecuniaria, conducono il Kadì sopra il carro, e gli fanno la galanteria di abbrustolirlo con un pochetto di paglia. Questi ed altri simili sono que’ giochi di destrezza, od acutezza d’ingegno, che non nomina, ma solamente accenna il Fortis, cui si passa dopo il pranzo, durante le [p. 162 modifica]Feste Nuzziali. Queste Feste sogliono durare ordinariamente da Domenica, o da Lunedì a Giovedì, ch’è il giorno, in cui, dopo che si à pranzato, e che si sono distribuiti i regali, ognuno sen va a casa propria.31 Il Kum, e’l Diver in quel giorno portano sopra una, o più Sciable sguainate i donativi, che fa la Sposa agli Svatti, che consistono in camicie, Marame, ed altre tali cose di poco valore. Il Diver presentando a ciascuno per ordine (cominciando dallo stari-svat) un bicchier di vino, ed il dono, recita la seguente formula „Ecco la Sposa venne; portò il dono; prendilo per amore.„ Ognuno degli Svatti, bevuto il bicchiere di vino, e preso il dono, pone nel bicchiere in contracambio un anello, o più, del prezzo comunemente di un quarto di Ducato di argento, ed anche talora qualche altra bagattelluccia di denaro. Il Diver pone sopra il manico di un cucchiajo di legno tutte le anella, perchè ognuno le veda, ed i soldi, che riscuote mette in tasca, dippoi il tutto consegna alla Sposa. Dopo che si ànno distribuiti i regali, in più luoghi sogliono le Spose presentar un regalo particolare a quello degli Svatti, che corre più veloce. Se la compagnia degli Svatti è a cavallo, a quello va il dono, di cui il cavallo è più veloce: e se si corre a piedi, a quello che primo di tutti arriva ad un segno sta[p. 163 modifica]bilito. La Sposa accompagna per mezzo miglio incirca il Compare, quando da ella si distacca dopo le nozze con cui si bacia dolcemente avanti di separarsi, e riceve in tale incontro un fazzoletto in dono. Quì terminano le Feste Nuzziali. Dopo quindici giorni in circa, da che si maritò la fanciulla, vengono a visitarla i suoi parenti i più propinqui, e l’usanza vuol, che si torni a far un triduo di Baccanale a spese della famiglia dello Sposo. Queste sogliono essere le formalità generali delle Nozze de’ Morlacchi: le particolari di alcune Ville, io lasciai da parte, per non divenir troppo seccagginoso. Le nozze, che usano gl’Istriani somigliano a queste de’ Morlacchi, ma vi sono molte formalità colà più, e meno e ridicole di queste.

