Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 18. Amori
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§. XVIII.
Amori.
Cangia di affetto
Ciascun a suo talento:
Ama finch’è diletto,
E tralascia d’amar, quando è tormento.
Languori amorosi, affanni, convulsioni, sospiri, pianti, ed altre tali nojole galanterie, le sono cose, che si esigerebbe buon numero di anni pria, che si affrattellassero ne’ rozzi petti de’ Morlacchi. Essi non ànno preliminari di sorte alcuna a loro amori: essi li stabiliscono in su due piedi tosto, che loro viene in capo, onde non aversi a pentire di aver perduto qualche tempo senz’amoreggiar, quando potevano. Le tenerezze non esprimono, che con gli occhi, o quel, ch’è più frequente co’ bacj, cosa comunissima già fra gli ambedue i sessi, anche non amoreggiando. A qualche Forestiere il modo sembrerebbe un po’ scandoloso, ma essi credono, che questo sia il vero stato dell’uomo, e chi lo abbandona non fa, che degenerare miseramente. Sogliono gli amanti di far alle pugna, senza peraltro farsi del male, e questo è uno scherzo amoroso, e per tutto dire, le loro tenerezze finiscono tutte in abbracciamenti, bacj, e giochi di mani, in vece di corbellarsi con le dolci paroline tu se’ il mio sole, la mia vita, senza te non potrei vivere, ec. ma loro mancano queste usanze delicate, per non essere colti.
Si radunano nel tempo di Verno, ora in una casa, ed ora in un altra, ove fanno le loro conversazioni. Queste conversazioni sono conosciute sotto il nome di Prelo, che corrisponde al Filone della Plebaglia d’Italia. Vi concorre sempre un buon numero di giovinotti d’ambedue i sessi, ed ivi, od alla cura della greggia per lo più principiano i loro amori. Perchè seguiti tra gli amanti una dovuta corrispondenza, si fanno de’ regali vicendevoli di poco conto. Le femmine eccedono la generosità de’ maschj ne’ regali, cosa affatto contraria ai costumi delle Donne civili. Esse vi ricamano col più squisito gusto, che possono scarpette, ed altre cole di comun uso, per presentarle agli amanti, e così seguitano insino a tanto, chè dara l’amore.
Gli amori non finiscono frequentemente in ratti fecondo l’asserzione del Fortis,1 se non in caso, che fosse impedita la congiunzione di due amanti, che si amano daddovero. I ratti non si fanno senza l’accordo d’ambedue le parti, ma il maschio non fa il ratto senza il consenso de’ suoi parenti. All’incontro la fanciulla per la ripugnanza, che ànno i suoi di maritarla con chi ella vuole, stabilisce di unirsi all’amante senza verun consenso. Sembra giusto, ed è legge di Natura operar in simil modo, quando vuolsi sforzare l’altrui volontà nella scielta di una cosa, che ogn’individuo sarebbe bene si sciegliesse da per se. Ordinariamente la fanciulla rapita non ritorna alla casa Paterna, e se a caso taluna si pente di esserli lasciata rapire, e trova il mezzo di esimersi dall’amante, corre rischio di acquistar poco buon concetto, e di maritarli con istento, o non mai. Se le fanciulle dopo essere rapite tornano alle proprie case (cheche vengano custodite con tutta gelosia, ed onestà da chi le rapisce) si tirano dietro il proverbio di lingue mordaci, che „se la vacca è gita, doveva almeno lasciare il vitello.“ Simil proverbio, che non piace per verun conto alle fanciulle Morlacche, obbliga quasi tutte, che si lasciano rapire, a starsene col rapitore a costo di sacrificar la propria tranquillità.
- ↑ Vol. I. pag. 68.