Per alquanto tempo le Spose in segno di essere novelle, quando vanno in Chiesa, portano un velo in capo, che scende giù per le spalle, e che copre gli ornamenti, che solean mettersi sulla beretta da fanciulle.32 Questi ornamenti si legano con due cordoncini di seta, che cadono giù per la schiena a guisa di due codini, nè si depongono sino a tanto, che le Spose non partoriscono. Se a caso poi passassero tre, o quattro anni, e che non partorissero, [p. 164 modifica]allora tali segni si tralasciano, quantunque forse ne’ tempi antichi non fosse lecito di deporli, se non si partoriva. In tutti i luoghi, o per lo meno nella maggior parte della Morlacchia, è usanza, che le Spose Novelle debbano baciare tutti i conoscenti, ed amici Nazionali, e qualche volta con somma violenza, se ripugnassero. Insino a tanto, che le Spose non comincian a partorire, dormono sempre co’ loro Mariti, ma tosto che ànno de’ fanciulli dormono da per se, ed i Mariti, che non vogliono essere molestati dalle grida de’ loro pargoletti, le vanno a trovar solamente, quando i bisogni naturali lo richiedano. Quando ànno soddisfatta la propria passione, obbliano le Mogli insino ad un’altra volta, che la stessa li eccitta. Io ò sentito qualche persona, assuefatta alla galanteria, tacciarli su questo proposito di brutalità, ma chi non vede, che tal è l’uomo nello stato di natura? Ma ciò, che i Morlacchi fanno per costume, Solone, o Licurgo ordinava ai Greci per legge, acciò, diceva uno di questi saggi Legislatori, gli uomini sazj de’ piaceri leciti, non provassero degl’illeciti ancora. Abbiamo osservato altrove, che i Morlacchi non vogliono esser effeminati in verun modo, e perciò guardan le Donne, come uno di que’ sporchi, vili, e sozzi animali, quali non è lecito di nominare, senza premetter la escusatoria. Quindi è, se voglion nominar le Mogli, le figlie, le parenti ec. purchè non sien più vecchie, e più rispettabili di loro, sempre vi antepongono la scusa, s’prosctegniem nasce xene, nasce chieri, nasce rodizce ec. „Con perdon nostre Mogli, nostre figlie, nostre parenti ec.“33 Se ànno da nominar una cavalla non v’è escu[p. 165 modifica]satoria di sorte alcuna, quasi volessero significar, che si dovesse far più conto di una cavalla, che di una Donna. Con tutto questo però non si creda, che le Donne Morlacche sieno facili a lasciarsi vincere dagli uomini. Esse mostrano per lo meno un’apparenza tale, che le fa credere più severe delle caste Sabine, ed avrebbe il torto quello Scrittore, che seriamente volesse asserire, che specialmente nelle Ville della Dalmazia, le Donne si prostituiscono a vil prezzo, per la vanità di comparire nel vestito. Ma chi ciò lasciò scapparsi dalla penna, vorrà dire delle Donne da prezzo, (quantunque poche fra noi) che chiamano, ed attendono i passeggieri in istrada, nè cessa di avere il pregio però, per aver saputo che il prezzo della prostituzione di una Donna fra noi consiste in un nastro, un pajo di scarpe, o calze, e simili. Chi così parla, avrà probabilmente de’ documenti certi per poter confermar la sua asserzione, senza timore di essere tacciato di bugia. I Morlacchi sono gelosi all’eccesso, ma non lo mostrano. S’essi scorgono le loro Mogli infedeli, il più mite rimedio per esse si è, che svaniscono agli occhi de’ viventi. Dove poi le sieno, cosa di esse sia successo, non si sa. Questi fatti mirabili si notifica[p. 166 modifica]no alle Morlacche con l’educazione, e prevedendo elleno la conseguenza di un adulterio, sono molto attente nel conservar la fedeltà ai proprj Mariti. Se questi poi sieno esenti dalle vicende umane, io non mi sono prefisso di bilanciare.

  1. Non per tutto si usa così. Certi Proszci portano seco da mangiare, e bere; ma appena arrivati alla casa della fanciulla, la dimandano, e se questa viene loro concessa, cenano co’ parenti della stessa, in caso diverso se ne tornano addietro colle loro provigioni, ed essi la intendono meglio degli altri.
  2. Persio in una delle sue Satire sferza i Romani, perchè trattavano di cose Divine ne’ banchetti.

                        . . . . . Ecce inter pocula quærunt
                        Romulidæ saturi quid dia poemata narrent.

  3. La massima cura de’ Morlacchi in vero è quella di veder se con chi maritano la fanciulla à delle biade, bastanti per lo mantenimento della famiglia, altrimenti non la cedono. Per questa ragione vedendo essi, che anche uno, che li serve, può mantenere la fanciulla, non ànno verun ostacolo di concedergliela. Ma sempre però s’informano, e badano alle circostanze di chi la chiede.
  4. Si dovrebbe dir Ban Dusmanich per conservar la purità de nomi proprj, e non istroppiarli parlando in lingua forestiera, ma fui costretto di dire Bano Dusmanichio per render men duro il verso.
  5. Il Fortis dice, che i Bariactari sono due, o quattro ne’ sposalizj più nobili, ma egli s’inganna. Il Bariactar è sempre uno solo, e qualche volta due, uno peraltro dalla parte della fanciulla, e questo cessa di aver la carica tosto, che gli Sposi vanno a congiungersi a’ piedi dell’altare.
  6. Il Compare contrae parentella tale cogli Sposi, che se i figli de’ rispettivi Compari volessero unirsi in matrimonio e’ diverrebbe incestuoso, secondo il pensare de’ Morlacchi. Forse la predilezione, che ànno le Spose pe’ loro Compari avrà fatto nascere questa opinione superstiziosa d’incesto.
  7. Breberi, e Davori, sono due termini probabilmente venuti dal Turco, che dal modo con cui si pronunciano da’ Morlacchi, pare che vogliano dinotar allegrezza, e perciò Breberi, Davori Delio vuol dir allegramente Campione, quantunque Davori lo faccia significar di grazia, il celebre Giovanni Gondola da Ragusi nel suo Poema di Osman Secondo. Comunque poi la sia, sembra, che Breberi, e Davori non sieno state mai Deità de’ Morlacchi. Dobra Srichia Gospodo Svatovi: Buona Sorte Signori Svatti. Dobra Srichia, o sia buona sorte è il buon Genio, che quando si parlerà delle superstizioni, si vedrà, che lo aveano anche i Morlacchi.
  8. Se dobbiamo credere a Giuvenale sa superstizione degli antichi Egizj arrivava persino all’adorazione de’ porri, e delle cipolle che si mangiano.

              Porum, & cæpe nefas violare, ac frangere morsu.
                   O Sanctas gentes, quibus hæc nascuntur in hortis
                   Numina!

    Ma non furono adorati come Dei anche il Bue Apis, ed il Cane Anubis? La colomba forse non era tenuta in somma venerazione nella Siria? Sancta columba Syro; testifica Catullo.

  9. Le stesse informazioni colla formula stessa, che fa il Dolibassa allo stari-svat intorno i Parvinzci, fa anche intorno tutti gli altri Svatti.
  10. Alle volte, quando si à fissato di ubbriacar qualcuno, si uniscono più Svatti per ubbriacarlo, ed il modo è il seguente. Tutti gli fanno un brindisi con un bicchiere di vino. Il decoro vuol, che si risponda a tutti, nè in casi simili vale, nè si cerca la grazia. D’onde viene, che il punto di onore lo rende ubbriaco a maggior segno.
  11. Sono termini derivati dal Turco.
  12. Seksançia significa quel pedone, che va dietro un cavallo da somma, carico di robba. Komorçia è termine Turco, ma significa lo stesso. Seksana si dice quel cavallo, che porta la somma. Il Fortis dicendo al pedone Seksana (Vol. I. pag. 74.) lo dinota con un termine che non gli si conviene, e dicendoli Komorçia, lo dinota con un termine Turco. Questa osservazione, non è fatta per tacciar di poco intendente di lingua il Fortis. Vi sono molte altre, che lo provano con più fondamento, nè questa lo proverebbe abbastanza. Imperocchè gli fu detto, che Komorçia significa pedone, che custodisceFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 un cavallo da somma, ed ei non era in debito di sapere, se la parola è Turca, o Illirica. Io fo queste annotazioni a solo oggetto, perchè quel dottissimo uomo, che mi disse „ ch’ei non sa, che neppure ci sieno sproposità di lingua Illirica nel libro del Fortis, “ veda, che ve ne sono, nullaostante la cura di quelli, che ànno fatto, che non ve ne sieno. Ma un amico mi disse, che non è da stupirsi, se il dottissimo uomo non à trovato spropositi di lingua Illirica nel libro del Fortis, poichè neppur esso intendeva la lingua stessa.
  13. Quando il Zaus vuol, che si fermino gli Svatti, dice Jap, Jap, Jap, termine Turco.
  14. Vol. 1. pag. 72.
  15. Forse anticamente succedevano queste imboscate, ma tese dagli Aiduzci, o assassini, come potrebbono succedere anche al giorno di oggi, che non succedono. Uno di questi accidenti, restano tradizionali memorie, che sia successo a Xenski-Klanaz, sette miglia all’incirca distante da Sign nella strada, che conduce a Spalato, La compagnia de’ Svatti, che conducevano la Sposa, fu parte uccisa dagli Aiduzci, e parte messa in fuga. La spola restò vittima anch’essa di questa gente inumana. Arrivata la nuova del caso tragico della figlia a sua Madre, se ne andò in compagnia di molti a darle sepoltura, e sendosi scostata per tre miglia da Sign, cominciò a far il piagnisteo per la morte della figlia stessa, che aveva nome Anka. Quindi è che gridando Anka moja, moja Anka, cioè Annuccia mia, mia Annuccia diede il nome di Mojanka a quella piccola porzione boschiva, e montuosa di quattro miglia in circa cominciando dal Cucusov-Klanazc insino a Xenski-Klanazc così detto quel luogo per la morte ivi successa della Sposa novella. Xenski-Klanazc propriamente significa lo stretto della Donna. Il Fortis (Vol. 2. p. 50.) racconta diversamente il caso, per cui Mojanka fu così proclamata. Ma non è pregio dell’opera il confutar la sua opinione.
  16. È spettacolo ridicolo, e piacevole nel tempo stesso il trovarsi presente alla sacra unione di due Sposi Morlacchi del rito Greco. Sì mette una Sinia, ch’è una tavola da mangiare, circolarmente fatta, e sostentata da tre piedi, nel mezzo della casa. Sulla Sinia si mettono due Boccie di vino, una focaccia, ed altre cose ancora per lo Sacerdote. I due Sposi si tengono per le due dita minime. Il Calogero li precede: Il Compare va dietro loro, e fanno tre giri attorno la Sinia. Mentre si fanno i giri, gli Sposi ànno in capo una corona di viti, o di olmo. Il Calogero va balbettando intanto le seguenti parole: Tvarchiaie Virra Riflova, nego gorra bristova, cioè „Più fort’è la Fede di Cristo, che il bosco di olmo“ similitudine per vero dire, che si avvicina molto alle Orientali antiche. Dopo ciò il matrimonio è fatto. Mi viene sospetto, e mi sembra anche molto ragionevole, che questo uso di coronarsi avessero anticamente i Morlacchi, allorchè erano Idolatri. Il Verbo vinçat, che significa coronare, e di cui si servono i Morlacchi per dir sposare, è una fortissima prova. Gli Sposi attaccano le due corone Sponsali sopra i loro capi nel luogo, ove dormono. Insino a tanto, che le corone stanno unite, e che non crepano, il matrimonio è valido; se queste crepassero, il matrimonio è nullo. Così per mezzo delle corone i superstiziosi Calogeri, ed ignoranti danno ad intendere, che Iddio palesa la sua volontà. Io mi sono dimenticato d’interrogar, se la casa si abbrucciasse, e per conseguenza le corone, che ciò non di rado può succedere, che diverrebbe allora del matrimonio? Naturalmente forse dovrebbe essere sciolto.
  17. I Parvinzci corrono a cavallo verso la casa dello Sposo a dar l’annuncio dell’arrivo de’ Svatti con uno sparo di pistola, ed il più veloce à in guiderdone una marama, specie di asciuttamano, ricamato alle due estremità, come vedemmo altrove. Tosto che ànno dato l’annuncio i Parvinzci tornano alla Compagnia, la quale quando è a piedi, i Parvinzci pure corrono a piedi a dar la nuova. Ne’ matrimonj nobili, e specialmente de’ Capi de’ Terittorj, (fra’ quali non esistono tutte le formalità, che ànno i Morlacchi), se si à da condur la Sposa da parti lontane, quasi tutti gli abitanti del luogo, ov’ella deve andare, le vanno incontro. Il presente Eccellentissimo General della Dalmazia si degnò concorrere alle Nozze di un Capo di Territorio, che maritava una sua figlia, cui volle essere Compare, sperando di veder le formalità Nazionali. Ma le più bizzarre e le più ridicole sono affatto trascurate, ed oggimai in uso solamente nelle Ville fra’ Morlacchi.
  18. L’uso, che i fanciulli presentassero alla sposa novella nel vaglio delle noci, e di mandorle avrà voluto forse dinotare, ch’elleno dovessero da quel punto in poi rinunciare ai giochi fanciulleschi. Per questa ragione anche presso i Romani i Mariti spargevano le noci, come varj Poeti ci assicurano. Sparge Marite nuces si legge in Virgilio (Eg. 8. v. 30.), e più difusamente ne parla il dottissimo Catullo nel suo Epitalamio.

    Da nuces pueris, iners.
    Concubine, satis diu
    Lusisti uncibus, lubet
    Jam servire Thalassio.
    Concubine, nuces da.

    Spargi, Sposo novel, le noci ai figli,
    Lascia, deh lascia omai d’esser fanciullo;
    Abbastanza lo fosti, ed or conviene
    Quella legge seguir, che a Sposo, e a Sposa
    Prescrive il Cielo, è la natura istessa:
    Spargi, Sposo novel, le noci ai figli.

  19. Zdravizce in lingua nostra non significa nozze, com’è di parere il Fortis. La parola zdravizce è derivata certamente dall’uso di far i brindisi; poichè ad uno, che si vuol far brindisi, si dice Zdrav, che corrisponde a ciò, che fra gli italiani si dice Viva. E come questi brindisi sono più frequenti ne’ banchetti, ove strabocchevolmente si mangia, e si beve, così è probabile, che dalla parola Zdravizca gl’Italiani abbiano derivata la voce stravizzo. Ma si può far uno stravizzo, senza che vi sieno Feste Nuzziali. Per questo i Morlacchi, cui non mancano espressioni, chiamano Pirovi le Feste Nuzziali.
  20. Il modo, con cui preparano i Morlacchi i polli fritti è il seguente. Dopo essere semi-cotti nell’acqua bollente, li tagliano in pezzi, e li fan friggere nel burro. Dopo ciò vi si mette sopra essi la concia di aglio pesto, e latte inacidito, ed in mancanza di questo dell’aceto. Uh! che cosa stomacchevole, e ributtante per un palato Francese! A qualche Milord piacque oltre modo questo cibo. Io per me seguito quell’antichissimo, e ormai decrepito proverbio, che de’ gusti non convien disputare.
  21. At in nostra Provincia scelus putant vitulos devorare. D. Hier. contra Jovin.
  22. Ad hanc diem Dalmatæ, quos peregrina vitia non infecere ab esu vitulorum non secus, ac ab immunda esca abborrent Jo. Tom. Marn. in op. ined. de Illirico Cæsaribusque Illiricis.
  23. Se i Morlacchi qualche volta non volessero mangiar vitello, e che loro sembrasse una empietà l’ammazzarlo, ciò proviene, perchè il vitello può servir loro col crescer degli anni per l’aratro, e da che non è più atto allo stesso, egli è ancora buono da mangiarsi. Ecco, che non ammazzandolo, si ottengono due benefizj. Lessi non so dove, che Domiziano Imperatore si asteneva dal mangiar anche del Bue, che tanto giova, e Virgilio chiama tempi di empietà in cui si cominciò a mangiar del Bue.

              . . . . . . . ante
              impia quam cæsis gens est epulata Juvencis

    Georg. 536.
  24. Vol. I. pag. 77.
  25. Al Zaus fanno la stessa gentilezza, ed a ciascuno alle volte, che non vuol soggiacere alle spese, che vengono prescritte dalla compagnia.
  26. I Diveri, stanno tanto attaccati alle Spose ne’ tempi delle Nozze, che neppur si sgravano, per quanto narrasi, dal soperchio peso degl’intestini, s’essi non sono presenti. Se la distanza della casa della Sposa, a quella dello Sposo non è lunga, uno dei Diveri la serve a piedi, standole sempre a lato, mentr’essa sta a cavallo. Alle corte i Diveri in qualche modo somigliano ai Cavalieri serventi delle Donne ben educate.
  27. È ben giusto, dice il Fortis, che paghino qualche cosa allorchè si lavano coloro, che stanno de’ mesi interi, senza mai farlo. In fatti i Morlacchi sono sucidi, e sporchi a maggior segno. Ciò dipende dal loro stato naturale, in cui vivono, ed è certo, che la loro semplicità non puot’essere stata corrotta dalla vanità, della Stoicismo.
  28. Le opanke sono le scarpe de’ Morlacchi sì de’ Maschj, che delle femmine.
  29. Mos habebatur Principum liberos cum cæteris ejusdem ætatis nobilibus sedentes vesci in aspectu propinquorum propria, & parciore mensa. Tac. an. 13.
  30. Si potrebbe dare che questo giuoco fosse un avvanzo di quello de’ Baccanti, che cantavano ungendosi il volto con le feci.
    Quæ canerent, agerentque peruncti fæcibus ora.
    Horat. Art. Poet.
  31. Alle volte i regali si distribuiscono di Mercoledì, ed altre volte di Giovedì, o Venerdì, perchè in alcuni luoghi si prolungano le nozze fino a Venerdì. A’ nostri giorni le nozze non usano durare più di sei, od otto giorni alla più lunga. Anticamente forse duravano molto di più, secondo le ricchezze di chi si maritava.
  32. Le Spose novelle il Fortis probabilmente prese per fanciulle, poichè dice parlando delle vesti donnesche, che dalle berette delle fanciulle pende un velo scendendo giù per le spalle. Ciò si può dare in qualche Villaggio, od anche in qualche Territorio, ma pell’ordinario le fanciulle nella Morlacchia non portano certamente il velo, che scenda giù per le spalle. Per un anno le Spose novelle (specialmente quelle del rito Greco) in alcuni distretti, s’inchinano ad ognuno, che incontrano.
  33. Le Donne Morlacche sono sudiccie al par degli uomini, non già per giustificarsi dello sprezzo, con cui sono trattate da essi, com’è di parere il Fortis, ma per un’antica abituazione. Le fanciulle sono alla stessa condizione. Il burro, che adoprano per ungersi i capelli, perchè facilmente inracidisce, offende di lontano le narici di un galantuomo, ma sono prive comunemente di que’ crucciosi insetti, cui piacque ad un Poeta dar il nome di perle di argento, per adulare la propria amante. Le Amazoni Morlacche non pugnano colle spadine, per infilzar queste perle di argento.